Gemma n° 2532

“Quest’anno ho deciso di portare come gemma una foto che rappresenta il finale dello spettacolo della compagnia di danza a cui ho preso parte ad agosto dell’anno scorso. Ho avuto l’opportunità di svolgere l’audizione in un momento di difficoltà in cui avevo bisogno di nuovi stimoli. Dopo aver passato una settimana a Nizza, una volta al mese svolgevamo uno spettacolo in diverse città del nord e centro Italia. Fare quest’esperienza mi ha cambiato molto come persona. Ho conosciuto ballerine di diverse città italiane e ho avuto l’opportunità di confrontarmi con loro. Spesso la danza come tanti altri sport é un ambiente molto competitivo e seppure si lavori in gruppo si cerca sempre di esaltare  il proprio potenziale, di conseguenza spesso si tendono a creare dei fraintendimenti. In questo progetto non è stato così però, in una settimana e nel corso delle diverse tappe ci siamo confrontate molto sugli ambienti in cui balliamo, sulle nostre debolezze e abbiamo cercato dei modi per abbatterle. Viaggiare senza i miei genitori mi ha portato ad avere molta indipendenza e al contempo mi ha fatto diventare più responsabile. Il fatto che gli spettacoli fossero sempre in posti piuttosto lontani, da una parte poteva essere pesante perché le ore di treno erano parecchie, ma dall’altra la lontananza da casa e da scuola mi faceva bene per staccare la mente temporaneamente dalle difficoltà e dai problemi che dovevo affrontare, permettendomi così di impegnarmi nella danza appieno” (K. classe quarta).

Gemma n° 2531

“Per la gemma di quest’anno ho deciso di portare questa fotografia dell’appartamento in cui ho passato alcune settimane nelle estati passate. L’appartamento rappresenta qualcosa di molto importante per me poiché ci convivevo con la mia migliore amica, con cui ho uno splendido rapporto ma purtroppo ci vediamo poco. Lo considero emblematico della nostra amicizia, che nonostante tutti gli anni e i trascorsi, non fa altro che rafforzarsi ogni giorno di più e anche se il tempo che passiamo insieme non è molto, rimaniamo comunque inseparabili e qualsiasi cosa accada lei sarà sempre la prima a cui vorrò raccontarlo, per piangere o ridere che sia”(S. classe quarta).

Gemma n° 2530

“Come mia prima gemma ho deciso di portare il legame che ho con la mia nonna materna. Da quando sono piccola mia nonna mi è stata sempre accanto, in ogni situazione e si è presa cura di me quando mia mamma era al lavoro e non poteva tenermi. Durante l’estate andavo a casa sua e mi divertivo sempre tanto perché le cose da fare con lei non finivano mai. Andavamo nell’orto, facevamo gli gnocchi fatti in casa una volta alla settimana e giocavamo insieme. Circa quattro anni fa si è sentita male e abbiamo dovuto portarla in ospedale. I medici avevano detto che le rimanevano pochissimi giorni di vita e che se volevamo avere qualche speranza di salvarla dovevamo farla operare. Ho avuto veramente tanta paura di perderla ma fortunatamente l’operazione è andata bene, ma i medici hanno detto che non poteva più vivere da sola perché bisognosa di essere aiutata in molte cose. Da tre anni ormai mia nonna vive a casa mia.
Qualche volta ci litigo ma mi rendo conto che sono veramente fortunata ad averla a casa e mi rendo conto che non ho ancora molto tempo da passare con lei e devo vivere appieno questi momenti. Le voglio veramente tanto bene e spero che resti con me ancora per molto” (F. classe prima).

Gemma n° 2529

“Come gemma ho scelto la collana di mia nonna R., che è venuta a mancare quando ero piccola, avevo solo due anni e purtroppo non ho molti ricordi di lei, ma so che mi voleva molto bene. Lei indossava sempre questa collana, così quando ci ha lasciati io e mia mamma abbiamo pensato di farla dividere in due braccialetti. In questo modo avremmo potuto portare qualcosa di suo con noi, come se stesse sempre con me e mi tenesse la mano. Questo braccialetto è per me molto importante, perché unisce me, mia mamma e mia nonna; quando lo tolgo per fare sport sento che mi manca qualcosa, quando sono in ansia lo tengo stretto e mi fa sentire meno sola nei momenti più difficili” (C. classe prima).

Gemma n° 2528

“Non ero sicura di cosa portare per la mia gemma, ci ho pensato a lungo e la risposta era alla fine quella più banale. Ho deciso di parlare delle mie amiche: L., H. e B..
Spesso quando ero alle medie mi chiedevo se arrivata alle superiori avrei trovato delle amiche e dal primo giorno di scuola ho capito che sarebbero state loro.
Non ci conosciamo da molto quindi, ma per me sono molto importanti e mi ritengo molto fortunata ad averle come amiche, per me sono ormai una parte fondamentale e spero che questa amicizia possa durare a lungo.
Quando sto con loro i miei problemi sembrano sparire e anche se sono triste riescono a farmi sorridere.
Non sono brava ad esprimermi a parole e non dico spesso che voglio loro bene, anzi forse non l’ho mai detto, ma spero che con questa gemma lo capiscano”.
(A. classe prima).

Gemma n° 2527

“Pensavo fosse semplice trovare una gemma che mi rappresentasse, non perché non abbia  persone a cui voglia bene ma perché ognuna di loro rappresenta per me qualcosa di importante, per cui è stato difficile scegliere chi per me è la mia gemma. Sfogliando un album di fotografie ho rivisto quest’immagine che ha scatenato in me dei ricordi molto forti e da questa ho capito che la mia gemma era proprio la zia. A dire la verità era la mia prozia, zia della mamma, ma tutti, io e i miei fratelli, la chiamavamo nonna. Infatti la mia mamma è rimasta orfana dei suoi genitori all’età di 5 anni, per cui io non ho mai conosciuto i miei nonni. La zia G. era una nonna perfetta, allegra, giocherellona, spiritosa, severa al punto giusto e soprattutto era una meravigliosa consigliera. Lei sapeva sempre darmi quel sorriso che dava sicurezza. Si, la zia G. è proprio la mia gemma; mi manca non poter parlare con lei, non avere il suo sostegno e il suo consiglio, ma so che lei mi supporta e mi guida anche da lassù e quando guardo il cielo, sono sicura che lei è la stella più luminosa” (L. classe prima).

Gemma n° 2526

Fonte

“Io faccio la gemma su mio nonno, che è la persona che sinceramente mi è stata più vicina prima che morisse. Quando avevo 2 anni mia madre mi ha portato da mia nonna e io con qualche capriccio riuscivo a farmi portare invece da mio nonno. Era sempre occupato con il lavoro e perciò quando riusciva mi portava con lui; ricordo anche quando mi ha portato in aeroporto per ritornare in Italia, la scena più dolorosa che mi viene in mente se penso a lui. Queste sono le poche cose che ricordo di lui, ma sono molto importanti per me” (B. classe prima).

Gemma n° 2525

“Ho scelto come gemma la mia felicità, precisamente qualcosa di irreale. L’ho scelta perché vedo la gemma come un qualcosa di prezioso, difficile e doloroso da ottenere.  Non penso che in molti abbiano mai provato e vissuto una vera e propria felicità, tra questi ci sono anche io. Ho passato molto tempo a pensare alla felicità degli altri trascurando la mia persona, cambiando la mia personalità per la mia famiglia e gli amici (non ci sono riuscita); ed è stata la cosa più sbagliata e dolorosa che potessi fare. Anche se mi ha fatto soffrire, mi ha insegnato la preziosità delle piccole cose e che non otterrò mai felicità da cose materiali o dal fatto di quante persone hanno ammirazione verso di me, ma tutto parte da noi stessi, dobbiamo trovare il tempo per lavorare su noi stessi e trovare la nostra felicità anche se non è facile. E la mancanza di felicità ha influenzato molto il mio atteggiamento, infatti posso essere la persona più gentile e simpatica che tu possa conoscere se voglio ma il giorno in cui mi farai sentire meno di quello che sono veramente dimenticati di me perché non tornerò più. La vita è troppo corta per perdere tempo con persone che non ti meritano e vi assicuro che ho perso moltissimo tempo con persone che pensavo mi amassero e a loro ho dato fino all’ultima goccia della mia dignità, fino a ritrovarmi da sola, arrivata ad un punto in cui pensavo di essere una nullità.
Se mi aveste chiesto che sogni avevo fino a un mese fa vi avrei risposto che non ne avevo, che avevo rinunciato; beh, ho cambiato idea, me ne sbatto, scusi per il termine, di quello che pensano gli altri, non sanno quello che ho passato, quello che mi sono sentita dire e le personalità che ho dovuto recitare per sentirmi dire anche solo una parola positiva sul mio conto, quindi non rinuncerò a quello che potrebbe rendermi felice per gente che a malapena sa come mi chiamo. Ricordate, la vita è una e corta, non rinunciate alla vostra felicità per qualcuno che non riconosce il vostro valore.
C’è una canzone che fa “riferimento” a quello che penso: 100 messaggi di Lazza; potrebbe non essere una canzone bellissima ma ha un significato che per me ha grande rilevanza.”
(M. classe prima).

Gemma n° 2524

“Parto col dire che non sono brava né a scrivere né ad esprimere a parole i miei sentimenti ma ammetto che per me è stato facile decidere l’argomento della mia gemma. Il mio pensiero è andato subito a mia sorella.
Credo che sia una delle uniche certezze della mia vita, la persona che mi consola dopo una crisi, quella a cui mi rivolgo in un momento difficile. Lei c’è, c’è stata e ci sarà sempre.
Sa quando mi dà fastidio qualcosa, quando non voglio dire a nessuno cosa c’è che non va, quando sono triste o arrabbiata. Lei sa cosa fare in tutte queste situazioni e cerca sempre di aiutarmi, a costo di fare piccoli sacrifici per rendermi contenta. E io sento di non fare nulla per lei, di non trattarla come si meriterebbe, di non dirle ti voglio bene abbastanza.
La sento vicina ma allo stesso tempo capisco che si sta allontanando da me. Dall’anno prossimo quando lei se ne andrà niente sarà più lo stesso. Né la casa né la famiglia né la semplice normalità. Come se si staccasse un pezzo di me, che in tutto questo tempo ho ritenuto scontato e di cui solo adesso capisco appieno l’importanza. Lei significa tanto per me, è un punto di riferimento da cui prendere spunto sempre.
So che si cresce e che l’università è un passo importante, soprattutto per lei che ha grandi sogni per il suo futuro e perciò io la devo appoggiare.
Ma il mio sogno adesso sarebbe solo tornare indietro a quando eravamo bambine per rivivere tutto il nostro rapporto come fosse la prima volta”.
(L. classe prima).

Gemma n° 2523

“All’inizio avevo parecchie idee per la gemma di quest’anno ma credo che questa immagine mi rappresenti maggiormente.
L’osservazione delle costellazioni e della luna è sempre stata un attività piacevole sin da bambina.
Credo che questa passione mi sia stata tramandata da mio nonno poiché anche lui adorava passare intere ore ad osservare il cielo.
In questi due anni ho conosciuto 3 persone davvero importanti per me: i miei migliori amici. In estate usciamo ogni sera insieme e andiamo nel campo sportivo di C. Io e la mia migliore amica portiamo dei teli da adagiare sull’erba così possiamo distenderci e osservare le stelle.
Qualche volta nascono dei battibecchi perché confondiamo le costellazioni e allora nasce una guerra su chi ha più ragione ma sono litigate divertenti che si risolvono in fretta.
Un’altra mia passione è la luna. Fortunatamente ho ereditato il telescopio di mio nonno e qualche notte d’estate la passo con mio papà in giardino a guardare la luna. Questa estate mio papà mi ha raccontato che alla mia età lui osservava la Luna con mio nonno proprio come io faccio con lui. Questa frase mi ha sempre resa contenta e possedere il telescopio di mio nonno, che è mancato qualche anno prima della mia nascita, mi gratifica. Per me è l’unica fonte sicura che abbiamo entrambi la stessa passione. Mi piace guardare le stelle anche per ricordarlo e sentirlo così accanto a me. Spero che questa mia passione non si interrompa mai poiché mi lega con tantissime persone e i ricordi con esse sono indelebili nel mio cuore” (A. classe prima).

Gemma n° 2522

Come mia prima gemma, ho deciso di parlare di un album, il mio preferito di Tyler, the creator: IGOR. In ogni album, Tyler presenta un personaggio diverso, e in questo presenta IGOR.
Ho voluto parlare di questo album perché penso che rappresenti un poco una parte di noi che tutti abbiamo dentro, quella dell’amore non corrisposto. Questo album parla di IGOR che si innamora di un ragazzo, che allo stesso tempo è innamorato di un’altra ragazza. Quest’album si può dividere in due parti, la prima dove il personaggio si innamora del ragazzo, e la seconda, dove realizza che l’amore non è corrisposto. Questo è un album che mi ha cambiato, perché quando si riesce a collegare i punti, riesci a capire molte più cose. La composizione può non piacere a molti, ma personalmente penso che sia uno degli album dell’hip hop moderno più musicalmente perfetto e con la trama migliore.

IGOR’S THEME
È un’introduzione sul personaggio di IGOR

EARFQUAKE
“Don’t leave me it’s my fault”
Probabilmente questo significa che la colpa è solo sua che questa relazione non può funzionare

I THINK
“Man, i wish you would call me by your name ‘cause I’m sorry”
In questo punto Tyler cerca disperatamente attenzioni da questo ragazzo
“I thnk i’ve fallen in love this time I think it’s for real”
e confessa a questo ragazzo i suoi sentimenti, ma già da qui inizia a prendere una accezzione più negativa
“I’m your puppet” canzone che si troverà anche dopo durante l’album

EXACTLY WHAT YOU RUN FROM YOU END UN CHAISING
IGOR sta rincorrendo questo amore che presenta un ostacolo

RUNNING OUT OF TIME
“Running out of time to make you love me”
In questo caso diventa una sfida contro il tempo, perché questa relazione sta sfuggendo, e non vuole farla svanire
“Take your mask off I need her out of the picture”
Questo “her” è la ragazza di cui il ragazzo è innamorato, quindi rifiutando l’amore di IGOR

NEW MAGIC WAND
“sometimes you gotta close a door to open a window”
Può significare che il solo modo per andare avanti è trovare una seconda strada e invece di inseguire il suo amore vuole passare avanti
“I need to get her out the picture”
In questo punto IGOR è geloso e vuole far sparire questa ragazza “like magic gone”
“she’s gonna be dead I just got a magic wand, we can finally be together […] now pick a side and if you don’t I’ll pick you both”
In questo caso ha due scelte, o restare con IGOR o li uccide entrambi

A BOY IS A GUN
In questo punto finisce la prima parte dell’album, da cui IGOR esce distrutto da questo triangolo amoroso che non può funzionare

A GUN perché l’amore suo è pericoloso per IGOR, e può significare la morte per lui
“you are so mothaf**ckin dangerous you got me by my neck”
E crede che possa funzionare nel momento giusto
“when the time’s right baby”
“I know you are the worst for me”
Capisce le sue emozioni tossiche, ma continua ad amare queto ragazzo

Qui inizia la seconda parte dell’album dove IGOR capisce tutto, e capisce che la relazione non può funzionare

PUPPET
“I’m your puppet, you control me”
Qui non riesce a stare senza questo ragazzo e vuole restare con lui, anche se capisce che non può funzionare

WHAT’S GOOD
“i see the light”
Qui capisce tutto ed apre gli occhi

GONE GONE/ THANK YOU
“At least i had it”
E qui IGOR è felice di averlo amato nel passato piuttosto che non averlo amato proprio
“Thank you for the love”
Dopo averlo amato è pronto a passare avanti

I DON’T LOVE YOU ANYMORE
“I would speak up and realize there’s more fish in the sea, I’m a re-up”
Vuole necessariamente passare avanti, avendo capito che non può funzionare in nessun modo, ma invece di essere sconosciuti, vuole restare amico con questa persona

ARE WE STILL FRIENDS
“Are we still friends? I’ve got to know”
Vuole restare amico con questa persona, ed è l’unica opzione plausibile
Ma questa amicizia farà innamorare di nuovo IGOR di questo ragazzo, facendo innamorare e disinnamorare IGOR quasi all’infinito. 

Dopo questa spiegazione, volevo far ascoltare una canzone di quest’album che più mi piace, e che più mi fa riflettere su quanto vorrei chiedere ad alcune persone se “ARE WE STILL FRIENDS”.
(D. classe prima)

Qualche considerazione su Byung-Chul Han

Prendo ancora un articolo dal Post. Questa volta si tratta di un pezzo sul filosofo Byung-Chul Han (di cui ho molto apprezzato Infocrazia), di cui si evidenziano punti di forza e di debolezza.

“Byung-Chul Han è un filosofo sessantacinquenne tedesco di origine sudcoreana, autore di oltre venti saggi di successo e da qualche anno oggetto di estese attenzioni sui social. Le sue idee, in parte basate sulle teorie di grandi autori del XIX e XX secolo, sono discusse su piattaforme come TikTok e YouTube da studenti e appassionati di media e di filosofia, ma anche da giovani professionisti, booktoker e gruppi di lettura. Scritti a cominciare dal 2010, i suoi libri sono tradotti in Italia (editi da Nottetempo e da Einaudi), in Spagna, in America Latina, negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo.
In un recente articolo in cui descrive l’importanza del passaparola tra i giovani per il successo di Han, il New Yorker lo ha definito «il nuovo filosofo preferito di Internet». E ha notato il paradosso per cui i social sono allo stesso tempo un argomento di molte riflessioni critiche di Han e una delle ragioni del suo successo, motivato almeno in parte anche dalla brevità e chiarezza dei suoi scritti e dal fatto che sia una persona piuttosto restia ad apparire in pubblico.
«Con Byung-Chul Han è stata questa accoglienza dal basso a stimolare la domanda», ha detto al New Yorker John Thompson, direttore di Polity, un editore indipendente inglese che dal 2017 ha pubblicato 14 libri di Han. E non è un modo tanto convenzionale di ricevere attenzioni e recensioni, per libri di questo genere, ha aggiunto. Secondo il quotidiano El País uno dei primi e più grandi successi di Han, il libro del 2010 La società della stanchezza, ha venduto oltre 100mila copie in America Latina, Corea del Sud, Spagna e Italia, dove nello specifico ne ha vendute 15mila.
Han, nato in Corea del Sud nel 1959, vive e lavora fin dagli anni Ottanta in Germania. Arrivò in Europa quando aveva 22 anni e qualche conoscenza in metallurgia, la materia che aveva studiato a Seul. Dopo aver frequentato l’Università di Basilea, in Svizzera, ed essersi laureato nel 1994 con una tesi sul concetto di “stato d’animo” (Stimmung) del filosofo tedesco Martin Heidegger, ha quindi insegnato filosofia alla Universität der Künste di Berlino. Le sue principali aree di interesse sono la fenomenologia, l’etica, l’estetica, la religione e le teorie dei media.
L’attualità degli argomenti trattati da Han e la sua lettura della contemporaneità – una critica degli effetti politici, psicosociali e tecnologici del neoliberismo sulle società moderne – lo hanno reso un autore molto popolare e citato anche tra persone che non hanno particolare familiarità con i libri di filosofia. I suoi sono quasi tutti saggi monografici, lunghi un centinaio di pagine e scritti in uno stile divulgativo e lapidario, in cui il discorso ruota intorno a due o tre concetti fondamentali. A ottobre, descrivendosi come una persona pigra in un’intervista con El País, Han disse che di solito scrive tre frasi al giorno.

Il suo libro più recente, La crisi della narrazione, uscito a febbraio, riprende e amplia alcune nozioni da lui trattate in libri precedenti. Parla del declino della narrazione come attività di condivisione e fonte di senso e coesione all’interno delle comunità, e del parallelo successo dello «storyselling», descritta come una pratica fine a sé stessa, basata su una trascrizione priva di profondità di ogni cosa che le persone hanno da offrire e da vendere attraverso le storie (intese come formato sui social).
Molti libri di Han, in particolare La società della trasparenza, si concentrano sulla spinta collettiva alla divulgazione volontaria indotta dalle forze del mercato neoliberista, che trasformano in norma culturale l’autopromozione e la «pornografica esibizione di sé stessi». Ogni saggio esplora aspetti diversi di questo stato di frenesia guidato dalla tecnologia del tardo capitalismo, e il disagio che tende a provocare: dal burnout da «sovrapproduzione» e «concorrenza a sé stessi», all’algofobia, un’avversione ossessiva per il dolore che nega anche ogni suo valore etico, artistico e metafisico.
Nel libro Psicopolitica Han attribuisce la stabilità del sistema neoliberale a una situazione paradossale in cui, in assenza di una lotta tra classi antagoniste in senso stretto, è la libertà – o meglio: una forma di libertà «illusoria» – a generare costrizioni. Sentendosi libero da obblighi esterni, l’individuo immagina sé stesso come un «progetto» e si sottomette a obblighi interiori che derivano dalla libertà di potere (Können) e producono più vincoli del dovere disciplinare (Sollen), fino a sfociare in una sistema di costrizioni illimitato.
Il neoliberalismo, come mutazione del capitalismo, fa del lavoratore un imprenditore. Non la rivoluzione comunista, bensì il neoliberalismo elimina la classe operaia che è sfruttata da altri. Oggi, ciascuno è un lavoratore che sfrutta se stesso per la propria impresa. Ognuno è padrone e servo in un’unica persona. Anche la lotta di classe si trasforma in una lotta interiore con se stessi.
Anche il declino della narrazione, secondo Han, è espressione di una profonda crisi della libertà. Nel libro La crisi della narrazione categorie e nozioni di filosofi e scrittori come Walter Benjamin, Jean-Paul Sartre e Marcel Proust sono applicate all’analisi delle dinamiche sociali favorite da piattaforme come Netflix, Snapchat e Instagram. «Postare, mettere like e condividere, proprio perché sono pratiche consumistiche, non fanno altro che intensificare la crisi dell’esperienza narrativa», scrive Han, proponendo una distinzione tra informazione e racconto.
L’informazione è effimera, accidentale, e procede per addizione e accumulo. Intensifica quindi l’esperienza della contingenza, che il racconto invece attenua nella misura in cui conferisce significato a ciò che è accidentale, rendendolo necessario. Il bisogno di senso e identità è peraltro, secondo Han, la ragione dell’attuale successo di modelli narrativi populisti, nazionalisti, tribali e complottistici, che si presentano come offerte di orientamento a buon mercato a fronte dello smarrimento provocato dall’informazione dilagante e ininterrotta.
Diversa dall’informazione è anche la notizia, che secondo Han ha sempre una «vibrazione narrativa» perché è portatrice di una storia e presenta una struttura spazio-temporale completamente diversa rispetto a un’informazione. Ha significato perché rimanda a qualcos’altro – viene «da lontano» – e trova nella lontananza il suo tratto distintivo, contrapposto al tratto invece tipico della modernità: «la perdita di qualunque intervallo di separazione», la condivisione e l’accumulo di informazioni «a portata di mano».
Intrecciandosi con il neoliberismo si afferma un regime dell’informazione, il quale non opera in modo repressivo ma seduttivo. Esso […] pretende da noi che comunichiamo senza sosta le nostre opinioni, i nostri bisogni e le nostre preferenze. Ci chiede di raccontare le nostre vite, di postare, condividere, mettere like. La libertà in questo caso non viene repressa ma interamente sfruttata. Si ribalta in controllo e manipolazione. Il dominio […] è altamente efficiente, dato che non ha bisogno di apparire come tale. Si nasconde nell’apparenza della libertà e della comunicazione.
La conversione costante del vissuto in informazioni e dati immediatamente accessibili, aggiunge Han, è incompatibile con la felicità perché «la felicità non è un evento puntuale», ma si estende nel passato e filtra attraverso la memoria umana, che è selettiva. «Chi vuole raccontare sé stesso o ricordarsi qualcosa, deve poter dimenticare o tralasciare molto», perché «nessun racconto è trasparente»: solo le informazioni e i dati lo sono.
Una delle principali ragioni della popolarità di Han è la facilità con cui, attraverso citazioni di importanti autori della tradizione filosofica occidentale ma anche continui riferimenti alla contemporaneità, consente di immedesimarsi nell’umanità che descrive. Han sembra parlare in particolare alle persone giovani dell’esperienza di crescere sui social media, ha scritto il New Yorker, e della mancanza di controllo che molte di loro provano nel rapporto che hanno con Internet. Nel mondo accademico le reazioni sono invece contrastanti: da un lato Han è molto apprezzato per la sua capacità analitica e di sintesi, dall’altro è criticato per alcuni suoi giudizi perentori, privi di sfumature e vagamente tecnofobici.

Nel libro Le non cose, per esempio, Han descrive la reperibilità costante come una «servitù» e lo smartphone come «un campo di lavoro mobile in cui noi c’imprigioniamo di nostra sponte», limitando la nostra esperienza del mondo e della realtà. Nell’intervista con El País disse che «il capitale usa la libertà individuale per riprodursi» e ciò rende le persone «gli organi sessuali del capitale». Ma per quanto suggestive e per molti aspetti appropriate alcune sue letture della contemporaneità tendono a rafforzare posizioni esistenti in discussioni molto polarizzate, e assecondano un certo desiderio generale di ridurre quella sulla tecnologia a una questione di tecnologia buona o cattiva.
La bidimensionalità delle sue analisi e la tendenza a occuparsi di un solo lato delle questioni sono peraltro la ragione per cui Han funziona molto proprio sui social, «all’interno della valanga di non cose», ha scritto il New Yorker. Quando descrive la pubblicazione sui social media come «autopromozione pornografica», per esempio, non aggiunge che gli spazi digitali possono anche produrre esperienze significative. E non coglie il paradosso dei social media di «promuovere forme di espressione sia di sfruttamento che di emancipazione», e di consentire «la costruzione e la proiezione di un’identità personale, con una libertà che non è mai stata possibile nella gerarchia top down dei media tradizionali».”

Gio Evan, uomo di parole

Da qualche anno ascolto i brani di Gio Evan, mi è anche capitato di utilizzarli in classe. Per questo mi sono ritrovato molto nelle parole di Cristina Moretti che ha scritto un articolo su Rocca.

“Lo scorso 12 marzo ho assistito per la prima volta ad un concerto di Gio Evan che si è esibito al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto con una tappa del suo tour Fragile/Inossidabile. Un’opera poliedrica, prodotta e organizzata da Baobab Music & Ethics, fatta di monologhi, poesie, canzoni e gag cui un pubblico diversificato ha applaudito coinvolto ed emozionato.
Non avevo mai partecipato ad un suo evento e ascoltato le sue parole ma poi ho capito perché piace tanto ai millennials (per la verità non solo a loro, tanti adulti – uomini e donne – erano lì a cantare ed applaudire).
All’anagrafe Giovanni Giancaspro, Gio Evan è un artista poliedrico che delle parole fa poesie, romanzi e canzoni. Dopo l’esordio letterario a 20 anni, nel 2012 avvia un progetto musicale, conquista poi la notorietà sui social, nel 2021 partecipa al Festival di Sanremo e continua a scrivere libri, poesie, gag con le quali fa sorridere il suo pubblico ai suoi concerti-spettacolo.
Il segreto di tanto successo credo sia la consapevolezza del potere che hanno le parole, la capacità di saperle scegliere ed utilizzare per esprimere le emozioni e i sentimenti dei tanti ragazzi e ragazze che lo seguono, che nelle sue opere trovano l’esatta espressione dei loro pensieri, uno specchio di quello che provano ma che da soli non sanno dire. E così, con estrema semplicità riesce a farle arrivare al cuore dei suoi fan, soprattutto millennials, che sanno le canzoni a memoria e cantano con lui, ridono delle sue battute e applaudono alle sue poesie, sincere, dirette, una freccia di cupido che li lascia innamorati.
A colpirmi particolarmente è stata la sua grande considerazione per le persone e le relazioni che tra esse si sviluppano, davvero sembra conoscere i tormenti dell’animo umano e delle potenzialità nascoste in ogni persona. Durante lo spettacolo ti prende e ti conduce in un viaggio emotivo durante il quale esplori e affondi le mani nella tua interiorità, scopri sentimenti nascosti e li porti alla luce perché possano parlarti e dirti qualcosa. Nel suo vasto repertorio ognuno predilige e si aggrappa ad una poesia, ad una frase, ad una strofa, la lascia risuonare dentro e d’improvviso si sente compreso, “visto”, “sentito” e, in definitiva, si sente meglio.
Quando ha parlato di sua nonna e di quelle che lei chiama persone medicina mi è venuto da sorridere perché anche a me è capitato di essere definita come una sorta di medicina, che placa l’animo e infonde serenità. E a quel punto è partito il mio viaggio emotivo e mi sono in parte ritrovata nel suo Persone medicina, brano in cui esprime in modo poetico l’idea che alcune persone hanno un effetto curativo su di noi, come se fossero una medicina per l’anima:

Nonna le chiamava “persone medicina”
Diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci
Che appena le senti calmano i battiti, aggiustano i polsi
Ti aprono le persiane del cuore
E fanno entrare la luce vera, quella del sole.

Queste “persone medicina” sono coloro che ci portano conforto, calmano le nostre ansie e ci aiutano a guarire. Sono le persone da frequentare, quelle che ci fanno sentire meglio e ci accompagnano nel nostro percorso. L’intero testo è un inno all’importanza delle relazioni umane e alla capacità di alcune persone di essere vere fonti di guarigione.
Gio Evan ha uno stile musicale che si distingue per la sua profondità emotiva e la sua fusione di elementi diversi. I testi sono molto introspettivi, ricchi di metafore e riflessioni sulla vita, l’amore, la fragilità e la forza interiore. Le sue canzoni spesso esplorano temi personali e universali. La musica che accompagna i suoi componimenti non si limita a un genere specifico. Evan mescola abilmente elementi del pop, dell’indie e della musica d’autore, passando per il folk e la musica elettronica. Questa varietà rende le sue canzoni fresche e capaci sempre di sorprendere. Non teme di sperimentare con arrangiamenti e suoni. Questa curiosità artistica si riflette nella sua musica, che può variare da ballate delicate a brani più ritmati.
Essendo anche un poeta, contamina di poesia la sua musica, le sue canzoni sono spesso come versi musicali, con immagini vivide e significati nascosti.
Spettacolo molto interessante e piacevole. Gio Evan è un artista che sfugge alle etichette e si muove liberamente tra i generi regalando al pubblico una varietà di esperienze non solo musicali ma anche interiori.
“Stai attenta a quello che mi dici, abbi cura delle parole, dosale bene, scegli quelle giuste, quelle che ti esplodono da dentro, quelle che senti fin giù alla pancia. Dimmi solo quelle che crede il tuo cuore.”(da Il libro).

Gemma n° 2521

“Oggi, come gemma, ho deciso di portare una persona molto speciale per me, mio fratello A. Per me significa molto; anche se non lo dimostro, gli voglio molto bene. Lui ha 5 anni in meno di me e quindi è difficile spiegargli molte cose, ma posso capirlo. Sono molto felice di averlo come fratello così non mi sentirò mai solo, e posso insegnargli a giocare a calcio” (W. classe prima).

Gemma n° 2520

“Come gemma di quest’anno ho deciso di portare questo peluche che mi è stato donato da neonata. Si tratta di un piccolo panda regalatomi dai miei nonni pochi mesi dopo la mia nascita. Fin da subito me ne sono affezionata, era uno tra i tanti peluche che stava nel box con me però in lui ho sempre trovato qualcosa di più interessante e bello rispetto agli altri.
Forse perché ci giocavo spesso con mia nonna così da farlo diventare una parte molto importante nella vita di un neonato: infatti il nome ‘panda’ é stata la prima parola che ho pronunciato. Di preciso non so come io ci sia riuscita, non me lo ricordo ovviamente, ma secondo alcune fonti avevo sempre sotto il braccio quel piccolo panda e grazie all’aiuto di mia nonna, la quale costantemente mi ripeteva il nome di quell’oggettino, da un giorno all’altro quella parola è uscita dalla piccola boccuccia.
Si tratta di un oggetto molto importante per me non solo per il valore affettivo ma anche per il fatto che rappresenta la cura con cui i miei nonni mi hanno accolta nei miei primi mesi di vita. Sono molto grata per il dono di aver avuto dei nonni amorevoli, ho potuto sperimentare con loro la vicinanza, la tenerezza e la saggezza. Mi hanno insegnato cosa significhi essere benvenuta al mondo, fare parte di una storia familiare, una storia da custodire” (S. classe prima).

Gemma n° 2519

“Il pallone da pallavolo rappresenta lo sport che ho cominciato a praticare da settembre, il quale ha avuto una certa ricorrenza nel corso della mia vita. Con la pallavolo è sempre stato un tira e molla ma dall’inizio dell’anno scolastico ho preso la decisione di ricominciare e non smettere più una volta per tutte, combattendo così le sensazioni di inferiorità e di ansia al confronto con i miei coetanei. Ho fatto molti progressi sia psicologicamente che tecnicamente nello sport e continuerò senza più arrendermi” (A. classe quarta).

Gemma n° 2518

“Ho scelto di portare questo libro perché da piccola avevo paura della morte di mia madre, e allora mia mamma me l’ha comprato per tranquillizzarmi” (V. classe prima).