“Come gemma ho deciso di portare “una parte di me”, la musica. Per questa gemma ho deciso di “rubare” l’idea di Marracash utilizzata in Persona e quindi di dividere me stesso, le mie abitudini e i miei sentimenti associandoli a degli album o canzoni specifici.
Testa/Ragione: la testa, questa è la mia parte più razionale dunque come album ho deciso di portarne 3 che rimandino a questa cosa. Il primo è Carattere speciale di Thasup, ormai mio cantante preferito (italiano) da 6 anni. In questo album si può notare un cambiamento e una maturazione da parte sua sia nella voce e nelle basi sia nei testi i quali mi sono sempre piaciuti e mi aiutano a ragionare e a risolvere problemi con me stesso da parecchio tempo. Il secondo album che ho deciso di portare è Fighting Demons di Juice WRLD, il suo secondo album postumo. Se il primo di questi due era incentrato sulla celebrazione e il ricordo, questo non ha uno scopo ben preciso ma è sicuramente più profondo in quanto tocca argomenti come l’abuso di sostanze e le sue cause, il pentimento e principalmente la salute mentale, che ultimamente, nel mio caso, non è in gran forma. Io devo tutto a lui, il primo tatuaggio è dedicato a lui, i poster in camera sono quasi tutti suoi, insomma la mia vita gira quasi tutta intorno a lui e a ciò che credeva, 999! (cercate il numero angelico se volete il significato). L’ultimo album che ho deciso di portare per questa parte di me è Fuck Love: over you, già dal titolo si può capire parecchio. Dare precedenza alla ragione e allontanare quasi il cuore per superare una rottura, cosa c’è di meglio che ascoltarsi un disco triste dopo che ci si è lasciati? Penso molte cose ma io la affronto così.
Petto/Cuore: il petto, cuore, amore, farfalle nello stomaco. Se quando sto male il cuore lo lascio da parte, quando mi prendo bene per una persona o qualcosa divento cieco e i prossimi album lo rappresentano parecchio. Il primo è sempre di Juice WRLD, Death Race For Love: in quest’album Juice dà il meglio di sé riguardo ai sentimenti, la cosa incredibile è che non ha mai scritto nulla, ogni album è un insieme di freestyle registrati a raffica come una mitragliatrice. Il secondo album è letteralmente un pezzo del mio cuore, 23 6451 (le basi) di Thasup, primo album di Davide, mi ricordo ancora le emozioni del primo ascolto, incredibili. Pensare che alla mia età lui faceva uscire quest’album e io sono qui a piangerci sopra fa ridere. Anche in quest’album possiamo trovare parecchi riferimenti ai sentimenti e al fatto di isolarsi quando si sta male. L’ultimo album riguardante il cuore è Oceano Paradiso di Chiello, artista che ho scoperto relativamente da poco grazie ad un mio amico del piano di sopra. Che dire, è struggente, la sua musica mi entra dalle orecchie ed esplode nel cuore, trasmette veramente tanto ed è solamente al primo album, non vedo l’ora di ascoltarne di nuovi (in aggiunta vorrei mettere due canzoni, Ribbon in the sky di Stevie Wonder e Where does your spirit go di Laroi. Una era la canzone preferita di mio zio e la ascolto se devo sfogarmi e piangere per ricordarlo, l’altra è in memoria di Juice e tendo a non ascoltarla per evitare di piangere).
Braccia/Movimento: le braccia. Ho associato i prossimi album al movimento in quanto si distaccano completamente dai precedenti (a parte Blanco che ho messo a caso) e sono più felici e caotici quindi meno tristi. Il primo stranamente è di Juice, Goodbye & Good Riddance, album di debutto che contiene Lucid dreams, la sua canzone più famosa mezza plagiata a Sting. In questo album trovo delle sonorità che mi fanno muovere tutto, cantare, ballare e chi più ne ha più ne metta. Il secondo è appunto Blu Celeste di Blanco e l’ho messo perché più che ballarlo mi piace cantarlo sotto la doccia con quel suo timbro strano (un po’ copiato da Thasup) e basta, bravo Blanco. L’ultimo album è di Machete, Bloody Vinyl 3 che a parer mio è una bomba. È colmo di artisti che si incastrano alla perfezione e varia di generi e sonorità, l’ho riscoperto da poco, l’avevo comprato autografato da thasup, young miles, low kidd e slait (i principali compositori di quest’album) e quindi è stato piacevole riscoprirlo per scuoterci la testa a tempo come quando è uscito.
Gambe/Routine: le gambe le ho associate alla routine che compio ogni giorno, quindi sveglia alle 5, caffè, sigaretta in fermata e camminata dalla stazione delle corriere fino a scuola. Questi album vanno a tempo con le mie gambe difatti la prima cosa che faccio è mettere spotify una volta alzato dal letto. Il primo è una raccolta dei Bee Gees, gruppo anni 70/80 dei quali mi ha fortunatamente trasmesso la passione mio padre con i suoi vinili. il ritmo di quegli anni mi fa camminare come se fossi nella febbre del sabato sera, unico. Il secondo si allontana completamente dai bee gees infatti è la raccolta dei Nocturnes di Chopin, il mio compositore classico preferito, un genio, un pazzo, con la sua musica mi fa volare e la stanchezza alle gambe nemmeno la sento. L’ultimo non è un album ma sono i miei 830 brani preferiti su spotify che quando ho voglia metto in ordine casuale per farmi il tragitto stazione-scuola.
Conclusioni: questa era dunque una parte di me ma è solo la punta dell’iceberg. Devo tanto alla musica, se non fosse stato per lei in certi momenti probabilmente non sarei qui. Devo anche tanto a Juice che grazie alla sua musica non mi fa sentire troppo inutile e grazie a lui riesco a dare peso ai miei momenti no e a capirli. I miei brani preferiti di ogni album: fighting demons – DOOM carattere speciale – mi ami o è fake Fuck love – about you Death Race For Love – make believe 23 6451 – bubb1e 9um Oceano Paradiso – pietra di luna bee gees – more than a woman Chopin – nocturne n.20 Grazie” (G. classe quarta)
“Ho deciso di portare questa canzone perché è molto importante per me. Mi ricorda infatti il periodo di aprile-maggio 2016, quando mia nonna è venuta a mancare. Mia madre metteva sempre questa canzone, che rappresenta ora un periodo brutto della mia vita. Ero molto legata a mia nonna e perderla quando ero ancora piccola è stato motivo di grande tristezza. Nonostante questo la canzone mi ricorda anche il forte legame che avevo con lei e quindi, tristezza a parte, ogni volta che l’ascolto mi tornano in mente bei momenti” (M. classe seconda).
“1° Settembre, 2022 h. 22.30 Quando manca una persona a noi cara cerchiamo immediatamente di raccogliere ogni cosa possa rammentarcela. Una frase, un oggetto, un ricordo qualunque, come se avessimo paura che con la morte fisica, quella persona non esistesse più, si cancellasse dalla nostra mente. La verità è che, nonostante i ricordi sbiadiscano, l’essenza dell’anima è immortale. Quella persona vive in noi, è nei nostri modi di dire, nelle nostre azioni quotidiane, è legata a noi per sempre in una maniera che non potremo percepire finché non la riabbracceremo. Le anime si ritrovano sempre.” (B. classe quinta).
“Ho portato la foto della mia nonna materna: si chiama H. Lei per me è la persona più importante; da piccolo preferivo stare a casa sua, non a che casa mia ci fossero litigi, ma lei mi ha insegnato l’educazione, il rispetto e, visto che è parecchio brava a cucinare, anche qualche tipico piatto albanese. Da poco mio nonno è morto, quindi cerco di starle più vicino possibile anche se lei abita in Albania. Questo Natale e per il mio compleanno è venuta qui in Italia, ci siamo divertiti e abbiamo riso tanto. Poi, quando se n’è dovuta andare, mi sono molto rattristito. Se la conosceste anche voi, pensereste la stessa cosa perché lei è così affettuosa e carina con tutti” (L. classe prima).
“Premessa: non sono una persona che ama fare vedere le proprie debolezze e i propri problemi. Anzi, cerco di evitarli per illudermi di stare bene. Allora voglio usare la mia gemma per liberarmi da pesi che porto dentro e che raramente riesco a buttare fuori e spero di potervi regalare un po’ di speranza con il mio discorso. Allora ho deciso di parlarvi di mio papà che è venuto a mancare 2 anni fa. Oggi vi volevo leggere la lettera di addio che ho scritto e letto al suo funerale. Nota: in accordo con C. la lettera resta tra i muri dell’aula. Ora ho scritto un pensiero per tutti quelli che hanno perso qualcuno, che sia un amico, un papà, una mamma, uno zio, un gatto, un cane, oppure che hanno rischiato di perdere qualcuno a cui volevano bene o ancora a chi ha perso se stesso. Non c’è vita senza morte. E non c’è morte senza vita. Sta a noi decidere se vivere senza vivere e attendere la morte o se vivere tutto ciò che capita di bello o brutto che sia, assaporando ogni secondo che abbiamo per poi poter dire “ho vissuto”. Un giorno tutt’a un tratto, purtroppo, ci viene tolta la possibilità di creare nuovi ricordi, nuove risate, nuove chiacchiere con le persone a cui teniamo e pensiamo di non poter fare a meno di quel qualcuno. È vero che parte di noi muore con la morte di una persona a noi cara ed è giusto sentirsi sperduti e pieni di dolore. Ma, oltre alla parte di noi che se ne va, ne abbiamo un’altra che resta. E sta a noi decidere se abbandonarci al dolore o cercare di salvarci aggrappandoci a quelle cose che nella vita valgono la pena di essere vissute. Quindi vi chiedo di vivere. È molto più facile a dirsi che a farsi, è vero. Ma il tempo corre, modifica le nostre vite, le prende e le spiaccica al muro come un foglio in piena bora triestina. Prendete voi in mano le vostre vite e piangete, disperatevi, urlate ma non dimenticatevi che il tempo che passate a torturare voi stessi è meno tempo per essere felici. Godetevi ogni istante, dalle feste con gli amici fino alle sere più noiose a cena con la famiglia, nulla è eterno tutto può distruggersi in un nanosecondo, ma voi dovete vedere il sole non solo dopo la tempesta ma anche prima. La vita è vostra e per quanto possa fare spesso schifo, ci sarà sempre quel qualcosa o quel qualcuno che vi farà dire “cavolo, meno male che sono qui e sto vivendo”. (C. classe quarta).
“I nonni sono una delle cose più preziose che esistano, un dono che purtroppo non tutti sono così fortunati da ricevere. Io sono stata la bambina più fortunata del mondo, non solo ho conosciuto i miei nonni, ma anche i bisnonni. Purtroppo però, non c’è cosa peggiore che vedere giorno dopo giorno questo dono stupendo sgretolarsi. Mi ricordo quando giocavo a carte con il bisnonno , tutti i pomeriggi. Lui entrava in casa e appoggiava il suo cappello sullo scalino, sempre lo stesso, mi guardava con i suoi occhi blu dolcissimi e mi chiedeva in friulano: “hai fatto la pipì nel letto stanotte?”. E io ridevo, ridevo tantissimo. Ridevo quando non mi faceva mai vincere ai giochi di carte, quando faceva delle sciocche battute e quando faceva le sue solite espressioni o boccacce sceme. Ma poi, tutto un tratto, i suoi occhi sono diventati assenti e io un ricordo vago nella sua mente, non ero più la sua nipotina che faceva la pipì nel letto e che rideva con lui, ero solo un ricordo sbiadito, un’immagine sfocata e poi più nulla. Così anche per nonna, che sta convivendo ora con l’Alzheimer e che ogni tanto mi chiede se sono la sua vicina di casa venuta dalla Francia e io le devo ricordare che sono io, sua nipote e che Daniele, il mio papà, è suo figlio e lei risponde che c’è sempre una prima volta per conoscerlo. Inizialmente mi faceva sorridere il fatto che mi chiedesse 50 volte se volessi l’insalata o quando perdeva le cose e le ritrovava solo mesi dopo tra grandi risate, ma ora è lei ad essersi persa. Anche il nonno sta girovagando tra gli ospedali, il Parkinson è una brutta bestia. Nonostante ciò ho ancora quasi tutti i miei nonni e continuo a ridere e sorridere insieme a loro e mi reputo fortunata anche solo ad averli conosciuti, ma vederli andare via o essere per loro solamente un’immagine indefinita, mi ferisce”. (S. classe quinta).
“Ciao piccola G., finalmente sei maggiorenne, non è proprio come te lo eri immaginato ma infondo non è così male. Da dove cominciare? Ci sarebbero tante cose da dirti. Non abito più a Roma, inaspettato vero? sì anche per me, so che ami tanto quella città ma non hai potuto farci nulla e ti sei dovuta trasferire a Udine, sempre meglio di tutte le precedenti proposte di papà. La Germania, la Svizzera, l’Austria, l’Ungheria, la Romania anche se per quest’ultima non vale. Ci andrò questa estate, non in vacanza come al solito, bizzarro anche questo? Ricordo come piangevi perché non volevi trasferirti lì ma crescendo hai capito di dover dare un’opportunità anche a quel luogo. In fondo hai pure una casetta carina, eh sì non dobbiamo più dormire sui divani dei vari parenti. Hai trovato lì anche persone con cui ti diverti e con cui hai vissuto tante avventure. Adesso hai anche un piccolo cane, beh oddio ha 4 anni e mezzo e pesa 7kg quindi tanto piccolo non è, si chiama Ivy e nonostante tutti dicessero che ti saresti stufata è diventata letteralmente tua figlia. In primavera facciamo lunghe scampagnate con la bici e lei ovviamente è nel cestino. So che non è un periodo felice per te ma purtroppo andrà peggio. Cadrai tante volte e ti sembreranno senza uscita ma, a volte da sola, a volte con l’aiuto di alcune persone che ti hanno voluto bene, sei riuscita a superarle. Finalmente ho fatto la richiesta per la cittadinanza, specialmente per te in modo che nessuno possa più dire che non sei italiana. Ho iniziato scuola guida, sta andando benino. Ho deciso di fare l’università, contro ogni pronostico e contro l’opinione di tutti, imparando anche dallo sbaglio nella scelta del liceo. Certe cose non sono mai cambiate, il tuo amore per la neve, il mare, le passeggiate nella natura, fare gite, escursioni, visitare luoghi, i lamponi raccolti dall’orto della nonna. Purtroppo non si è mai instaurato quel rapporto che avresti voluto con i nonni, un po’ con tutti i parenti data la lontananza. La cosa più bella dopo l’arrivo di Ivy è stata sicuramente l’incontro di una persona speciale, il nostro rapporto non è perfetto come tutti i rapporti, però ho finalmente trovato una persona uguale a me che mi capisce. Ti riscriverò tra qualche hanno per vedere come saranno cambiate le cose.” (G. classe quinta).
“Ho scelto questa frase perché nonostante possa sembrare banale, secondo me ha un grande significato e la cosa più importante è che ognuno la può interpretare come vuole, perché non è troppo esplicita. Ho sempre visto la frase “goditi il momento” come una frase sopravvalutata, detta e ridetta, un po’ come quando stai male e le persone intorno a te ti dicono di non preoccuparti, che tutto andrà bene, e nonostante noi tutti siamo i primi ad odiare il momento in cui ci viene detta questa frase, siamo i primi a ripeterla a nostra volta. Per quanto mi riguarda penso che spesso ho messo al primo posto le mie paure, le mie paranoie o anche l’imbarazzo e la vergogna e questo molte volte mi ha bloccata, impedendomi di esprimere i miei sentimenti. A volte passiamo più tempo a immaginarci il futuro o piangere il passato e il presente passa totalmente in secondo piano. Spesso siamo troppo preoccupati, pieni di pensieri o addirittura occupati ad evitare il dolore stesso, le cose che ci fanno più male, come il fatto di dover dire addio ad una persona. Avendolo vissuto un mese fa, ora più che mai mi rendo conto dell’importanza delle piccole cose, dei piccoli momenti e di quanto a volte le parole possano superare il valore dei fatti. Perché penso che quando arriva il momento di dire addio a qualcuno, sia più importante non avere più nulla da dire, nessun rimpianto, perché nel momento in cui è troppo tardi per esprimere i propri sentimenti è ancora più difficile andare avanti. Una cosa mi sono promessa: non pensare sempre al passato o al futuro ed essere più presente per me e per le persone a cui voglio bene.” (A. classe quinta).
“Quest’anno come gemma ho deciso di portare la gratitudine verso il mio cambiamento positivo. L’anno scorso stavo passando un brutto periodo della mia vita: mi sentivo sola, senza nessun obiettivo e senza quella motivazione che ero solita avere, ma cercavo di nasconderlo. Facendo un giro in libreria, trovai questa raccolta di poesie di Franco Arminio, Studi sull’amore. Lessi tutte le poesie in un giorno ed evidenziai quelle che in quel periodo mi sembravano stupende. Una di queste si chiama “Sono due giorni che soffro”:
Sono due giorni che soffro per paura. E ho sofferto per tutto il tempo che ho vissuto, e qui nel petto un vago allarme, un cuore che mi punta e io scappo dal mio sangue, mi faccio aria, mi nascondo in tutte le parole che dico, non c’è più nessun me a cui posso appigliarmi, c’è solo un cenno antico, un cenno d’infanzia fatto di neve e del petto di mia madre. Ti prego, tienimi in vita, stendimi al sole, prestami un respiro.
Recentemente ho riletto il libro, per curiosità, e mi sono accorta di come tutto sia cambiato nel giro di pochi mesi. Ora sono grata per come la mia vita sia e per i miei obiettivi che sono riuscita a portare a termine anche se con molta difficoltà. Ma soprattutto sono grata per chi ho vicino: ho amici che mi supportano sempre, una famiglia che mi accetta per come sono e una persona che mi ama nonostante i miei difetti. Come poesia di questo periodo ho scelto “Contro la morte esiste solo l’amore”:
Contro la morte esiste solo l’amore. Le donne lo sanno meglio degli uomini, meglio delle donne lo sa la luna, meglio della luna lo sa il vento. Lascia correre il tuo amore, dentro di te e dentro gli altri. Chi ama non esce mai di scena, siamo tutti qui, sangue della stessa vena.
“Come Gemma quest’anno, ho deciso di portare 4 brevi video presi dal film Collateral Beauty. Collateral Beauty, il film diretto da David Frankel, vede protagonista Howard Inlet (Will Smith), direttore di un azienda pubblicitaria, profondamente depresso a causa della perdita prematura di sua figlia. Whit (Edward Norton), Claire (Kate Winslet) e Simon (Michael Peña), suoi amici e collaboratori capiscono che il suo stato d’animo sta diventando un problema per l’azienda: dopo aver perso sua figlia, a Howard non importa perdere tutto il resto. Gli amici per questo, assumono un’investigatrice privata per capire cosa l’amico stia passando e cercare di aiutarlo. Quest’ultima, Sally scopre che l’uomo invia strane lettere indirizzate ad “Amore”, “Tempo” e “Morte”. Superato lo sconcerto, decidono di assumere attori che incarnano questi stati d’animo per organizzare incontri con Howard e rispondere agli interrogativi presenti nelle sue lettere.
Intanto Howard decide di frequentare un gruppo di sostegno e conosce Madeleine (Naomie Harris) che ha perso anche lei la figlia. Si susseguono gli incontri organizzati dai suoi colleghi, fin quando “Amore” riesce a far capire ad Howard che deve permettere all’amore di essere ancora presente nella sua esistenza, in quanto elemento fondamentale per continuare a vivere. I video che ho scelto sono rispettivamente il suo incontro con la Morte, con il Tempo e con l’Amore. Queste conversazioni sono ricche di elementi che fanno riflettere sulla vita e sul suo fine. Quando ho visto il film per la prima volta sono rimasta impressionata da questo espediente usato dal regista per analizzare profondamente gli stati d’animo del protagonista. Dopo che l’ho visto, ho riflettuto a lungo su questi tre temi che caratterizzano la nostra vita, che noi ce ne rendiamo conto o meno. La morte la colleghiamo al dolore ed alla sofferenza ma se scaviamo a fondo, ci insegna sempre qualcosa della vita e ci fa guardare dentro in maniera diversa. Il tempo ci insegue ma come anche noi inseguiamo lui. Spesso e volentieri siamo arrabbiati con lui ma in realtà non è colpa sua. Siamo noi autori della nostra vita e siamo noi gestori di come lo spendiamo e con chi. L’amore è ciò che ci scalda, ma è anche ciò che ci fa raggelare. L’amore è un contrasto, fa sorridere e fa piangere, ci aiuta a rialzarci ma ci fa anche cadere. Tuttavia, senza amore non vivremmo. Non è solo amore in termini di relazioni ma anche l’amore dei genitori, dei nonni e degli amici. L’amore che noi riserviamo per queste persone ci fa andare avanti. L’amore è una sicurezza che noi lo vogliamo ammettere o meno.” (G. classe quarta).
“Per la mia gemma ho deciso di portare una foto ed una canzone che scatenano in me emozioni opposte tra loro. La foto, infatti, l’ho scattata quest’estate in un momento in cui ero veramente felice: stavo facendo da capo animatore e capo squadra ad un centro estivo e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentivo veramente voluta bene. Adoravo far ridere i bambini, prenderli in braccio e farli giocare. Adoravo sentire loro vocine che mi dicevano “Maestra ti ho fatto un braccialetto!”, “Maestra guarda che bel fiore!”, “Maestra sai che oggi faccio 7 anni?” e poi vederli fare un 5 con le dita. Adoravo sentirmi utile ma soprattutto adoravo non sentirmi sola. Eppure, nonostante questi ricordi, questa è stata la peggiore estate della mia vita: sono successe varie cose e mi sono sentita abbandonata. Non per forza lo ero ma la mia testa mi convinceva che io non meritassi nulla di buono, che io non mi meritassi di essere ascoltata o che qualcuno potesse volermi davvero bene. Spesso è ancora così. Mi sono sentita sola anche se magari non lo ero. Molte persone se ne sono andate dalla mia vita, anche persone con cui avevo pensato mille idee che avremmo dovuto mettere in pratica proprio quest’estate. Per questo, oltre alla foto, ho scelto di portare la canzone All I Want dei Kodaline.
Per molti questa canzone parla di una storia d’amore finita ma per me parla di un qualsiasi tipo di rapporto che si è concluso per un qualsiasi motivo. A volte non riesco a fermare i pensieri e la mia mente inizia ad andare a 100km/h senza lasciarmi il tempo di respirare ed è esattamente in quei momenti che mi sento totalmente sola: non trovo infatti la forza o il coraggio di chiedere aiuto, non perché io pensi di essere invincibile ma perché non credo di meritare il tempo di nessuno. Questa canzone la dedico anche un po’ a me stessa perché un giorno vorrei poter rivedere il mio sorriso senza che nella mia mente compaia il pensiero “Mi merito davvero di star sorridendo? Mi merito davvero di essere felice?”. Tutto ciò che vorrei è riuscire a ritrovare me stessa e di conseguenza, a non sentirmi più così sola ma, guardando questa foto, ogni tanto mi ricordo che anche io ho qualcosa di buono dentro di me” (S. classe quarta).
“Ho scelto di portare una maschera presa a Venezia. Per me ha un significato molto profondo e segna la fine e l’inizio di una parte importante della mia vita. L’ho presa a Venezia, quando sono andato in gita con le elementari. Ogni volta che mi sento giù guardo questa maschera e subito mi viene da sorridere e riesco a pensare a quei bei momenti passati” (A. classe seconda).
“Ho pensato molto a cosa avrei potuto portare quest’anno come gemma. L’unica cosa di cui ero certo è che avrei portato un ricordo da condividere con la classe, ma ne sono successe di cose negli ultimi tempi e non voglio sprecare il tempo di tutti elencandole una alla volta. Quindi ho portato una canzone che ho scoperto circa 6 mesi fa e da allora non ho mai smesso di ascoltarla. Il testo parla della nostalgia e del voler riaggrappare i momenti felici della vita, anche se alla fine dobbiamo tornare al presente. Questo tema è decisamente azzeccato anche perché spesso e volentieri mi capita di passare le notti insonni a ricordare eventi della mia vita, sia belli che brutti” (T. classe quarta).
Riporto il caldo saluto che don Agostino Petriciello rivolge oggi, sulle pagine di Avvenire, a fatel Biagio Conte, scomparso a Palermo in questi giorni a causa di una malattia.
“Fratel Biagio è morto? No, questa è una menzogna. Fratel Biagio è vivo, più vivo che mai, adesso che è volato via da questo mondo. Lo incontrai, ci incontrammo. Insieme ci calammo nelle acque pure del Vangelo e della preghiera per tentare di dissetare l’arsura che ci portiamo dentro. Quel giorno, come sempre, avevo pregato: «Manda, Signore, un angelo sul mio cammino». E l’angelo, ancora una volta, arrivò. Aveva un volto pulito, incorniciato da una barba incolta che gli dava l’aspetto di un antico patriarca; un sorriso largo, sereno, leggero. E degli occhi stupendamente verdi. «Come sono belli gli angeli», pensai. E mi misi alla tua scuola. L’angelo non va ostacolato, ma ascoltato, seguito. Quante volte ero stato ad Assisi? Quante volte avevo desiderato di poter essere stato contemporaneo di Francesco? Quante volte avevo sostato e sognato davanti al suo saio, ormai quasi ridotto in polvere? Un giorno lo incontrai sul mio cammino, Francesco. Si chiamava Riccardo. Chiedeva la carità di un passaggio in auto. Incuriosito, mi fermai. Mi riportò alla fede. Poi, come un’aquila alla quale va stretto il nido, volò verso un Paese da cui tanti fratelli scappano. A servire un popolo che tanti potenti affliggono. A farsi povero per loro e con loro. Oggi lo vedo poco. La Tanzania è lontana. Rimane l’affetto, la riconoscenza, la collaborazione, la nostalgia. Il desiderio e il bisogno di essere scandalizzato ancora dalla radicalità dei coraggiosi. E arrivasti tu, Biagio. A ricordare a me, alla Chiesa, al mondo, che l’amore vero non conosce le mezze misure; che gli innamorati sanno osare, rischiare, mettersi in gioco, sfidare il destino. Sempre eccessivi, sempre presenti. Sei stato un ingordo, frate. Hai affollato quella schiera di uomini e donne che non si accontenta mai. Che guarda continuamente oltre l’orizzonte. Che non ha paura di niente, nemmeno del peccato. Che non si ferma nemmeno davanti all’evidenza. Milioni di persone muoiono di fame. Avresti voluto sfamarle tutte, ma non ti era possibile. Non ti sei arreso. Hai dato da mangiare ai poveri di Palermo. Confidando in Dio. Fidandoti della Provvidenza. Ai poveri di pane si aggiunsero i poveri di cuore, i poveri di spirito, i poveri di vita. Non ti sei scagliato con rabbia contro i rapinatori dei forni altrui, li hai cercati, li hai trovati, li hai aiutati a non perdere la speranza, la dignità, la fede. Sei stato, Biagio, un calcio negli stinchi per tanti tiepidi come me. Il Francesco di Assisi siciliano del nostro tempo. Com’è bella la nostra santa madre Chiesa, frate. Questa grande famiglia dove c’è posto per tutti, santi e peccatori e peccatori trasformati in santi. Così simili, così diversi, così normali, così strani, così originali. Sei volato via a pochi giorni di distanza da papa Benedetto. Le differenze tra te e lui, tra la tua vita e la sua, saltano agli occhi. Eppure quanto vi somigliate. Con strumenti diversi e diverse voci, insieme avete cantato la serenata a chi vi aveva rapito il cuore. Che state facendo, adesso? Quale inenarrabile Mistero stanno contemplando i vostri occhi? Biagio, Benedetto, fratelli di tutti, pregate per noi. Alla Sicilia, cui la mafia stupida e assassina, ha fatto tanto male, ha strappato tante vite, il Signore ha voluto regalare un uomo buono, semplice, spoglio, indifeso, ricco della sua sola povertà. Un uomo con le braccia larghe, lo sguardo lungo, il cuore senza confini. Non hai disprezzato niente dei doni che Dio ha dato agli uomini. Hai voluto condividerli con i poveri. In fondo – permettimi – sei stato lo scaltro del vangelo. Hai capito che la gioia non viene dal possesso e dal potere, ma dal servizio che si rende alle persone, soprattutto quelle che sanno gioire per le piccole cose. Quanto pane hai spezzato agli affamati? « Entra, benedetto dal Padre». A quanti ignudi hai offerto un mantello e un tetto perché non morissero di freddo e di vergogna? « Entra, benedetto dal Padre» Fratel Biagio, Pino Puglisi, Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Doni immensi della Sicilia del nostro tempo alla Chiesa e al mondo. Prega per noi, frate. Continua ad essere l’angelo che ognuno desidera incontrare. Grazie per averci ricordato che «alla sera della vita ciò che conta è avere amato». Ottienici il dono della perseveranza, perché, come te, non ci stanchiamo di fare sempre e solamente il bene.”
“Ho deciso di portare questo cappello di Spider-man. Nonostante possa sembrare una cosa molto infantile, per me ha un grande significato. Ad agosto dell’anno scorso sono riuscita ad andare in Bosnia dai parenti di mia mamma. Sono rimasta a casa di mio nonno e di mia zia, che vivono insieme. Era la prima volta che andavo giù dopo la pandemia ed ero molto felice. Un giorno mia mamma e mio nonno sono usciti a fare shopping al centro commerciale. Quando sono tornati a casa mio nonno mi ha dato questo cappello, sapendo che il personaggio mi piaceva. La cosa ovviamente mi ha fatto molto piacere. Questo cappello è diventato l’ultima cosa che mio nonno mi ha dato prima di morire, pochi mesi dopo. Ho deciso di portarlo perché è un modo non troppo triste per avere qualcosa che mi ricordi lui e che posso sempre avere con me” (V. classe seconda).
Considero Marracash un punto di riferimento per la generazione z (nonostante non faccia parte di tale generazione) e penso che con l’album pubblicato nel 2021 (Noi, loro, gli altri), si sia di gran lunga superato. Come spiegato dallo stesso Marracash, il titolo del disco «racconta il momento: siamo una società frammentata, divisa in squadre e fazioni, ognuna con la sua verità». Tra le canzoni di questo album c’è una piccola perla: Dubbi. È stata la canzone che sin dal primo ascolto mi ha colpita di più. Nel brano, il rapper realizza un’attenta analisi della propria vita a ridosso dei 40 anni, tra successi musicali e soddisfazioni personali, focalizzando la propria attenzione anche su alcune mancanze dal punto di vista affettivo. Il motivo principale per cui mi ha colpita così tanto, da diventare fondamentalmente la colonna sonora delle mie giornate estive, è quell’indescrivibile capacità di Marracash di raccontare una storia, una storia che emoziona e allo stesso tempo fa pensare” (G. classe terza).
“Ricordo quando tempo fa mia mamma mi ha chiesto: “Ma tu ogni tanto ci pensi alle nonne?”. Ci penso quasi ogni giorno. Penso alla loro storia, alla loro forza e all’amore che hanno saputo darmi. Entrambe se ne sono andate quando avevo all’incirca 10 anni a causa di una delle malattie peggiori conosciute, il cancro. Non lo si fa spesso, o almeno non lo faccio io, ma ci tenevo a ricordarle oggi e a condividere queste foto del loro bellissimo sorriso, perché voglio che vengano ricordate così com’erano sempre prima della malattia: sorridenti e gioiose. Gli ultimi ricordi che ho di loro sono un po’ offuscati, ma i loro aspetti erano sicuramente diversi da ciò che appare in queste foto. Le condizioni in cui ci hanno lasciato erano terribili da guardare per una bambina che al tempo non capiva cosa stesse succedendo e perché, ma che poteva intuire come sarebbe andata a finire. Erano magre, calve, deboli, con gli occhi privi di quella scintilla di felicità, ma sono sempre rimaste bellissime. Su questo non ci piove. Hanno saputo mostrarmi le loro debolezze e il loro amore per me nonostante il loro dolore, e vorrei tanto che loro sapessero della donna che sono diventata ora, in quanto è anche merito loro. Ancora oggi dopo tanti anni quando penso a loro mi tornano gli occhi lucidi. Purtroppo sono pochissime le foto che ho con loro, ma almeno mi aiutano a ricordarle. La cosa che più mi fa male è essere consapevole di star dimenticando il suono delle loro voci e il calore dei loro corpi. Ma ogni volta che le vedo, in foto o nei miei sogni, non posso che ricordare quanto fossero belle, come degli angeli (che poi secondo me angeli un po’ lo erano per davvero). Mi mancano come l’aria, ma so che ora non soffrono più e a me basta questo, ora stanno bene. Vorrei poter dire loro quanto amore provo nei loro confronti e quanto sono grata di averle avute al mio fianco, seppur per poco tempo” (F. classe quarta).
Scrivo oggi, quindi non è più una notizia. Da mesi non guardo la TV (l’antenna non funziona e l’interesse per ripararla è molto basso) e mi informo tramite podcast e versione web dei giornali. Il tempo è poco, quindi non ho letto molto. Sono rimasto colpito per i tanti titoli acchiappa clic, i clickbait, e le tante esternazioni scomposte e sguaiate. Allora ho deciso di raccogliere qui, in unico post, due articoli (non divulgativi) di Avvenire e il testo integrale dell’omelia di Papa Francesco alle esequie di ieri.
L’eloquenza delle mani di Pierangelo Sequeri Non è il fantasma di un grande teologo che rimane sospeso sul nostro capo, quasi per prendersi la rivincita su di noi, come ha sospirato qualche incauto commentatore (magari di alto bordo ecclesiastico, ma di piccola statura ecclesiale). È la bianca figura di un grande teologo donato al ministero petrino, quella che rimane. Un ministero che il teologo Joseph Ratzinger ha personalmente onorato in favore della Chiesa per tutto il tempo della consegna ricevuta dal Signore. E che ha personalmente restituito alla Chiesa, nel tempo in cui il Signore l’ha ispirato a riconsegnarlo per il bene della Chiesa. Misteriosa la consegna, non meno misterioso il congedo: lo Spirito di Dio sa quello che fa. Oseremo noi intrometterci, nella nostra sentenziosa estraneità, nel rapporto speciale fra il Signore e Pietro, che in ogni Papa si rinnova? Ora, «l’umile servitore della vigna del Signore» ha consegnato anche il suo spirito. E proprio di qui, giustamente, il papa Francesco, ha invitato ad aprire il cuore di tutti, nella meditazione evangelica e nella preghiera riconoscente. Come il Signore, la vita di quest’uomo di Dio fu «un continuo consegnarsi nelle mani del Padre». Non ci sono retroscena da evocare, più incisivi di questo. Non ci sono paragoni da eccitare, più pregnanti di questo. «Dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall’aver accolto un dono totalmente gratuito: “Tu mi appartieni… tu appartieni a loro”, sussurra il Signore». Questo è forse il passaggio più commovente – e commosso – dell’intensa omelia di Francesco nella Messa esequiale in piazza San Pietro. L’immagine-chiave è quella delle mani. Francesco cita l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Messa crismale del 2006, iscrivendo nell’immagine delle mani il suo speciale legame con il Signore: «Tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Rimani nel cavo delle mie mani e dammi le tue». L’eloquenza delle mani di Benedetto XVI è di dominio pubblico. Il suo modo di aprire e stringere le dita, con le braccia protese davanti a sé, così teneramente infantile, rimarrà nei nostri occhi. E chi l’ha conosciuto da vicino riconosce nella sua personale stretta di mano, che stringeva senza stringere, un delicato passaggio di benedizione e di rispetto, più che un saluto. La benedizione della mano era il tocco leggero della dedizione del cuore. « Fecondità invisibile e inafferrabile – prosegue Francesco, citando 2Tim 1,12 – che nasce dal sapere in quali mani si è posta la fiducia». La dedizione, che mai si inorgoglisce del dono, rifiuta di requisirlo come privilegio personale e di convertirlo in prebenda clientelare. Una simile limpidezza interiore del cuore, unita al tratto di uno spirito gentile – commenta Francesco – espone alla stanchezza dell’intercessione, al logoramento dell’unzione: mette alla prova di una bontà che deve lottare con la malizia, e di una fraternità ferita dalla mancanza di dignità. La prova non fu risparmiata al Signore. Non verrà risparmiata ai suoi Discepoli. Pietro per primo. Il Signore provvede, generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e affidarsi al di là delle incomprensioni. E lo Spirito della ricerca appassionata e della gioiosa bellezza del Vangelo, ispira ogni volta la decisione opportuna, procura ogni volta la consolazione necessaria. Dovremo congedarci il più rapidamente possibile dall’aneddotica delle immagini di scena e delle indiscrezioni di retroscena. E incominciare a leggere e a rileggere il prodigioso lascito di testi nei quali il teologo Joseph Ratzinger ha finemente cesellato, in favore della fede e della testimonianza, la sapienza nella quale egli ha saputo filtrare come illuminazione e restituire in benedizione la sua lotta con l’Angelo. La profondità e la potenza della sua passione per l’intelligenza che orienta la fede ha occupato interamente anche il ministero del pontefice Benedetto XVI. È questa la speciale qualità della sua eredità, destinata a durare nel tempo, come il tesoro dello scriba che si fa discepolo del regno di Dio: dal quale trarre con grata ammirazione cose antiche e cose nuove (Mt 13, 52). « Deus caritas est», ha scritto papa Benedetto. « L’amore non si perde», ha concluso papa Francesco. Nostro, rimane il lieto compito di essere «profumo della gratitudine e unguento della speranza», che conferma la preziosa eredità ricevuta. E così sia, « Benedetto, fedele amico dello Sposo».
Omelia di Papa Francesco «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Sono le ultime parole che il Signore pronunciò sulla croce; il suo ultimo sospiro – potremmo dire –, capace di confermare ciò che caratterizzò tutta la sua vita: un continuo consegnarsi nelle mani del Padre suo. Mani di perdono e di compassione, di guarigione e di misericordia, mani di unzione e benedizione, che lo spinsero a consegnarsi anche nelle mani dei suoi fratelli. Il Signore, aperto alle storie che incontrava lungo il cammino, si lasciò cesellare dalla volontà di Dio, prendendo sulle spalle tutte le conseguenze e le difficoltà del Vangelo fino a vedere le sue mani piagate per amore: «Guarda le mie mani», disse a Tommaso (Gv 20,27), e lo dice ad ognuno di noi: “Guarda le mie mani”. Mani piagate che vanno incontro e non cessano di offrirsi, affinché conosciamo l’amore che Dio ha per noi e crediamo in esso (cfr 1 Gv 4,16). [1] «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» è l’invito e il programma di vita che ispira e vuole modellare come un vasaio (cfr Is 29,16) il cuore del pastore, fino a che palpitino in esso i medesimi sentimenti di Cristo Gesù (cfr Fil 2,5). Dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall’aver accolto un dono totalmente gratuito: “Tu mi appartieni… tu appartieni a loro”, sussurra il Signore; “tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Rimani nel cavo delle mie mani e dammi le tue”. [2] È la condiscendenza di Dio e la sua vicinanza capace di porsi nelle mani fragili dei suoi discepoli per nutrire il suo popolo e dire con Lui: prendete e mangiate, prendete e bevete, questo è il mio corpo, corpo che si offre per voi (cfr Lc 22,19). La synkatabasis totale di Dio. Dedizione orante, che si plasma e si affina silenziosamente tra i crocevia e le contraddizioni che il pastore deve affrontare (cfr 1 Pt 1,6-7) e l’invito fiducioso a pascere il gregge (cfr Gv 21,17). Come il Maestro, porta sulle spalle la stanchezza dell’intercessione e il logoramento dell’unzione per il suo popolo, specialmente là dove la bontà deve lottare e i fratelli vedono minacciata la loro dignità (cfr Eb 5,7-9). In questo incontro di intercessione il Signore va generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e scommettere al di là delle incomprensioni che ciò può suscitare. Fecondità invisibile e inafferrabile, che nasce dal sapere in quali mani si è posta la fiducia (cfr 2 Tim 1,12). Fiducia orante e adoratrice, capace di interpretare le azioni del pastore e adattare il suo cuore e le sue decisioni ai tempi di Dio (cfr Gv 21,18): «Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza». [3] E anche dedizione sostenuta dalla consolazione dello Spirito, che sempre lo precede nella missione: nella ricerca appassionata di comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate 57), nella testimonianza feconda di coloro che, come Maria, rimangono in molti modi ai piedi della croce, in quella pace dolorosa ma robusta che non aggredisce né assoggetta; e nella speranza ostinata ma paziente che il Signore compirà la sua promessa, come aveva promesso ai nostri padri e alla sua discendenza per sempre (cfr Lc 1,54-55). Anche noi, saldamente legati alle ultime parole del Signore e alla testimonianza che marcò la sua vita, vogliamo, come comunità ecclesiale, seguire le sue orme e affidare il nostro fratello alle mani del Padre: che queste mani di misericordia trovino la sua lampada accesa con l’olio del Vangelo, che egli ha sparso e testimoniato durante la sua vita (cfr Mt 25,6-7). San Gregorio Magno, al termine della Regola pastorale, invitava ed esortava un amico a offrirgli questa compagnia spirituale: «In mezzo alle tempeste della mia vita, mi conforta la fiducia che tu mi terrai a galla sulla tavola delle tue preghiere, e che, se il peso delle mie colpe mi abbatte e mi umilia, tu mi presterai l’aiuto dei tuoi meriti per sollevarmi». È la consapevolezza del Pastore che non può portare da solo quello che, in realtà, mai potrebbe sostenere da solo e, perciò, sa abbandonarsi alla preghiera e alla cura del popolo che gli è stato affidato. [4] È il Popolo fedele di Dio che, riunito, accompagna e affida la vita di chi è stato suo pastore. Come le donne del Vangelo al sepolcro, siamo qui con il profumo della gratitudine e l’unguento della speranza per dimostrargli, ancora una volta, l’amore che non si perde; vogliamo farlo con la stessa unzione, sapienza, delicatezza e dedizione che egli ha saputo elargire nel corso degli anni. Vogliamo dire insieme: “Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spirito”. Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce! [1] Cfr Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, 1. [2] Cfr Id., Omelia nella Messa Crismale, 13 aprile 2006. [3] Id., Omelia nella Messa di inizio del pontificato, 24 aprile 2005. [4] Cfr ibid.
Libertà, scienza, ragione «debole»: Ratzinger al cuore del secolarismo di Vittorio Possenti Con la scomparsa di Benedetto XVI idee e ricordi emergono dallo scrigno della memoria, evocando il lungo dialogo (a distanza e talvolta di persona), iniziato prima del 1980, che ebbi con il cardinale Joseph Ratzinger. Sul piano teologico e sapienziale Benedetto è stato un grande Maestro di scrittura e di parola, il cui insegnamento nella comunicazione della fede non tramonterà. Oggi sento la responsabilità di condensare in breve spazio un discorso immenso concernente il lascito teologico e intellettuale del Papa emerito: quale eredità per la Chiesa che verrà! Uno dei massimi compiti di Ratzinger fu di porre costantemente in dialogo fede e ragione perché si riconoscessero e potessero compiere almeno in parte un cammino comune. È la prospettiva dell’enciclica Fides et ratio, promulgata da Giovanni Paolo II (1998) e preparata da una commissione presieduta da Ratzinger stesso. La Fides et ratio sembra oggi, dopo qualche attenzione iniziale, un documento dimenticato. La restrizione della ragione umana entro i limiti dello scientismo e del libertismo, e gli eccessi della ragione debole hanno contribuito a metterla da parte. In merito, ficcanti sono le diagnosi di Ratzinger a Subiaco (1° aprile 2005), in cui egli descrive acutamente la cultura illuminista: «Fa parte della sua natura, in quanto cultura di una ragione che ha finalmente completa coscienza di sé stessa, vantare una pretesa universale e concepirsi come compiuta in sé stessa, non bisognosa di alcun completamento attraverso altri fattori culturali». È come se tale cultura dicesse: abbiamo la ragione, la scienza e la tecnica dalla nostra e questo costituisce il massimo, né vi è bisogno di altri apporti. Ratzinger solleva poi la questione se le «moderne filosofie illuministe, complessivamente considerate, si possano ritenere l’ultima parola della ragione comune a tutti gli uomini. Queste filosofie sono caratterizzate dal fatto che sono positivistiche, e perciò antimetafisiche, tanto che alla fine Dio non può avere in esse alcun posto. Esse sono basate su una autolimitazione della ragione positiva, che è adeguata all’ambito tecnico, ma che, laddove viene generalizzata, comporta invece una mutilazione dell’uomo». La quaestio de veritate, coniugare fede e ragione in modo che entrambe dialoghino e si innalzino, fu segno distintivo della teologia di Ratzinger, dove non ha parte la ratio a una sola dimensione che soffoca lo slancio naturale della mente verso il vero, nel cui ambito rientrava per lui, come per Paolo VI e Giovanni Paolo II, la verità sull’uomo. Il primo annunciava l’hominem integrum e l’altro racchiudeva in una nitida formula la missione della Chiesa: «La verità che dobbiamo all’uomo è soprattutto una verità sull’uomo». Nel campo teologico-politico, in una solida vasta consapevolezza del ruolo globale della Chiesa universale, fu primario per Ratzinger-Benedetto XVI il Problema Europa cui dedicò un’attenzione partecipe e critica, ben avvertendo la crisi spirituale e la devastazione della secolarizzazione. Molti grandi discorsi di Benedetto (Parigi, Londra, Berlino, Ratisbona, etc.) toccano questi nuclei, in cui emergono i temi dei diritti e doveri umani e della libertà. I diritti sono finalizzati solo alla libertà di scelta dell’io isolato e non inserito entro la società? Esistono diritti primari che non siano diritti di libertà? Il discorso di Subiaco, ma anche quello all’Onu (2008), hanno richiamato l’indebita preminenza dei soli diritti di libertà nelle culture illuministiche: «Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà; essa parte dalla libertà come un valore fondamentale che misura tutto: la libertà della scelta religiosa, che include la neutralità religiosa dello Stato; la libertà di esprimere la propria opinione, a condizione che non metta in dubbio proprio questo canone». La concezione libertaria o libertista dei diritti ha impregnato profondamente di sé la cultura e i popoli occidentali, sino al punto che capi di Stato auspicano che il diritto all’aborto sia scritto a chiare lettere nella Carta europea. Se così dovesse accadere, il tradimento della Dichiarazione universale del 1948 sarebbe alle porte: l’occidentalismo libertario sta mettendo a serio rischio il tessuto stesso di tale Dichiarazione. La questione da sollevare una volta di più non riguarda se occorra ampliare o restringere l’area della libertà, tema che rimane generico, ma come educare a un’idea di libertà più vera e ricca di quella che ne vede l’unica manifestazione nell’autodeterminazione e nel servizio alla libertà del singolo, che nega o comprime le relazioni sociali e il riconoscimento dell’altro. Ciò porta a lasciare da parte il compito dell’edificazione morale dell’uomo e del cittadino. Ratzinger solleva la questione se le moderne filosofie antropocentriche e succubi del mito del progresso non abbiano perso il senso del limite umano, che in civiltà diverse da quella occidentale è invece rimasto come monito contro l’hybris. Negli antichi vi era reverentia e non superbia verso il divino, e si era consapevoli della propria finitudine. Oggi è diverso: l’ala marciante del pensiero occidentale profondamente secolaristico ha messo da parte il principio di realtà e procede guidato dalla volontà di potenza. Vuole costruire l’uomo nuovo non più con la rivoluzione politica ma con quella tecnologica. Non siamo perciò usciti dall’antropocentrismo moderno, che anzi si prolunga nella postmodernità in maniera estesa e con nuovi miti. Chi offendiamo menzionando Dio anche in pubblico? Il secolarismo europeo accampa l’assunto che offenderemmo gli appartenenti alle altre religioni. Ratzinger osserva: «non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio». La lezione teologico-politica di Benedetto XVI sulla presenza dei cristiani nella società secolarizzata punta sulla necessità di minoranze creative o profetiche. Il suo sguardo va, oltre che ai cristiani, verso i fedeli della religione ebraica. Si esprime in un invito discreto all’ebraismo, alle sue minoranze creative, a cooperare affinché la luce divina non scompaia dalla storia universale e il mondo non entri nel buio della mancanza di senso. Su questo nucleo è importante il suo Discorso alla Sinagoga di Roma, durante la visita del 17 gennaio del 2010. «Come insegna Mosè nello Shemà e Gesù riafferma nel Vangelo, tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi… Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza». Il Papa si trovò in sintonia con il grande Rabbino di Londra Jonathan Sacks che, ponendo il problema della famiglia in dissoluzione, osservava con forza che gli europei sono troppo egoisti per avere figli, e che tale egoismo stava uccidendo l’Europa secolarizzata. La decostruzione della famiglia all’insegna del libertismo e del ricorso manipolante alle tecnologie è tuttora una piaga aperta. Nel testamento spirituale del 29 agosto 2006, reso noto alla morte del Papa emerito, Benedetto si rivolge al popolo di Dio, esortando a rimanere saldi nella fede, a non farsi confondere da discorsi provenienti dalle scienze naturali e dalle scienze storiche che sembrano in contrasto con la fede ma che poi esse stesse abbandonano, lasciando viva la pretesa di ragionevolezza della fede. Benedetto, invitando a non perdere l’orizzonte secondo cui Cristo è la via, la verità, la vita, ricordava una bella frase di Tertulliano: «Cristo non ha detto di essere l’abitudine, bensì la verità».
Ecco, vedi come vanno le cose? Scrivi l’ultima cosa sul blog, è mezzanotte e mezza, la rilanci su Fb e su Instagram, abbassi lo schermo del portatile e ti metti a leggere qualche pagina di La lezione di Gustavo Zagrebelsky. E ti imbatti in: “In certo senso, nominando le cose del mondo esteriore le facciamo esistere nel nostro mondo interiore. In questo senso le parole conferiscono esistenza e permettono di pensare il mondo in noi e noi nel mondo. Cogito ergo sum, il celebre motto cartesiano, dovrebbe essere completato: verba teneo, ergo cogito. Donde, per proprietà transitiva: verba teneo, ergo sum.” (pag. 9). Vuoi non riaprire il pc e mettere in atto il buon proposito che ti sei fatto?
Chi è nel triennio ormai lo sa: tra gli stoppini prima (durante la DAD) e gli auguri poi, a Natale e a Pasqua ho preso l’abitudine di rivolgervi un pensiero scritto… Non so che periodo vi aspetti, non so quali feste vi attendano. So che c’è chi aspetta con trepidazione le vacanze natalizie perché è un momento di gioia e condivisione e chi le attende con paura perché legate a momenti dolorosi, c’è chi le attende con indifferenza perché è tutto come gli altri giorni e chi le passerà da una festa all’altra. C’è in particolare chi le vivrà con il vuoto di chi non può più avere accanto fisicamente, e costoro le e li abbraccio con forza. In mezzo a tutto questo, desidero farvi un augurio per il pranzo di Natale o di Capodanno o di un qualsiasi giorno delle vostre vite. Prendo spunto da una poesia di Franco Arminio:
Alzatevi durante la cena, ditelo che avete un dolore che non passa. Guardate negli occhi i parenti, provate a fondare davvero una famiglia una federazione di ferite. Ora che siete in compagnia ditela la vostra solitudine, sicuramente è la stessa degli altri. E dite la noia, l’insofferenza per il freddo, per il cappotto, per la digestione. Se scoppiate a piangere è ancora meglio, scandalizzateli i vostri parenti, piantate la bandiera dell’inquietudine in mezzo al salotto. Fatevi coraggio, prendete un libro di poesia leggete qualche verso, loro per domani hanno programmato il cinema. Parlate dei morti, parlate di voi e poi ascoltate, sparecchiate, togliete di mezzo il cibo, mettete a tavola la vostra vita.
Mi viene da aggiungere un piatto a questa tavola imbandita: quello della gioia, delle cose belle perché anche loro hanno bisogno di essere condivise, di essere portate alla luce, di essere consumate e digerite per diventare sostanza dei nostri giorni. Si tratta di mettere in tavola quello che conta, di mettere a fuoco l’essenziale. In una classe prima, quest’anno, è stato messo sulla cattedra il presepe della foto. Come nella foto, accade spesso anche nella vita che ci voglia un po’ per mettere a fuoco l’essenziale, la condivisione, l’io e il tu, il noi, l’amore… A tutte voi, a tutti voi, alle persone che amate e che sono una benedizione nelle vostre vite, auguro buon Natale e, viste le parole che ho scritto… buon appetito!