Gemma n° 2494

“A inizio anno mi è stato dato il compito di presentare una gemma e da quel momento mi sono chiesta in continuazione cosa portare. Mi sono concentrata su tutti gli oggetti a cui sono affezionata, alle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, a tutti i momenti che sono rimasti indelebili nella mia mente e nel mio cuore e a tutte le persone che amo. Cercavo in continuazione un qualcosa di complicato, ma mi sono resa conto che “l’essenziale è veramente invisibile agli occhi”. 
Per questa gemma ho scelto di portare mia mamma. Inizialmente mi è apparso un pensiero banale, ma ripensandoci non lo è affatto. Forse l’età mi ha portato ad apprezzarla di più, o meglio, a comprenderla di più. Nonostante io sia la sorella maggiore, quindi ricopro quasi il ruolo di seconda mamma in casa, non riuscirò mai ad essere come lei. Mia madre è la donna più forte che io conosca, non lo dico solo perché ho un amore incondizionato nei suoi confronti, ma anche perché ha avuto modo di dimostrarmelo durante tutti questi anni. Nonostante le immense imprese e ostacoli che il destino ha voluto imporre nel suo cammino, lei ha sempre avuto il coraggio di trovare la forza per lottare per noi e con noi. È riuscita ad affrontare una delle malattie più temute dalle donne, ma nonostante ciò non ci ha mai private della sua presenza. Sì è vero, ha, a volte, un carattere abbastanza irruento, su molte cose siamo in disaccordo, ma non smetterò mai di cercare il suo sguardo per una rassicurazione, per sentire quell’amore che solo una madre può dare. Sono sempre stata una persona a cui non piacciono molto le smancerie, preferisco dimostrare ad azioni, a fatti i miei sentimenti, ma ho anche capito, in questi ultimi anni, che la vita è troppo breve per non pronunciare quel “ti voglio bene mamma”. Ho iniziato a piccoli passi a riaprirmi nel mondo dei sentimenti.
Penso che a tutti sia capitato di trovarsi in una situazione in cui l’unico pensiero fosse quello di essere tra le braccia della propria madre per riuscire a dimenticare ciò che è successo e di sentirsi nuovamente al sicuro. Questa è l’importanza della mamma. Dico spesso che starei benissimo senza di lei, che sono abbastanza grande per affrontare la mia vita da sola, ma nel fondo della mia coscienza sono perfettamente consapevole che tutto questo non è vero.
Non vorrei sembrare banale a questo punto, ma quando dico che mia madre è il mio punto di riferimento lo intendo davvero. Ho sempre sperato e sognato di essere come lei, di avere il suo carattere e di riuscire a farmi rispettare in ogni circostanza, di avere la sua tenacia e la sua testardaggine, anche se a volte è un po’ fastidiosa. Ho capito che tutte le litigate con lei non sono tempo perso, anzi, mi hanno aiutata a crescere.
In questi anni io e lei siamo cresciute insieme e siamo diventate amiche, un tipo di amica che tutti dovrebbero avere nella loro vita. Lei non giudicherà mai, mi sosterrà sempre anche negli errori, ma spiegando gli sbagli e donandomi i consigli giusti per rialzarmi. È un’amica che non ha alcuna invidia nei miei confronti, spera solo che io non commetta i suoi stessi errori e che, anzi, abbia una vita migliore della sua. Le mie lacrime da lei sono sempre state asciugate e facendomi sentire avvolta dalle sue calde braccia sono riuscita a percepire quella rassicurazione che ormai non sento da tempo. La mamma rimarrà sempre la mamma ed è per questo che a lei dedico questa gemma, per ricordarmi quanto lei sia fantastica e anche per ricordarmi di quanto io sia fortunata ad averla al mio fianco.
Ti amo mamma.”
(J. classe quarta).

Gemma n° 2493

“Il 13 Giugno 2023 mi viene detto che sono stata bocciata.
Ovviamente non è stato un fulmine a ciel sereno, lo sapevo da un po’ che sarebbe andata così, ma ciò non significa che l’abbia presa bene. Mi ricordo perfettamente com’è andata: c’era un sole caldo e splendente e facevo l’animatrice al centro estivo, una delle mie attività preferite.
Avevo la squadra blu, composta da bambini dai 6 agli 8 anni.
Quel giorno S., che nonostante i suoi 7 anni aveva una vita troppo travagliata, mi disse: “Maestra S., sei diventata la mia maestra preferita!”.
G., G. e C., di 9 anni e appassionate di ginnastica artistica, mi chiesero di guardarle mentre facevano un balletto che avevano creato da sole.
G., 8 anni e con una gamba rotta mentre andava in bici, si sedette accanto a me e mi raccontò tutto quello che sapeva sugli antichi egizi.
M., 18 anni e la mia migliore amica da 5, mi chiese di andare a mangiare al Mc.
D., 19 anni e il mio posto di pace, mi disse che amava il mio sorriso.
Era una giornata perfetta.
Mentre salutavo i genitori che venivano a prendere i loro figli, vidi la macchina dei miei avvicinarsi, cosa strana considerando che tornavo a casa sempre da sola.
Forse dovevano passare di lì e avevano pensato di venirmi a prendere?
Salii in macchina e mio padre mi chiese com’era andata, ma prima che potessi rispondere, mia madre disse: “Ha chiamato la prof, quest’anno rimani in quarta”. Dissi solo “Vabbè, tanto lo sapevamo tutti”.
Entrai a casa e non ebbi neanche il tempo di spogliarmi per fare la doccia che scoppiai a piangere. Un pianto estremamente esagerato per essere una notizia che già sapevo sarebbe arrivata.
Ma non ero triste per il fatto di dover ripetere l’anno, ero triste perché avevo preso coscienza che sarei rimasta un anno indietro, che non sarei più stata nella classe migliore che mi sia mai capitata. Non avrei più sentito le interrogazioni assurdamente divertenti di Cod, non avrei più riso con Terra ricordando la nostra esperienza come compagne di stanza, non avrei mai più detto “buongiorno raggi di sole!” appena entrata in classe.
Era come se avessi perso parte di me stessa.
Ora, so perfettamente che ci sono cose ben peggiori nella vita, ma il dolore che sentivo era una miscela di nostalgia, di paura e di incertezza per il futuro. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato l’anno successivo, se sarei riuscita a mantenere i legami con i miei ex compagni, se avrei trovato di nuovo il mio posto di pace.
Il pianto che mi aveva travolto era il risultato di tutte queste emozioni riversate in un momento preciso, quando la realtà di ciò che stava accadendo si era manifestata in tutta la sua crudele semplicità. Avrei dovuto affrontare una nuova classe, nuovi insegnanti, una nuova dinamica che non avrei potuto predire.
Così, la doccia che avrebbe dovuto lavare via la fatica della giornata, fu invece un momento di confronto con me stessa, con i miei timori e con la consapevolezza che il mio mondo stava cambiando, anche se non ero del tutto pronta ad accettarlo.
Ora sono in una nuova classe, ho nuovi amici e sono riuscita a mantenere i rapporti a cui tengo di più, quindi direi che non sta andando così male come pensavo.
Certo, a volte il senso di nostalgia e tristezza mi travolge e mi porta giù, ma sto imparando a tornare in superficie sempre più velocemente.
Ho deciso di non scrivere un finale a questo testo perché non so cosa mi riserverà il futuro e non so se sarò pronta ad accettarlo, ma so per certo che porterò per sempre nel mio cuore i miei raggi di sole.”
(S. classe quarta).

Gemma n° 2439

“Questa è in assoluto la mia prima gemma di religione e per quanto possa sembrare facile trovare qualcosa di profondamente rappresentativo per sé, mi sono trovata in difficoltà.
In difficoltà perché per la prima volta mi sono chiesta cosa potesse rappresentarmi al meglio , e da quella riflessione sono nate tantissime idee, tutte pronte a raccontare qualcosa di me: dalle mie passioni, a momenti a persone per me importanti… tutto era chiaro nella mia testa, le idee nitide e ben allineate pronte a risplendere proprio come una gemma, ma a questo punto mi sono ricordata che, mi trovo in un ambiente nuovo e lì le idee tornano a correre all’impazzata per la mia testa.
Mi sono resa conto che, nonostante siano passati diversi mesi dal mio arrivo, non sono riuscita a trasmettere molto di me, del mio carattere, del mio modo di essere. La mia paura di risultare inappropriata, noiosa o deludente mi ha portata a chiudermi un pochettino, ma anche questo, se ci penso fa parte di me.
Fa parte di me l’essere pensierosa, silenziosa e distaccata, ma non per questo me ne faccio una colpa. Fa parte di me e basta.
Quindi per questa mia prima e purtroppo ultima gemma ho deciso di raccontarmi attraverso una parte indelebile di me: i miei tatuaggi.
Sul mio corpo da neo diciannovenne sono presenti 3 tatuaggi, 3 momenti della mia vita vissuta fino a presente. Le mie 3 filosofie del passato, presente e futuro.

Il primo tatuaggio l’ho fatto a 17 anni sulla clavicola sinistra, dal lato del cuore.
Avevo appena finito il percorso di latino, un mondo che mi ha affascinata proprio perché non lo riuscivo a capire a causa della sua complessità. La frase che ho scelto di incidermi sulla pelle è stata proprio «ad maiora» verso il meglio. Allora ero molto diversa da come mi vedete adesso, ero molto più insicura e meno determinata. Ancora non ero riuscita a crearmi uno spazietto nel mondo. Mi sentivo strana e fuori posto, come tutti gli adolescenti a quell’età. Ma qualcosa in me, ha voluto riprendere le redini, riprendere il controllo della mia vita e andare verso qualcosa di meglio.
«Ad maiora» perché non mi sono mai bastata, non mi sono mai piaciuta e tuttora faccio difficoltà a riconoscermi nel riflesso dello specchio, nonostante i cambiamenti e i miglioramenti (i primi di una lunga serie a venire). Per la prima volta sono riuscita a provare a me stessa di essere forte e determinata e questo è diventato un mio bellissimo punto di forza.
Ho lavato molto non solo sul mio aspetto estetico, ma anche sul mio carattere, per creare la versione migliore di me stessa. E nonostante ci abbia lavorato, ammetto che caratterialmente non sono facile da capire o da sostenere, proprio per gli innumerevoli problemi invisibili che si generano automaticamente nella mia testa e che a volte prendono il controllo.
«Ad maiora» perché racchiude il desiderio di non essere mai come ora, ma di trovare sempre nuovi stimoli per migliorare.

Il secondo tatuaggio, l’ho fatto sul costato destro, perché la simmetria è sempre stata un mio punto debole. Si tratta sempre di una frase, ma questa volta in francese, tratta da una poesia. L’ho fatto dopo essere tornata da una delle esperienze che più mi ha cambiata e aperto gli occhi sul mondo: l’anno all’estero in Francia.
Là ho avuto modo di conoscere una realtà totalmente differente, ho incontrato delle persone fantastiche che hanno contribuito a creare delle memorie uniche e inimitabili.
Questa citazione racchiude un sacco di ricordi, significati e di speranza: nous allons fleurir (fioriremo). É tratta da una poesia di Jules Laforgue, «triste triste», titolo molto allegro, mi sono davvero superata in questo. Come suggerisce il titolo, il tono della poesia é malinconico e estremamente grigio, ma proprio in mezzo a tutto quel grigiore, si apre uno spiraglio luminoso dato da questa frase. Come un sole in mezzo alle nuvole di pioggia, «nous allons fleurir» ha il compito di ricordarmi che nonostante le difficoltà, nonostante gli ostacoli sul mio percorso, se ho la forza e la volontà di superarli, alla fine riuscirò a fiorire. Ma come lo auguro a me stessa, lo auguro a tutte le persone che mi circondano, perché nessuno merita di appassire sotto il peso di una giornata tempestosa. Per fiorire, oltre alla forza, ci vogliono tempo e un sacco di pazienza e determinazione, per riuscire a coltivarsi e a coltivare ciò che ci circonda nel modo migliore possibile.
Ognuno di noi, è un bocciolo di fiore diverso, c’è chi è più delicato, chi più tenace, chi sboccia prima e chi dopo, ma tutti siamo pronti a fiorire i nostri migliori colori.

L’ultimo tatuaggio di cui voglio parlarvi, è la sintesi del mio presente, ciò che sono e ciò che voglio ricordare.
È sempre legato all’esperienza all’estero, un pezzo del mio presente che ricordo con affetto e molta felicità. L’idea mi é venuta da una frase  del nonno ospitante, un uomo molto fragile, ma sempre sorridente, saggio e spiritoso, che prima della mia partenza per tornare in Italia, mi disse delle bellissime parole: lui era riuscito a leggere i miei silenzi per trarne qualcosa di bello, delle memorie preziose che custodisce tuttora. Aveva visto il mio potenziale, la mia voglia di crescere e di sperimentare. Aveva visto che sono fragile come lui, che la mia sensibilità e le mie insicurezze talvolta prendono il sopravvento creando delle tempeste che distruggono le mie casette di carta pesta, e proprio per questa mia fragilità anche lui mi ha donato una gemma di saggezza, dandomi delle certezze. Per tutto ci vuole tempo: per crescere, per imparare, per cadere e per rialzarsi, ma non dobbiamo affrontare tutto questo da soli: ci sono delle persone che ci accompagnano e che ci aiutano a ricostruire quelle casette di carta pesta oramai disintegrate dalla potenza della tempesta. Quelle persone, non sono delle persone qualunque, sono dei «funghi». Che strana cosa che mi disse quel giorno il nonno Dardinier: siamo dei funghi, tutte le persone che incontriamo e che ci aiutano, ci sopportano e che fanno il tifo per noi sono dei funghi che si legano a noi. E per quanto ci possiamo allontanare e perdere di vista, per quanta distanza ci sarà, le radici ci terranno uniti e ci terranno in contatto.

Questa è stata la mia prima e purtroppo ultima gemma di religione, non sarà perfetta, ma l’ho scritta io. Le parole che sono qui presenti sono una parte imperfetta di una imperfetta me.
Sono una ragazza che sbaglia senza paura di sbagliare, che ha delle insicurezze che prima o poi metterà a tacere, che ha delle passioni… ma che soprattutto ha delle persone che fanno il tifo per lei…. Sono un fungo che presto fiorirà verso il meglio. Grazie per l’ascolto.”
(G. classe quinta).

Gemma n° 2435

“Dopo aver letto il terzo canto dell’inferno di Dante ho riflettuto molto su cosa rappresentino per me le parole e le frasi che Dante ha utilizzato.
Per me e molti altri codeste parole hanno la funzione di avvertire e cancellare ogni speranza di gioia o di redenzione. Io ho voluto riscrivere questi versi per cercare di comprendere pienamente il cosiddetto “etterno dolore”. La mia poesia vuole trasformare quella porta maledetta nella mia personale porta infernale e in questo periodo mi sembra come di averla già attraversata e di essere rimasto nel vestibolo di una mansione intricata di problemi.

la mia porta infernale
neutralizzare è facile
dileguare i liquidi interni
decomporre decimi corpi
per raggiungere lo stige
e lanciarli dentro
riderò di voi anime pie
che non godrete mai
del male eterno
del dannato letargo
del gelo bruciante che vi farebbe da mantello
tre come nove volte che io sia spostato
che io sia dileguato
che io sia decomposto
nelle terze righe
nelle quattro strofe
il saggio caronte
scrisse nel suo libro
mastro come il sapere
del suo veliero
morto e senza alcun tramaglio
voi, illusi questa porta non vi ospita
lasciate ogni speranza
voi ch’entrate”
(A. classe terza).

Gemma n° 2430

“S. è la luce costante nella mia vita, un faro che guida il mio cammino nei giorni di sole e nei momenti più bui. La sua presenza è un abbraccio confortevole che lenisce le ferite della mia anima, un sorriso che illumina anche i giorni più grigi e un animo gentile che sta guarendo un cuore che lei stessa ha lottato tanto perché non si rompesse. La profondità della nostra connessione mi ricorda tanto quella tra Meredith e Cristina, un legame che supera le parole e si intreccia con i battiti del cuore.
Abbiamo condiviso risate contagiose che risuonano nell’aria come una melodia di gioia. Abbiamo affrontato le tempeste insieme, navigando tra le sfide delle nostre giovani vite con il sostegno reciproco che solo un’amicizia autentica può offrire. Come Cristina è stata il porto sicuro di Meredith, così S. è, e sarà sempre, il mio rifugio, il luogo in cui posso rintanarmi quando il mondo diventa un posto troppo rumoroso, dove posso essere completamente me stessa senza paura di sentirmi sola o incompresa.
S. è la mia “Cristina”, la mia persona, come diceva la dottoressa Grey. È la mia compagna di avventure, la spalla su cui piango senza sentirmi giudicata e la persona che zittisce tutti i miei pensieri nell’esatto momento in cui la vedo. È una persona che affronta la vita a braccia aperte anche quando quest’ultima le volta le spalle ponendole di fronte gli ostacoli più insormontabili. Anche se non glielo dico spesso e lei, molto probabilmente non se ne rende sempre conto, è la persona più forte che io conosca, coraggiosa e determinata, così come Cristina.
Ha la capacità di capirmi senza bisogno di parole, proprio come Cristina capiva Meredith. La sincerità reciproca è il pilastro su cui si fonda la nostra amicizia, e la sua presenza è un conforto costante nei momenti di incertezza. È lei che c’è sempre nei momenti in cui l’unica cosa che voglio è rimanere sola, che fa in modo che tutto sia ok anche quando è evidente che non lo sia, e che, quando ridiamo, riporta in vita la bambina che ero, spensierata e felice, e che fa risuonare in tutto l’universo la melodia di inside out”.
(G. classe quarta).

Natale 2023

Ieri mattina ho inviato gli auguri a studentesse e studenti. Stamattina ho letto su Fb quelli del vescovo di Trieste Enrico Trevisi. Ho trovato una profonda consonanza e quindi li unisco qui in unico post per farli a chi legge queste pagine.

“Anche quest’anno mi appresto a mettermi davanti al pc e scrivervi un piccolo augurio di Natale, che possa avere un senso per chi crede nel Dio di Gesù, per chi crede in un altro Dio, per chi crede in qualcuno o qualcosa diverso da una divinità e per chi non crede affatto. Ciascuna e ciascuno di noi arriva a questo periodo in modo differente e personale. Mi è facile festeggiare con chi è in un buon periodo, perché avverto un’assonanza di umore visto l’imminente arrivo del piccolo. Ma in questi mesi mi è successo di vedere numerosi cocci di allieve e allieve in pezzi; alcuni di questi cocci li conosco bene perché mi sono stati descritti e raccontati, altri li ho solo intravisti o intuiti. Alcuni sono cocci di piccole porzioni di quelle persone, altri sono cocci di parti più grosse e importanti, altri ancora sono cocci dell’intera figura. E so che talvolta sembra che non possano più essere incollati insieme per offrire una figura di senso, anche se magari un po’ differente dall’originale.

Mariasole da quest’anno, il lunedì e il giovedì mattina va a scuola con il “Piedifruts”, che vuol dire a piedi insieme ad altre bimbe e altri bimbi della scuola dell’infanzia e della primaria. Le piace moltissimo e si sveglia volentieri la mattina presto per potervi partecipare, anche se è l’unica della sua sezione e una delle più piccole (a parte un ultimo tratto). Domenica scorsa si è svolta una piccola cerimonia di auguri per Natale e Mariasole è stata invitata, come tutti i partecipanti, a “scrivere” qualcosa sulla sua esperienza. Eccone un pezzetto che ci ha detto di scrivere per lei “Un giorno vorrei invitare tutti i miei amici, anche quelli del pulmino, per vedere come è bello il Piedifruts. E così lo vengono a fare il prossimo anno”. Mi ha fatto pensare e mi ha commosso. Ha vissuto una cosa bella e il suo pensiero è stato quello di farne fare esperienza ai suoi amici per poter condividere quella gioia. In una parola sola: amore. Per me Natale è un’occasione per consentire all’amore di agire e per metterlo in condizione di fare una delle cose che meglio gli riesce: ricucire lo strappo che talvolta si crea tra la vita e la felicità. Amore è ciò che consente alla vita di rinascere ogni volta, anche quando non pare esserci speranza o proprio speranza non c’è. Questo è quello che mi trasmette quel bimbo venuto alla luce nella precarietà due millenni fa, questo è quello che mi trasmette quel bimbo che sta per venire alla luce nella mia vita: una possibilità d’amore, di bellezza, di condivisione, di bene. Ah sì, ieri mattina, ultimo giorno di Piedifruts per quest’anno solare, c’era Victoria a fare compagnia a Mariasole, una sua compagna di sezione: non vi dico l’euforia!
A tutte voi, a tutti voi, alle persone che amate e che sono una benedizione nelle vostre vite, auguro buon Natale e, viste le parole che ho scritto… buon amore, buona rinascita!
Il prof di reli”

E ora spazio a un uomo che ama firmarsi per nome.
“Ecco i miei auguri… a tutti gli amici
Anzitutto accogliere Dio
Viene, ma potresti esserti addormentato.
Viene, ma potresti esserti risentito e arrabbiato per come vanno le cose.
Viene, ma in una modalità così umile che sconcerta e scandalizza.
Viene, ma non si impone. Però insiste a venire.
Viene nelle sembianze umane. Anzi viene nella carne umana. Si fa carne.
Viene ed è piccolo e umile. Un bambino. Un bambino sfollato.
Viene e commuove. Viene e irrita.
Viene e c’è chi va in panico e medita morte, come Erode.
Viene e trova braccia che lo stringono:
una madre che lo coccola
e il suo sposo che ha il coraggio del Leone di Giuda.
Viene e trova i poveri che lo festeggiano.
Viene e potresti accoglierlo e unirti alla festa.
Viene e potresti incoraggiare altri ad unirsi alla festa.
Viene e ci sono altri piccoli scartati di fronte ai quali inginocchiarsi.
E pregare di avere la forza e il coraggio di quel che siamo:
E che cosa siamo?
Siamo gli Amati da Dio, per amare con il suo amore i piccoli e i poveri sulla nostra strada.
Sulle nostre piazze. Nelle nostre case. Nelle nostre classi. Nelle nostre comunità.
Auguro un Natale così. Un Natale in cui le persone prevalgano sui consumi, in cui ciascuno si dia il coraggio per una parola di conforto con chi è nella sofferenza, un tempo di compagnia con chi sta nella solitudine, un gesto di tenerezza con chi vive il sentirsi abbandonato e rifiutato, un dare occasione di ascolto a chi soffre nel risentimento.
Un Natale così lo auguro a tutti. Dove trovare la forza? Nel bambino Gesù. Fermati e accoglilo.
Fermati e pregalo e troverai il coraggio, il tempo, le parole, i gesti, le occasioni.
E su ciascuno invoco la Benedizione del Signore.
Enrico vescovo”.

Gemma n° 2328

“Quest’anno come gemma ho portato qualcosa di veramente speciale, il mio primo nipote.
Si chiama C. ed è nato il 29 settembre 2023 alle 8:10 del mattino.
Per me è stato un raggio di sole, la cosa più bella che potesse mai capitarmi in uno dei periodi più difficili per me che mi hanno portato a prendere decisioni importanti e ritrovarmi quasi ogni giorno in posti in cui non avrei avuto voglia di essere: sapere che al mio fianco avrei avuto, e a oggi ho, una creatura così bella e piccola mi faceva entrare in un’altra dimensione, magnifica e perfetta e mi dava la forza per andare avanti.
Non passo troppo tempo assieme a lui perché sono spesso fuori casa oppure lui dorme o mangia, però quando lo tengo in braccio mi sento la persona più fortunata del mondo. Ho imparato a cambiarlo, mettergli le calzine e scegliere i vestiti più belli per lui che può sembrare scontato ma non lo è.
Se penso a lui sono veramente felice, mi fa impazzire tutto ciò che fa e mi rende felice vedere come ha stravolto la vita di tutti quanti nella mia famiglia”.
(M. classe quinta).

Gemma n° 2327

The wound is where the light enters you
Come gemma ho deciso di portare questa frase che ho trovato poco tempo fa, di cui non conosco l’autore, ma che mi ha colpito molto e che vuol dire “la ferita è il luogo dove entra la luce”.
L’interpretazione delle ferite come fessure dentro le quali possono entrare la luce e la speranza mi è rimasta particolarmente impressa. Essendo normale raccogliere ferite nel corso della propria vita, perché percorso inevitabile dell’uomo, questa visione alquanto speranzosa del dolore mi ha ispirato molto. Facendomi riflettere sul fatto che sebbene alcune ferite non si possano chiudere mai, ce ne sono alcune che ci aiutano a comprendere meglio gli altri e a cercare di diffondere più luce possibile affinché possano penetrare nelle ferite degli altri. Penso che il dolore ci faccia capire l’importanza dei momenti di luce e ce li faccia apprezzare maggiormente. Più numerose sono le ferite, più una persona può capire quanto sia importante fare star bene gli altri.”
(M. classe quinta).

Gemma n° 2258

“Premessa: non sono una persona che ama fare vedere le proprie debolezze e i propri problemi. Anzi, cerco di evitarli per illudermi di stare bene. Allora voglio usare la mia gemma per liberarmi da pesi che porto dentro e che raramente riesco a buttare fuori e spero di potervi regalare un po’ di speranza con il mio discorso.
Allora ho deciso di parlarvi di mio papà che è venuto a mancare 2 anni fa.
Oggi vi volevo leggere la lettera di addio che ho scritto e letto al suo funerale.
Nota: in accordo con C. la lettera resta tra i muri dell’aula.
Ora ho scritto un pensiero per tutti quelli che hanno perso qualcuno, che sia un amico, un papà, una mamma, uno zio, un gatto, un cane, oppure che hanno rischiato di perdere qualcuno a cui volevano bene o ancora a chi ha perso se stesso.
Non c’è vita senza morte. E non c’è morte senza vita.
Sta a noi decidere se vivere senza vivere e attendere la morte o se vivere tutto ciò che capita di bello o brutto che sia, assaporando ogni secondo che abbiamo per poi poter dire “ho vissuto”. Un giorno tutt’a un tratto, purtroppo, ci viene tolta la possibilità di creare nuovi ricordi, nuove risate, nuove chiacchiere con le persone a cui teniamo e pensiamo di non poter fare a meno di quel qualcuno. È vero che parte di noi muore con la morte di una persona a noi cara ed è giusto sentirsi sperduti e pieni di dolore. Ma, oltre alla parte di noi che se ne va, ne abbiamo un’altra che resta. E sta a noi decidere se abbandonarci al dolore o cercare di salvarci aggrappandoci a quelle cose che nella vita valgono la pena di essere vissute.
Quindi vi chiedo di vivere. È molto più facile a dirsi che a farsi, è vero. Ma il tempo corre, modifica le nostre vite, le prende e le spiaccica al muro come un foglio in piena bora triestina. Prendete voi in mano le vostre vite e piangete, disperatevi, urlate ma non dimenticatevi che il tempo che passate a torturare voi stessi è meno tempo per essere felici. Godetevi ogni istante, dalle feste con gli amici fino alle sere più noiose a cena con la famiglia, nulla è eterno tutto può distruggersi in un nanosecondo, ma voi dovete vedere il sole non solo dopo la tempesta ma anche prima.
La vita è vostra e per quanto possa fare spesso schifo, ci sarà sempre quel qualcosa o quel qualcuno che vi farà dire “cavolo, meno male che sono qui e sto vivendo”.
(C. classe quarta).

Gemma n° 2250

“Come gemma quest’anno ho deciso di portare alcune foto di tramonti che scatto quando ho l’occasione. Un paio di giorni fa stavo riguardando alcune foto vecchie nel mio telefono e ho trovato molte foto di tramonti scattate durante tutto l’anno. Queste foto non hanno nessun significato particolare, quando sono per strada o in macchina, quando sono a fare una camminata oppure quando semplicemente mi sporgo dalla finestra e vedo un tramonto scatto una foto. Come ho detto, i tramonti non hanno un significato particolare, nonostante ciò mi danno una calma pazzesca e rimarrei a guardarli per ore. Non ho moltissime foto proprio perché secondo me lo scatto deve essere spontaneo e naturale e non fatto apposta altrimenti perde tutta la magia” (V. classe quarta).

Gemma n° 2177

“Come gemma ho deciso di portare mia mamma.
Lei rappresenta la mia famiglia e l’ho sempre vista come un’amica mancata, ma allo stesso tempo un punto di riferimento stabile.
Ad oggi lei è una tra le poche persone che riescono a rendermi felice davvero e con cui so di poter parlare liberamente. Certamente, non le racconto proprio tutto di quello che succede, ma come è giusto che sia.
Non sono molto brava e non mi piace molto esprimere i miei sentimenti e parlare di ciò che prvo, ma ho capito nel corso del tempo che un gesto vale molto di più di mille parole.
Sono una persona alla quale non piacciono i gesti eclatanti o ricevere abbracci, ma piuttosto quella che li dà per far sentire meglio gli altri.
Anche mia mamma è abbastanza simile a me, ma molto più premurosa e affabile; lo è sempre stata.
E’ sempre riuscita a farmi vedere la luce nel buio e a spronarmi per raggiungere i miei obbiettivi quando avevo un po’ perso quella voglia.
Ci sono stati periodi durante i quali i ruoli sono diventati gli stessi e quindi sono maturata, per permettere a entambe di vedere quella luce che tanto ci veniva annebbiata.
Non saprei esprimere a parole, ma neanche a gesti, l’amore che provo per mia mamma, ma so che lei sarà sempre lì a sostenermi e io ci sarò sempre a sostenere lei.
Una persona, se quella giusta, riempie il vuoto che hanno lasciato altre venti”

(G. classe prima).

Gemma n° 2015

“Come gemma ho portato una riflessione religiosa fatta due anni fa, un periodo complicato della mia vita, al di là della questione pandemica, anche per la perdita di una persona cara. Essendo io una persona cristiana mi sono fatta le tipiche domande: perché una persona innocente deve soffrire? perché il dolore se c’è Dio? dov’è quando stiamo male? Provo a rispondere. C’è il mistero dell’agire di Dio, però noi crediamo anche se non sappiamo come egli agisca. Immagino la nostra vita come una linea del tempo. Su questa linea ad un certo punto è arrivato Cristo, Dio è sceso in terra. Prima di Cristo eravamo in una situazione negativa; anche ora c’è il peccato, con la differenza che Cristo è venuto a salvarci e possiamo redimerci perché siamo nella grazia di Cristo. C’è chi crede e chi no, lui è venuto per salvare tutti. Per questo disegno la persona prima di Cristo sotto la linea. Noi abbiamo il libero arbitrio, possiamo decidere tra bene e male, possiamo credere in Dio o meno. Dio è in controllo dell’Universo, non delle singole vite, siamo noi il motore delle nostre azioni. Come esempio porto la vicenda di Giuseppe, capace di interpretare i sogni del Faraone; sicuramente mentre era imprigionato non pensava a ringraziare Dio della propria sorte, come noi nelle difficoltà vediamo la nostra fede venire meno. Dio non funziona come vogliamo noi; ha un piano generale in cui si collocano le nostre vite. Per un cristiano la speranza non viene mai meno, Dio è come un salvagente; come ha avuto un piano per Giuseppe, così ce l’ha per me. Ho una visione che mi proietta in avanti, oltre il momento difficile che sto vivendo: anche per me, come per Giuseppe, ci sarà il lieto fine”.

Mentre riflettevo su come commentare la gemma di F. (classe quarta) mi sono imbattuto in alcune parole di David Maria Turoldo: “Spero sempre nell’umanità. Nella mia umanità, nella tua umanità. Quello che non ho fatto ieri, cerco di attuarlo oggi. Spero sempre nel nuovo giorno, che è sempre un giorno mai vissuto da nessuno. E’ come se il mondo sorgesse di nuovo alla luce. Penso al bene che posso fare, il piccolo, grande aiuto che posso dare ai fratelli. Il sole rispunta, la vita risplende, aiutiamoci a sperare”.

Gemma n° 1999

“Come gemma ho deciso di portare, in generale, tutti i testi che scrivo quando sento emozioni particolarmente forti, nel caso particolare quello che ho scritto il 13 febbraio per una situazione amorosa finita a inizio gennaio. Tutto quello che ho scritto sono cose che sento ancora solo che ho imparato a gestirle, a non manifestarle più in maniera così forte. Aggiungo che a questa ragazza sono stato tanto affezionato perché arrivata in un periodo di semi-depressione durato da agosto a dicembre, un periodo durante il quale sentivo di non avere molto. Scrivo sempre in inglese, in questo caso l’ho tradotto.
Solo per tornare sconosciuti
E’ tutto finito. Sono stato costretto a bloccarla così che non possa contattarla e così che lei non debba nemmeno preoccuparsi di ciò che faccio, anche se non le è mai interessato. Oggi ho pianto più di quanto io abbia mai fatto in tutta la mia vita. Ho sentito così tanto dolore e rabbia nei miei pensieri e nelle mie stesse parole e per la prima volta ho buttato fuori tutto ciò che sentivo, senza nessun tipo di filtro. Mi sono sentito nella maniera peggiore immaginabile ed è stato orribile. E’ stato orribile continuare a piangere senza potersi fermare, è stato orribile sentire il mio viso bagnato senza avere la facoltà di fare nulla, è stato orribile sentire il naso gocciolare, è stato orribile sentire quella nebbia tornare, è stato orribile vedere tutte le mie speranze ed i miei bei ricordi frantumarsi davanti ai miei occhi. Ho iniziato a piangere e a sentirmi arrabbiato con tutto. Ero così arrabbiato che a malapena mi rendevo conto di ciò che mi accadeva attorno. Non ero in grado di pensare. Volevo solamente colpire qualcosa con tutta la mia forza. Poi, quella rabbia si è trasformata in solitudine e ho riniziato a piangere.
So che non dovrei dare così tanta importanza alle persone, ma l’averla conosciuta mi ha salvato. Sono stato bloccato in quella nebbia per così tanto tempo, senza riuscire a capire dove andare o dove dirigermi. Improvvisamente è comparso questo raggio di sole che mi ha mostrato la strada corretta. Ero finalmente in grado di muovermi senza timore e senza paura di perdermi di nuovo. Mi ha accompagnato fino a dove la nebbia smetteva di essere così fitta e, una volta uscito, quella luce scomparve, come se avesse finito il suo dovere.
Non ho intenzione di perdermi di nuovo però, perché ormai sono fuori. Posso vedere più chiaramente dove andare, anche se non ne sono sicuro.
Quel raggio mi ha aiutato davvero tanto, e vederlo dissolvere così mi ha portato a spaesarmi.
Domani è San Valentino e non ho nessuno da amare stavolta. Per la prima volta, non sarò in grado di indirizzare tutto l’amore che voglio dare a qualcuno.
Sono però contento di poter uscire di casa lo stesso, così da poter assistere alle manifestazioni d’amore degli altri e poter percepire l’amore altrui.
Addio, J… Mi hai fatto soffrire così tanto che preferirei non pensarci, così da poterti ricordare in maniera positiva.
Eravamo sconosciuti che hanno iniziato a conoscersi, solo per tornare sconosciuti.”

E’ sempre molto difficile commentare gemme così ricche, quelle che lasciano me e una classe intera a cuore aperto. Non voglio aggiungere qui le mie parole al testo di G. (classe quarta), ho già detto qualcosa in classe. Mi sento di appoggiare una colonna sonora, una canzone di una cantante italiana non certo giovane, Patty Pravo. Al Festival di Sanremo di qualche anno fa ha presentato un brano che mi è entrato nell’anima e che appoggio qui. Il titolo è Cieli immensi.
“E ridere guardando il mondo con la felicità di quando il cielo è immenso
E mai dimenticare quel che ci ha fatto vivere
Ma tu chi sei?
Che cosa vuoi?
E come mai mi pensi?
Poi dirsi addio, oppure mai
Ma i cieli sono immensi”

Buona Pasqua

A Natale ho mandato alle mie classi  gli auguri partendo da come ci stavamo preparando in famiglia insieme a Mariasole. A Pasqua è un po’ diverso, è difficilino spiegare a una bimba di 2 anni che l’amico nato a Natale è diventato grande in 4 mesi, viene ucciso in croce e poi risorge. La Pimpa che vola da Nino il pinguino a bordo di un aquilone è obiettivamente più credibile ai suoi occhi. Quindi ciao ciao a Mariasole.

Qualcosa, però, ho desiderato scriverla lo stesso. Questa che i cristiani stanno vivendo è la settimana fulcro della loro fede, ma è anche il fulcro dell’esperienza di molte persone, anche non credenti. L’esperienza del dolore, del tradimento, della disperazione, della morte, della notte, della vicinanza, del conforto, dell’amicizia, dell’amore, della speranza, della luce. Nel vangelo di Giovanni si parla di una donna, Maria di Magdala, che, dopo la morte di Gesù, si reca al sepolcro. Il cuore è pesante, ha dovuto dire addio ad una persona amata, sente il cuore vuoto perché ha avvertito la speranza morire dentro di sé. E infatti si avvia “quando era ancora buio”. Non ci viene suggerita un’ora, non è un’indicazione temporale, ma è una condizione esistenziale. Maria è avvolta dal buio del dolore, della mancanza di riferimenti. Come quando può capitare a noi nel momento in cui ci sentiamo persi e non riusciamo ad accendere una luce per trovare la strada o quanto meno le indicazioni per rimetterci in carreggiata. Eppure lei va in una direzione, quella del sepolcro, quella del luogo in cui è stato posto Gesù, quella della morte. Arriva e trova la pietra che copre l’ingresso spostata. Torna indietro per avvisare i discepoli e con due di loro ripercorre il sentiero. I due entrano, lei no. Resta fuori, a piangere, convinta che qualcuno abbia rubato il cadavere, come ci conferma la risposta che dà ai due angeli che appaiono (soltanto a lei) mentre si china a guardare dentro il sepolcro. Mentre guarda al luogo della morte, non trova segni di speranza, traccia di luce: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Sono i momenti in cui ci succede di vedere tutto buio, in cui dolore si somma a dolore, in cui le certezze o le sicurezza che avevamo vacillano. Qui però, di Maria si dice che “Detto questo, si voltò indietro”. Lei smette di guardare verso il sepolcro, verso la morte, e si gira dall’altra parte. Il testo dice che vede Gesù, ma non lo riconosce, anzi, lo prende per il custode del giardino. Lui chiede: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Questo è un incontro che auguro a chiunque: quello con qualcuno che si ferma, ti guarda, riconosce il dolore e te ne chiede le ragioni. Qualcuno che si preoccupa davvero di te, tanto che riesce a comprendere che in realtà tu sei alla ricerca di qualcuno che dia il senso a quelle lacrime, che le deterga, che ti sollevi l’anima, ti prenda il cuore in mano e lo accarezzi. Maria esplicita il suo bisogno a colui che crede il custode: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Ridammi il fondamento della mia speranza, restituiscimi la base della mia fiducia, sembra gridare la donna, riportami ciò che mi è stato tolto. “Maria!” le dice Gesù. Lì, quando si sente chiamata per nome, lo riconosce. E il sepolcro, il luogo del buio e della morte, non ha più posto nel suo cuore perché ora la sua speranza ha un altro fondamento: la relazione con qualcuno che non se ne va, che è lì per te, ti chiama per nome, ti chiede il motivo del tormento e ti domanda che cosa tu stia realmente cercando. Il friulano David Maria Turoldo nei suoi Canti ultimi scriveva:

“No, credere a Pasqua non è
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!

Fede vera
è al venerdì santo
quando Tu non c’eri
lassù!

Quando non una eco
risponde
al tu alto grido

e a stento il Nulla
dà forma

alla tua assenza.”

Ecco l’incontro che auguro, per questa Pasqua a ciascuna e ciascuno di voi e ai vostri cari. Per i cristiani è l’incontro con il Risorto, per le persone credenti in altre religioni o non credenti è l’incontro con ciò e con chi dona loro speranza e luce che mai viene a mancare, anche quando pare non esserci, anche quando sembra tutto avvolto nell’oscurità.

Buona Pasqua.

Gemma n° 1980

“Tre settimane fa sono stata a Barcellona: il primo viaggio dopo due anni di pandemia. Prima di questo periodo ero abituata a viaggiare veramente tanto con mia mamma. Ho fatto anche dei viaggi da sola, a studiare inglese in Inghilterra, però la mamma mi ha sempre cresciuta con questa passione; due anni senza salire su un aereo sono stati devastanti. Per Barcellona siamo partite alle 7.00 e abbiamo visto l’alba sul mare; ora, già di mio, quando prendo un aereo piango, beh, lì, l’emozione dell’alba sul mare dall’aereo ha fatto sì che facessi un’ora di viaggio piangendo di felicità. Ho portato quest’esperienza perché mi ha segnato tanto dopo tutto questo tempo. La seconda foto è di Barcellona: sono stata veramente bene dopo tanto tempo. Viaggiare è sempre stato uno staccarsi dalla vita di tutti i giorni. Insomma, ero al settimo cielo”.

Ne ho viste di albe, in attesa di Mariasole le ho fotografate ogni giorno per mesi. Concordo con E. (classe quinta): quelle sul mare hanno un sapore speciale, è come se fossero doppie grazie al riflesso del sole sull’acqua. Uno degli aspetti affascinanti di quel momento è che quella luce, quel calore, quei colori arrivano dalla notte, dal buio. E ciò ce li fa gustare in modo particolare. Un’alba a mezzogiorno non avrebbe lo stesso sapore.

Gemma n° 1977

“Per me, ogni anno, è un sacco difficile portare una gemma perché non riesco mai a trovare qualcosa che davvero voglio condividere: ogni anno mi sforzo di trovare qualcosa anche se non lo considero una vera e propria gemma. Quest’estate mi è capitato di pensare a cosa avrei portato quest’anno e siccome ho passato davvero una bella estate, per la prima volta ero indecisa su quale gemma portare! Peccato che poi è arrivato settembre e ho perso quei pochi amici che avevo: di nuovo senza gemme. Mi sento tremendamente in colpa per quello che sto per tirare fuori dallo zaino perché col periodo che stiamo passando tutti in generale dovrei riuscire a trovare qualcosa di bello, però non c’è. Ho deciso di portare un cartoncino, non del mio colore preferito o di un colore qualsiasi, ma nero: il nero non è un colore e attira tutti gli altri colori. Mi sento un po’ come lui: ultimamente cerco di fare mio tutto quello che provano gli altri e provo io, sia i momenti belli che quelli brutti perché non ho niente in particolare o di significativo che voglio condividere. Quello che mi rappresenta di più in questo momento è che non c’è niente che mi rappresenti e quindi mi piace assorbire tutti gli altri colori, tutte le altre sensazioni e le emozioni degli altri”.

Solitamente, appena hanno concluso la presentazione della gemma, fotografo quello che hanno portato in classe per poi mettere la foto qui sul blog. Talvolta mi dimentico e allora mando una mail nel pomeriggio per farmi mandare l’immagine. Oggi avrei potuto fotografare un foglio nero che avevo in casa, eppure ho mandato comunque la mail ad A. (classe quarta). E questo è il suo foglio nero. Metterne un altro avrebbe significato parlare di un’altra persona. A proposito del nero, Wassily Kandinsky scrive: “È questo, esteriormente, il colore meno dotato di suono, sul quale perciò ogni altro colore, anche quello che ha il suono più debole, acquista un suono più forte e più preciso, a differenza di quanto avviene su un fondo bianco, su cui quasi tutti i colori perdono in intensità di suono e molti si dissolvono completamente, lasciandosi dietro un suono fioco, indebolito”. Auguro  ad A. e a tutti i colori neri che incontro ogni giorno che quei colori e quella luce che fanno propri consentano loro di far emergere tutti i suoni, anche quelli più deboli, anche quelli che altrimenti si dissolverebbero.

Gemma n° 1964

“Uso l’oggetto che ho portato come segnalibro. E’ una cordicella trovata da mio nonno su un albero il giorno in cui mia madre ha saputo di essere incinta di me: lui ha pensato che fosse un segno del destino, un po’ perché io sono la sua prima nipote femmina e un po’ perché lui aveva la mentalità di un bambino e credeva in queste cose. La mamma ha deciso di regalarmelo per i miei 15 anni: infatti per l’ultimo compleanno ho ricevuto una busta con dentro questo, una foto insieme al nonno e un biglietto che non ho portato perché ci sono scritte delle cose troppo personali. E’ l’unica cosa materiale che mi rimane di lui: non c’è più da quasi dieci anni, ho pochissimi ricordi, in particolare quando l’ho visto nella bara o nel letto d’ospedale e quando se n’è andato perché in quel momento mi teneva in braccio e gli stavo dando il gelato. Nel biglietto c’è scritto che mi vorrà sempre bene, che gli mancherò; mi dispiace non avergli detto che anche io gli volevo bene”.

Sabato notte ho terminato il libro di Gemma Calabresi Milite, la moglie di Luigi Calabresi, ucciso nel 1972 e mi sono annotato questa frase: “Viviamo non sapendo mai quando sarà l’ultima volta di qualcosa, gli addii si consumano nell’inconsapevole indifferenza, nei giorni uguali ai giorni”. Mi risuonano in mente subito dopo la gemma di M. (classe seconda). Mi consola pensare che il filo del dialogo non si spezzi (un po’ come quella cordicella), che il rapporto con chi non c’è più continui, e che quindi lo spazio del rimpianto si trasformi in luogo di consolazione e di ricordi cari e in luce di speranza. Il titolo del libro è poi emblematico: La crepa e la luce.

Gemma n° 1926

“Ho portato una lettera che ho scritto a Lorenzo Parelli, morto il 21 gennaio a causa di un incidente sul lavoro mentre faceva stage. Con lui ho fatto le elementari e le medie. Il giorno del funerale, a sera, quando sono tornata a casa ho scritto questa lettera.
Ciao Lore,
ci manchi già sai?
Oggi, 02/02/2022 ti abbiamo detto “arrivederci”. Appena sono arrivata e ho visto tutta quella folla di amici, parenti, conoscenti, il mio istinto è stato quello di cercarti; non so perché, ma ti ho cercato tra le persone e quando non ti ho trovato ho sentito un senso di vuoto che non so nemmeno spiegarti. È difficile da capire, ma fino ad oggi non avevo ancora realizzato che te ne saresti andato per sempre. Ad accompagnarti in chiesa c’era il rombo delle moto dei tuoi amici e  sono sicura che a guidarli c’eri tu, tanta la passione che avevi; una cosa te la devo dire: hai degli amici con la A maiuscola e mi rende felice sapere che eri circondato da persone buone e genuine come te. Hai lasciato vuoto un po’ il  cuore di tutti, tante persone che nemmeno conoscevi erano lì a salutarti per l’ultima volta, molti ragazzi hanno preso la tua storia come esempio protestando per la tua morte, per evitare che lassù vengano a farti compagnia altri giovani. Anche se io e te ci eravamo un po’ persi negli ultimi anni, ogni volta che ci incontravamo non mancavano mai le chiacchierate e le risate, sentirti tornare a casa con la moto ed esclamare “aje pariell!!” sorridendo.
Ecco sono queste le cose che mi mancheranno, le particolarità che ti caratterizzavano, le tue abitudini che erano un po’ le abitudini di tutti, le domeniche a sgasare con la moto insieme ai tuoi amici in quel di gonny. Hai unito tutti quanti oggi pomeriggio, stringendoci in un abbraccio ed un pianto di dolore puro, ma non serviva che ci facessi questo scherzo perché succedesse eh!!
Ho abbracciato la tua mamma quando ti abbiamo salutato in cimitero, mi ha riconosciuta e mi ha stretta a sé; l’ho stretta con tutta la forza che avevo, ma la debolezza dettata dal dolore ha prevalso.
I suoi occhi erano spenti, bui, persi perché quella luce te la sei portata lassù proprio tu. Nonostante volessimo consolarla, era lei a fare forza a noi, assicurandoci che tu ci avresti osservato da lassù e dicendoci che eri felice, di questo ne era sicura e proprio mentre lo diceva le si sono illuminati gli occhi per un istante, istante che non dimenticherò mai.
Tanti giornalisti hanno scritto molto su di te in questa settimana, ma nessuno di loro ti conosceva davvero; il tuo obiettivo era essere felice, finire scuola, cominciare a lavorare, divertirti e realizzare i tuoi sogni più grandi e questo non te lo potrà ridare indietro nessuno.
Come ha detto la tua famiglia durante l’omelia: “Lore, tu che ci guidavi verso sentieri sperduti, guidaci ora nel buio che ci hai lasciato affinché non ci perdiamo nel dolore della tua perdita”, anch’io ti chiedo di proteggerci da lassù e stampare un sorriso su di noi ogni volta che ti ricorderemo, proprio come stai facendo adesso mentre ti scrivo questa lettera.
Ti voglio bene, G.
La foto riporta due emoji perché la famiglia ha consegnato a noi ragazzi un foglietto dove c’era scritto che Lorenzo si manifesterà secondo loro attraverso un fiore o una foglia.”

Queste le parole di G. (classe quinta). Penso che non ci sia un dolore più grande di quello di sopravvivere ad un figlio, in particolare quando ciò avviene in giovane età. Credo che sia fuori dalla comprensione umana, fuori dalle logiche, dai pensieri, dalle aspettative. E’ una vita che si spezza e che spezza con sé altre vite, perché nulla può essere più come prima. E’ un punto di rottura e penso che ci voglia molto tempo prima di raggiungere, se mai sia possibile farlo, un nuovo punto di equilibrio. Nuovo, perché quello di prima non si può ricreare.