Nel post Cose mediterranee e non solo e in classe ci siamo chiesti cosa ne sia stato degli scontri tra cristiani e musulmani in Egitto antecedenti alla caduta di Mubarak. Oggi ho letto questo interessante articolo su Nigrizia di febbraio
CHI DIVIDE CRISTIANI E MUSULMANI
di Moustafa El Ayoubi
In Medio Oriente la strumentalizzazione politica dell’islam e l’ingerenza dell’Occidente sono i due fattori determinanti.
Gli episodi di violenza contro i cristiani in Egitto e Iraq, avvenuti negli ultimi mesi del 2010, hanno riacceso i riflettori sull’annosa questione della discriminazione delle minoranze religiose nei paesi arabi. I cristiani dell’Iraq, dell’Egitto e di altri paesi mediorientali non sono minoranze etniche o culturali. Essi, in effetti, parlano la stessa lingua e hanno in comune con altri arabi molti usi e costumi. Ciò che differenzia gli arabi del Medio Oriente – culla del cristianesimo prima ancora dell’islam – è la religione. I cristiani d’Oriente hanno contribuito in maniera importante alla lotta politica durante il 19° secolo, alla resistenza contro il colonialismo e alla realizzazione del panarabismo. Lo storico partito politico arabo Ba’ath fu fondato nel 1947 da due siriani: Salah ai-din al-Bitar, musulamo, e Michel Aflaq, cristiano. Perché, allora, la convivenza secolare tra arabi cristiani e musulmani è in crisi da ormai molte decine di anni? È colpa dell’islam “intollerante nei confronti delle altre religioni”? La posizione del Corano riguardo al rispetto delle altre fedi è chiara. «Dite: Crediamo in Allah e in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe e sulle Tribù, e in quello che è stato dato a Mosè e a Gesù» (2,136).
II problema di fondo è la strumentalizzazione politica dell’Islam. Negli ultimi 60 anni, i guai seri dei cristiani nel Medio Oriente sono nati con l’affermazione dell’islam politico, predicato dai movimenti radicali che si sono diffusi dopo il fallimento del panarabismo e come conseguenza del consolidamento dei regimi totalitari nella regione. Il caso dell’Egitto è significativo. Il movimento dei Fratelli Musulmani ha condannato il feroce attentato contro la chiesa copta ad Alessandria del 31 dicembre scorso. Tuttavia, la sua lotta politica è incentrata sull’edificazione di uno stato basato esclusivamente sulla shari’a. E ciò costituirebbe una discriminazione nei confronti dei cristiani egiziani. Anche il governo egiziano ha condannato la strage. Ma è nota la strumentalizzazione politica della minoranza cristiana da parte del regime. Sull’attentato sono rimasti molti dubbi.
La pista degli estremisti islamici rimane aperta. Ma vi è un forte dubbio circa la responsabilità del governo. Perché non sono state rafforzate le misure di sicurezza attorno alle chiese, dopo l’attentato mortale contro i cristiani nell’ottobre scorso in Iraq? È possibile che il regime abbia volutamente ignorato il pericolo? Rimane il sospetto che il presidente Mubarak si serva di questi tragici eventi per mantenere una politica securitaria, indispensabile alla sua dittatura. Il regime egiziano ha favorito un’islamizzazione simbolica di facciata per contrastare i Fratelli Musulmani, cercando così di dotarsi di una legittimità religiosa. Questa strumentalizzazione della religione ha, di fatto, marginalizzato i copti. La loro comunità affronta oggi insormontabili ostacoli burocratici per la costruzione dei propri luoghi di culto. Inoltre, i cristiani hanno meno possibilità di accedere ad alcuni incarichi nell’amministrazione pubblica e sono poco rappresentati nelle istituzioni del paese. C’è da notare che la gerarchia copta mantiene una posizione di neutralità nei confronti del regime. Per conservare privilegi, non interferisce nella politica se non per sostenere simbolicamente il regime. Il patriarca Chenouda III ha pubblicamente dichiarato, di recente, di essere a favore della candidatura del figlio di Mubarak alle prossime elezioni presidenziali. Un altro fattore determinante nel rendere sempre più complicata la situazione dei cristiani arabi è l’ingerenza – che dura da circa due secoli – di alcuni governi occidentali negli affari del Medio Oriente. La creazione di un sistema politico confessionale in Libano fu imposto dalla Francia, con l’intento di favorire gli interessi dei cristiani maroniti. In Iraq gli Usa hanno imposto uno stato “etnico-confessionale” condiviso tra sciiti, sunniti e curdi. L’ingerenza dell’Occidente “cristiano” in questa regione a maggioranza islamica ha portato alla sedimentazione nella memoria della popolazione musulmana di un’immagine negativa dei cristiani, visti come la quinta colonna delle potenze occidentali. Purtroppo l’atteggiamento odierno di alcuni governi europei rafforza questo grave pregiudizio. Qual è il sentimento che gli iracheni, alle prese con lutti e funerali causati da una devastante guerra americana, provano quando vedono l’Occidente scegliere le vittime della violenza da accogliere e da curare in base alla loro appartenenza religiosa? E che conseguenza ha ciò sulla convivenza tra due iracheni vicini di casa: uno musulmano e l’altro cristiano? A pagare il prezzo più alto di questa ingerenza sono i cristiani e i musulmani, figli della stessa terra.