Vi posto un articolo di Alessandro Peroni che mi ha divertito molto
ed è preso dal numero di Diogene Magazine che è da pochissimo in edicola. E’ un bel testo su chi, pur avendo una certa età, è ancora in grado di fare del buon rock.
Duemila anni fa lo storico e filosofo Plutarco (46-120 d.C.) scriveva un testo nel quale si chiedeva se la politica fosse un’attività alla quale gli anziani potessero liberamente dedicarsi. Le sue conclusioni erano, in realtà, assai ampie: la politica è un compito in cui tutti i cittadini devono impegnarsi: “Solo gli stolti non fanno politica. Chi invece è socievole, umano, amante autentico della Patria fa sempre politica, sia che esorti i potenti o si offra da guida a chi ne ha bisogno, oppure sia di sostegno a chi deve prendere decisioni importanti, sia che distolga dal male i cattivi e incoraggi gli onesti” (Plutarco, Se un anziano debba fare politica, 260). La politica, dunque, è un’attività nella quale tutti gli uomini devono investire, consacrandovi le proprie forze, sia quando sono giovani e valenti, sia quando sono più anziani, allorché, con la loro esperienza, possono consigliare e sostenere gli altri.
Plutarco era infatti uno strenuo sostenitore dell’impegno “civile”, che si esplicava anche nell’esercizio quotidiano della filosofia: “La maggior parte delle persone immagina che la filosofia consista nel dibattere dall’alto di una cattedra e nel fare corsi su alcuni testi. Ciò che tuttavia sfugge, a persone del genere, è la filosofia che si vede esercitata nelle opere e nelle azioni di ogni giorno. Socrate non si sedeva su una cattedra professorale, non aveva un orario fisso per discutere o passeggiare con i suoi discepoli, ma scherzando con loro, bevendo o andando alla guerra o in piazza, egli ha fatto filosofia. È stato il primo a dimostrare che, in ogni tempo e luogo, in tutto ciò che ci accade, la vita quotidiana dà la possibilità di filosofare” (ibidem).
Il profondo umanesimo di questo testo di Plutarco mi ha sempre colpito, sicché mi sono chiesto se esso potesse, in qualche modo, essere applicato anche alla musica rock. Questa, come ben sappiamo, è la musica “dei giovani” ormai da oltre mezzo secolo: per questo motivo, i sopravvissuti della prima ondata del rock’n’roll si trovano oggi a essere “giovani” di circa settant’anni. Uno di questi, Jerry Lee Lewis (detto The Killer), ha annunciato che tornerà presto in tour all’età di 72 anni, cantando Great Balls Of Fire e percuotendo il pianoforte con il suo stile selvaggio. Ha poi destato viva impressione un paio d’anni fa, durante la tournée mondiale dei Rolling Stones, la grande vitalità di Mick Jagger (classe 1943), che per tutta la durata dei lunghissimi concerti continuava a correre e saltare per il palco senza stancarsi, senza incappare in cali di voce, e con una simpatia e un’ironia molto british che in passato non aveva mai palesato on stage. Merito senz’altro della sua vita sanissima, della dieta equilibrata e di un’attività fisica controllata.
Poiché ho avuto modo di assistere a un concerto di questa tournée, sono testimone dell’esuberanza del vegliardo, così come delle precarie condizioni di salute di altri membri del gruppo. Degli altri tre Stones rimasti, il batterista Charlie Watts eseguiva il suo lavoro di onesto artigiano, come sta facendo da più di quarant’anni; i due chitarristi Keith Richards e Ron Wood destavano invece qualche preoccupazione, mentre, appoggiati l’uno all’altro in un angolo del palco quasi a sostenersi a vicenda, traevano note talora improbabili dai loro strumenti. Fortunatamente, la nutrita schiera di musicisti di supporto rendeva meno traumatica la resa sonora.
Questo esempio ci dimostra un’amara verità: purtroppo non tutti invecchiano allo stesso modo, nemmeno se militano da sempre nello stesso gruppo, come si è visto pure nel recente concerto italiano degli Who, dove la presenza sul palco del cantante Roger Daltrey era principalmente decorativa, poiché a cantare e suonare la chitarra provvedeva l’ancor tonico Pete Townshend. Recentemente Robert Smith, seppure fisicamente “appesantito”, ha dimostrato che i suoi Cure possono esprimere ancora molto dal vivo. Eric Clapton, il “dio della chitarra” degli anni Sessanta, oggi ha ancora molto da insegnare, David Bowie sembra eternamente giovane e siamo in attesa di vedere gli esiti dell’annunciata reunion dei Led Zeppelin.
Ma cosa possono ancora comunicare questi anziani signori del rock che non abbiano già espresso decenni fa? Dal punto di vista discografico, tutto sommato, spesso pubblicano opere valide. Ad esempio, certi inossidabili come gli Ac/Dc o i Motörhead sfornano da una trentina d’anni dischi dignitosi, seppure a fasi alterne: certo, ripropongono sempre lo stesso sound o le stesse idee, ma finché queste scalderanno i cuori dei fan dai 15 ai 50 anni (e oltre) e ispireranno i giovani a prendere uno strumento e mettersi a suonare, il loro ruolo “sociale” (nel senso inteso da Plutarco) dovrà essere riconosciuto e rispettato.
Del resto, è noto che la musica richiede tempi lunghi di maturazione, forse più di qualsiasi altra attività umana. Nella politica, con buona pace di Plutarco, l’inamovibilità di certi vecchi è cagione, sappiamo, di gravi danni per la società; l’invecchiamento precoce a cui poi vanno incontro i “giovani politici” è un fatto ancor più preoccupante. Nella filosofia, tranne che in rari casi, la grande idea e l’intuizione potente arrivano in gioventù: per il resto della loro (spesso lunga) vita, i filosofi affinano la loro intuizione giovanile, la “nobilitano” (o imprigionano) in ponderosi sistemi o, peggio, la rinnegano per aprire a un imbarazzante “nuovo corso” del loro pensiero.
Così non è per la musica. Certo, capita il caso in cui un autore non riesca mai a superare il proprio capolavoro giovanile (come fu il caso di Mascagni con Cavalleria rusticana), ma nella maggior parte dei casi i grandi compositori si rendono artefici di lunghe e fruttuose maturazioni. Un esempio su tutti, Giuseppe Verdi, che produsse le sue opere più complesse e tutt’altro che anacronistiche in tarda età, potremmo addirittura dire “fuori tempo massimo”. Per quel che riguarda gli interpreti, è noto che i grandi strumentisti e direttori vivono a lungo, come Horowitz, Toscanini o Karajan. Di quest’ultimo, possiamo ricostruire tutta la lunghissima carriera attraverso le testimonianze discografiche, dal disco a 78 giri fino al CD, confrontando come si è evoluto il suo apporto interpretativo.
Per quel che riguarda i musicisti rock, il genere comincia a essere abbastanza duraturo da poter azzardare qualche considerazione. Purtroppo, la vita sregolata fatta di eccessi ha causato la prematura scomparsa o la decadenza fisica e intellettuale di molti “grandi”; inoltre, le esigenze del mercato hanno cancellato o relegato a produzioni di nicchia alcuni artisti che forse avrebbero ancora qualcosa da dire; altri personaggi a tutt’oggi attivi a livello di grande pubblico oscillano tra l’eccellente e l’imbarazzante. Quello che conta, comunque, è sempre, come ci dice Plutarco, la capacità di comunicare, di consigliare, di ispirare.
Ma, come ci insegna ancora il pensatore di Cheronea, le attività umane non si svolgono solo nelle grandi occasioni, come in un grande concerto (eventualmente con un’unità coronarica dietro le quinte pronta a intervenire, come nell’ultima tournée dei Rolling Stones), ma anche nei piccoli spazi o sulla pubblica piazza, e tutti sono chiamati a impegnarvisi.
Cosa dire, allora, a tutti quelli che arrivano a una certa età: alle fatidiche soglie dei 30, 40, 50 o 60 anni? Per rispondere, andiamo a ripescare un film, uno storico rock movie che si intitola No Nukes (1980) e fu ricavato dalle riprese di un grande concerto collettivo contro il nucleare. Nel corso della sua straordinaria esibizione, Bruce Springsteen si rende protagonista di un divertente siparietto: durante una travolgente versione di Thunder Road, il Boss finge istrionicamente un collasso e si getta a terra. Rialzato dai membri della band, si scusa con il suo pubblico: “Non posso andare avanti così! Ho già trent’anni e il mio cuore sta cominciando ad andarsene…”. Da quel concerto al Madison Square Garden sono passati esattamente trent’anni: Springsteen è “andato avanti così” e scrive tutt’ora magnifiche canzoni che continua a proporre dal vivo. Qui sta la chiave del fare musica, al di là dell’età: avere buone idee da proporre (o, al limite, ri-proporre) e tanta energia per tenere concerti. Doti che non sono scontate nemmeno per i giovani, che spesso devono lottare più di quanto avevano fatto i loro padri (o nonni) per proporre una musica che esca dai canoni stabiliti dal mercato più commerciale. Per chi ha una certa età, la passione e l’esperienza sono sempre gradite anche dal pubblico più giovane, ed è proprio la presenza e l’apprezzamento di quest’ultimo a segnalare che si ha ancora qualcosa da dire. Certo, come insegna Mick Jagger, per continuare a calcare il palcoscenico è essenziale che non si trascurino le cautele del caso: vita sana e regolare, niente fumo e alcool, esercizio fisico di preparazione, visite regolari dal geriatra di fiducia… In questo modo, non si finirà in quel limbo cantato tristemente dai Jethro Tull: Too Old to Rock ’n’ Roll: Too Young to Die (Troppo vecchio per il rock’n’roll, troppo giovane per morire).
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