La mia “Notte dei desideri”

Caro Lorenzo, ti seguo da sempre, da quando mi chiedevo come facevi a piacere ai miei coetanei quindicenni mentre cantavi “sei come la mia moto”… Ora sono un insegnante di religione e utilizzo spesso i tuoi testi per lavorare con gli studenti. Ho sempre trovato “La linea d’ombra” perfetta per parlare di etica, responsabilità, scelte, coraggio… Due settimane fa ho acquistato il tuo ultimo doppio cd: beh, fantastico! Lo ascolto quasi ogni mattina in auto e aiuta a darmi energia e carica. Sono poi rimasto affascinato da “La notte dei desideri”. Vedi, io penso che ci siano essenzialmente due modi di approcciarsi alle canzoni: mantenendosi coerenti con l’autore e quindi cercare di capire cosa lui voleva dire con quel brano, oppure mantenendosi coerenti con le proprie emozioni e quindi andare oltre le intenzioni dell’autore per ascoltare se stessi. E allora mi sono divertito con il secondo approccio. Quando ho letto il titolo “La notte dei desideri” nella tracklist sono rimasto incuriosito perché stavo preparando una riflessione sul tema della notte nella musica contemporanea: ho sperato che il testo potesse essere utile. Poi l’ho ascoltata e letta e la mia fantasia è subito andata non ad “una” notte ma a “quella” notte, quella della Resurrezione.

La notte della tua canzone è abitata da una musica dal ritmo semplice ma in grado di attirare, catturare, incantare un gran numero di persone disposte ad attraversare anche terre desolate pur di raggiungere mete migliori lontane dal freddo calcolo della ragione (mi viene da leggervi la fede). La luce domina in questa notte in cui ogni cosa è investita dalla luce di stelle cadenti. Il protagonista con le due chiavi, quella del coraggio e quella della paura mi ricorda tanto i personaggi di Pietro, di Tommaso, degli apostoli colti dalla paura nell’incontro col risorto, un timore che poi diventa il coraggio della testimonianza. E’ infatti venuto il momento di partire, senza per forza chiedersi quale sia la destinazione del viaggio: per gli apostoli è una regola che vale dal momento della chiamata e che ora si è fatta ancora più forte. Volendo strafare, ho pure collegato i barbari della canzone con le lingue parlate dagli apostoli col dono dello Spirito. Infine: “Le montagne che dividono i destini si frantumano diventano di sabbia, al passaggio del momento di splendore si spalanca la porta della gabbia”. Nelle montagne che dividono i destini vi ho visto le difficoltà che separano gli uomini (gli ostacoli del cuore canterebbero Elisa e Ligabue) destinate a crollare, a diventare sabbia, grazie al momento di splendore, alla luce della Risurrezione che “spalanca la porta della gabbia” (“la pietra era stata rimossa dal sepolcro” Lc 24,2).

Grazie per tutte le emozioni che sempre regali!

Sull’amicizia

Una vecchia canzone per riprendere quello di cui stiamo parlando in I… A seguire uno dei brani che abbiamo letto

L’Albero degli amici”

Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felici per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino. Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, gli altri li vediamo appena tra un passo e l’altro.Tutti li chiamiamo amici e ce sono di molti tipi.

Talvolta ciascuna foglia di un albero rappresenta uno dei nostri amici.

I primi che nascono sono il nostro amico Papà e la nostra amica Mamma, che ci mostrano cosa è la vita. Dopo vengono gli amici Fratelli, con i quali dividiamo il nostro spazio affinché possano fiorire come noi. Conosciamo tutta la famiglia delle foglie che rispettiamo e a cui auguriamo ogni bene. Ma il destino presenta altri amici che non sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino. Molti di loro li chiamiamo amici dell’anima, del cuore. Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno cosa ci fa felici. E alle volte uno di questi amici dell’anima si installa nel nostro cuore e allora lo chiamiamo innamorato. Egli dà luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra, salti ai nostri piedi. Ma ci sono anche quegli amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro. Non possiamo dimenticare gli amici distanti, quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento soffia appaiono sempre tra una foglia e l’altra. Il tempo passa, l’estate se ne va, l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono l’estate dopo, e altre permangono per molte stagioni. Ma quello che ci lascia felici è che le foglie che sono cadute continuano a vivere con noi, alimentando le nostre radici con allegria. Sono ricordi di momenti meravigliosi di quando incrociarono il nostro cammino. Ti auguro, foglia del mio albero, pace amore fortuna e prosperità. Oggi e sempre… semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un poco di se e prende un poco di noi. Ci saranno quelli che prendono molto, ma non ci sarà chi non lascia niente.

 

Modernità, fondamentalismo o III via?

Posto ancora un articolo decisamente interessante sulla questione egiziana, visto che le proteste si stanno espandendo. E’ un pezzo di Enrico Beltramini, tratto da Limes

Benché i commentatori si distinguano tra quelli che dicono di capire tutto e quelli che dicono di non capire niente di quello che sta succedendo in Africa settentrionale, c’è un punto sul quale credo siamo tutti d’accordo. E cioè che tutte le interpretazioni possibili su quanto sta infiammando il mondo islamico possono essere riassunte in due grandi categorie: è una reazione alla modernità; è l’ingresso nella modernità. La prima interpretazione ha svolto un ruolo preminente negli ultimi dieci anni. La seconda è probabilmente quella che ne prenderà il posto.

Per anni abbiamo pensato che l’Islam fondamentalista fosse una reazione alla modernità. Liberate dal giogo colonialista, le nazioni mussulmane ritrovavano il loro baricentro in un mondo pre-moderno; meglio, non-moderno, visto che quelle nazioni non avevano vissuto la modernità. E, a quanto pare, non avevano alcuna intenzione di farne parte. La religiosità quindi diventava il collante di un sentimento più complesso e profondo, che aveva nella tradizione militante anti-occidentale la sua origine. Questa interpretazione prende il via con la rivolta iraniana del 1979 e tutto quello che ne seguì. I paesi islamici furono divisi tra non-democratici e secolari da una parte (cioè gli amici dell’Occidente) e non democratici e fondamentalisti dall’altra (i nemici). Ovviamente, i primi erano i regimi dittatoriali o militari (l’Egitto e l’Iraq erano tra questi). La secolarizzazione diventava il bagnasciuga sul quale fermare l’invasione dell’orda fondamentalista. Sia detto tra parentesi, il punto principale di questa visione era che l’Islam fondamentalista è una reazione. Implicita in questa interpretazione è l’idea che l’Occidente guida, l’Islam segue; anzi, reagisce. L’Occidente fissa le regole del gioco, l’Islam può accettarle o rifiutarle, ma a quanto pare è esclusa l’ipotesi che possa esso stesso fissare le regole di un nuovo gioco.

Questa la situazione fino all’11 settembre 2001. L’attacco alle Torri Gemelle ovviamente rimette in discussione le assunzioni precedenti. Però – anche in questo caso – le opzioni sono soltanto due: al-Qaida è espressione del fondamentalismo religioso; al-Qaida fa parte della modernità. L’amministrazione Bush propende per la prima ipotesi. Al-Qaida è un fenomeno anti-moderno che cerca di riportare indietro le lancette dell’orologio, alla creazione di un nuovo califfato islamico modellato sull’impero arabo del VII secolo. E ne trae le relative conseguenze: il fondamentalismo religioso alza la posta, il cuscinetto offerto dai regimi islamici secolari non offre più protezione, il terrorismo è diventato uno scontro frontale e diretto – senza intermediari – tra Occidente e Islam. Nel caso di Tony Blair la democrazia – cioè la modernità – prendeva il posto della croce nella nuova guerra con l’Islam. Nel caso di Bush jr, la democrazia e la cristianità si fondevano in un’unica missione, la modernizzazione forzata dell’Islam come crociata. L’altra ipotesi, comunque, era altrettanto possibile. E cioè che Osama Bin Laden facesse parte della modernità; che al-Qaida fosse un fenomeno moderno. In questa prospettiva, l’agenzia terroristica di Bin Laden esprime – magari involontariamente – l’ingresso dell’Islam nella modernità; ne è quasi un’avanguardia, così come avanguardie furono certe élite intellettuali e sociali europee che aprirono il secolo dei Lumi, la democrazia alle masse, e così via. Bin Laden è prigioniero di un paradosso: combatte il mondo dal quale non soltanto trae nutrimento economico e culturale, ma la distruzione del quale è la sua unica raison d’etre, senza il quale egli stesso non esisterebbe. In questa prospettiva, ci dobbiamo attendere sorprese dal mondo islamico: movimenti magari incomprensibili all’inizio, ma che progressivamente rivelano una lenta – magari incontrollabile, ma certamente inarrestabile – transizione verso la democrazia. Il fondamentalismo islamico, quindi, sarà superato dal di dentro, da un travolgente desiderio di democrazia, di modernità; sarebbe da aggiungere, di “occidentalità”. La teoria di Francis Fukuyama, la “Fine della Storia” applicata all’Islam. Il fondamentalismo islamico, quindi, è il sintomo e non la causa di un malessere delle società islamiche avviate ad abbracciare la modernità. È evidente che – più o meno – questa è l’interpretazione prevalente in Occidente di quanto sta accadendo in Egitto (e in Tunisia, Algeria, e così via): la fine della storia e l’occidentalizzazione dell’Islam. Attraverso uno strumento occidentale – il digital social network – le masse giovanili arabe chiedono la libertà e la democrazia – valori occidentali. L’Occidente non ha più bisogno di appoggiare impresentabili regimi militari per arginare la marea fondamentalista perché la società islamica sta creando al suo interno un’alternativa secolare e democratica. Insomma, l’Islam sta diventando moderno. L’amministrazione Obama guarda con simpatia e trepidazione a quanto sta avvenendo: simpatia per la direzione presa, trepidazione perché il fenomeno potrebbe essere bloccato da un rigurgito militare o dittatoriale; oppure deragliare nel fondamentalismo. La divisione tra Islam e Occidente ora si rispecchia all’interno della stessa società araba. È superfluo aggiungere che l’Occidente sostiene e appoggia l’anima filo-occidentale della società araba.

Ovviamente, c’è una terza opzione. C’è sempre stata. E cioè che le nazioni islamiche seguano la loro Storia, le loro dinamiche interne sulle quali l’Occidente svolge un’influenza abbastanza marginale e non necessariamente funge da modello. Che la Storia soffi all’interno del mondo islamico in direzioni e con movimenti che sono estranee alla tradizione occidentale. Che quanto sta avvenendo a Il Cairo e nelle altre città mediorientali risponda e fenomeni interni alle società arabe che hanno poco a che spartire con la storia occidentale e che quindi siano permeabili alle categorie interpretative non occidentali. Magari potremmo approfondire questa ipotesi, perché potrebbe un giorno rivelarsi quella giusta.

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Il caso Egitto e l’Islam

Qualche giorno fa, poco prima delle dimissioni di Mubarak, su Asianews è uscito questo articolo molto interessante

In Egitto i giovani stanno cambiando l’Islam, separando religione e politica

Il Cairo (AsiaNews) – Nella Piazza Tahrir non vi sono soltanto rivendicazioni sociali (salari, occupazione, pane, ecc..), ma si sta attuando una mutazione dell’islam. I giovani infatti rifiutano sia la dittatura militare che la repubblica islamica; vogliono uno Stato moderno che garantisca cittadinanza piena a tutti, cristiani o musulmani. Ne è una prova il fatto che dal 25 gennaio, da quando sono iniziate le manifestazioni, la polizia ha cancellato il controllo delle chiese cristiane e non è avvenuto nessun attentato. Proprio per questo, quanto avviene in questi giorni al Cairo può cambiare il mondo arabo e l’intero pianeta. Queste sono alcune delle importanti riflessioni che un’illustre personalità cristiana egiziana ha voluto condividere con AsiaNews. La firma di questo articolo è uno pseudonimo.

Piazza Tahrir trabocca ancora oggi di centinaia di migliaia di giovani e vecchi, uomini e donne, contrariati e scontenti per il discorso di Mubarak di ieri. Ieri sera, il rais, in un messaggio televisivo ha escluso in ogni modo il suo abbandono del potere, come invece continua a chiedere ancora oggi la folla. Mubarak ha solo promesso di cedere alcuni poteri al suo vice Omar Suleiman, ma ha deciso di restare al potere fino alle elezioni presidenziali del prossimo settembre. Quest’oggi, mentre cresce il numero dei dimostranti nella capitale e in altre città dell’Egitto, il Consiglio supremo dell’esercito ha  dichiarato che toglierà lo stato di emergenza “non appena si conclude la situazione attuale”. Alcuni suppongono che vi sia divisione fra Mubarak e l’esercito e che i soldati prima o poi sosterranno in modo esplicito la popolazione. Non si conosce tutto il gioco dietro le quinte: è come essere nella nebbia. Ma una cosa è certa: i giovani continueranno a manifestare, domandando sempre di più. È importante mantenere la pressione sul potere e non lasciarlo tranquillo e soddisfatto di parole generiche e promesse vaghe. Questi giovani non smetteranno le rivendicazioni e le manifestazioni continueranno. Sono stati così ingannati e trattati male dal regime che non vorranno abbandonare la piazza. Se smettono, la società viene ripresa ancora tutta in mano alla dittatura. La speranza è che non si crei violenza. Mi sembra che finora da parte dei giovani e dell’esercito vi sia una specie di “gentlemen agreement” nel non ricorrere alla violenza. La violenza l’hanno usata i criminali, non i giovani.

Fa impressione la comunità internazionale. Si rincorrono voci secondo cui una portaerei americana si è portata nel Golfo persico e un’altra nel Mediterraneo orientale, forse per garantire il traffico a Suez; che Israele consiglia all’Egitto una transizione “calma”; che l’Iran augura al Cairo una repubblica islamica a sua immagine e somiglianza… Di fronte a queste rivolte di popolo, ciascuno cerca il suo interesse. Nessuno di questi poteri stranieri cerca o è attento all’interesse del popolo egiziano. Tutti sono guidati dalla realpolitik e dai propri affari. A breve termine questo dà frutti, ma a lungo termine è una sconfitta. Gli Stati Uniti ad esempio, hanno sempre sostenuto l’integrismo islamico (Arabia saudita, Talebani, ecc…). In tal modo essi si sono garantiti i profitti del petrolio. Ma la diffusione dell’integralismo islamico nel mondo ha messo a rischio tutta la civiltà occidentale. Il fatto più grave è che quanto più gli integralisti alzano la voce, tanto più i moderati si zittiscono. Siamo davanti al rischio di gettare nella spazzatura la cultura e la civiltà mondiale a causa di un gruppo violento e fanatico, che fa tacere i moderati e intimidisce gli occidentali, preoccupati solo di frasi politicamente corrette, di non apparire troppo anti-musulmani, islamofobici. La più parte degli Stati nell’occidente cade in questo tranello. I governi di sinistra non hanno fatto altro che accogliere, dialogare, e in nome dell’umanità, della tolleranza, hanno prosciugato le casse della sicurezza sociale. Siamo ormai davanti a un fallimento sociale e di civiltà. I governi di sinistra sono stati corrotti. Da parte loro, i governi di destra hanno avuto buon gioco: hanno preso il potere dando una risposta più dura, opponendosi al mondo islamico, senza dialogare.

Quanto succede in questi giorni in Egitto, costituisce un passo importante per il mondo arabo e per il mondo. È ormai chiaro a tutti che quello che stiamo vivendo non è semplicemente un problema interno, ma una questione che abbraccia il mondo intero. Ciò che succede qui supera di molto i confini nazionali. I giovani non stanno solo domandando maggiori sicurezze sociali, ma è l’islam che sta passando attraverso una mutazione. Le richieste dei giovani implicano una precisa distinzione fra religione e politica. Essi rifiutano sia la dittatura militare, sia la rivoluzione islamica stile Iran. Essi vogliono un sistema di governo basato sulla società civile. Vogliono la libertà, uno Stato di tipo moderno. Se l’Egitto fa questo, tutto il mondo arabo potrà seguirlo, perché esso è il Paese leader del mondo arabo-musulmano. Ma se questo avviene nel mondo arabo, potrà seguirlo il mondo intero. L’Egitto è un simbolo. Anche se la maggioranza dei giovani in piazza Tahrir sono musulmani, essi rifiutano uno Stato musulmano, a modello dei Fratelli musulmani. Questi sono sempre più marginalizzati e hanno molto meno peso e influenza di quanto si pensi. Mubarak attribuiva a loro un immenso potere. Ma il motivo è ormai chiaro: agitando lo spettro dell’integralismo islamico davanti agli Stati Uniti, riceveva grossi aiuti economici. Esagerare il pericolo dei Fratelli musulmani nei confronti di Israele, era un gioco facile per irretire gli Stati Uniti, facendo intendere che senza di lui ci sarebbe stata la guerra, la violenza, lo Stato islamico. Vale la pena notare un fatto: dopo il 25 gennaio, la polizia ha smesso la custodia e la vigilanza davanti alle chiese. Si poteva temere che ci sarebbero stati attacchi e distruzioni – come è avvenuto il 31 dicembre nella chiesa di Alessandria –  e invece non è successo niente. Tanto che alcuni sospettano che l’attentato di Alessandria sia stato provocato da ambienti vicini al ministero egiziano degli interni. Voglio fare un appello a voi occidentali: sostenete moralmente i giovani egiziani; fate pressione sui vostri governi e sui grandi organismi internazionali che difendono la libertà religiosa e le libertà civili, perché i Paesi musulmani accettino una visione moderna dello Stato, dove c’è uguaglianza per tutti, libertà di espressione, di pensiero, di religione e di conversione. Insomma, perché ci sia una distinzione radicale fra l’islam e la politica. Proprio come chiedono i giovani di piazza Tahrir.

Husani Massri

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