Facebook e consumi


Per curiosi della rete, per chi usa fb e si chiede come mai stiano crescendo sempre più gli spot pubblicitari… Preso da Wired

facebook, pubblicià, consumi, privacyFacebook ci osserva quando facciamo acquisti. Perché? Semplicemente per sapere se le pubblicità che abbiamo visto hanno avuto effetto anche se non abbiamo cliccato sui banner. Lo ha rivelato proprio una nota del social network di Mark Zuckerberg. Per questo abbiamo raggiunto Datalogix, partner di Facebook in questa operazione, per capire come facciano ad associare i nostri acquisti al nostro profilo. Non è stato possibile intervistare un dirigente dell’azienda, ma l’ufficio stampa ci ha spiegato nei dettagli il funzionamento. Una volta tanto, dal punto di vista della privacy non c’è molto da protestare.

Datalogix è un’azienda che traccia il comportamento degli utenti analizzando i dati raccolti dalle carte fedeltà e vanta di possedere già le schede di oltre 70 milioni di famiglie americane, acquisite tramite un migliaio di rivenditori. Oltre a nome, numero di telefono e dati personali infatti buona parte di queste sono in grado di registrare quello che compriamo. Datalogix e Facebook utilizzano entrambe un metodo di hashing che codifica i dati degli utenti senza utilizzare una chiave di cifratura. Praticamente un possibile “silvio@yahoo.com” diventa ” 123456789″ per entrambi, ma non c’è modo di decodificare i dati. A quel punto Facebook prende uno alla volta i propri 123456789 e verifica se sono presenti nel campione di utenti, fornito da Datalogix, che hanno acquistato il prodotto X. Se c’è, l’utente è statisticamente buono e viene selezionato, viceversa scartato. Poi Facebook divide gli utenti selezionati in due gruppi, a seconda che questi siano stati o meno esposti alla pubblicità di X. E può quindi verificare le percentuali di quelli che poi quel prodotto l’hanno realmente acquistato, così da misurare il return on investment (Roi) per l’inserzionista. Al contempo Facebook determina il profilo delle persone che hanno acquistato X dopo essere state esposte alla sua pubblicità per n volte. L’utente ha sempre e comunque la possibilità di rifiutarsi di essere sottoposto a questo trattamento, ma per farlo deve passare dalla pagina della privacy di Datalogix e non può farlo su Facebook.

L’obiettivo del social network è affermare il principio secondo cui non contano tanto i click che gli utenti fanno sulle inserzioni pubblicitarie quanto se davvero comprano o meno i prodotti reclamizzati quando entrano in un negozio. È da qualche settimana che se ne parla, ma solo l’altro giorno nel corso di un evento durante l’ Advertising Week di New York Facebook ne ha discusso pubblicamente. Durante l’appuntamento newyorkese è stato inoltre presentato uno studio compiuto su cinquanta campagne pubblicitarie: il risultato a cui si è giunti è che il 99 per cento degli acquisti riconducibili a campagne su Facebook sono stati effettuati da persone esposte alla pubblicità, ma che non avevano cliccato sugli ad. Il privacy engineer di Facebook Joey Tyson ha spiegato in un post che grazie al sistema messo a punto l’azienda non è in grado di sapere quale utente ha realmente acquistato un prodotto perché quello che Facebook riceve da Datalogix sono solo informazioni aggregate relative a grossi gruppi di persone. E la Electronic Frontier Foundation, al solito attenta ai temi legati all’uso dei dati e alla privacy, per una volta è parsa pacatamente soddisfatta dell’approccio scelto. Ovviamente un sistema in grado di offrire all’inserzionista metriche per valutare su che tipo di target il proprio messaggio ha un miglior risultato, su quale occorre insistere e su quale basta un semplice passaggio rende Facebook una piattaforma ancora più interessante per veicolare la propria pubblicità. Secondo Brad Smallwood, responsabile misurazioni di Facebook, l’ottimizzazione delle frequenze di esposizione del messaggio pubblicitario potrebbe incrementare il Roi del 40%.

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