Gemma n° 2512

“Alla mia G.
come Meredith e Cristina siamo legate da un’intesa profonda, forgiata attraverso i momenti brutti e i trionfi che abbiamo condiviso. Ricordo le notti senza sonno, quando il peso del mondo sembrava troppo da sopportare, ma tu eri lì, con la tua presenza rassicurante, come un porto sicuro in mezzo alla tempesta.

Come Rachel e Monica, abbiamo riso insieme, pianto insieme e attraversato ogni altalena emotiva che la vita ci ha lanciato addosso. I nostri momenti di gioia sono incisi nella mia memoria come pagine di un libro, scritte con amore e complicità.

E proprio come Blair e Serena, abbiamo attraversato periodi di distanza e di riavvicinamento, ma alla fine siamo sempre tornate l’una verso l’altra, più forti e più unite di prima. Abbiamo condiviso segreti, sogni e aspirazioni, creando un legame che nessun’altra potrà mai comprendere completamente.


Le risate che quasi ci facevano soffocare e i pianti fatti mentre ci stringevamo in un abbraccio.
Ogni momento trascorso insieme è un tesoro prezioso che tengo nel mio cuore, un riflesso della bellezza e della forza della nostra amicizia, che possiamo continuare a coltivare insieme, mano nella mano, affrontando tutto ciò che il destino ha in serbo per noi, sapendo che una accanto all’altra, non c’è niente che non si possa superare.
Non sono una persona che riesce facilmente a dimostrare affetto e magari non lo dico spesso come dovrei ma grazie per essere la mia migliore amica, la mia persona e la mia compagna di avventure in questo viaggio chiamato vita” (S. classe quarta).

Gemma n° 2511

“Amore, amore, amore, amore, amore A M O R E, ma in fin dei conti cos’è l’amore?
L’amore sono le farfalle nello stomaco? La montagna russa di emozioni quando vedi la persona che ti piace? La gioia di incrociare quel determinato sguardo?
Io non so definire l’amore, l’amore è tutto e niente. Una cosa così bella, così primordiale, così perfettamente imperfetta non si può definire secondo me.
L’amore credo sia la cosa più pura che l’essere umano possa provare sulla sua pelle.
Amare qualcuno. Dedicargli il proprio tempo, le proprie attenzioni, scoprire le nostre insicurezze, lasciarsi guardare dentro.
Non tutti sono in grado di amare, perché non tutti hanno la forza di farsi guardare dentro.
Per amare ci vuole coraggio, e prima di amare qualcun altro dobbiamo amare noi stessi. Dobbiamo tentare di amare tutto di noi, anche i demoni nascosti, solo la nostra facciata di finta perfezione. Nel mondo c’è talmente tanta apparenza che anche la realtà sembra quasi distorta, ma noi dobbiamo essere bravi ad amare quella realtà ingenua.
Amarsi.
Nel periodo adolescenziale tra l’altro, io credo che sia così difficile amare se stessi, c’è chi non ci riesce nemmeno dopo una vita.
Il 2023 è stato un anno movimentato, fino a giugno per me andava abbastanza bene, ero innamorata persa di un ragazzo che ha saputo amare me per come realmente sono.
Mi ha amata con tutte le mie paranoie, le mie insicurezze, le mie ansie, i miei problemi, mi amava e basta come io amavo lui.
Amavo i suoi occhi, il sorriso, le braccia che mi facevano sentire a casa, al sicuro, protetta.
Amavo il suo carattere, molto affine al mio, amavo il modo in cui pronunciava il mio nome, amavo lo sguardo pieno di amore e denso di una tale dolcezza.
Non ho mai amato nessuno così. Non so se amerò ancora così, il che mi spaventa, perché so di aver amato con l’anima.
Purtroppo la relazione finì. Lui mi ha insegnato che oltre ad amare incondizionatamente gli altri devo amare altrettanto me stessa. Che amarsi è giusto e bisogna farlo.
Nonostante tutto il dolore che lui mi ha fatto provare alla fine della relazione, e per tutti i mesi successivi, mi ha veramente dimostrato che l’amore esiste.
Ci sono persone che ti sanno guardare nell’anima così a fondo che potrebbero navigarci dentro, e lui sapeva farlo, sapeva capirmi, gli bastava uno sguardo e io scioglievo tutte le mie difese.
Lui è stato il mio primo amore, forse il mio grande amore, non lo so; so solo che ci siamo amati.
Nella mia anima porterò sempre il ricordo di quei mesi insieme, le prime esperienze, custodirò tutto gelosamente nella memoria e nel cuore.
L’amore però non è solo questo, tutti nella loro vita hanno incontrato o incontreranno l’amore.
L’amore per me è mia zia che anche in fin di vita, mi ha sempre dato un motivo per sorridere, mi ha sempre dato forza.
L’amore è la voglia di vivere che lei aveva, tutte le lezioni che mi ha insegnato e tutti i bellissimi ricordi che ho con lei. Mia zia era una persona meravigliosa, che purtroppo se n’è andata a causa di una brutta malattia.
Io la ricordo con il sorriso, ricordo la sua risata così tanto contagiosa, ricordo le sue frasi che mi scaldavano il cuore.
Mi ricordo la sua grande sensibilità, la grande emotività che aveva, la gioia che sapeva portare in ogni singola stanza appena entrava.
L’amore è mia zia che durante una camminata mi dice di cercare di essere sempre felice nella mia vita, ed è un insegnamento che spero tutti quanti possano ricevere.
La vita bisogna godersela perché non si sa mai quando può finire, bisogna viverla a pieno sempre e comunque.
La vita non è brutta, ci sono momenti più difficili, ma bisogna saper trovare il bello in tutto.
Questo mi ha insegnato lei, vivere, anzi vivere di amore.
Mi ha insegnato che l’amore è così tanto forte che va oltre a tutto quanto, e che l’amore si può ritrovare ovunque in qualunque momento, e che amore è anche amicizia.
L’amicizia per me è una forma di amore.
Quando si è amici si è complici, con uno sguardo ci si capisce, in una amicizia si può trovare un’anima così tanto affine a noi che possiamo definirla gemella.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di trovare dei veri amici, e li ringrazio ogni giorno di più.
Personalmente ho difficoltà a fidarmi, a mostrare la mia anima, ma quando incontro un vero amico, so che posso farlo e che lui/lei può farlo con me.
Tra i banchi di scuola ho incontrato delle persone che per me sono speciali.
E. é una delle persone a cui tengo di più, abbiamo un’amicizia particolare, ma bellissima.
In prima mi ricordo che non mi stava così simpatica, poi con il passare del tempo ho capito quanto lei fosse speciale.
Entrambe abbiamo il nostro caratterino, ma se lei non ci fosse le mie giornate sarebbero più grigie.
Parlando con lei, mi ha detto che nell’amicizia c’è amore: è lei che ne dà molto, si prende cura di me quando ne ho bisogno, mi asciuga le lacrime quando piango, e la stessa cosa faccio io per lei, difatti sono grata di avere lei come amica.
La mia gemma dunque è questa, sono le persone che porto nel cuore, che io amo, i veri amici o gli amori, persone che comunque mi hanno cambiata e anche influenzata nel corso del tempo.”
(G. classe quarta).

Gemma n° 2510

“Questa è l’ultima gemma e questo mi dispiace molto in quanto pensare che l’anno prossimo non avrò più un momento così bello, intimo e profondo mi rattrista parecchio e quindi voglio subito lasciare un messaggio a chi leggerà questa gemma: godetevi ogni anno questo momento e portate veramente qualcosa di significativo per voi perché è veramente un bel momento, non sprecatelo.
Questa gemma è iniziata molto tempo fa, l’ho iniziata a scrivere a luglio del 2023, prima del concerto di Blanco del 20 luglio, poi l’ho lasciata in sospeso per un po’, l’ho ripresa a scrivere verso fine agosto e poi l’ho conclusa pochi giorni prima di presentarla in classe.
I temi erano vari e non sapevo di cosa parlare, se della mia famiglia, se dell’amore e dell’amicizia, se del valore della vita o dei problemi di essa… alla fine ho deciso di parlare un po’ di me stesso con l’intento di lasciarvi un messaggio e ho deciso di portare 2 canzoni, con la speranza attraverso questa gemma di lasciare un messaggio almeno a qualcuno e di far riflettere.
La prima si intitola Mezz’ora di sole di Blanco e riporterò qua di seguito una parte del testo, non tutto, che poi commenterò.

“Mi sento rinato
Sono figlio del tempo
Sono in quel parco, nel 2018
Sporco di fango, mi volevo ammazzare”
Mi sento rinato nel senso che in questo percorso delle superiori mi sento cresciuto e maturato e mi reputo una persona migliore, soprattutto rispetto al 2018 che Blanco cita, anno in cui i miei genitori si sono lasciati ed è stato un periodo veramente brutto per me, in cui ho pensato veramente di volermi ammazzare in quanto ero piccolo e pensavo di essere io il problema. Alla fine però questa separazione è servita in quanto ora sia i miei genitori che io stiamo bene. Inoltre Blanco si definisce figlio del tempo, e in un certo senso anche io. C’è un aspetto positivo ossia il fatto che mi lascio trasportare dal tempo e mi vivo la vita così come va (Blanco in una sua canzone dice “Vada come vada, la vita è un’autostrada”), invece l’aspetto negativo è che il tempo scorre e non me ne rendo conto. Questo lasciar trascorrere ti porta sempre a non preoccuparti, a dire che c’è tempo, che sono giovane e ho una vita davanti (grande cazzata). La vita è molto breve e non si può sempre rimandare e lasciarsi trasportare.
“E ti porto con me
Dove il cielo si fa buio
Dove BLANCO è poi cresciuto
Dove tutto è maledetto, eh, eh
E ti porto con me
Perché ho paura da solo
Perché violenti il mio sfogo
Però ne ho troppo bisogno, oh”
Questo pezzo di canzone è dedicato alla gemma, nel senso che attraverso essa vi porto con me, nella mia parte più intima e personale “dove il cielo si fa buio e dove sono cresciuto” e inoltre la gemma “violenta il mio sfogo” anche se poi mi rendo conto che forse esporre questi problemi non serve a nulla se non a sfogarmi, serve appunto a liberarmi per quella “mezz’ora” in classe però poi una volta finito tutto devo fare i conti con me stesso e rendermi conto che questi problemi ci sono ancora.
“Dammi mezz’ora di sole
A peso morto nel mare, tra le, tra le onde
Mezz’ora di sole, chiuso in questa prigione
Da-dammi libertà, ah”
Questa canzone è una richiesta di libertà, che io al momento, nonostante sia maggiorenne e dunque certe scelte possa compierle da solo, non mi sento di avere; non mi sento libero da me stesso e dalle scelte che faccio e dunque mi sento chiuso come in una prigione.
“Ho toccato il fondale
Senza mai respirare
Strillando in labiale mentre andavo giù
Fanculo a questo dolore
La gente non lo capisce”
Questo ultimo pezzo della canzone invece è sempre collegato all’episodio che ho raccontato all’inizio, ed è vero che la gente non capisce ancora il dolore che ho provato e quanto io “abbia toccato il fondale” più volte nel corso della mia vita, ma questo è anche dovuto al fatto che sono una persona molto riservata, che non condivide molto della sua vita e mi faccio conoscere veramente solo da poche persone.
Infine trovo il video della canzone molto simbolico in quanto vedo il faro del video come una prigione, da dove lui è scappato per avere solo mezz’ora di sole, per sentirsi un momento libero, però poi ci rendiamo conto che non si può scappare dai nostri problemi e bisogna affrontarli e risolverli e dunque verso la fine del video torna verso la prigione per probabilmente chiudere i conti con se stesso e con il passato.

Poi ho deciso di portare una seconda canzone che si intitola Essere me ed è di Villabanks e Tananai.

Prima di analizzare parte del testo (non tutto)  ci tenevo solo a dire che per me questa canzone è qualcosa di veramente speciale e profondo, con un testo molto bello e maturo che fa riflettere e piangere.
“Perché stare qua mi chiedevo a cosa serve
Sicuramente a un cazzo se scordo le cose belle”
Spesso tendiamo a trascurare i momenti belli della vita, soprattutto quando abbiamo dei momenti no, ma è proprio in quei momenti che dobbiamo avere la forza, in mezzo a tutto quel nero, di tirare fuori le cose belle che ci circondano per uscirne fuori e stare meglio. Credo che i momenti no ci servano a crescere e a maturare come persone, però non si può sempre stare male e come dice Villa, non serve a nulla chiedersi a cosa serve la vita se ci dimentichiamo il vero valore di essa e le cose belle.
“Ho dato un senso alla mia vita, miro a qualcosa d’eterno
Me ne fotto d’avere un Range Rover
E spero mi capisca almeno la mia generazione
Credo lo vogliano anche loro un mondo migliore
E se lo creano con ogni singola azione
Molti sono persi
È facile farsi tentare dal male”
Questa parte di testo forse è un po’ scollegata dal resto della canzone e dal suo significato principale e anche dal tema un po’ variegato che io vorrei portare con questa gemma, però come ho detto all’inizio, mi sento di dover dare un messaggio alla mia generazione e vorrei dirvi di costruirvi da soli il vostro futuro, con le vostre mani, anche se cadrete e vi farete male, alzatevi e andate avanti mirando a qualcosa che possa durare in eterno, lo so che è difficile. Createvi il vostro mondo con ogni singola azione e non fatevi tentare da ciò che vi potrebbe allontanare dal vostro obiettivo principale. Infine mirate a qualcosa di veramente significativo e non a un semplice “Range Rover” che è qualcosa di effimero, che non vi serve, ed è solo uno strumento per apparire e per farvi vedere, ma così farete vedere quello che non siete veramente, farete vedere la vostra maschera e non il vostro “io interiore”.
“Quando ero piccolo non sapevi chi ero
Perso nel sentiero perché in fondo anch’io non lo sapevo
Non mi sono permesso di essere fragile, vulnerabile
Di essere me”
Spesso quando siamo piccoli siamo immaturi e non ci rendiamo conto di chi eravamo. Io a 14 anni ero perso nel sentiero e ora che ci ripenso mi sentivo piccolo, non capivo molte cose. Però allo stesso tempo sono stato sempre me stesso, nonostante tutto, sia per le cose giuste che per quelle sbagliate.
“Non cercarti mai dentro gli occhi che
Che non sono i tuoi, non cercarti in me
Ci vedremo poi dentro ville che
Sognavamo che avremmo avuto da grandi
E so che ce le avremo (te lo giuro)
Quelle certezze che avrebbero reso la vita più facile
Meno piena di domande (perché?)Un giorno ce ne andremo (lontano)
E lasceremo dietro solo tante pagine
Di testi che fan piangere (no)
Ringrazio il cielo (il cielo)
Che fai parte della mia esistenza
Non so stare in tua assenza
Anche se in fondo è quello il senso
Dare tutto, tutto se stesso”
Questa è la parte finale della canzone ed è anche quella più triste, più malinconica, che fa piangere.
Parte dicendo che non bisogna mai cercarsi dentro gli occhi degli altri, perché sì, nella vita non si può stare soli ed è vero, abbiamo bisogno per forza di qualcuno al nostro fianco, che sia un amico o fidanzato… ma bisogna sempre avere le spalle larghe perché nella vita ho imparato che non si sa mai… e i miei genitori ne sono stati la prova… alla fine non esiste un per sempre e quindi non bisogna mai fare affidamento sugli altri al 100%, ma bisogna anche imparare ad essere forti da soli ove dovesse andare male e ci dovessimo ritrovare a rialzarci da soli senza nessuno. Infine credo che le ultime frasi non abbiano bisogno di spiegazione… la vita non è sempre facile e a tutti farebbe comodo avere quelle certezze soprattutto sul futuro che ci renderebbero tutto più facile, però la vita è una sfida e va vissuta e ci sono momenti sì e momenti no.
Per concludere volevo ringraziare il prof. Del Mondo per avermi dato durante questi 5 anni l’opportunità di aprirmi in questa maniera così profonda con la classe e con “gli altri” che leggono.
Porterò sempre con me questo bel ricordo della gemma che mi ha fatto in un certo senso riflettere molto su vari aspetti della vita e di me stesso e posso dire di essere cresciuto anche grazie ad essa”.
(G. classe quinta).

Camminare sull’abisso, oltre il sepolcro

Antonio De Paoli, Eros e thanatos (qui)

Ho letto, sul nuovo numero di Rocca (n. 7 del 1 aprile 2024) un articolo molto bello e interessante di Selene Zorzi dal titolo La morte come buco nero. Vengono trattati argomenti di teologia e di scienze, di morte, amore e di buchi neri e bianchi. Vengono citati Carlo Rovelli, Shelly Rambo e Hans Urs von Balthasar. Attenzione, però, non ha niente a che vedere con l’ambito delle dimostrazioni scientifiche. “Possiamo usare le parole della scienza in analogia…”: sono esplicite le parole della teologa. E molto affascinanti: “Il filo dell’amore non si spezza al bordo della realtà, anzi accade che mentre procediamo in quel tempo e spazio deformati nel trauma del dolore, ha luogo una trasformazione. Ci accorgiamo che lo stiamo costeggiando quel bordo, poi ci ritroviamo a camminare accanto ad esso, infine ci accorgiamo di aver camminato sull’abisso e di aver ripreso a vivere”. Buona lettura. La fonte è qui.

“La teologia è fede che vuole comprendersi e dirsi con le parole, i concetti e le conoscenze del proprio tempo, per parlare ai contemporanei e per – come si dice nella prima lezione di teologia – rendere ragione della fede (cfr. 1Pt 3,15: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi»).
Cosa può dire la fisica quantistica alla teologia? Può forse offrire un linguaggio o delle metafore per poter parlare alla fede? In un entusiasmante testo, il fisico teorico e divulgatore scientifico Carlo Rovelli, nel suo recente libro Buchi bianchi parla dello spazio come granulare, come una rete, dicendo che la struttura profonda della stessa materia dell’universo è fatta di relazione. Non è in fondo ciò che intende dire la Bibbia quando dice che l’essere umano è «ad immagine» di Dio (Gn 1,26) e che siccome il Logos è costitutivamente pros ton theon, rivolto verso il seno del Padre (Gv 1,1;18) l’essere «presso» è il costitutivo creaturale, infatti tutto è fatto «in vista di lui» (Col 1,16).
Scienza e fede sono due discipline autonome ma anche intrecciate nei loro contenuti e nelle loro dinamiche.
Se consideriamo il buco nero come l’orizzonte dell’esistenza oltre il quale nessuno riesce a guardare e dal quale «nessuno è tornato mai a raccontare» (Buchi bianchi p. 47) esso può ben essere una metafora di quello che la teologia cristiana prova a dire sulla morte. Rovelli lavora «sull’ipotesi che i buchi neri si possano trasformare in bianchi» (p.17).
La fisica dell’infinitamente piccolo, la fisica quantistica, ci dice che la tessitura del mondo, la realtà è una rete tessuta all’interno di una relazione; che «la struttura profonda della materia è granulare» (p. 68), dunque non si spezza perché il suo fondamento è la relazione.
Immaginando quindi una massa che cada in un buco nero essa si condenserà sempre. Secondo Rovelli tuttavia questa caduta non sarà infinita. Perché lo spazio che è fatto di questa materia relazionale non si può spezzare.

La relazione come struttura del tutto
Anche la prospettiva cristiana afferma che la struttura profonda del tutto è relazionale; la Scrittura lo dice affermando che siamo fatti «ad immagine di Dio» (Gn 1,26) che questo Dio è relazione in se stesso (Trinità). Quando diciamo che «Dio è amore» (1 Gv 4,16) intendiamo dire questo.
Propongo quindi un’interpretazione della Risurrezione secondo il paradigma della testimonianza: un modello diverso da quello che abbiamo imparato a vedere nelle figurine dei catechismi.
Non si tratta cioè di seguire il modello trionfalistico della risurrezione, che contrappone la vita alla morte, che salta direttamente dalla crocifissione alla risurrezione, dal Venerdì Santo alla Domenica, che vedrebbe un Gesù risorgere in carne e ossa «più bello che pria», con la bandierina in mano, salire folgorante e vittorioso verso il cielo. Questo modello non prende sul serio né il dolore, né la morte, né i nostri traumi.
Ripropongo la lettura dalla teologa femminista Shelly Rambo, in Quel che resta del dolore. Il trauma e la testimonianza dello Spirito (Ed. San Paolo, 2013).
Il fisico ipotizza che la materia assorbita dal buco nero, cadendo dentro questo campo, dove spazio e tempo sono deformati, entrerebbe in una sorta di imbuto che tuttavia non è infinito: in fondo c’è ancora qualcosa e questo qualcosa è la rete granulare dello spazio che non si spezza e che forse potrebbe trasformarsi in un buco bianco. Secondo la fisica quantistica la materia presenta una tessitura profonda, come una rete granulosa che non può bucarsi (p. 68)?
La Tradizione cristiana parla della Discesa agli inferi di Cristo (1Pt 3,19), e l’arte ha dipinto questa discesa al fondo della morte dove Cristo ha ritrovato Adamo che era caduto nel vuoto e con esso ha liberato tutti, proprio tutti (Adam è l’umanità), dalla morsa della morte, risalendo alla vita. La liturgia parla di un amore divino che non ha potuto abbandonare Cristo nel sonno della morte (cfr. Sal 15).

Il vuoto del Sabato santo
Il teologo H. U. v. Balthasar parlava del Subabbraccio dell’amore di Dio nel vuoto del Sabato santo. Tra il Venerdì di passione e la domenica della vita c’è, infatti, un interim del Sabato santo, un luogo strano dove c’è ancora la morte, non c’è la vita risorta ma resta ancora l’amore.
Per il credente è lo Spirito, il tra dell’amore divino, che delicatamente vibra sul caos (come all’inizio della creazione, Gn 1,1), che si esprime nel linguaggio balbettato (i gemiti inesprimibili dello Spirito, Rm 8,26) perché quando la vita va a finire in un buco nero, la vita di chi rimane sul bordo è una vita costantemente segnata dall’esperienza della morte. Questa continua sofferenza di una vita che continua dopo una morte, è l’enigma del trauma (cfr. S. Rambo).
Nel trauma la morte persiste nella vita; vita e morte non hanno più confini precisi così come spazio e tempo sono deformati. Il tempo del lutto è un tempo che si riferisce a chi è fuori. Dentro non c’è tempo lineare.
Chi ama oscilla continuamente tra le fratture della vita, resistendo agli strappi. Così al fondo della morte, resta l’eros, il legame dell’amore, la relazione alla persona amata.
La struttura profonda dell’esistenza è la relazione.
Ecco perché abbiamo bisogno della testimonianza di Maria Maddalena, ecco perché lei è la prima. Maria resta al bordo del sepolcro dimora nell’amore, senza comprendere, né vedere bene (Gv 20,11), ma rivolgendosi a quell’intimità della relazione con Gesù che, sebbene sia stato inghiottito dal buco nero della morte, non sarà assorbita all’infinito nel nulla. Quella relazione resta (Gv 20,16). La morte non può assorbire l’amore (non più come diceva il Primo Testamento: «forte come la morte è l’amore», Ct 2,8): così anche al bordo della vita può continuare la relazione con Colui che è stato per lei il senso della sua vita. Il filo dell’amore non si spezza al bordo della realtà, anzi accade che mentre procediamo in quel tempo e spazio deformati nel trauma del dolore, ha luogo una trasformazione.
Ci accorgiamo che lo stiamo costeggiando quel bordo, poi ci ritroviamo a camminare accanto ad esso, infine ci accorgiamo di aver camminato sull’abisso e di aver ripreso a vivere. Perché lo Spirito cova sull’abisso (Gn 1,2). Certo è un amore debole, un filo, come il «mormorio di un soffio leggero» (1Re 19,12): in fondo abbiamo semplicemente continuato a respirare nonostante il dolore.
La Ruah mantiene il ponte dell’amore nel suo punto più fragile e ci rende capaci di rimanere (menein Gv 15), di persistere; non di trionfare o di conquistare. Tra morte e vita persiste lo Spirito Paracleto, promesso da Gesù come continua presenza di Dio con i discepoli, nell’assenza fisica di Gesù. Essi stessi ora dovranno essere il luogo della nuova forma di vita in cui Dio verrà ad abitare: rimanete nel mio amore (Gv 15,9); «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Dice Rambo che tutta la forza dello Spirito sta nella capacità di farci immaginare una vita quando non la si riesce più a concepire. Una vita riconcepita attraverso, dentro la tempesta stessa.
Tornando al nostro fisico teorico: «la struttura quantistica dello spazio del tempo impedisce alla materia di schiacciarsi ulteriormente. È diventata una stella di Planck, che rimbalza e inizia ad esplodere» (p. 126).

Il buco bianco della Risurrezione
Il buco bianco della Risurrezione «potrebbe essere – cito il fisico – come un pezzettino di capello che fluttua» (p. 129) e siccome «non interagisce con la luce, non la si vede». Eppure ciò che non vediamo potrebbe essere costituito da «miliardi e miliardi di questi delicati piccoli buchi bianchi che ribaltano il tempo dei buchi neri ma non troppo e fluttuano lievi nell’universo come libellule» (p. 130).
La struttura quantistica dello spazio e del tempo impedisce lo schiacciarsi ulteriormente dell’amore nel nulla da cui Dio mantiene permanentemente in essere l’universo.
La trasformazione da morte a vita non può essere semplicemente vista. Nessuno vide l’ora della tua Risurrezione.
Forse la nostra vita è piena di tanti fili di Resurrezione che non vediamo. Il credente sa che la struttura stessa della vita è relazione: è relazione il Dio trinitario, è relazione la creazione, è relazione quel restare amoroso al bordo della morte. Questa relazione amorosa che resta come un sottile alito di vita è il Tra del Padre e del Figlio, è l’alito dello Spirito, che in ebraico è femminile. È il debole amore che resta nei traumi di quando perdiamo qualcuno che amiamo e che è finito oltre l’orizzonte.
Questo «restare attaccati all’inferno» (come diceva Serafino di Sarov) può diventare una spinta che spinge verso la vita. Insomma, che l’universo sia prodotto da un Big Bang o da un rimbalzo cosmico come un Big Bounce poco importa: possiamo usare le parole della scienza in analogia per dire come in Cristo, l’uomo che ha amato fino in fondo, la creatura che ha accolto totalmente le potenzialità offerte da Dio realizzandole fin nelle estreme possibilità umane e facendo della sua stessa esistenza l’apertura totale a questa relazione e a questo amore, entrando nel buco nero della morte ha ribaltato il tempo. Ecco perché diciamo che «Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre» (Eb 13,8). Ecco perché il credente non torna indietro a celebrare un sepolcro ma è sospinto verso la vita («va’ dai miei fratelli», Gv 20,17).”

Gemma n° 2494

“A inizio anno mi è stato dato il compito di presentare una gemma e da quel momento mi sono chiesta in continuazione cosa portare. Mi sono concentrata su tutti gli oggetti a cui sono affezionata, alle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, a tutti i momenti che sono rimasti indelebili nella mia mente e nel mio cuore e a tutte le persone che amo. Cercavo in continuazione un qualcosa di complicato, ma mi sono resa conto che “l’essenziale è veramente invisibile agli occhi”. 
Per questa gemma ho scelto di portare mia mamma. Inizialmente mi è apparso un pensiero banale, ma ripensandoci non lo è affatto. Forse l’età mi ha portato ad apprezzarla di più, o meglio, a comprenderla di più. Nonostante io sia la sorella maggiore, quindi ricopro quasi il ruolo di seconda mamma in casa, non riuscirò mai ad essere come lei. Mia madre è la donna più forte che io conosca, non lo dico solo perché ho un amore incondizionato nei suoi confronti, ma anche perché ha avuto modo di dimostrarmelo durante tutti questi anni. Nonostante le immense imprese e ostacoli che il destino ha voluto imporre nel suo cammino, lei ha sempre avuto il coraggio di trovare la forza per lottare per noi e con noi. È riuscita ad affrontare una delle malattie più temute dalle donne, ma nonostante ciò non ci ha mai private della sua presenza. Sì è vero, ha, a volte, un carattere abbastanza irruento, su molte cose siamo in disaccordo, ma non smetterò mai di cercare il suo sguardo per una rassicurazione, per sentire quell’amore che solo una madre può dare. Sono sempre stata una persona a cui non piacciono molto le smancerie, preferisco dimostrare ad azioni, a fatti i miei sentimenti, ma ho anche capito, in questi ultimi anni, che la vita è troppo breve per non pronunciare quel “ti voglio bene mamma”. Ho iniziato a piccoli passi a riaprirmi nel mondo dei sentimenti.
Penso che a tutti sia capitato di trovarsi in una situazione in cui l’unico pensiero fosse quello di essere tra le braccia della propria madre per riuscire a dimenticare ciò che è successo e di sentirsi nuovamente al sicuro. Questa è l’importanza della mamma. Dico spesso che starei benissimo senza di lei, che sono abbastanza grande per affrontare la mia vita da sola, ma nel fondo della mia coscienza sono perfettamente consapevole che tutto questo non è vero.
Non vorrei sembrare banale a questo punto, ma quando dico che mia madre è il mio punto di riferimento lo intendo davvero. Ho sempre sperato e sognato di essere come lei, di avere il suo carattere e di riuscire a farmi rispettare in ogni circostanza, di avere la sua tenacia e la sua testardaggine, anche se a volte è un po’ fastidiosa. Ho capito che tutte le litigate con lei non sono tempo perso, anzi, mi hanno aiutata a crescere.
In questi anni io e lei siamo cresciute insieme e siamo diventate amiche, un tipo di amica che tutti dovrebbero avere nella loro vita. Lei non giudicherà mai, mi sosterrà sempre anche negli errori, ma spiegando gli sbagli e donandomi i consigli giusti per rialzarmi. È un’amica che non ha alcuna invidia nei miei confronti, spera solo che io non commetta i suoi stessi errori e che, anzi, abbia una vita migliore della sua. Le mie lacrime da lei sono sempre state asciugate e facendomi sentire avvolta dalle sue calde braccia sono riuscita a percepire quella rassicurazione che ormai non sento da tempo. La mamma rimarrà sempre la mamma ed è per questo che a lei dedico questa gemma, per ricordarmi quanto lei sia fantastica e anche per ricordarmi di quanto io sia fortunata ad averla al mio fianco.
Ti amo mamma.”
(J. classe quarta).

Gemma n° 2493

“Il 13 Giugno 2023 mi viene detto che sono stata bocciata.
Ovviamente non è stato un fulmine a ciel sereno, lo sapevo da un po’ che sarebbe andata così, ma ciò non significa che l’abbia presa bene. Mi ricordo perfettamente com’è andata: c’era un sole caldo e splendente e facevo l’animatrice al centro estivo, una delle mie attività preferite.
Avevo la squadra blu, composta da bambini dai 6 agli 8 anni.
Quel giorno S., che nonostante i suoi 7 anni aveva una vita troppo travagliata, mi disse: “Maestra S., sei diventata la mia maestra preferita!”.
G., G. e C., di 9 anni e appassionate di ginnastica artistica, mi chiesero di guardarle mentre facevano un balletto che avevano creato da sole.
G., 8 anni e con una gamba rotta mentre andava in bici, si sedette accanto a me e mi raccontò tutto quello che sapeva sugli antichi egizi.
M., 18 anni e la mia migliore amica da 5, mi chiese di andare a mangiare al Mc.
D., 19 anni e il mio posto di pace, mi disse che amava il mio sorriso.
Era una giornata perfetta.
Mentre salutavo i genitori che venivano a prendere i loro figli, vidi la macchina dei miei avvicinarsi, cosa strana considerando che tornavo a casa sempre da sola.
Forse dovevano passare di lì e avevano pensato di venirmi a prendere?
Salii in macchina e mio padre mi chiese com’era andata, ma prima che potessi rispondere, mia madre disse: “Ha chiamato la prof, quest’anno rimani in quarta”. Dissi solo “Vabbè, tanto lo sapevamo tutti”.
Entrai a casa e non ebbi neanche il tempo di spogliarmi per fare la doccia che scoppiai a piangere. Un pianto estremamente esagerato per essere una notizia che già sapevo sarebbe arrivata.
Ma non ero triste per il fatto di dover ripetere l’anno, ero triste perché avevo preso coscienza che sarei rimasta un anno indietro, che non sarei più stata nella classe migliore che mi sia mai capitata. Non avrei più sentito le interrogazioni assurdamente divertenti di Cod, non avrei più riso con Terra ricordando la nostra esperienza come compagne di stanza, non avrei mai più detto “buongiorno raggi di sole!” appena entrata in classe.
Era come se avessi perso parte di me stessa.
Ora, so perfettamente che ci sono cose ben peggiori nella vita, ma il dolore che sentivo era una miscela di nostalgia, di paura e di incertezza per il futuro. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato l’anno successivo, se sarei riuscita a mantenere i legami con i miei ex compagni, se avrei trovato di nuovo il mio posto di pace.
Il pianto che mi aveva travolto era il risultato di tutte queste emozioni riversate in un momento preciso, quando la realtà di ciò che stava accadendo si era manifestata in tutta la sua crudele semplicità. Avrei dovuto affrontare una nuova classe, nuovi insegnanti, una nuova dinamica che non avrei potuto predire.
Così, la doccia che avrebbe dovuto lavare via la fatica della giornata, fu invece un momento di confronto con me stessa, con i miei timori e con la consapevolezza che il mio mondo stava cambiando, anche se non ero del tutto pronta ad accettarlo.
Ora sono in una nuova classe, ho nuovi amici e sono riuscita a mantenere i rapporti a cui tengo di più, quindi direi che non sta andando così male come pensavo.
Certo, a volte il senso di nostalgia e tristezza mi travolge e mi porta giù, ma sto imparando a tornare in superficie sempre più velocemente.
Ho deciso di non scrivere un finale a questo testo perché non so cosa mi riserverà il futuro e non so se sarò pronta ad accettarlo, ma so per certo che porterò per sempre nel mio cuore i miei raggi di sole.”
(S. classe quarta).

Gemma n° 2480

“Quest’anno ero veramente indecisa sulla gemma da portare perché l’anno scorso per me è stato una giostra di emozioni.
Per quanto riguarda l’anno scolastico è stato probabilmente il peggiore: avevo totalmente perso me stessa, non mi riconoscevo più, mi ero totalmente dissociata da tutto e da tutti, mi sono autodistrutta; ho vissuto quello che definisco il periodo più buio della mia vita, durante il quale mi sembrava impossibile riuscire a vedere la luce. Mi trascinavo da sola sempre più in fondo, dilaniandomi sempre di più.
E poi è arrivata l’estate, la mia salvezza. Quei tre mesi mi hanno guarita ed ora sono riuscita a stare meglio, cosa che un anno fa sembrava impossibile. È proprio per questo che come gemma ho deciso di portare la mia estate 2023, che per me è stato un momento di enorme crescita.
Finita la scuola ero veramente sfinita e non vedevo l’ora di potermi finalmente riposare. Ma mia madre, che non sopporta vedermi a casa senza fare nulla, mi ha spinta a fare un’esperienza di volontariato per un paio di settimane. Inizialmente non ero molto felice di ciò, non perché non volessi fare un’esperienza del genere, ma perché ero veramente sfinita. Ho deciso comunque di fare quest’esperienza presso un centro diurno per persone ipovedenti. Durante quelle settimane aiutavo gli altri volontari a riordinare e a pulire e ad organizzare le attività da svolgere con i frequentatori del centro, che erano sia ragazzi che persone più anziane. Una volta terminata ho capito veramente quanto quest’esperienza mi abbia permesso di crescere; sono venuta a contatto con una realtà che prima conoscevo molto poco, e ho capito che ci sono 1000 modi per vedere il mondo e la vista è solo uno di questi.
Poi a inizio luglio sono andata come ogni anno dieci giorni in vacanza con i miei genitori: inizialmente avevamo optato per il Portogallo ma poi abbiamo dovuto ripiegare sulla Croazia a causa di alcuni problemi di salute in famiglia; io non ero molto contenta di ciò, poiché non volevo andare al mare. Io ho sempre amato il mare e l’acqua, ma da un po’ di anni non riesco più a viverlo serenamente. In più non mi entusiasmava l’idea di fare una vacanza con i miei perché le ultime non sono andate molto bene, infatti litigavamo e basta. E invece questa vacanza si è rivelata una piacevole sorpresa: dopo anni sono riuscita a godermela per bene, senza discussioni e litigate: erano anni che non vivevo una vacanza così serena. 
Quando siamo tornati si è aggiunto un nuovo componente alla nostra famiglia. Sono cresciuta con un cane, un piccolo maltese che avevo chiamato Milkie, a cui ero immensamente legata; purtroppo lo scorso novembre è mancato a causa di un tumore e sicuramente questo non mi ha fatto stare meglio, anzi. Mia madre aveva giurato che dopo di lui non avrebbe preso più un cane, ma solo dopo la sua scomparsa ci siamo accorti di quanto la sua presenza era diventata fondamentale nelle nostre vite. È per questo che abbiamo deciso di prendere un’altra maltesina, che abbiamo chiamato Luna: ci ha conquistati fin da subito; non pensavo che dopo Milkie sarei riuscita a legarmi ad un altro cane, ma mi sbagliavo: ad oggi infatti Luna è diventata fondamentale, riesce a strapparmi dei sorrisi ogni giorno, non so come farei senza di lei.
Dopo qualche giorno ho vissuto una piccola esperienza insieme alle mie amiche. Durante la primavera avevo visto che a Villa Manin a luglio ci sarebbe stato un piccolo concerto di una band a cui sono molto legata. La band in questione è l’Officina della Camomilla: ho iniziato ad ascoltarli a caso qualche anno fa e mi hanno conquistata fin da subito con le loro canzoni allegre e molto particolari. Questo concerto era decisamente inaspettato, poiché la band si era sciolta molto tempo fa; ma negli ultimi mesi una delle loro canzoni intitolata Un Fiore per Coltello, che tra l’altro è una delle canzoni a cui sono più affezionata in assoluto, è diventata virale e quindi hanno deciso di tornare insieme e di fare dei piccoli live: appena avevo letto la notizia ero al settimo cielo, dovevo assolutamente andarci. Non conoscevo però nessuno che li ascoltasse e non sapevo con chi andare. 
Alla fine ho “obbligato” le mie amiche ad accompagnarmi ed è stata una serata magica: si respirava un’atmosfera abbastanza intima, infatti non erano presenti moltissime persone, ma è stato magico: eravamo all’aperto, sotto la luce dorata del tramonto, cantando canzoni suonate con la chitarra e altri strumenti molto strani. Sicuramente mi sono divertita molto più delle mie amiche ma alla fine anche loro sono rimaste contente dell’esperienza: in fondo i concerti sono sempre speciali, anche se non si conosce l’artista.
Inoltre ero veramente grata perché nonostante loro non ascoltassero la band, hanno deciso di venire lo stesso con me per farmi felice.
Una volta tornata sono subito ripartita per passare dei giorni a Lignano con le mie amiche per il compleanno di R. Come l’anno scorso, sono stati dei giorni fantastici, eravamo un gruppo veramente unito. Se la me di quel periodo avesse saputo che quella sarebbe stata la nostra ultima vacanza insieme probabilmente non ci avrebbe mai creduto; ora, nonostante non siamo più unite come prima, però mi piace riguardare a quei momenti con molta felicità e anche un po’ di nostalgia.
Poi il 22 luglio è giunto un momento che ho aspettato per anni e anni. Era infatti il giorno del concerto di Harry Styles, a Reggio Emilia, il suo ultimo concerto del Love On Tour. Mi aspettava un lungo viaggio, il viaggio della speranza, iniziato su un treno alle 6 di mattina insieme ad un mio amico; durante questo viaggio è successa anche una cosa abbastanza divertente (anche se un quel momento non era proprio così divertente, anzi): una volta arrivati a Bologna saremmo dovuti salire su un treno per Reggio Emilia e invece siamo saliti su quello per Reggio Calabria; per fortuna ce ne siamo accorti qualche secondo prima che partisse e siamo subito scesi. Siamo corsi a prendere il treno giusto e non appena sono salita ho percepito subito una bella atmosfera: era pieno di persone provenienti da ogni dove, che indossavano vestiti colorati e stravaganti, avevano boa di piume ed erano piene di brillantini. Anche appena scesi dal treno ho visto una marea di colori e piume: era magico.
Dopo una lunga attesa trascorsa sotto il sole cocente e sotto la forte grandine improvvisa, parlando e cantando insieme a gente sconosciuta, la band che apriva lo show è salita sul palco: stava iniziando a diventare tutto reale. E poi le luci e la musica si sono spente, a farci luce c’erano solo le stelle e una splendida luna ed eccolo lì, non riuscivo a crederci: sono subito scoppiata a piangere.
Non ho mai trovato le parole adatte per descrivere l’affetto che provo verso Harry: è una costante nella mia vita da anni: non importa se sono triste, felice, affranta, serena, io trovo sempre conforto nelle sue parole. Mi ha sempre fatta sentire a casa.
Mi sono sentita serena, in pace, come se fossi parte di una grande famiglia, nonostante fossi in mezzo a più di 100 000 persone. 100 000 persone che erano lì per il mio stesso motivo: vedere quella persona che per tutti noi è così importante. Non mi sono mai sentita così bene come quel giorno: per due ore quella sera mi sono dimenticata tutti i problemi, tutte le preoccupazioni e ho cantato, pianto, ballato, come non mai (soprattutto pianto). Ha anche fatto un meraviglioso discorso tutto in italiano, dolci parole che porterò sempre con me. Non scorderò mai la spensieratezza di quella giornata… quanto vorrei poterla rivivere.
Poi a fine luglio è iniziata una grandissima avventura: io ancora non lo sapevo ma mi avrebbe stravolto la vita. Avevo infatti deciso di partire da sola per Edimburgo, dove avrei trascorso tre settimane in una famiglia. Inizialmente ero un po’ spaventata, poiché nonostante abbia viaggiato molto e abbia preso molti aerei nella mia vita, non ero mai partita totalmente da sola. Ma mi sono fatta coraggio e nonostante la forte ansia e tutte le preoccupazioni sono partita.
Una volta arrivata dopo qualche difficoltà sono riuscita a prendere un taxi che mi avrebbe portato a casa della famiglia che mi avrebbe ospitato. Ero molto agitata per la famiglia, non sapevo bene cosa aspettarmi; e infatti non è iniziata alla grande: la famiglia mi è sembrata subito molto fredda e poco accogliente. Io ero un po’ disperata, non sapevo bene come comportarmi in una situazione così, ero completamente spaesata: mi trovavo totalmente da sola, in un paese a me sconosciuto, a casa di estranei: mai mi sarei immaginata di dirlo, ma volevo tornare a casa.
Mi sono fatta coraggio e la notte è passata; il giorno dopo dovevo prendere il bus e andare a scuola, dove avrei frequentato un corso ‘intensivo’ di inglese. Da lì poi tutto è migliorato: non ho avuto problemi con i mezzi, gli insegnanti sembravano splendidi e così anche coloro che frequentavano la scuola. Quella scuola era frequentata da persone di tutte le età provenienti da tutto il mondo; c’erano anche molti ragazzi italiani della mia età che stavano vivendo la mia stessa esperienza. 
Ho fatto subito amicizia con moltissime persone; in particolare c’era una ragazza che mi ha totalmente stravolto la vita: si chiama S, ha la mia età e vive a Terni. Ho trascorso moltissimo tempo con lei e ciò ha avuto un enorme impatto sulla mia vita e sul modo in cui vedevo le cose; abbiamo legato fin da subito e non mi sarei mai aspettata di affezionarmi così velocemente a qualcuno, è stato veramente speciale. Nonostante ora abbiamo perso un po’ i rapporti, io la porterò sempre nel cuore e difficilmente mi dimenticherò di lei: ne ho incontrate veramente poche di persone così speciali. Quelle tre settimane sono veramente volate: nonostante le lezioni ho avuto molto tempo per visitare Edimburgo e questa città mi ha davvero lasciato un segno indelebile. Fin da subito mi sono sentita a casa, come se io appartenessi a quella città: era come se rispecchiasse la mia personalità.
Quando sono dovuta partire ho pianto veramente tanto, questa esperienza mi è entrata nel cuore. 
Io tendo sempre a svalutarmi (o almeno così dicono), ma mia mamma mi ha fatto capire quanto importante fosse quello che avevo fatto: mi ha spiegato infatti che non tutti riescono a partire totalmente da soli e rimanere in un paese sconosciuto a casa di estranei e riuscire ad adattarsi. Sarò per sempre grata ai miei genitori per avermi permesso di vivere un’avventura del genere.
E alla fine è iniziato settembre e si è preso un po’ di spensieratezza che solo l’estate sa donare. Siamo tutti tornati alla nostra routine quotidiana, è iniziata la scuola, i compiti, lo stress e l’ansia, la pioggia e le giornate un po’ grigie.
Ma nonostante ciò io quell’estate la porterò sempre nel mio cuore. Ho capito che dovrei vivere la vita con più leggerezza e spensieratezza, perché 17 anni si hanno solo una volta nella vita e bisogna goderseli appieno, perché non ritornano indietro. Tra risate e pianti sono cresciuta, ho imparato ad apprezzare molte cose che prima davo per scontate e ho anche imparato a credere un po’ di più in me stessa. Con il ricordo dell’estate inciso nel cuore sono riuscita a iniziare la scuola con più tranquillità e tutt’ora mi sento più serena; sto contando i giorni che mancano all’inizio della prossima estate, nella speranza di vivere altre mille avventure che mi cambieranno e mi segneranno. E come disse Harry Styles in una canzone “we’ll be alright”, perché ce lo meritiamo, noi meritiamo di stare bene.
Durante quei mesi sono riuscita a piantare delle radici, da cui sta crescendo una piccola piantina, che diventa ogni giorno più forte, che si lascia piegare ma non abbattere dalle intemperie. Perché i momenti di tristezza e difficoltà sono indispensabili, ma servono soprattutto tanti tanti momenti di spensieratezza e serenità.
Ho capito insomma che devo “colorare la mia vita con il caos dei problemi”.”
(S. classe quarta).

Gemma n° 2473

“Ho deciso di portare come gemma una canzone del mio artista preferito: Pietra di luna di Chiello.
Questa canzone ha un grande significato per me, perché la ascoltavo in un periodo molto difficile della mia vita. Mi sono molto rispecchiata nella canzone e mi ha aiutato ad affrontare i miei problemi” (M. classe prima).

Gemma n° 2471

“Ho pensato tanto a cosa portare come ultima gemma e dopo varie indecisioni ho deciso di dedicarla a mio nonno. Lui non c’è più dal 2012 e ricordo perfettamente quel giorno: ero ad un torneo e una volta tornata a casa i miei genitori mi hanno dato la notizia che mai avrei voluto sentire: il nonno non c’è più. Purtroppo non ho vissuto la stessa infanzia degli altri, difatti avendo perso due nonni non ho potuto sperimentare quel rapporto tra nonno e nipote che vedevo in tutti i miei amici. Tuttavia so che lui mi ha voluto bene e lo so perché proprio per il giorno della mia nascita, lui ha scritto per me una poesia (nella foto sono presenti gli ultimi quattro versi). Nei momenti più difficili io la leggo e so che lui è lì con me, seppur non fisicamente” (E. classe quinta).

Gemma n° 2443

“L’11 dicembre 2023 mi sono state dette quelle parole che un atleta non vorrebbe mai sentirsi dire da un medico: “il tuo crociato è rotto, la tua stagione è finita”. Non so neanche io bene come, ma non appena mi sono state pronunciate quelle parole sono riuscita a trattenere le lacrime, forse perché sotto sotto lo sapevo o forse solo perché volevo sembrare forte. Eppure questo infortunio mi ha portato un grande vuoto dentro.
Era da mesi che combattevo contro un dolore al ginocchio senza che si riuscisse a capire bene che cosa io avessi.
A giugno 2023 durante un allenamento è suonato quel primo campanello d’allarme, quel CRACK che a ripensarci mi vengono ancora i brividi.
Durante l’estate si sono susseguite una serie di visite, ma nessuna risposta concreta, finché a settembre l’ortopedico che mi ha visitata mi ha detto che sarei potuta tornare a giocare. Ero contentissima, ma dentro di me sapevo che c’era qualcosa che non andava.
Ho ripreso gli allenamenti e piano piano ho ritrovato la sicurezza che avevo perso a causa dell’infortunio.
Fino a quando, SBAM, un’altra porta in faccia, un’altra ricaduta. Mi cede il ginocchio durante una partita.
Non c’era più nulla da fare, avevo lottato fino a quel momento, ma la paura era riemersa.
Decido di farmi visitare da un altro ortopedico il quale pronunciò quelle fatidiche parole.
Nella mia testa, prima di quella visita, c’era ancora quella piccola speranza di poter tornare a giocare e di nascondere quella che sapevo fosse la verità, ma la verità ha avuto la meglio su quel piccolo spiraglio di luce.
Nonostante il dolore e le lacrime sono grata a questo infortunio perché mi ha fatto capire che ci sono persone che ci tengono tanto a me, quanto io sia fortunata ad avere una squadra che mi supporta in questo momento difficile e degli allenatori che ci tengono veramente al fatto che io stia bene. Spero di non deluderli e di tornare più forte di prima. Non so cosa mi riserverà il futuro o se ritornerò a giocare, ma ciò di cui sono certa è che uscirò da questi 6 mesi un po’ più consapevole e sicura delle mie capacità”.
(G. classe quarta).

Gemma n° 2441

“Ho deciso di portare questa collana perché è la mia collana del battesimo e da quando ho scoperto di averla 4 anni fa non me la sono più tolta. Sin da quando me la sono messa mi sono sempre sentita protetta e non mi sono sentita mai più sola. Nonostante da piccola fossi molto credente, con il tempo e con l’inizio delle superiori avevo perso di vista la mia religione e la mia fede in Dio. Portando questa collana ogni giorno, sento Dio sempre più vicino a me e credere in lui mi da forza. È strano e difficile parlare di questo tema con ragazzi della mia età perché in molti non credono nella religione ma penso che credere in Dio possa dare speranza a tutti coloro che si possano trovare in difficoltà. Io non credo nella chiesa per tutte le corruzioni che ci sono sempre state ma per me la vera fede è avere Dio vicino a me e credere in lui. Per me Dio è immenso” (B. classe quarta).

Gemma n° 2439

“Questa è in assoluto la mia prima gemma di religione e per quanto possa sembrare facile trovare qualcosa di profondamente rappresentativo per sé, mi sono trovata in difficoltà.
In difficoltà perché per la prima volta mi sono chiesta cosa potesse rappresentarmi al meglio , e da quella riflessione sono nate tantissime idee, tutte pronte a raccontare qualcosa di me: dalle mie passioni, a momenti a persone per me importanti… tutto era chiaro nella mia testa, le idee nitide e ben allineate pronte a risplendere proprio come una gemma, ma a questo punto mi sono ricordata che, mi trovo in un ambiente nuovo e lì le idee tornano a correre all’impazzata per la mia testa.
Mi sono resa conto che, nonostante siano passati diversi mesi dal mio arrivo, non sono riuscita a trasmettere molto di me, del mio carattere, del mio modo di essere. La mia paura di risultare inappropriata, noiosa o deludente mi ha portata a chiudermi un pochettino, ma anche questo, se ci penso fa parte di me.
Fa parte di me l’essere pensierosa, silenziosa e distaccata, ma non per questo me ne faccio una colpa. Fa parte di me e basta.
Quindi per questa mia prima e purtroppo ultima gemma ho deciso di raccontarmi attraverso una parte indelebile di me: i miei tatuaggi.
Sul mio corpo da neo diciannovenne sono presenti 3 tatuaggi, 3 momenti della mia vita vissuta fino a presente. Le mie 3 filosofie del passato, presente e futuro.

Il primo tatuaggio l’ho fatto a 17 anni sulla clavicola sinistra, dal lato del cuore.
Avevo appena finito il percorso di latino, un mondo che mi ha affascinata proprio perché non lo riuscivo a capire a causa della sua complessità. La frase che ho scelto di incidermi sulla pelle è stata proprio «ad maiora» verso il meglio. Allora ero molto diversa da come mi vedete adesso, ero molto più insicura e meno determinata. Ancora non ero riuscita a crearmi uno spazietto nel mondo. Mi sentivo strana e fuori posto, come tutti gli adolescenti a quell’età. Ma qualcosa in me, ha voluto riprendere le redini, riprendere il controllo della mia vita e andare verso qualcosa di meglio.
«Ad maiora» perché non mi sono mai bastata, non mi sono mai piaciuta e tuttora faccio difficoltà a riconoscermi nel riflesso dello specchio, nonostante i cambiamenti e i miglioramenti (i primi di una lunga serie a venire). Per la prima volta sono riuscita a provare a me stessa di essere forte e determinata e questo è diventato un mio bellissimo punto di forza.
Ho lavato molto non solo sul mio aspetto estetico, ma anche sul mio carattere, per creare la versione migliore di me stessa. E nonostante ci abbia lavorato, ammetto che caratterialmente non sono facile da capire o da sostenere, proprio per gli innumerevoli problemi invisibili che si generano automaticamente nella mia testa e che a volte prendono il controllo.
«Ad maiora» perché racchiude il desiderio di non essere mai come ora, ma di trovare sempre nuovi stimoli per migliorare.

Il secondo tatuaggio, l’ho fatto sul costato destro, perché la simmetria è sempre stata un mio punto debole. Si tratta sempre di una frase, ma questa volta in francese, tratta da una poesia. L’ho fatto dopo essere tornata da una delle esperienze che più mi ha cambiata e aperto gli occhi sul mondo: l’anno all’estero in Francia.
Là ho avuto modo di conoscere una realtà totalmente differente, ho incontrato delle persone fantastiche che hanno contribuito a creare delle memorie uniche e inimitabili.
Questa citazione racchiude un sacco di ricordi, significati e di speranza: nous allons fleurir (fioriremo). É tratta da una poesia di Jules Laforgue, «triste triste», titolo molto allegro, mi sono davvero superata in questo. Come suggerisce il titolo, il tono della poesia é malinconico e estremamente grigio, ma proprio in mezzo a tutto quel grigiore, si apre uno spiraglio luminoso dato da questa frase. Come un sole in mezzo alle nuvole di pioggia, «nous allons fleurir» ha il compito di ricordarmi che nonostante le difficoltà, nonostante gli ostacoli sul mio percorso, se ho la forza e la volontà di superarli, alla fine riuscirò a fiorire. Ma come lo auguro a me stessa, lo auguro a tutte le persone che mi circondano, perché nessuno merita di appassire sotto il peso di una giornata tempestosa. Per fiorire, oltre alla forza, ci vogliono tempo e un sacco di pazienza e determinazione, per riuscire a coltivarsi e a coltivare ciò che ci circonda nel modo migliore possibile.
Ognuno di noi, è un bocciolo di fiore diverso, c’è chi è più delicato, chi più tenace, chi sboccia prima e chi dopo, ma tutti siamo pronti a fiorire i nostri migliori colori.

L’ultimo tatuaggio di cui voglio parlarvi, è la sintesi del mio presente, ciò che sono e ciò che voglio ricordare.
È sempre legato all’esperienza all’estero, un pezzo del mio presente che ricordo con affetto e molta felicità. L’idea mi é venuta da una frase  del nonno ospitante, un uomo molto fragile, ma sempre sorridente, saggio e spiritoso, che prima della mia partenza per tornare in Italia, mi disse delle bellissime parole: lui era riuscito a leggere i miei silenzi per trarne qualcosa di bello, delle memorie preziose che custodisce tuttora. Aveva visto il mio potenziale, la mia voglia di crescere e di sperimentare. Aveva visto che sono fragile come lui, che la mia sensibilità e le mie insicurezze talvolta prendono il sopravvento creando delle tempeste che distruggono le mie casette di carta pesta, e proprio per questa mia fragilità anche lui mi ha donato una gemma di saggezza, dandomi delle certezze. Per tutto ci vuole tempo: per crescere, per imparare, per cadere e per rialzarsi, ma non dobbiamo affrontare tutto questo da soli: ci sono delle persone che ci accompagnano e che ci aiutano a ricostruire quelle casette di carta pesta oramai disintegrate dalla potenza della tempesta. Quelle persone, non sono delle persone qualunque, sono dei «funghi». Che strana cosa che mi disse quel giorno il nonno Dardinier: siamo dei funghi, tutte le persone che incontriamo e che ci aiutano, ci sopportano e che fanno il tifo per noi sono dei funghi che si legano a noi. E per quanto ci possiamo allontanare e perdere di vista, per quanta distanza ci sarà, le radici ci terranno uniti e ci terranno in contatto.

Questa è stata la mia prima e purtroppo ultima gemma di religione, non sarà perfetta, ma l’ho scritta io. Le parole che sono qui presenti sono una parte imperfetta di una imperfetta me.
Sono una ragazza che sbaglia senza paura di sbagliare, che ha delle insicurezze che prima o poi metterà a tacere, che ha delle passioni… ma che soprattutto ha delle persone che fanno il tifo per lei…. Sono un fungo che presto fiorirà verso il meglio. Grazie per l’ascolto.”
(G. classe quinta).

Gemma n° 2435

“Dopo aver letto il terzo canto dell’inferno di Dante ho riflettuto molto su cosa rappresentino per me le parole e le frasi che Dante ha utilizzato.
Per me e molti altri codeste parole hanno la funzione di avvertire e cancellare ogni speranza di gioia o di redenzione. Io ho voluto riscrivere questi versi per cercare di comprendere pienamente il cosiddetto “etterno dolore”. La mia poesia vuole trasformare quella porta maledetta nella mia personale porta infernale e in questo periodo mi sembra come di averla già attraversata e di essere rimasto nel vestibolo di una mansione intricata di problemi.

la mia porta infernale
neutralizzare è facile
dileguare i liquidi interni
decomporre decimi corpi
per raggiungere lo stige
e lanciarli dentro
riderò di voi anime pie
che non godrete mai
del male eterno
del dannato letargo
del gelo bruciante che vi farebbe da mantello
tre come nove volte che io sia spostato
che io sia dileguato
che io sia decomposto
nelle terze righe
nelle quattro strofe
il saggio caronte
scrisse nel suo libro
mastro come il sapere
del suo veliero
morto e senza alcun tramaglio
voi, illusi questa porta non vi ospita
lasciate ogni speranza
voi ch’entrate”
(A. classe terza).

Gemma n° 2430

“S. è la luce costante nella mia vita, un faro che guida il mio cammino nei giorni di sole e nei momenti più bui. La sua presenza è un abbraccio confortevole che lenisce le ferite della mia anima, un sorriso che illumina anche i giorni più grigi e un animo gentile che sta guarendo un cuore che lei stessa ha lottato tanto perché non si rompesse. La profondità della nostra connessione mi ricorda tanto quella tra Meredith e Cristina, un legame che supera le parole e si intreccia con i battiti del cuore.
Abbiamo condiviso risate contagiose che risuonano nell’aria come una melodia di gioia. Abbiamo affrontato le tempeste insieme, navigando tra le sfide delle nostre giovani vite con il sostegno reciproco che solo un’amicizia autentica può offrire. Come Cristina è stata il porto sicuro di Meredith, così S. è, e sarà sempre, il mio rifugio, il luogo in cui posso rintanarmi quando il mondo diventa un posto troppo rumoroso, dove posso essere completamente me stessa senza paura di sentirmi sola o incompresa.
S. è la mia “Cristina”, la mia persona, come diceva la dottoressa Grey. È la mia compagna di avventure, la spalla su cui piango senza sentirmi giudicata e la persona che zittisce tutti i miei pensieri nell’esatto momento in cui la vedo. È una persona che affronta la vita a braccia aperte anche quando quest’ultima le volta le spalle ponendole di fronte gli ostacoli più insormontabili. Anche se non glielo dico spesso e lei, molto probabilmente non se ne rende sempre conto, è la persona più forte che io conosca, coraggiosa e determinata, così come Cristina.
Ha la capacità di capirmi senza bisogno di parole, proprio come Cristina capiva Meredith. La sincerità reciproca è il pilastro su cui si fonda la nostra amicizia, e la sua presenza è un conforto costante nei momenti di incertezza. È lei che c’è sempre nei momenti in cui l’unica cosa che voglio è rimanere sola, che fa in modo che tutto sia ok anche quando è evidente che non lo sia, e che, quando ridiamo, riporta in vita la bambina che ero, spensierata e felice, e che fa risuonare in tutto l’universo la melodia di inside out”.
(G. classe quarta).

Gemma n° 2400

“Come gemma ho deciso di portare il tatuaggio che mi sono fatta questa estate. L’ho fatto in un momento molto doloroso della mia vita. Ero appena uscita da una relazione tossica con un ragazzo manipolatore, sessista e narcisista. Mi ha lasciata a maggio perché voleva divertirsi con altre ragazze durante l’estate. Verso metà giugno mi ha pregata di ritornare con lui, probabilmente perché nessuna se lo filava. Quella estate é stata una montagna russa di emozioni. Lui era tutto ciò che conoscevo e avevo il terrore a restare da sola. Inoltre non avevo amici perché gli unici che avevo erano i suoi. Mi sono ritrovata completamente sola ed emotivamente distrutta. Ho deciso quindi di fare questo tatuaggio, un girasole perché rappresenta la speranza, la gioia e la capacità di andare sempre verso una via luminosa. L’ho fatto in quel brutto periodo in modo da riuscire a guarire nello stesso tempo del tatuaggio senza stare a gongolare nel dolore. Questo tatuaggio l’ho disegnato io, come farò con tutti i miei futuri tatuaggi, e quindi é imperfetto. Ogni volta che lo guardo attentamente vedo tutte le imperfezioni, come faccio con me stessa. Ogni sguardo al mio tatuaggio è un allenamento ad amare ed accettare le imperfezioni. Infine ho fatto solo i petali colorati ma ho in programma di colorare il resto a seconda dei successi che avrò nella vita, in modo da arrivare alla vecchiaia con il tatuaggio tutto colorato e ricordare i miei successi e non solo le cose che rimpiango” (A. classe quinta).

Natale 2023

Ieri mattina ho inviato gli auguri a studentesse e studenti. Stamattina ho letto su Fb quelli del vescovo di Trieste Enrico Trevisi. Ho trovato una profonda consonanza e quindi li unisco qui in unico post per farli a chi legge queste pagine.

“Anche quest’anno mi appresto a mettermi davanti al pc e scrivervi un piccolo augurio di Natale, che possa avere un senso per chi crede nel Dio di Gesù, per chi crede in un altro Dio, per chi crede in qualcuno o qualcosa diverso da una divinità e per chi non crede affatto. Ciascuna e ciascuno di noi arriva a questo periodo in modo differente e personale. Mi è facile festeggiare con chi è in un buon periodo, perché avverto un’assonanza di umore visto l’imminente arrivo del piccolo. Ma in questi mesi mi è successo di vedere numerosi cocci di allieve e allieve in pezzi; alcuni di questi cocci li conosco bene perché mi sono stati descritti e raccontati, altri li ho solo intravisti o intuiti. Alcuni sono cocci di piccole porzioni di quelle persone, altri sono cocci di parti più grosse e importanti, altri ancora sono cocci dell’intera figura. E so che talvolta sembra che non possano più essere incollati insieme per offrire una figura di senso, anche se magari un po’ differente dall’originale.

Mariasole da quest’anno, il lunedì e il giovedì mattina va a scuola con il “Piedifruts”, che vuol dire a piedi insieme ad altre bimbe e altri bimbi della scuola dell’infanzia e della primaria. Le piace moltissimo e si sveglia volentieri la mattina presto per potervi partecipare, anche se è l’unica della sua sezione e una delle più piccole (a parte un ultimo tratto). Domenica scorsa si è svolta una piccola cerimonia di auguri per Natale e Mariasole è stata invitata, come tutti i partecipanti, a “scrivere” qualcosa sulla sua esperienza. Eccone un pezzetto che ci ha detto di scrivere per lei “Un giorno vorrei invitare tutti i miei amici, anche quelli del pulmino, per vedere come è bello il Piedifruts. E così lo vengono a fare il prossimo anno”. Mi ha fatto pensare e mi ha commosso. Ha vissuto una cosa bella e il suo pensiero è stato quello di farne fare esperienza ai suoi amici per poter condividere quella gioia. In una parola sola: amore. Per me Natale è un’occasione per consentire all’amore di agire e per metterlo in condizione di fare una delle cose che meglio gli riesce: ricucire lo strappo che talvolta si crea tra la vita e la felicità. Amore è ciò che consente alla vita di rinascere ogni volta, anche quando non pare esserci speranza o proprio speranza non c’è. Questo è quello che mi trasmette quel bimbo venuto alla luce nella precarietà due millenni fa, questo è quello che mi trasmette quel bimbo che sta per venire alla luce nella mia vita: una possibilità d’amore, di bellezza, di condivisione, di bene. Ah sì, ieri mattina, ultimo giorno di Piedifruts per quest’anno solare, c’era Victoria a fare compagnia a Mariasole, una sua compagna di sezione: non vi dico l’euforia!
A tutte voi, a tutti voi, alle persone che amate e che sono una benedizione nelle vostre vite, auguro buon Natale e, viste le parole che ho scritto… buon amore, buona rinascita!
Il prof di reli”

E ora spazio a un uomo che ama firmarsi per nome.
“Ecco i miei auguri… a tutti gli amici
Anzitutto accogliere Dio
Viene, ma potresti esserti addormentato.
Viene, ma potresti esserti risentito e arrabbiato per come vanno le cose.
Viene, ma in una modalità così umile che sconcerta e scandalizza.
Viene, ma non si impone. Però insiste a venire.
Viene nelle sembianze umane. Anzi viene nella carne umana. Si fa carne.
Viene ed è piccolo e umile. Un bambino. Un bambino sfollato.
Viene e commuove. Viene e irrita.
Viene e c’è chi va in panico e medita morte, come Erode.
Viene e trova braccia che lo stringono:
una madre che lo coccola
e il suo sposo che ha il coraggio del Leone di Giuda.
Viene e trova i poveri che lo festeggiano.
Viene e potresti accoglierlo e unirti alla festa.
Viene e potresti incoraggiare altri ad unirsi alla festa.
Viene e ci sono altri piccoli scartati di fronte ai quali inginocchiarsi.
E pregare di avere la forza e il coraggio di quel che siamo:
E che cosa siamo?
Siamo gli Amati da Dio, per amare con il suo amore i piccoli e i poveri sulla nostra strada.
Sulle nostre piazze. Nelle nostre case. Nelle nostre classi. Nelle nostre comunità.
Auguro un Natale così. Un Natale in cui le persone prevalgano sui consumi, in cui ciascuno si dia il coraggio per una parola di conforto con chi è nella sofferenza, un tempo di compagnia con chi sta nella solitudine, un gesto di tenerezza con chi vive il sentirsi abbandonato e rifiutato, un dare occasione di ascolto a chi soffre nel risentimento.
Un Natale così lo auguro a tutti. Dove trovare la forza? Nel bambino Gesù. Fermati e accoglilo.
Fermati e pregalo e troverai il coraggio, il tempo, le parole, i gesti, le occasioni.
E su ciascuno invoco la Benedizione del Signore.
Enrico vescovo”.

Gemma n° 2392

“Il fallimento non è il contrario del successo ma è una parte di esso.
Questa frase mi è rimasta impressa perché non importa quante volte si cade ma l’importante è quante volte ci si rialza e quando si tocca il fondo è un nuovo punto di partenza” (M. classe terza).

Gemma n° 2387

“Oggi come ultima mia gemma (si spera) ho voluto portare una delle persone più importanti della mia vita che purtroppo è venuta a mancare nel 2020, mio zio.
Il nostro incredibile legame nasce da una delle prime batoste che mi ha segnato in modo indelebile, un incidente stradale in cui ho rischiato la vita nel 2018.
Nei giorni di ricovero ricordo che lui venne a trovarmi portandomi il nuovo FIFA e ne fui entusiasta, da quell’anno il nostro legame appunto si arricchì anche grazie alla passione per i videogiochi.
Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 gli venne diagnosticato un tumore maligno, scoperto troppo tardi. Inizialmente non sapevo che dire o fare, vivevo la mia vita tranquillamente tanto pensavo che la chemio o le medicine potessero fare qualcosa, ma non fu così. Man mano che il tempo passava, la sua sofferenza cresceva e mi sentivo impotente di fronte al futuro che si avvicinava. La cosa che mi ha fatto più arrabbiare è stata l’impossibilità di salutarlo per l’ultima volta in ospedale. L’ultimo ricordo che ho di lui da vivo è il peggior ricordo e la peggiore immagine che almeno io in 19 anni di vita abbia mai visto, anche peggiore dell’incidente, e il fatto di essere molto empatico ed altamente sensibile non è stato certamente di aiuto. Dopo la morte di mio zio a dicembre 2020 un’altra perdita importante nella mia vita mi travolge, la mia prima ragazza mi lascia. L’insieme delle due cose mi fa cadere in depressione portandomi a riflettere su certe cose e spingendomi a fare atroci pensieri su me stesso e sul porre fine a tutto quanto; grazie all’aiuto di una psicologa e 2 anni di lavoro ne sono finalmente uscito nonostante continui ad essere pessimista e a far finta che vada tutto bene. Non si vive una volta sola, si muore una volta sola e si vive ogni giorno, questo per dire che ognuno deve saper cogliere i bei momenti e saper farli coesistere insieme alla sofferenza che a parer mio ci accompagnerà fino alla fine dei nostri giorni. Inoltre ho deciso di portare 3 canzoni che riassumono quello che provo tutt’ora riguardo a quello che mi è successo.

La prima canzone è Tutti i miei idoli sono morti di Chiello che per me rappresenta l’assenza di figure nella mia vita che possano darmi sostegno perché non ci sono più: penso a mio zio o penso anche a juice wrld che nonostante io non l’abbia mai conosciuto mi ha sempre aiutato a comprendere di più me stesso.

La seconda canzone è la più struggente delle 3 ed è Where does your spirit go di The Kid Laroi, un altro dei miei cantanti preferiti nonché pupillo di juice: in questa canzone parla della morte di juice che io ricollego con le parole del testo alla morte di mio zio ed è anche per questo che evito di ascoltarla tanto.

L’ultima canzone potrà sembrare che non c’entri nulla, ma per me rappresenta un po’ la liberazione da un circolo vizioso che mi ha fatto solo stare peggio. La canzone è Algoritmo, sempre di Chiello e, come già detto, ascoltandola mi fa sentire libero da quella parte di me che vuole farsi solo male.
Per concludere vorrei dare un messaggio a chiunque legga questa gemma: non provate a prevedere ciò che può succedervi di male perché ci starete solo peggio, ma fate in modo che il dolore liberi tutte quelle emozioni che sono rinchiuse dentro di voi perché si resiste fino ad un certo punto e non abbiate paura di parlarne con qualcuno perché sfogarsi fa bene e farà sempre bene. Grazie”.
(G. classe quinta).

Gemma n° 2377

“Ciao nonno,
ormai è più di due mesi che non sei più con noi, purtroppo il destino ha deciso di portarti via da noi, tu che sembravi indistruttibile, che non ti abbattevi davanti a nessuna difficoltà; nonostante la malattia in questi lunghi mesi, hai combattuto fino in fondo. Questa volta il male ha preso il sopravvento e ti sei spento dopo l’ultimo saluto che ti abbiamo dato.
Ti ricorderemo come una persona piena di vita, una persona che voleva bene a tutti e che si faceva volere bene dagli altri. Ci hai sempre raccontato le tue storie passate, lo studente modello che eri ed eri sempre presente quando avevamo bisogno di te; quando per esempio io e mio fratello non andavamo d’accordo tu cercavi sempre un motivo per farci riappacificare e ritornare come prima. Ci aiutavi a fare i compiti, ci raccontavi quanto eri bravo a scuola e i bei voti che prendevi e in particolare ci raccontavi spesso del tema che avevi scritto a scuola e di quanto ne andavi fiero. Hai vissuto la tua vita con la donna che amavi e che ami ancora e lei ancora ti vuole tanto bene e sente la tua mancanza; tutti noi sentiamo la tua mancanza. Ci manca sentire i tuoi racconti passati, le tue storie, la tua gentilezza e disponibilità.
Vederti negli ultimi mesi stare male, e non poterti aiutare, è stata la più brutta esperienza mai provata. Nonostante ormai sapevamo che ci avresti abbandonato, speravamo sempre in un piccolo spiraglio di luce, in una piccola possibilità per andare avanti, per continuare ancora a combattere; ma ormai era tutto inutile.
Adesso la casa senza di te è vuota; ma tutti ti ricorderanno come la bella e buona persona che eri.”
(C. classe quinta).