Dopo l’Isis l’Iswap?

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Negli ultimi anni, durante le prime lezioni del nuovo anno scolastico, ho dedicato un po’ di tempo ad approfondimenti sulla situazione internazionale. “Cosa ci siamo persi in estate?” è solitamente la domanda di partenza. Due anni fa ricordo che avevamo parlato della crisi del Sahel, di alcuni colpi di stato che si erano verificati, del dismpegno francese dalla zona, dal rischio terroristico. Cinque giorni fa la rivista Nigrizia ha pubblicato questo interessante articolo.

“Il mondo del terrorismo internazionale sta assistendo a una trasformazione radicale. Per la prima volta nella storia dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), le sue ramificazioni africane non si limitano più a ricevere ordini e finanziamenti dal “centro” mediorientale. Ma sono diventate il motore economico e operativo dell’intera organizzazione.
Un cambiamento che dovrebbe indurre a puntare ancora di più i riflettori sulla minaccia jihadista nel continente africano, sottovalutata cronicamente.

Il capovolgimento dei rapporti di forza
L’annuncio delle autorità irachene del 1° settembre ha rivelato uno scenario inedito: una rete di finanziamento dell’Isis, responsabile del “traffico di terroristi in diversi paesi del mondo”, gestita principalmente dall’Africa occidentale.
Il servizio di intelligence nazionale iracheno (INIS) ha parlato di una rete che si estende su tre paesi africani non specificati. Secondo i resoconti dei media iracheni, l’operazione è stata la prima del suo genere da parte dell’INIS nel continente africano.
Dieci agenti sono stati arrestati in Iraq e in tre paesi del continente facenti tutti parte di una sofisticata operazione che supportava piani di attacchi sul suolo europeo.
Al centro di questa rete si trova la Provincia dell’Africa occidentale dello stato islamico (Iswap, Islamic State’s West Africa Province), con base nel nordest della Nigeria e nelle zone limitrofe di Camerun, Niger e Ciad. Quello che una volta era considerato un semplice “affiliato” locale è oggi ritenuta la branca più influente dell’Isis, che guadagna oltre 191 milioni di dollari annualmente attraverso un sistema fiscale altamente organizzato.

Un modello di governance alternativo
La capacità finanziaria di Iswap non è frutto del caso, ma di una strategia deliberata di costruzione statuale. Il gruppo ha sviluppato quello che i ricercatori, citati nell’inchiesta di New Humanitarian, definiscono un vero e proprio sistema di governance parallelo, con quattro governatorati centrati sul Lago Ciad, la Foresta di Sambisa, Timbuktu e Tumbuma, ognuno guidato da un wali con proprie strutture di governo.
Questa organizzazione quasi-statale si basa su un principio fondamentale: fornire servizi che lo stato nigeriano non riesce a garantire. Dove le istituzioni ufficiali sono assenti o inefficienti, Iswap ha costruito semi-ministeri che supervisionano la governance sociale, religiosa, politica ed economica, oltre alle operazioni militari.
Il risultato è una macchina fiscale che tassa pescatori e allevatori, generando entrate superiori al bilancio di molti stati africani.

La minaccia digitale sottovalutata
Un aspetto particolarmente preoccupante emerge dalla sofisticazione tecnologica raggiunta da questi gruppi. Iswap spende circa 4.500 sterline al mese per servizi internet ad alta velocità, utilizzando droni sofisticati e comunicazioni satellitari per coordinare le proprie operazioni.
Questa capacità tecnologica non solo facilita le attività terroristiche locali, ma permette anche di mantenere collegamenti costanti con le cellule internazionali.
La debolezza della sovranità digitale nigeriana sta di fatto agevolando il terrorismo, fornendo alle organizzazioni jihadiste gli strumenti per operare in uno spazio cibernetico largamente non regolamentato.
Una vulnerabilità che si estende a tutto il Sahel e che rappresenta una delle sfide più complesse per le forze di sicurezza regionali.

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Il crollo delle alleanze regionali
La situazione è aggravata dalla crescente instabilità geopolitica della regione. Il ritiro del Niger dalla Forza Congiunta Multinazionale (MNJTF) nel marzo 2025, seguito al colpo di stato del 2023, ha compromesso gli sforzi di condivisione intelligence e interrotto le operazioni militari congiunte.
Anche il Ciad ha minacciato di abbandonare l’alleanza nel 2024, evidenziando le difficoltà nel mantenere una cooperazione efficace contro una minaccia che non conosce confini. Le relazioni diplomatiche tese tra Abuja e Niamey dopo la transizione nigerina verso una giunta militare hanno ulteriormente indebolito il fronte anti-terrorismo regionale.

Implicazioni per la sicurezza globale
Il caso dello smantellamento della rete irachena dimostra che la minaccia di Iswap si estende ben oltre i confini africani. La capacità del gruppo di finanziare operazioni in Medioriente e di pianificare attacchi in Europa rappresenta un salto qualitativo nella minaccia terroristica globale. Non si tratta più di prevenire l’esportazione del terrorismo dall’Africa, ma di riconoscere che l’Africa è diventata il nuovo epicentro del jihadismo internazionale.
Le autorità nigeriane stanno intensificando i controlli sia sulle criptovalute che sui sistemi hawala tradizionali utilizzati dai gruppi terroristici per i loro finanziamenti. Tuttavia, la complessità della rete finanziaria di Iswap, che combina metodi moderni e tradizionali, rende estremamente difficile intercettare tutti i flussi di denaro.

La lezione ignorata
La trasformazione di Iswap da affiliato periferico a centro nevralgico dell’Isis mondiale obbliga sempre più governi e analisti a spostare l’attenzione internazionale sull’Africa come terreno prioritario nella lotta al terrorismo.
Mentre i fari mediatici puntavano su Siria e Iraq, i jihadisti africani hanno costruito pazientemente strutture statali alternative, sviluppato economie parallele e creato reti internazionali sofisticate.
E da tempo tutte le ricerche e i report che studiano il fenomeno, come il Global Terrorism Index, indicano la regione africana del Sahel “l’epicentro del terrorismo globale” e per la prima volta rappresenta “oltre la metà di tutti i decessi legati al terrorismo”.

Le opportunità che la Nigeria offre a Iswap
La Nigeria, con i suoi 220 milioni di abitanti e le sue enormi disparità socio-economiche, offre a Iswap un bacino demografico e territoriale che i gruppi mediorientali non hanno mai posseduto.
La combinazione di esplosione demografica, fallimento della governance e povertà endemica ha creato le condizioni perfette per l’emergere di uno stato jihadista che guadagna dieci volte di più del governo dello Stato di Borno.
Per sconfiggere Iswap, come osservano gli esperti, la Nigeria ha bisogno di una strategia politica, non militare. Finché il gruppo continuerà a fornire servizi che lo stato non riesce a garantire e a presentarsi come alternativa credibile alla corruzione endemica, manterrà il sostegno delle popolazioni locali e la sua capacità di autofinanziarsi.
La partita decisiva contro il terrorismo jihadista, quindi, si gioca oggi nelle savane del Sahel e sulle rive del Lago Ciad, non più tra le rovine di Raqqa o Mosul.”

Le ragazze di Chibok

Boko_Haram_in_Lake_Chad_Region.pngStamattina, in una classe terza, abbiamo approfondito quale sia la situazione della pena di morte in alcuni paesi del mondo. Parlando della Nigeria, è emerso il caso delle studentesse rapite qualche anno fa dal gruppo Boko Haram. Ecco qui un articolo pubblicato proprio oggi su Il caffè geopolitico da Ornella Ordituro.
Il gruppo terroristico africano Boko Haram — il cui nome ufficiale in arabo è “Jama’at Ahl al-Sunnah Lidda’Awat al-Jihad”, cioè persone impegnate per la propagazione degli insegnamenti del profeta e per il jihad — nasce nel 2002 ad opera di Mohamed Yusuf a Maiduguri, nello stato del Borno, nella regione nord-orientale della Nigeria. L’organizzazione è composta principalmente da militanti nigeriani, camerunensi, ciadiani, nigerini e maliani. Solo nel 2009, a seguito della violenta repressione dell’esercito nigeriano, l’organizzazione jihadista ha cominciato a seminare il panico, compiendo attentati che hanno suscitato sgomento in tutta la comunità locale, nei paesi limitrofi e a livello internazionale. Boko Haram mira, infatti, a costituire uno Stato integralmente islamico partendo dalla Nigeria e prevedendo – stando alle ultime dichiarazioni del leader Abubakar Shekau – di imporre la sharia anche in Benin, Camerun, Ciad, Niger e Mali anche attraverso alleanze con i gruppi terroristici attivi nel continente, quali Al-Qaida nel Maghreb islamico e Daesh, da cui ha preso ispirazione per fondare “The Islamic State’s West African Province”. Nonostante il Presidente della Nigeria Muhammad Buhari abbia recentemente dichiarato che il governo può dichiararsi vincitore nella lotta contro il terrorismo, la Nigeria resta al terzo posto nel mondo, dopo Iraq e Afghanistan, per numero di attacchi terroristici subiti. Buhari si è insediato nel maggio 2015, ereditando una situazione già disastrosa. Avrebbe dovuto diversificare l’economia basata sull’esportazione di petrolio e combattere la corruzione ma il Paese è attualmente alle prese con una seria recessione economica. La lotta contro Boko Haram resta un obiettivo difficile da raggiungere, complice anche un passato fatto di ferite e rancori etnici sedimentati e mai risolti.
Si stima che in totale siano morte oltre ventimila persone in seguito agli attacchi di Boko Haram ma il numero non è preciso; almeno cento delle duemila donne rapite sono state usate per compiere attacchi kamikaze; oltre due milioni e quattrocentomila persone hanno abbandonato le loro abitazioni: un milione e ottocentomila sono considerate “internally displaced person” e duecentomila sono rifugiate nei campi in Camerun, Ciad e Niger. Nelle regioni nigeriane più colpite – Adamawa, Borno e Yobe – oltre 7 milioni di persone vivono grazie agli aiuti umanitari, oltre il cinquanta percento sono bambini. Allo stato attuale, circa trecentomila bambini solo nello stato del Borno soffrono di malnutrizione. Molti di loro sono stati reclutati da Boko Haram per diventare bambini soldato: uno su cinque è un suicide bomber, i tre quarti sono ragazze.
Secondo l’idea del gruppo islamista, in tutto il Paese l’istruzione occidentale dovrebbe essere vietata; per14428694342_bd2dc976f0_b tale motivo, Boko Haram continua a perpetrare crimini e violenze anche contro gli studenti. Tra il 14 e il 15 aprile 2014, 279 studentesse sono state rapite nella scuola di Chibok, nell’area nord-orientale della Nigeria. La maggior parte di esse risulta, purtroppo, ancora scomparsa e la loro sorte rimane sconosciuta. Si teme che siano state in larga parte costrette a sposare i rapitori, a entrare esse stesse a far parte delle milizie, sottoposte a terribili violenze, vendute come schiave o indotte a commettere attacchi suicidi. Ad oggi, solo in venti sono riuscite a tornare a casa. Le giovani sono state rilasciate in cambio della liberazione di quattro combattenti di Boko Haram. Il rilascio è stato il risultato di negoziati tra il governo nigeriano e i fondamentalisti islamici, grazie alla mediazione del governo svizzero e della Croce Rossa Internazionale. La comunità internazionale è molto attiva nella sensibilizzazione della società civile al problema, il movimento #bringbackourgirls non perde occasione per ricordare il tragico evento. La drammatica situazione delle studentesse rapite ha messo in luce problemi più ampi, tra cui attacchi regolari contro le scuole, la mancanza di insegnanti e l’urgente necessità di fondi internazionali per riparare e ricostruire gli edifici distrutti. In particolare, la mancanza di opportunità educative per i giovani significa che alcuni bambini non ricevono da molti anni nessun insegnamento scolastico.
Nel gennaio 2015, è stata istituita, per merito del Consiglio di Sicurezza dell’Unione Africana, una Multinational Joint Task Force” (MNJTF) ed è stata avvallata, nello stesso mese, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Si tratta di una coalizione offensiva nata con il contributo di Nigeria, Camerun, Chad, Niger e Benin con l’obiettivo di combattere Boko Haram e ogni altro gruppo terrorista nella regione del Lago Ciad. Il mandato della missione è quello di creare zone sicure nelle aree minacciate dalle attività di Boko Haram o da altri gruppi terroristici; facilitare la ricostruzione delle zone distrutte dagli attacchi terroristici; favorire il ritorno a casa degli sfollati e dei rifugiati; garantire il successo di operazioni umanitarie e la consegna di beni necessari alla popolazione; il mandato della missione include anche attività di prevenzione, compresa ogni misura volta a liberare le ragazze della scuola di Chibok ed evitare che accadano episodi simili.
Tuttavia, nonostante la coalizione sia attiva sul campo, Boko Haram resta una minaccia per la pace e la sicurezza regionale. Per evitare che la crisi diventi internazionale, a tal proposito, l’Unione Europea ha recentemente stanziato cinquanta milioni di euro per sostenere l’azione dell’Unione Africana nel mantenimento del quartier generale di Njamena, così come i distaccamenti in Camerun e Niger, oltre che per dare un supporto tecnico e logistico all’operazione. Con le Risoluzioni n. 2161 e 2195 del Consiglio di Sicurezza ONU del 2014 sono state imposte sanzioni al fine di congelare i beni e i fondi di Abubakar Mohammed Shekau, quale leader del movimento e affiliato ad Al-Qaida, accusato di ricevere aiuti, assistenza e finanziamenti per perpetrare attività terroristiche per conto di Boko Haram. La decisione ricalca l’azione intrapresa dal Comitato del Consiglio di Sicurezza per contrastare “Daesh”, “Al-Qaida” e persone, gruppi, enti, associazioni ad essi affiliate. A queste, si aggiunge la decisione del Consiglio europeo di imporre sanzioni a Boko Haram, quale organizzazione terroristica”.

Uno sguardo su Boko Haram

Pubblico un articolo di Giorgio Cuscito tratto da Limes per chi voglia avere in cinque minuti un inquadramento generale su Boko Haram e quanto sta avvenendo in Nigeria.

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Nei giorni in cui si è verificato in Francia l’assalto dei jihadisti, cominciato con l’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, in Nigeria se ne è registrato uno ancor più grave. L’organizzazione terroristica Boko Haram ha condotto feroci attacchi nel Nord del paese, provocando la morte di migliaia di persone. Nel paese africano si sta assistendo a un’escalation di violenza che se trascurata potrebbe creare i presupposti per un altro Stato Islamico (Islamic State, Is), simile a quello operante in Siria e in Iraq.

Gli attentati

Dal 3 gennaio per circa una settimana, Boko Haram ha compiuto un raid nel villaggio di Baga e in quelli circostanti nel Nord Est della Nigeria. Il ministero della Difesa nigeriano afferma che sarebbero rimaste uccise 150 persone, mentre secondo i funzionari locali le vittime sarebbero circa 2 mila, di cui la maggior parte bambini, donne e anziani. Come ha affermato Amnesty International, potrebbe trattarsi dell’attentato “più sanguinoso” mai sferrato da Boko Haram. Nei giorni successivi, l’organizzazione jihadista ha condotto due attentati a Maiduguri e a Potiskum (sempre nel Nord Est del paese), utilizzando delle “bambine kamikaze” con addosso dell’esplosivo. Il primo attacco ha provocato venti morti, il secondo almeno tre. Negli ultimi mesi, Boko Haram si è servita in più occasioni di donne pronte (o forse no) al martirio per condurre attentati, ma secondo il New York Times, il coinvolgimento di bambine sarebbe una pericolosa novità.

Origini di Boko Haram

Boko Haram (che significa “l’educazione occidentale è peccato”),il cui nome ufficiale è Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad (ovvero “persone impegnate per la propagazione degli insegnamenti del profeta e per il jihad”), è un’organizzazione terroristica fondata formalmente nel 2002 da Mohamed Yusuf e guidata oggi da Abubakar Shekau. Il suo scopo è imporre il califfato in Nigeria. Secondo il dipartimento di Stato Usa, avrebbe dei legami con al Qaida nel Maghreb islamico (Aqim), inoltre, lo scorso luglio Shekau ha dichiarato il suo supporto allo Stato Islamico. Nel 2002 Yusuf ha creato a Maiduguri, nello Stato del Borno, un complesso religioso, che include una moschea e una scuola islamica, con la scopo di contrastare l’educazione occidentale. La scuola ha attratto musulmani da tutto il paese, diventando il luogo perfetto di reclutamento. Ma è dal 2009, a seguito della violenta repressione dell’esercito locale, che l’organizzazione jihadista ha cominciato a seminare il panico, compiendo attentati contro edifici delle forze di polizia, scuole, chiese, moschee e uccidendo civili. L’attività di Boko Haram si è intensificata nel 2011, quando in un clima di tensione è stato eletto l’attuale presidente della Nigeria Goodluck Jonathan, del People’s democratic party e appartenente agli Ijaw, un’etnia cristiana minoritaria del Sud del paese. Nell’aprile 2014, Boko Haram ha rapito 276 alunne nigeriane, episodio che ha dato inizio alla campagna mediatica su Twitter, #BringBackOurGirls. Cinquantasette di loro sono riuscite a scappare, ma le restanti non sono ancora libere. Da questa estate l’organizzazione jihadista ha cominciato ad ampliare il proprio raggio d’azione e secondo il Telegraph attualmente controllerebbe un’area di circa 52 mila chilometri quadrati nel Nord Est del paese. Secondo un rapporto sul jihadismo realizzato dall’International centre for the study of radicalisation and political violence in collaborazione con la Bbc, nel mese di novembre Boko Haram è stata la seconda organizzazione jihadista per uccisioni (801 in 30 attacchi) dopo l’Is (2.206 in 306 attacchi). I talebani sarebbero terzi in questa macabra classifica (720 vittime in 150 attacchi). La ferocia di Boko Haram non è una novità. Già lo scorso anno, il National consortium for the study of terrorism and response to terrorism (Start) aveva affermato che nel 2013 questa organizzazione è stata la terza al mondo per attacchi perpetrati, proprio dopo i talebani e lo Stato Islamico (all’epoca ancora Stato Islamico di Iraq e Levante).
In questi anni, a causa degli attentati di Boko Haram, circa un milione e mezzo di nigeriani ha abbandonato le proprie case e centinaia di migliaia di persone sono fuggite in Ciad, Niger e Camerun. Peraltro, paesi in cui i jihadisti nigeriani stanno estendendo il proprio campo d’azione. L’ascesa di Boko Haram e più in generale l’instabilità della Nigeria non dipendono solo dalle tensioni religiose tra musulmani (a Nord) e cristiani (a Sud) ma anche dagli interessi tribali e regionali legati allo sfruttamento delle risorse naturali, dalla corruzione dei politici locali e dalla povertà in cui vive la maggioranza della popolazione. Sono queste le vulnerabilità che l’organizzazione jihadista può sfruttare per consolidare il suo potere sul territorio.

Rischi di nuovi attentati

Il quadro che emerge è preoccupante. Con le dovute differenze, il caos in cui regna la Nigeria non è molto diverso da quello che ha favorito l’ascesa dello Stato islamico in Iraq e Siria. Inoltre, in quanto a determinazione Boko Haram ha poco da invidiare all’organizzazione di al Baghdadi e le forze di sicurezza locali necessiterebbero di un concreto sostegno internazionale, visto che non sembrano adeguatamente equipaggiate, addestrate e motivate per fronteggiare da sole la minaccia. Arginare l’ascesa dell’organizzazione jihadista pare indispensabile per evitare che la sua ombra si estenda sul resto dell’Africa nordoccidentale. Dal canto suo, il governo di Abuja dovrebbe porre rimedio ai problemi sociali e politici che caratterizzano la Nigeria, ostacolando l’attività di proselitismo dell’organizzazione jihadista. Il 15 febbraio in questo paese si terranno le elezioni presidenziali e Muhammadu Buhari, politico musulmano del Nord, appartenente al All progressives congress (principale partito d’opposizione), ex generale dell’esercito nigeriano che ha governato il paese dall’83 all’85, è il più importante antagonista di Jonathan. Il suo passato militare, le sue radici e soprattutto il malcontento per la scarsa efficacia con cui l’attuale presidente ha contrastato Boko Haram sono le carte di cui si servirà nelle prossime settimane. Un periodo che probabilmente sarà segnato da nuovi attentati.”