“Ho scelto questa canzone perché mi fa riflettere sulla figura di Dio. Io sono agnostica; c’è stato un periodo della mia vita in cui ho cercato di avvicinarmi a Dio ma non ci sono riuscita. Non concordo con tutto quello che dice il testo, ad esempio penso sia troppo facile cercare Dio solo quando si è nei guai. Non penso sia una bestemmia questa canzone, come è stato scritto in rete; penso esprima il dolore dell’autore e la sua speranza di trovare Dio”. “Lettera dall’inferno” di Emis Killa è stata la gemma di J. (classe terza).
Riporto il grido rabbioso di Giobbe, ancora più forte di quello di Emis Killa, dal libro omonimo della Bibbia, capitolo 3: “Dopo, Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «È stato concepito un uomo!». Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce. Lo rivendichi tenebra e morte, gli si stenda sopra una nube e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno! Quel giorno lo possieda il buio non si aggiunga ai giorni dell’anno, non entri nel conto dei mesi. Ecco, quella notte sia lugubre e non entri giubilo in essa. La maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti a evocare Leviatan. Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, speri la luce e non venga; non veda schiudersi le palpebre dell’aurora, poiché non mi ha chiuso il varco del grembo materno, e non ha nascosto l’affanno agli occhi miei! E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi? Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei, o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce. Laggiù i malvagi cessano d’agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze. I prigionieri hanno pace insieme, non sentono più la voce dell’aguzzino. Laggiù è il piccolo e il grande, e lo schiavo è libero dal suo padrone. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l’amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba… a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato? Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua, perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge. Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento!”.