Gemma n° 2494

“A inizio anno mi è stato dato il compito di presentare una gemma e da quel momento mi sono chiesta in continuazione cosa portare. Mi sono concentrata su tutti gli oggetti a cui sono affezionata, alle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, a tutti i momenti che sono rimasti indelebili nella mia mente e nel mio cuore e a tutte le persone che amo. Cercavo in continuazione un qualcosa di complicato, ma mi sono resa conto che “l’essenziale è veramente invisibile agli occhi”. 
Per questa gemma ho scelto di portare mia mamma. Inizialmente mi è apparso un pensiero banale, ma ripensandoci non lo è affatto. Forse l’età mi ha portato ad apprezzarla di più, o meglio, a comprenderla di più. Nonostante io sia la sorella maggiore, quindi ricopro quasi il ruolo di seconda mamma in casa, non riuscirò mai ad essere come lei. Mia madre è la donna più forte che io conosca, non lo dico solo perché ho un amore incondizionato nei suoi confronti, ma anche perché ha avuto modo di dimostrarmelo durante tutti questi anni. Nonostante le immense imprese e ostacoli che il destino ha voluto imporre nel suo cammino, lei ha sempre avuto il coraggio di trovare la forza per lottare per noi e con noi. È riuscita ad affrontare una delle malattie più temute dalle donne, ma nonostante ciò non ci ha mai private della sua presenza. Sì è vero, ha, a volte, un carattere abbastanza irruento, su molte cose siamo in disaccordo, ma non smetterò mai di cercare il suo sguardo per una rassicurazione, per sentire quell’amore che solo una madre può dare. Sono sempre stata una persona a cui non piacciono molto le smancerie, preferisco dimostrare ad azioni, a fatti i miei sentimenti, ma ho anche capito, in questi ultimi anni, che la vita è troppo breve per non pronunciare quel “ti voglio bene mamma”. Ho iniziato a piccoli passi a riaprirmi nel mondo dei sentimenti.
Penso che a tutti sia capitato di trovarsi in una situazione in cui l’unico pensiero fosse quello di essere tra le braccia della propria madre per riuscire a dimenticare ciò che è successo e di sentirsi nuovamente al sicuro. Questa è l’importanza della mamma. Dico spesso che starei benissimo senza di lei, che sono abbastanza grande per affrontare la mia vita da sola, ma nel fondo della mia coscienza sono perfettamente consapevole che tutto questo non è vero.
Non vorrei sembrare banale a questo punto, ma quando dico che mia madre è il mio punto di riferimento lo intendo davvero. Ho sempre sperato e sognato di essere come lei, di avere il suo carattere e di riuscire a farmi rispettare in ogni circostanza, di avere la sua tenacia e la sua testardaggine, anche se a volte è un po’ fastidiosa. Ho capito che tutte le litigate con lei non sono tempo perso, anzi, mi hanno aiutata a crescere.
In questi anni io e lei siamo cresciute insieme e siamo diventate amiche, un tipo di amica che tutti dovrebbero avere nella loro vita. Lei non giudicherà mai, mi sosterrà sempre anche negli errori, ma spiegando gli sbagli e donandomi i consigli giusti per rialzarmi. È un’amica che non ha alcuna invidia nei miei confronti, spera solo che io non commetta i suoi stessi errori e che, anzi, abbia una vita migliore della sua. Le mie lacrime da lei sono sempre state asciugate e facendomi sentire avvolta dalle sue calde braccia sono riuscita a percepire quella rassicurazione che ormai non sento da tempo. La mamma rimarrà sempre la mamma ed è per questo che a lei dedico questa gemma, per ricordarmi quanto lei sia fantastica e anche per ricordarmi di quanto io sia fortunata ad averla al mio fianco.
Ti amo mamma.”
(J. classe quarta).

Gemma n° 2449

“Oggi ho deciso di portare come gemma mia madre. Insieme abbiamo passato dei momenti molto duri della nostra vita come, per esempio, penso il più importante, la separazione in casa con mio padre. In quegli anni ero piccola e solo poco tempo fa ho capito quanto fosse stata effettivamente forte mia madre e come abbia avuto il coraggio di continuare una sua strada da sola con le sue due figlie accanto. Per me lei è una mia fonte d’ispirazione: anche se molto spesso non andiamo d’accordo e litighiamo, per me lei rimane comunque l’unica persona di cui mi posso fidare al 100%, perché so che lei non mi abbandonerà mai. Quindi se un giorno mi dovessero chiedere: Cosa vorresti diventare da grande? Beh io risponderei sicuramente, come prima cosa, una brava madre come lo è stata lei per me fino ad adesso e come continuerà ad esserlo in futuro” (S. classe seconda).

Gemma n° 2443

“L’11 dicembre 2023 mi sono state dette quelle parole che un atleta non vorrebbe mai sentirsi dire da un medico: “il tuo crociato è rotto, la tua stagione è finita”. Non so neanche io bene come, ma non appena mi sono state pronunciate quelle parole sono riuscita a trattenere le lacrime, forse perché sotto sotto lo sapevo o forse solo perché volevo sembrare forte. Eppure questo infortunio mi ha portato un grande vuoto dentro.
Era da mesi che combattevo contro un dolore al ginocchio senza che si riuscisse a capire bene che cosa io avessi.
A giugno 2023 durante un allenamento è suonato quel primo campanello d’allarme, quel CRACK che a ripensarci mi vengono ancora i brividi.
Durante l’estate si sono susseguite una serie di visite, ma nessuna risposta concreta, finché a settembre l’ortopedico che mi ha visitata mi ha detto che sarei potuta tornare a giocare. Ero contentissima, ma dentro di me sapevo che c’era qualcosa che non andava.
Ho ripreso gli allenamenti e piano piano ho ritrovato la sicurezza che avevo perso a causa dell’infortunio.
Fino a quando, SBAM, un’altra porta in faccia, un’altra ricaduta. Mi cede il ginocchio durante una partita.
Non c’era più nulla da fare, avevo lottato fino a quel momento, ma la paura era riemersa.
Decido di farmi visitare da un altro ortopedico il quale pronunciò quelle fatidiche parole.
Nella mia testa, prima di quella visita, c’era ancora quella piccola speranza di poter tornare a giocare e di nascondere quella che sapevo fosse la verità, ma la verità ha avuto la meglio su quel piccolo spiraglio di luce.
Nonostante il dolore e le lacrime sono grata a questo infortunio perché mi ha fatto capire che ci sono persone che ci tengono tanto a me, quanto io sia fortunata ad avere una squadra che mi supporta in questo momento difficile e degli allenatori che ci tengono veramente al fatto che io stia bene. Spero di non deluderli e di tornare più forte di prima. Non so cosa mi riserverà il futuro o se ritornerò a giocare, ma ciò di cui sono certa è che uscirò da questi 6 mesi un po’ più consapevole e sicura delle mie capacità”.
(G. classe quarta).

Gemma n° 2320

“La mia gemma è un biglietto che ho ricevuto al mio compleanno lo scorso marzo. Il biglietto accompagnava un regalo che mi è stato fatto dai miei nonni. Sul cartoncino rosa c’è scritto “Insegui i tuoi sogni, vai spedita e non arrenderti mai! Con tanto amore, i tuoi nonni”.
Ho sempre dato per scontato di avere fiducia in me stessa e sicuramente non pensavo avrei mai più messo in dubbio il mio potenziale o le mie capacità. Recentemente però ho avuto diverse difficoltà legate alla fiducia in me stessa. Ho cominciato ad avere di nuovo ansie legate alla paura di fallire, di non riuscire a stare al passo veloce degli altri, del tempo e delle situazioni. La paura del fallimento: ora mi trovo ad utilizzare termini che non prendevo in considerazione ormai da tanto tempo. Ho appeso questo bigliettino sulla bacheca della scrivania ormai a marzo, quando vedevo queste parole e non prestavo troppa attenzione al loro significato. Di recente ho alzato di nuovo lo sguardo verso la bacheca e ho riletto tra me e me quelle parole, ma con occhi diversi. Rileggendo il biglietto ho la sensazione che i miei nonni abbiano trovato la cura giusta ancora prima che io presentassi i sintomi di questa paura. È come se loro fossero riusciti ad anticipare la paura stessa. Molto spesso ripenso al biglietto, in particolare quando ho paura di star sbagliando tutto e quando penso di essermi persa, così riesco a ritrovare il conforto nelle parole dei miei nonni. Il conforto di queste parole sta nel sapere che la fiducia che spesso smarrisco in me, esisterà per sempre nei miei nonni, e quindi saprò dove cercarla. Mi sono resa conto che loro credono in me più di quanto non lo faccia io.
Quel giorno loro mi hanno regalato un braccialetto: è molto carino  e lo uso spesso. Tuttavia oggi so per certo che il giorno del mio compleanno i miei nonni mi hanno regalato queste parole su un biglietto di carta”.
(E. classe quarta).

Gemma n° 2262

“Ascolto questa canzone fin da quando è uscita, nel 2012; è l’unico brano che non mi ha mai stufato. La ascoltavo perché mi dava coraggio e lo fa anche adesso, ogni volta che la riascolto” (G. classe seconda).

Gemma n° 2183

“La mia gemma è questa collana.
Ce l’ho da molto tempo perché mi è stata regalata quattro anni fa per il mio compleanno da una persona molto importante per me: mia zia.
Purtroppo non la vedo molto spesso perché abita lontano, ci incontriamo solo una volta all’anno per Natale. Con lei ci sono sempre andata d’accordo perché caratterialmente siamo simili e in sua compagnia sto sempre bene. Questa estate si è sposata e vederla felice accanto alla persona che ama per me é stata una gioia immensa.
Lei é il mio esempio perché nella vita le sono successe molte cose brutte ma ha sempre saputo rialzarsi con una forza e determinazione che ammiro tanto e spero un giorno queste qualità possano appartenermi” (L. classe seconda)

Gemma n° 2164

“Parto con una premessa: ho pensato per tanto tempo a questa gemma perché sapevo che sarebbe stata l’ultima, quindi volevo fosse qualcosa di veramente importante per me. Lei si chiama S., non è una mia amica, non è la mia migliore amica, non è quel tipo di amica che si dice spesso “è come una sorella per me”. S. è la mia fidanzata, ed è la mia gemma da ormai 2 anni e mezzo. Ora, chiamatemi prevedibile, sentimentale, monotona, ma dopo averci pensato a lungo, la gemma che mi sono sentita in dovere di portare è S., perché tutto questo tempo mi ha accompagnata ogni giorno, mi ha tenuto compagnia e non mi ha fatta sentire sola. A me piace tanto stare da sola, in pace, ma ho paura di sentirmi sola e rimanerci effettivamente. E soprattutto nel 2020, nei mesi del lockdown, rimanevo sempre sola. Poi a maggio ho conosciuto S., che mi ha scritto su tiktok dopo una live di una ragazza americana dove aveva letto i miei commenti. Sofia non abita qui a Udine, lei vive a Catania. Mi ha scritto perché, nei commenti della live, le avevo risposto che anche io ero nata a Catania. Ho portato S. come mia gemma perché voglio ringraziarla per tante cose. Scrivendoci e parlando per tutte le nostre giornate è stato veramente facile innamorarsi, il problema era prendere coraggio per ammetterlo. Voglio ringraziare S. innanzitutto per avermi fatto conoscere e accettare una grande parte di me che tendevo ad opprimere, mentre anche lei stava conoscendo sé stessa. La ringrazio perché è sempre stata in grado di consolarmi quando le cose a casa non andavano bene, e capitava (e capita) molto spesso. La ringrazio perché è paziente e, con me, ce ne vuole tanta di pazienza. La ringrazio perché nonostante prima di metterci insieme mi avesse detto che non voleva relazioni a distanza, mi aspetta sempre e sta ancora aspettando che io torni da lei definitivamente quest’estate. La ringrazio perché metterà da parte il suo terrore per gli aerei, e per mia madre, per venire a trovarmi per il mio compleanno. Ma soprattutto la ringrazio perché mi ha insegnato che non devo vergognarmi, né cercare di nascondermi quando siamo fuori, circondate da persone che non conosco. Mi ha insegnato a sentirmi tranquilla e spensierata com’è giusto che sia, ignorando possibili occhiate o commenti da parte di persone che, nella mia vita, non avranno mai più importanza della mia libertà e felicità. Voglio concludere leggendo dei versi di Catullo, che penso si colleghino alla perfezione con questo e che sono abbastanza autoesplicativi:
“Viviamo, mia Lesbia, ed amiamoci
E i brontolii dei vecchi austeri
Valutiamoli tutti insieme due soldi.
Il sole può tramontare e tornare
Ma noi, quando è terminata la nostra breve luce
Dormiremo una sola notte perpetua.
Dammi mille baci, e poi cento
Poi dammene altri mille e altri cento
E poi ancora mille e altri cento.
Quando ne avremo fatte molte migliaia

Li confonderemo per non sapere il loro numero,
Affinché nessuno possa farci il malocchio
Sapendo un numero così enorme di baci.”

-Carme V, Catullo

Gemma n° 2139

“Ho deciso di portare come gemma mia mamma.
Mia mamma è sempre stata una persona molto forte, determinata e mi ha sempre aiutata in qualsiasi momento.
Purtroppo un po’ di mesi fa, ha scoperto di avere una malattia grave.
Inizialmente questa notizia l’ha buttata giù di morale come tutti noi, perché non ce l’aspettavamo.
I mesi seguenti non sono stati duri per lei, perché aveva sempre quella forza e quella determinazione che la portava avanti.
Dopo l’intervento si è ripresa in fretta.
Dopo un po’ di mesi ha cominciato le terapie. Queste terapie sono state abbastanza lunghe, ma lei con la sua forza e la sua determinazione le ha fatte tutte fino alla fine.
Finalmente il ciclo di terapie si è concluso, un sollievo per lei e per tutti noi.
Anch’io in molte situazioni vorrei avere la forza e la determinazione con cui mia mamma è riuscita a superare la malattia” (C. classe quarta).

Gemma n° 2061

“In questa foto sono insieme a tre compagni di squadra: siamo due allievi e un giovanissimo. Mi voglio soffermare sul ragazzo al centro, appena rientrato dopo due anni passati senza giocare a calcio per motivi che non voglio specificare. Lo conosco da un anno e abbiamo subito legato. Io pensavo, vista la lunga pausa, che non giocasse molto bene, invece ha lottato su ogni pallone. Per me lui è un esempio di come lottare su ogni cosa per tornare a fare ciò che più piace, in questo caso giocare a calcio” (M. classe seconda)

Gemma n° 1956

“Come gemma ho deciso di portare i miei pattini. Ho preso questo paio solo recentemente, ma ho iniziato a pattinare quando ero alle elementari. Ci sono stati anni interi nei quali non ho praticato molto, però, in un modo o nell’altro, sia il pattinaggio su ghiaccio che quello su rotelle sono sempre rimasti con me e ci tengo tanto.”

Questa la gemma di G. (classe seconda). La più famosa pattinatrice sul ghiaccio italiana degli ultimi anni, Carolina Kostner, ha detto: “Il pattinaggio è volare e atterrare. Salire e scendere. La vita è sempre così. Ogni giorno che passa devi fare i conti con qualcosa che ti va o non ti va: e devi affrontare tutto, con le lame tra i denti, o sotto i piedi, non importa dove, ma devi essere forte e andare avanti”.

Gemma n° 1869

“Ho deciso di portare come gemma una cosa a me molto cara, ovvero il mio primo copione; infatti ricordo che quando il mio insegnante di teatro me l’ha consegnato ho sentito una forte emozione che è aumentata quando sono salita per la prima volta sul palco ed ho iniziato a recitare davanti al pubblico.
Da quel momento il teatro è diventato un elemento per me molto importante al quale non voglio rinunciare perché attraverso la recitazione riesco (come se indossassi una maschera) a esprimere molte emozioni che nella quotidianità faccio fatica ad esprimere.
Attraverso il teatro sono riuscita a migliorare un aspetto del mio carattere che non mi piaceva e che alle volte mi metteva in difficoltà, ossia la timidezza che in alcune situazioni rischia di precludere alcune opportunità e non mi permetteva di mettermi in gioco.
Infatti, grazie al teatro si impara ad acquisire gli strumenti per gestire i propri momenti di imbarazzo e a non lasciarsi sopraffare dalle emozioni.
Grazie anche al mio insegnante ho imparato a superare la paura di parlare in pubblico e ho imparato a mettermi in gioco in diverse situazioni.
Il gruppo di teatro è simile ad una squadra, infatti si sta insieme per raggiungere un grande obiettivo comune che è lo spettacolo ed è molto importante conoscere ogni compagno proprio perché  bisogna avere fiducia l’uno nell’altro e rispetto reciproco.
Il teatro mi ha aiutato anche ad avere maggiore autostima ed a superare il giudizio altrui che mi ha sempre creato personalmente un po’ di difficoltà.
Infatti, ricevere dal pubblico gli applausi e la forza che mi trasmette il mio gruppo sono elementi che hanno rafforzato il mio senso di autostima e mi hanno gratificato molto aiutandomi anche a capire meglio me stessa.”

Dopo che L. (classe terza) ha presentato la sua gemma avevo in testa una frase di Victor Hugo che sapevo starci bene, ma non la ricordavo nei dettagli. Eccola: “Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”. E’ il teatro che ha anche permesso a L. una gemma così: due anni fa sarebbe stato impensabile. Quanta bellezza!

Gemma n° 1864

“E’ una gemma doppia. La prima la collego a mia madre, è una frase di Anna Frank che dice Sii gentile, abbi coraggio. Fin da piccola, ogni volta che succedeva qualcosa che mi buttava giù il morale oppure ero triste o arrabbiata per qualcosa che non andava nel verso giusto e magari dicevo delle cose che era meglio che non dicessi, mia madre mi metteva in un angolo, mi tranquillizzava e mi ripeteva questa frase aggiungendo di farmi amare da tutti, di non provare mai odio, un sentimento che non porta da nessuna parte. La seconda è collegata a mio padre ed è Alice nel paese delle meraviglie: quand’ero piccola avevo l’abitudine di vedere un film della Disney ogni sabato con lui e questo era il suo preferito e cercava di propormelo ogni volta. In qualche modo è diventato anche il mio preferito anche perché per carattere e modo di fare mi rivedo molto in Alice. Ho voluto portare la prima canzone”.

Non penso che debba scrivere di cosa parli il libro Wonder (e il film derivatone). Vi è contenuto un concetto molto caro a Palacio, l’autrice: “Bisogna essere più gentili di quanto ci viene richiesto. Il motivo per cui amo questa frase, questo concetto, è perché mi rammenta che portiamo con noi, in quanto esseri umani, non solo la capacità di essere gentili, ma prima di tutto la gentilezza come vera scelta di vita.”

E per completezza della gemma proposta da C. (classe seconda) lascio qua una delle mie frasi preferite di Alice nel paese delle meraviglie

Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.
«Che strada devo prendere?» chiese.
La risposta fu una domanda: «Dove vuoi andare?»
«Non lo so», rispose Alice.
«Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza».

Gemma n° 1795

“La mia gemma è un po’ un concetto astratto e quindi utilizzo due foto per spiegarmi concretamente. La prima è dell’estate del 2020, quando sono stata a fare uno stage di una settimana fuori Roma, la seconda è di questa estate, del viaggio fatto a Napoli. Per me queste foto rappresentano un processo avvenuto in questi ultimi anni tramite alcuni viaggi che ho fatto. Lo stage è stato importante perché era la prima volta, dopo tanto tempo, che ero da sola lontana da casa; il viaggio a Napoli è stato una sfida per me e per le mie due sorelle perché ci siamo andate da sole nonostante un po’ di paura. Ho imparato così ad essere più indipendente e a non avere pregiudizi. Soprattutto sono riuscita a risolvere uno dei miei più grandi difetti: la timidezza. E questa è una cosa che non sento solo io da dentro ma che mi hanno riferito anche le persone che mi hanno conosciuto negli ultimi anni e che mi hanno detto di vedermi come una persona tanto aperta e sempre positiva”.

Così si è conclusa la gemma di M. (classe quinta). Io un breve testo sulla timidezza mi sento di metterlo, è di Ernest Hemingway: “Sorrise come soltanto i veri timidi sanno sorridere. Non era la risata facile dell’ottimista né il rapido sorriso tagliente dei testardi ostinati e dei malvagi. Non aveva niente a che fare col sorriso equilibrato, usato di proposito, del cortigiano o del politicante. Era il sorriso strano, inconsueto, che sorge dall’abisso profondo, buio, più profondo di un pozzo, profondo come una miniera profonda, che è dentro di loro.”

Gemma n° 1785

“Ho portato, come gemma, un video e questa coccarda. La coccarda l’ho vinta all’ultimo concorso fatto prima di tornare a scuola e che mi ha anche risollevato dopo un concorso andato male ad agosto. Ho chiesto al mio istruttore di firmarmela e lui mi ha detto subito di sì. L’ho portata per due motivi. Il primo è il fatto che lui l’abbia firmata: lui è uno che nella vita ha fatto tutto quello che poteva fare e il fatto che abbia preso a cuore di insegnare a noi e di trametterci tante cose che sa è una cosa che mi ha sempre stupito. Mi dà una mano in tutto, anche con la scuola e l’università. Il secondo motivo è legato al grande percorso fatto con la mia cavalla, comprata quando aveva 5 anni e ora ne ha 8. All’inizio tutti dicevano che non valeva niente, che era troppo per me, che non ero capace di montarla e che più di 115 non avrebbe saltato. Anche dopo essermi rotta una vertebra molti mi sconsigliavano di montarla; il mio istruttore ha insistito perché continuassi a farlo e sono arrivata ad un risultato che neppure mi aspettavo. Nel video che ho portato si vede il salto di un ostacolo di 130 cm, fatto quest’estate (l’istruttore mi dice di non saltare più di 115 perché non si fida, poi quando ce la faccio mi dice che la cavalla è troppo brava e che non me la merito… In realtà lui sa che ho superato tanti miei limiti perché dopo l’infortunio avevo paura). Per me è stata una grande rivincita aver fatto ciò con questa cavalla!”.

Ecco la gemma di T. (classe quinta). Non sono uno di quelli che pensano che possiamo fare qualsiasi cosa, e che siano sufficienti determinazione e volontà. Credo che siamo fatti sia per superare i limiti, sia “semplicemente” per sfidarli, e magari essere respinti e comprendere quindi per bene quali siano. Fermarsi troppo presto, prima ancora di provare a superarli, penso che comporti un rischio sintetizzato in una frase de Il barone rampante di Italo Calvino: “Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori!”.

Gemma n° 1779

“Negli anni scorsi le mie gemme sono state molto più riduttive e molto più personali. Vi ho raccontato la storia dell’“Uccello Grifò” che mia nonna mi raccontava prima di andare a letto, vi ho raccontato della notte più bella della mia vita, della collana a forma di tartaruga con l’anello legato al laccio. Erano cose personali che riguardavano me: ci avevo lavorato per massimo una settimana. Quest’anno, invece, sto pensando alla mia ultima gemma ormai da mesi: volevo renderla più speciale, meno improvvisata, più comprensibile a tutti e soprattutto una gemma che non avrebbe ispirato solo me, ma anche magari altre persone. In questa foto (mostrata in classe) ci sono tante storie di cui vale la pena parlare, ci sono tante altre storie invece che riguardano l’altra parte della mia famiglia che non è ritratta qui ma volevo soffermarmi sulla storia di Laura, una ragazza che, pur non avendo nessun legame di sangue con noi, ha sempre fatto parte della nostra famiglia.
Laura nacque a … nel …. Condivise i suoi primi anni di vita con sua madre e suo padre e poco tempo dopo anche con Sandra, sua sorella. Purtroppo le sorelle rimasero orfane di madre quando erano ancora piccole e il padre rimase profondamente traumatizzato dalla perdita di sua moglie talmente tanto che i suoi parenti decisero di prendere in custodia Sandra e lasciare Laura alla famiglia della madre.
Caso vuole che Laura andò a vivere da sua nonna, sullo stesso pianerottolo di mia nonna in via ….
Una piccola Laura andava a scuola, giocava nel cortile con mio zio, si divertiva e cresceva. Mia nonna andava a casa sua ad aiutare lei e sua nonna anziana e in compenso Laura, quando sua nonna dormiva, andava a casa di mia nonna a fare i suoi soliti pasticci. Una cosa che ricordano tutti bene di quei momenti è la voce alta e potente di quella ragazzina e le sue risate contagiose.
Laura era innamorata dei miei genitori, ancora adolescenti quando lei era bambina. Li guardava come se fossero gli innamorati delle fiabe. Poi mia madre rimase incinta, i miei si sposarono e dopo qualche mese nacqui io, uno dei giocattoli preferiti di Laura. L’innamoramento di una bambina divenne presto ammirazione.
Laura mi aveva dato un soprannome e penso che mi abbia chiamato pochissime volte con il mio nome vero. Mi ricordo le domeniche mattina passate alle riunioni condominiali a casa di sua nonna, i pomeriggi in cui disturbavo i suoi studi e quando arrivavano a casa sua i suoi parenti da….
Però poco dopo la nonna iniziò a non camminare più e Laura era l’unica persona che se ne poteva prendere cura. In realtà c’erano anche i suoi zii che potevano badare a lei, ma per un motivo o per un altro decisero di lasciare Laura e sua nonna da sole. Così la sua adolescenza la passò insieme alla nonna spingendola di qua e di là per la casa sulla sedia a rotelle, mentre nel frattempo si occupava delle faccende di casa, della spesa, del cucinare, dell’igiene della nonna, dello studiare, del vedere gli amici quando capitava e lavorare appena poteva. Diventò presto un’adulta a tutti gli effetti.
La storia di Laura, per ora, sembra una storia di difficoltà passate con leggerezza, la storia di un’adolescente cresciuta più velocemente in maniera diversa dalle sue coetanee. Ma dobbiamo ricordare che quando sua sorella Sandra aveva bisogno di andare dal dentista, questa era accompagnata e seguita, Laura invece non ci è mai stata portata. Quando Sandra aveva problemi agli occhi, subito le venivano comprati gli occhiali, Laura ha dovuto prima guadagnarsi i soldi per poi andare a prenderli. Diciamo che il confronto le pesava un po’ ma non lo dava a vedere, si accontentava e cercava di impegnarsi al massimo per essere una persona migliore, per lei stessa e per chi le era attorno.
Un giorno Laura si accorge che le persone che l’hanno cresciuta e che dicevano di volerle bene (come i parenti di … e altri zii) le nascondevano cose. Una di questi addirittura rubava la pensione alla nonna e le portava via anche gli ultimi ricordi fisici della madre di Laura. Non so perché la odiasse così tanto: litigavano, urlavano e Laura veniva a casa di mia nonna piangendo. Cercava aiuto dai miei nonni, dai miei zii, e infine dai miei genitori.
Un litigio in particolare cambiò radicalmente la vita di Laura. Era il … e ricevette un’aggressione da parte della parente che la odiava e suo figlio. Ricordo mio padre e mio zio che andarono a soccorrerla e la portarono in pronto soccorso. Sporsero denuncia. Anche la sua parente sporse denuncia: maltrattamento e aggressione verso la nonna erano i capi di accusa. Laura cercò di capire se la nonna avesse acconsentito a questa denuncia e scoprì che anche la persona con cui aveva condiviso la sua vita le aveva voltato le spalle. Ricevette anche un ordine restrittivo nel quale non poteva più avvicinarsi alla nonna. Praticamente non poteva nemmeno andare a trovare i miei nonni. Laura rimase sola.
La sera dell’aggressione venne a dormire a casa nostra. Pensavo che sarebbe capitato un’altra volta o due, mai mi sarei aspettata che avremmo comprato un armadio e un letto solo per lei. Laura era diventata a tutti gli effetti la sorella minore dei miei genitori e una sorella maggiore per me e mio fratello.
Per i primi tempi la situazione per lei è stata difficile, piangeva e si sentiva abbandonata, ma dopo qualche tempo il sorriso le tornò di nuovo in volto. Mi ricordo quando una mattina stava parlando con mia mamma sul divano, erano una accanto all’altra. A un certo punto mia madre si alzò e fece il giro del divano per andare a prendere una cosa nell’altra stanza: solo dopo un’oretta di chiacchierata si era accorta che il trucco dell’occhio che non riusciva a vedere dal suo posto sul divano era tutto completamente sbavato. Mi ricordo quando io e lei andammo a yoga insieme, o la cameretta e il bagno messi sotto sopra poco prima che lei uscisse di casa. Mi ricordo anche quando aiutò mia madre a mettere la spesa a posto e, nel tentativo di salvare un uovo che si stava per spiaccicare sul pavimento, gli diede un calcio. Inutile descrivere il pasticcio che aveva combinato sui mobili e le strisce di tuorlo finite sulla lavatrice.
Laura era davvero al centro delle nostre giornate ed era davvero il sole in casa nostra.
Nel … il locale in cui lavorava da anni chiuse, lei non sapeva più cosa fare e dove andare, di nuovo si sentì abbandonata, ma vide una luce: fece i bagagli e partì per la …, senza sapere niente della lingua, cultura o di come avrebbe vissuto una volta arrivata lì. Poi tornò in Italia e dopo qualche tempo partì per …. Quante lacrime versammo insieme…
Ora Laura è libera dal suo passato, è libera da ogni cosa che le era stata imposta e dalle persone che era costretta a frequentare. È una donna adulta e sono molto felice di considerarla come una sorella. Ci vediamo praticamente solo d’estate quando entrambe andiamo a trovare i miei nonni e passiamo tanto tempo a parlarci: lei mi ha sempre aiutata quando io avevo problemi e io ho sempre cercato di farle capire quanto questo fosse importante per me. Ora non mi dà più fastidio il mio soprannome, anzi, mi preoccupo se lei mi chiama per nome. So che detto da me può sembrare poco, ma sono davvero orgogliosa di tutto ciò che lei è riuscita ad ottenere dal nulla da cui era partita. Il suo obiettivo di ora? Farsi un intervento ai denti per riparare al danno della negligenza dei suoi famigliari di quando era ancora piccola.
Laura a volte mi manca, soprattutto quando mi vengono in mente i suoi abbracci e le sue grida di gioia quando ci vede. Mi viene ancora da piangere quando ripenso a quando ci siamo salutate questa estate prima che io partissi: ho dovuto farle forza perché singhiozzava a non finire anche se avrei voluto singhiozzare pure io, ma forse più forte. Io la vedo come un esempio da ammirare e seguire: una ragazza che dal niente, con l’aiuto di poche persone, si è costruita il suo sentiero ed è diventata la splendida donna che è in questo momento.
Ti voglio bene Laura, ci vediamo presto.❤”

Questa la gemma di G. (classe quinta). Ho utilizzato nomi di fantasia e fatto piccolissime modifiche al testo per non rendere riconoscibili persone e luoghi. La gemma è già molto lunga e ricca di suo. Mi sento di aggiungere un’unica piccola frase di Charles Peguy: “È sperare la cosa più difficile. La cosa più facile è disperare, ed è la grande tentazione”.

Gemma n° 1774

“Ho deciso di portare il brano “7 Years” di Lukas Graham perché è inconsapevolmente stato un mio punto di riferimento nelle fasi più difficili della mia crescita e tutt’ora, dopo una quantità indefinibile di ascolti, riesce a trasmettermi le stesse emozioni che mi trasmetteva anni fa.
Fa parte di quella categoria di brani che mi portano ad essere grata per quello che ho e per quello che ho vissuto se ascoltati in un momento felice, e che, contrariamente, mi trasportano in un mondo di malinconia ed incertezza sul futuro se li ascolto in un momento più grigio e nostalgico. Ebbene, la maggior parte delle volte in cui ascolto questo genere mi trovo nel momento triste, ma questa canzone mi conosce da quando ero alle elementari, e allora mi ricordo di chi ero, di come sono cambiata, di come tutto passa, e tra questi ricordi prendo coraggio per quello che sarà”.

La canzone è la gemma di C. (classe terza) e lei l’ha accompagnata con delle parole molto significative che legano il passato al presente per affrontare con coraggio il futuro. Nel 1938 scriveva Omraam Mikhaël Aïvanhov: “Se sapeste come vivere nel presente valorizzando le esperienze del passato e gli splendori dell’avvenire, vi avvicinereste al Divino” (Discorsi, 86).

Intimidazioni

Meno di tre settimane fa inviavo alle mie classi più grandi (quarte e quinte) l’intervista del giornalista friulano Giovanni Taormina all’ex-reggente ‘ndranghetista Luigi Bonaventura. Questa mattina, all’ingresso della sede Rai di Udine, gli è stata recapitata una busta con due proiettili all’interno. Se ci fosse bisogno di un ulteriore segnale che la mafia è presente anche qui…

https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2019/04/fvg-taormina-proiettili-rai-udine-f0a07600-47ce-4ac1-a939-2109af1f609f.html

L’eredità di Annalisa

Sono passati esattamente quindici anni da quando, in una sparatoria tra clan a Forcella, veniva uccisa per errore una ragazzina di 14 anni, Annalisa Durante. Il suo nome è stato dato ad una biblioteca in uno dei rioni di Napoli. Ne scrive su L’Espresso Anna Dichiarante.

“Quindici anni fa, a Forcella, certe cose erano impensabili. Un pianoforte lasciato a disposizione dei passanti, la biblioteca, il murales di Jorit con il ritratto di un san Gennaro che santo non è, perché quel volto è di un giovane operaio e non del patrono della città. La sintesi di Napoli: mistica, viscerale, popolare. Quindici anni fa, in questo rione nel centro storico del capoluogo campano, i proiettili della camorra uccidevano Annalisa Durante.

Era la sera del 27 marzo 2004, quando, in via Vicaria vecchia, Annalisa, 14 anni, si ritrovò in mezzo a una sparatoria tra i clan rivali dei Giuliano e dei Mazzarella. Era scesa sotto casa per chiacchierare con le amiche e fu colpita per errore. Anche se coprirsi la fuga sparando per strada, tra la gente, non può essere considerato un errore. Annalisa divenne “scudo” di Salvatore Giuliano, rampollo della dinastia criminale che a Forcella ha dominato a lungo: il boss, all’epoca diciannovenne, impugnò le armi per difendersi da un agguato tesogli dal gruppo di fuoco di Vincenzo Mazzarella e centrò lei. La ragazza morì in ospedale nei giorni successivi.
Per l’omicidio, Giuliano è stato condannato in via definitiva a 20 anni di reclusione. Vittima e assassino si conoscevano, perché in quell’intrico di vicoli tutti si conoscono. E lì, per rabbia e per amore, la famiglia di Annalisa è rimasta. Nonostante le minacce ricevute per aver esortato gli abitanti del rione a testimoniare contro i boss, suo padre Giovanni ha iniziato a darsi da fare per rendere Forcella un posto migliore. Una sfida per resistere al dolore, per dare un senso alla propria esistenza e per realizzare il desiderio della figlia di vedere un giorno Forcella «bella come gli altri quartieri».
«Questi anni sono stati una battaglia. Allora, più della metà del quartiere stava con i camorristi, ma adesso il settanta per cento sta dalla mia parte. Chi avrebbe mai pensato che grazie ad Annalisa si sarebbe riusciti a fare tanto?», dice Giovanni, indicando intorno a sé gli scaffali con i libri della biblioteca che porta il nome di sua figlia.
Nell’angolo c’è uno scatolone con gli ultimi cento donati da una scuola di Brescia. Sono molte, infatti, le classi che vengono in visita. Fuori qualcuno suona il pianoforte regalato da una storica azienda napoletana: serve per i concerti e i laboratori musicali, poi viene lasciato sotto il portico e chi passa può usarlo. Vicino al piano, c’è una casetta di legno con i libri che possono essere presi liberamente. Ovunque ci sono foto con luoghi e personaggi della tradizione napoletana. Poi, una parete con l’elenco, interminabile, delle vittime innocenti della criminalità organizzata in Campania. Giovanni trova sempre qualcosa da fare, qualcuno con cui parlare; i suoi occhi inseguono continuamente nuove idee. Al suo fianco c’è Pino Perna, presidente dell’associazione fondata nel 2005 in memoria di Annalisa. Pino cerca di attuare tutti i progetti del signor Durante, perché «dirgli di no è impossibile».

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Questa biblioteca, aperta nel 2015 e ospitata in uno spazio comunale a pochi passi dal punto in cui la quattordicenne fu uccisa, è il loro orgoglio. Ci sono quasi seimila volumi di vario genere, catalogati e inseriti nel circuito del sistema bibliotecario nazionale. «Ogni libro ci è stato regalato. Hanno cominciato ad arrivarcene da tutta Italia dopo l’omicidio di Annalisa. E qui la ricordiamo nel giorno del quindicesimo anniversario dalla sua morte», spiega Perna. Giovanni racconta che a dargli l’idea della biblioteca fu un napoletano emigrato in Australia: «Lo incontrai per caso, mi lasciò un libro e mi spronò a intraprendere quest’impresa».
In realtà, il signor Durante aveva da sempre chiaro che la rinascita di Forcella, e delle altre aree soffocate dal controllo criminale, sarebbe dovuta passare dalla cultura. È quella, dice lui, che «salva le anime». Così, dopo la morte della figlia, iniziò a pungolare le istituzioni perché dessero un segnale, cominciando da uno dei posti più brutti del rione: un ex cinema di proprietà privata, ormai abbandonato e ridotto a discarica, proprio in via Vicaria vecchia. La Regione acquistò il palazzo, lo riqualificò e lo assegnò al Comune.
Piano piano, grazie al lavoro dell’associazione “Annalisa Durante” e di altre realtà locali del terzo settore, sono partite le attività culturali e ricreative per bambini e ragazzi. Poi i libri, le mille iniziative per incentivare la lettura, il giornalino scritto dai giovani del quartiere, lo studio per scoprire le origini storiche di Napoli condotto insieme a un liceo del Torinese, l’allestimento di mostre e spettacoli teatrali. Nel 2006, all’interno della scuola comunale che si trova vicino alla biblioteca e che è stata a sua volta intitolata ad Annalisa, l’associazione ha aperto una ludoteca. «Nel 2011, però, abbiamo dovuto chiuderla – dice Pino – senza finanziamenti pubblici, non potevamo più pagare gli operatori». Grazie a una raccolta solidale di fondi e ai volontari del servizio civile, nel 2016 c’è stata la riapertura. A fare da custode alla sala con i giochi, tutti regalati, è il nonno materno di Annalisa.
«All’inizio, alle nostre attività non veniva nessuno – continua Pino – la gente non si fidava o temeva di inimicarsi il clan frequentandole. Abbiamo dovuto dimostrare di essere credibili, di offrire servizi alla comunità. Perciò abbiamo puntato sui bimbi. Le mamme li lasciavano qui senza entrare, imparando che su di noi potevano contare».
Una fiducia guadagnata a fatica, cercando di attirare le persone, una a una, in un quartiere martoriato dal degrado sociale ed economico. «Adesso del centro di Napoli si parla per le scorribande delle “baby paranze”. Sono proprio questi giovani “malamente” che vado a cercare, sono loro che hanno bisogno di essere strappati alla camorra e alla miseria. La mia sfida è portarli qui. Il coraggio per entrare, qualcuno lo sta trovando», s’infervora Giovanni, mischiando italiano e dialetto. Poi guarda Pino per un cenno di conferma: sì, ora a Forcella il coraggio per denunciare le intimidazioni e le estorsioni dei clan qualcuno inizia ad averlo. Il prossimo passo è portare le iniziative all’esterno, in mezzo alla gente. Come con la sfilata di carnevale del Comune, con la ciclo-officina gratuita, con il book crossing. E la partecipazione cresce. Agli incontri in biblioteca, Giovanni sistema le sedie in cerchio, ma lascia sempre un punto vuoto per poter aggiungere una sedia. «Il problema è che le istituzioni, invece di aiutarci, si dimenticano di noi, ci stritolano con la burocrazia – lamenta – l’ho detto pure al premier Giuseppe Conte, quand’è venuto qui. E gli ho chiesto perché Forcella non può essere ogni giorno come l’hanno fatta trovare a lui, pulita, senza cataste di motorini sui marciapiedi, senza bancarelle abusive dappertutto».
L’obiettivo è sfruttare ogni moto delle coscienze e anche il boom turistico che Napoli sta vivendo. «Ci sono problemi eterni in questo rione – dice Perna – il contrabbando di sigarette come negli anni Settanta, gli edifici puntellati dal terremoto del 1980… Servono politiche integrate e continuative di sviluppo, non spot o interventi una tantum. Serve sinergia tra le organizzazioni di volontariato del territorio, soprattutto adesso che nuove idee stanno prendendo forma. E occorre portare i turisti anche qui. Finora si sono fermati a via Duomo, la strada che conduce alla cattedrale di Napoli e che segna il limite tra il centro storico, pieno di attrazioni famose nel mondo, e questo quartiere disgraziato, su cui sono fioriti pregiudizi». Per questo, Perna collabora anche con Legambiente e Slow Food: «Abbiamo poi creato “Zona Ntl – Napoli turismo e legalità”, una mappa dei siti di interesse storico-archeologico di Forcella collegata a un’app per raggiungere ovunque i potenziali turisti. Il rione è pieno di tesori, ma alcuni sono inaccessibili e trascurati, vanno recuperati. Sulla nostra cartina, inoltre, sono indicati bar e ristoranti dove trovare le eccellenze locali. Bisogna sostenere gli sforzi di chi vuole trasformare Forcella in un polo turistico di qualità».
Giovanni, intanto, pensa già ai progetti futuri. Vuole aprire una piccola sezione della biblioteca all’interno del carcere di Poggioreale. «Ci vorrebbe una stanza, magari un po’ colorata, dove i detenuti possano trovare libri selezionati per loro, letture che possano farli riflettere e indurli a cambiare», spiega. Ma il sogno del signor Durante è di incontrare papa Francesco. Pino si sta facendo in quattro per riuscire ad accontentarlo. «Sai cosa vorrei chiedergli? – dice Giovanni, stringendo il braccio dell’amico – di lanciare un appello per aiutarmi a trovare le cinque persone che hanno ricevuto gli organi di mia figlia».
Quando Annalisa morì, infatti, i suoi genitori autorizzarono la donazione, ma la legge non consente di conoscere l’identità dei destinatari del trapianto. «Il mio ultimo desiderio – conclude Giovanni – è poterli abbracciare. Nient’altro. Ma mi basterebbe anche solo un biglietto anonimo, per sapere se stanno bene. Per sapere che sono vivi e che Annalisa lo è insieme a loro».

Noi siamo molti di più

L’auto di Chiara Natoli, attivista di Libera (fonte)

Avevo letto la notizia di sfuggita sui social e mi ero ripromesso di approfondirla e riprenderla. Pubblico allora l’articolo che Paolo Borrometi ha pubblicato sul suo blog e rimando a Palermo Today per altre notizie e commenti.

“Giovedì, il giorno della memoria organizzato da Libera, Palermo si è svegliata con il volto di Chiara Natoli, attivista dell’associazione di don Ciotti, che su Rai 3 diceva: “Ricordare le vittime della mafia vuol dire impegnarsi concretamente per i diritti e la giustizia sociale”. Due giorni dopo, in piena notte, ignoti hanno bruciato l’auto della Natoli, parcheggiata sotto casa. Lo riporta il quotidiano La Repubblica, che sottolinea come chi ha distrutto la macchina della donna ha agito, quasi come una sfida, a pochi passi dalla caserma della Guardia di finanza che si trova nel popolare quartiere del Borgo Vecchio, di fronte al porto. “Una sfida per tutti noi commenta don Luigi Ciotti ma noi siamo molti di più. Giovedì, c’erano quasi ventimila studenti nel centro di Palermo, mentre venivano letti i nomi delle 1.011 vittime della mafia”. “Lei lavora ogni giorno nei quartieri più difficili della città racconta don Luigi si dà un gran da fare in maniera concreta”. Chiara Natoli, 31 anni, racconta: “Una cosa che colpisce, ma Palermo è cambiata vedo una grande voglia di partecipazione. E ce lo siamo ripetuti il giorno del ricordo, non si può delegare l’impegno contro la mafia a magistratura e forze dell’ordine”. Ora, la polizia cerca due giovani per il raid contro la referente di Libera: in un video, estratto da una telecamera della zona, si vedono di spalle mentre vanno a colpo sicuro.
“E’ stata lanciata sfida a tutti noi ma noi siamo molti di più. Il 21 marzo a Palermo, per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, eravamo 20.000: una primavera di rinascita e impegno che ci ha unito in modo ancor più forte al resto d’Italia, nel nostro percorso quotidiano di contrasto alle mafie, insieme a tanti, nel nostro Paese”. Lo dichiara il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, in merito all’intimidazione a danno dell’attivista Chiara Natoli, che si è vista dare alle fiamme l’auto nella notte tra venerdì e sabato. “In attesa di indagini e verifiche per comprendere l’accaduto – sottolinea don Ciotti – se dovesse essere confermato che è un atto contro di noi, ribadiamo la nostra volontà di non arretrare e proseguire il percorso di impegno e cambiamento intrapreso”. Mentre la stessa Chiara Natoli ringrazia tutti “per la vicinanza e il sostegno. Le indagini sono in corso – prosegue – e nutro massima fiducia nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura che si stanno adoperando per individuare i responsabili. In particolare ringrazio la Prefetta che sin dalle prime ore mi ha espresso personalmente la vicinanza dello Stato. In attesa delle verifiche ribadisco che quelle fiamme non erano rivolte solo a me, ma colpiscono tutta Libera e i tantissimi che il 21 marzo sono stati con noi in piazza. Un Noi che a Palermo e in Sicilia sta facendo rifiorire una nuova primavera. Una primavera che nessuna incendio, nessuna intimidazione può fermare”.
“La Fondazione Caponnetto esprime la propria totale solidarietà e vicinanza a Chiara Natoli di Libera per il vile attentato incendiario subito. Uniti contro la mafia sempre e comunque ed oggi ancor di più”. Lo dichiarano il Presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri e la responsabile siciliana, Giusi Badalamenti, in merito all’intimidazione a danno dell’attivista Chiara Natoli, che si è vista dare alle fiamme l’auto nella notte tra venerdì e sabato.”