“Ho deciso di portare questa canzone perché quando ero piccola mia mamma lavorava e rimanevo coi miei famigliari o andavo all’asilo. Le maestre me la facevano sentire ogni volta che piangevo, mi faceva stare bene, essere felice e smettevo di piangere.”
Mi aspettavo Whisky il ragnetto o Il coccodrillo come fa, non Baby one more time di Britney Spears! A parte la sorpresa iniziale della gemma di S. (classe terza), penso sia un bell’esercizio quello di concentrarci su quali siano le cose/persone in grado di calmarci quando perdiamo la pazienza o di tirarci su il morale quando siamo tristi. Tra l’altro io sono una di quelle persone che quando sono giù hanno bisogno di stare un po’ lì, sul fondo, prima di tornare su: se qualcuno cerca di sollevarmi prima che io sia pronto, mi infastidisco pure!
“Da quando ci è stato assegnato questo compito ho pensato spesso a cosa avrei potuto portare come gemma. Ho optato prima per un orso di peluche che mi accompagna da quando sono piccola e nel quale cerco conforto quando non posso farlo con chi vorrei in quel momento. Poi avevo deciso di portare il biglietto di un concerto, purtroppo annullato a causa covid, al quale sarei dovuta andare con le mie tre più care amiche in quanto sia loro che il gruppo musicale sono estremamente importanti per me. Entrambe queste idee però non si sono concretizzate. Giorni fa mi sono sfogata con queste mie amiche perché è un periodo caotico, per così dire. Fortunatamente ho delle persone al mio fianco che mi rendono felice nonostante il contesto. Tra queste ce n’è una che proprio in quel mio momento di sfogo ha deciso di dedicarmi la frase di una canzone: “E per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale”. Quando ho letto quel messaggio i miei occhi sono diventati lucidi, mi ha scaldato il cuore e ho pensato “la mia Gemma sarà proprio questa frase”. Con essa in mente percepisco una voglia più forte di spingere me stessa a continuare a impegnarmi e andare avanti perché quel traguardo felice voglio raggiungerlo. Un’altra frase che completa la mia gemma l’ho sentita da un video apparsomi nella sezione “per te” di un social. Il video non l’ho salvato perché sapevo mi sarei ricordata questa citazione. È infatti da qualche tempo che mi accompagna nei momenti di insicurezza. Dice: “She never looked nice. She looked like art, and art wasn’t supposed to look nice; it was supposed to make you feel something.” Il significato è “Lei non è mai stata carina. Lei sembrava arte. E l’arte non è fatta per essere semplicemente carina, l’arte è fatta per farti provare qualcosa”. Quando l’ho sentita e quando ci ripenso, mi sembra di essere abbracciata da una voce che mi sussurra “sei speciale”.”
Questa la gemma di A. (classe terza). Oggi pomeriggio ho seguito una formazione online durante la quale è stato mostrato un pezzo di un video che qui inserisco per intero (sono 6 minuti più o meno). Si tratta di un’intervista fatta a Mattia, uno studente di liceo scientifico. Non voglio paragonare A. e Mattia, proprio no, non è questo il punto. Ma ho sentito risuonare alcune delle parole di A. (“è un periodo caotico… mi ha scaldato il cuore… quel traguardo felice voglio raggiungerlo… mi sembra di essere abbracciata da una voce che mi sussurra “sei speciale”) in alcune di quelle usate da Mattia: “i professori mi guardavano negli occhi… avrei voluto che qualcuno mi guardasse negli occhi e mi dicesse puoi essere fragile, puoi dirlo che non stai bene”. E ho pensato alla bellezza di quando si incontra qualcuno che è un’opera d’arte, che ti fa provare qualcosa, che ti guarda negli occhi, che ti sussurra “sei speciale” e ti fa sentire libero di essere fragile.
“Mi è piaciuta questa canzone e la sua relazione con le immagini. Mi fa ricordare molte cose sia brutte che belle”. Questa la gemma di M. (classe terza). Il brano è dei Cranberries: “Ricordi le cose che dicevamo di solito, mi sento così nervosa quando penso a ieri. Come ho potuto permettere che mi accadessero delle cose così brutte, come ho permesso che mi accadessero? Come morire nel sole… Mi terrai ancora, mi sento fragile, mi terrai ancora, non ci fermeremo mai. Volevo essere così perfetta capisci, volevo essere così perfetta…”. Nell’amicizia la consolazione per le sofferenze e le delusioni personali; grazie alla relazione con l’altro ritrovare se stessi.
“La canzone che ho fatto ascoltare va pensata al femminile con una mamma e una figlia. L’ho sentita la prima volta a Sanremo nel 2009, e ha molto colpito mia madre e me. Si parla anche di un rapporto di amicizia, e l’ho scelta per un problema personale che ora lei sta affrontando. Con questo video voglio dire a mia madre «Sono fiera di te»: nel brano viene detto due volte e una volta è cantato insieme. Dedico la canzone a mia mamma perché sono orgogliosa di lei, proprio per il fatto di essermi amica e spero che il suo problema si risolva il più presto possibile. Ne sento molto la mancanza soprattutto come amica”. Così, emozionandosi, A. (classe quinta) ha presentato la sua gemma. Mi ha portato alla mente una delle canzoni più famose tra un padre e un figlio, la nota “Father and son” di Cat Stevens, e in particolare una delle scene più clamorose di un film che adoro e che mi ha profondamente emozionato. “I love radio rock” è un film sulle radio pirata dell’Inghilterra anni ’60. Nella sequenza che pubblico, una barca che ospita “Radio Rock” sta imbarcando acqua ed è lì lì per affondare: un ragazzo, Carl, si preoccupa perché non vede il padre Bob, che sta ascoltando musica con le cuffie nella sua cabina. Lo trova e fa di tutto per salvarlo, nonostante il padre cada nell’acqua con tutti i suoi vinili e… La dedica musicale di A. per la madre mi ha ricordato da vicino il gesto d’amore di Carl per il padre.
“Ho deciso di portare la canzone “Blue” che parla fondamentalmente del rapporto madre-figlia. In questo periodo mia mamma sta soffrendo molto, ed io non riesco a starle molto vicina perché ho molto da studiare e non le posso dedicare lo stesso tempo di una volta. Mamma è a casa con me, anche se a volte mi sembra lontanissima.” Profondamente commossa, così V. (classe terza) ha presentato la sua gemma; e ha proseguito: “Da un po’ di tempo mamma sta cercando lavoro; apparentemente, spero che riesca a trovarlo. In realtà ho timore che il nostro rapporto possa in qualche modo cambiare. Da quando mamma ha perso suo padre fa fatica a sorridere. Oggi ho portato anche tre foto da cui traspare tutta la sua premura nei miei confronti, tutto il suo sostegno, in tutto. Mamma è speciale, è il mio primo pensiero. Spero davvero, durante le vacanze di Natale, di riuscire a trovare più tempo per lei”. Mi è venuta in mente una canzone di Christina Aguilera, “I turn to you”: “Quando sono persa nella pioggia, nei tuoi occhi so che troverò la luce per illuminare la mia strada e quando sono spaventata e mi manca la terra sotto i piedi, quando il mio mondo impazzisce, tu puoi ribaltare la situazione. E quando sono giù tu ci sei, spingendomi verso l’alto. Sei sempre lì, dandomi tutto quello che hai”.
Ben ritrovati! Riprendo l’aggiornamento del blog dopo un periodo di pausa, tranquillità e pace coincidente con le ferie di mia moglie. Il primo post lo dedico a una foto che ho scattato domenica. Michele, il figlio di una coppia di cari amici, è appena scivolato e sta piangendo per lo spavento. Piano piano si avvicina Mou che inizia a leccargli dolcemente le manine. Quando un bimbo piange non per puro capriccio, fa un singhiozzo molto lungo e finisce in una specie di apnea e sembra non respirare, prima di immettere nei propri polmoni una grande boccata di aria e lanciarsi in un grido di disperazione. In ebraico i termini consolare-consolazione giungono dalla radice nhm, respirare profondamente, gemere, “far respirare”, far tirare il fiato. La vicinanza, la condivisione, anche muta, ma presente, l’essere accanto, il prendersi cura, il dire “sono qui”. Ne abbiamo bisogno tutti. E conoscendone il bisogno, sono chiamato a farlo per l’altro.