Segnalo a chi fosse interessato l’incontro “Il Dio del Novecento”. Raniero La Valle presenta il libro “Quel nostro Novecento – Costituzione, Concilio e Sessantotto: le tre rivoluzioni interrotte”. Centro Balducci di Zugliano Lunedì 12 dicembre ore 20.30
Nesli e Tiziano
La scorsa settimana ho regalato a Sara il cd nuovo di Tiziano Ferro: era da due mesi che lo aspettava 🙂 La traccia numero 4 si intitola La fine ed è una canzone di Nesli: tutto il testo è suo e anche la musica del ritornello. Tzn ne ha musicato le strofe che nella versione originale sono recitate.
E’ un brano che parla della vita, della capacità di vivere la vita, di sentirsi protagonisti, con Nesli che cita un consiglio della madre: “Questa vita figlio mio va vissuta, questa vita non guarda in faccia e in faccia al massimo sputa”. Il protagonista pensa a un passato che lo ha visto soccombere e incassare i colpi, attendere i momenti giusti. Si trova al punto di non capire neppure più chi è: “Io non lo so chi sono e mi spaventa scoprirlo, guardo il mio volto allo specchio ma non saprei disegnarlo”. L’oggi si fa pesante e viene vissuto nell’attesa del domani, un domani che possa portare speranze e cambiamenti: “Vorrei che fosse oggi, in un attimo già domani per riniziare, per stravolgere tutti i miei piani, perché sarà migliore e io sarò migliore come un bel film che lascia tutti senza parole”. Il rimorso per quello che sarebbe potuto essere e che non è stato è forte: “E mi son fatto rubare forse gli anni migliori dalle mie paranoie e da mille errori”. C’è anche un’ancora di salvezza, un appiglio gettato dall’alto: “Ma qualcuno lassù mi ha guardato e mi ha detto: “Io ti salvo stavolta, come l’ultima volta”. Ciononostante la canzone si chiude con una nota negativa: “ma poi rimango fermo, guardo la vita in foto e già è arrivato un altro inverno, non cambio mai su questo mai, distruggo tutto sempre, se vi ho deluso chieder scusa non servirà a niente”. Qui sotto la versione di Nesli.
Peccare
In terza stiamo parlando di etica. Cito un breve pezzetto di A un papa di Pasolini.
Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Senza Dio
Prendo dal numero di Jesus di dicembre questa densa riflessione di Enzo Bianchi.
Sempre più spesso, in modo quasi martellante, si afferma che «senza Dio tutto è
permesso», citando in modo abusivo Fëdor Dostoevskij. Questo per sostenere che «con Dio o senza Dio tutto cambia» oppure che «se Dio non è affermato, allora c’è perdizione per l’uomo». A partire da tali posizioni vorrei dunque riflettere sull’espressione «senza Dio». Innanzitutto, che cosa può significare questa espressione per i credenti, in particolar modo per i cristiani? Non può certo significare che vi siano uomini e donne che non stanno davanti a Dio, che non sono sue creature e dunque suoi figli in «Adamo, figlio di Dio» (Lc 3,38). Ogni persona è stata voluta da Dio, è venuta al mondo per vocazione di Dio; Dio la accompagna e la sostiene, anzi la benedice in ogni giorno della sua vita; Dio la ama sempre, anche quando questa persona contraddice la sua volontà, persino nel caso che lo bestemmiasse o lo negasse. Come il padre della parabola (cf. Lc 15,11-32), il Dio narrato da Gesù Cristo continua ad amare e ad aspettare chi è lontano da lui, addirittura anche chi desidera la sua morte, la morte del padre. Sì, è scandaloso, ma questa è la verità del Dio cristiano! Nell’ottica dei credenti, dunque, nessuno può essere senza Dio, neanche l’a-teo che si vuole senza Dio, neanche lo stolto che dice: «Dio non c’è» (Sal 14,1; 53,1).
Ma c’è un altro modo di intendere l’espressione «senza Dio». È quello che si trova in una lettera scritta dal carcere dal teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, il 16 luglio 1944: «Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo “etsi Deus non daretur”», anche se Dio non ci fosse, dunque senza Dio. Anche questa espressione in realtà è spesso citata a sproposito e tradita da chi vi legge l’annuncio di un cristianesimo secolarizzato, di un umanesimo modellato sull’ateismo. Bonhoeffer non diventa ateo, come dimostra ciò che egli stesso afferma poche righe dopo: «Davanti a Dio e con Dio viviamo senza Dio», cioè senza prendere Dio in ostaggio, senza la necessità mondana di Dio, senza considerare Dio come un’ipotesi di lavoro, senza pensare di avere Dio dalla nostra parte, ma nella gratuità di Dio, la gratuità dell’amore. Bonhoeffer chiede che l’uomo diventi umano e faccia riferimento, per questo, all’umanità di Gesù Cristo, colui che «ha narrato Dio» (exeghésato: Gv 1,18) anche sulla croce. Occorre pertanto fare grande attenzione a non strumentalizzare queste parole del grande martire cristiano, finendo per negare la sua fede o per condannare le sue espressioni, che costituiscono un’altissima testimonianza di un cristianesimo adulto e pensante, in un mondo diventato capace di vivere senza l’ipotesi Dio, in un’autonomia umana che non nega Dio e il suo amore. «Dio» – ha scritto Eberhard Jüngel – «è più che necessario», sta nello spazio della gratuità, perché il suo amore trascende la legge della necessità.
Quanto a quelli che si dicono atei, senza Dio, noi cristiani dobbiamo rispettare la loro affermazione, chiedendoci però subito: quale Dio negano? Di quale Dio vogliono essere privi? Del Dio che noi cristiani raccontiamo, che tramandiamo culturalmente, oppure del Dio che è vita, amore, misericordia, del Dio vivente? Qui va detto con chiarezza: noi credenti dobbiamo essere consapevoli che a volte forgiamo immagini perverse di Dio, e quindi rendiamo Dio causa di bestemmia tra le genti (cf. Ez 36,20-22; Rm 2,24). Ecco perché anche di fronte a coloro che si definiscono atei, non credenti in Dio, dobbiamo innanzitutto interrogarci e rispettare il loro mistero. In ogni uomo c’è l’immagine di Dio (cf. Gen 1,26-27), che secondo i padri della chiesa non può essere cancellata neppure dai crimini peggiori commessi dall’uomo. Questa immagine rende ogni persona capace di compiere il bene, di avere una coscienza, di discernere il bene dal male. E solo Dio vede cosa accade nella coscienza, conosce la ricerca del bene praticata dai cosiddetti atei, la loro ricerca dell’amore. Essi non la chiamano ricerca di Dio ma di fatto, come ha affermato Benedetto XVI il 25 settembre scorso durante il suo viaggio in Germania, «sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i credenti “di routine”». Solo Dio conosce la vicinanza o la lontananza dal Regno di chi si dice senza Dio e di chi si dice credente.
Infine, non possiamo dimenticare che i cristiani delle origini erano accusati dai pagani proprio di essere “a-tei”, senza Dio: essi cioè risultano atei per le altre religioni, come afferma l’amico teologo Joseph Moingt. Sì, noi tutti viviamo davanti a Dio, con Dio, senza Dio. E attendiamo di vedere il suo volto di amore, di pace e di vita al di là della morte.
