Come state?

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Inizio tutte le lezioni con una domanda: “Come state?”. Non è una domanda a caso, è realmente interessata, tanto che talvolta porta a risposte che determinano la lezione di quel giorno. In questo periodo di presenze in classe e presenze online, quella domanda la rivolgo solo a chi è in classe perché non sia mai che venga intesa come indagine sulla condizione sanitaria. Eppure è proprio a chi è a casa che mi piacerebbe chiedere “come stai, come la stai vivendo, possiamo fare qualcosa per te, c’è qualcosa che ti preoccupa o sei serena?”. Anche se quella domanda non la faccio, c’è. C’è e non posso fare a meno di averla nel cuore perché è figlia dell’I care di don Milani, è figlia dell’interesse per ciascuna e ciascuno di voi, è figlia del senso che do all’educare, è figlia del senso civico, è figlia di una visione di comunità. E allora ho deciso che dalla prossima lezione quella domanda la ripropongo, come sempre aperta a tutte/i, in generale, e come sempre, liberamente, risponderete o meno.

Gemme n° 288

Per molti mesi questa canzone è stata continuamente trasmessa alla radio; so anche che molti in classe non amano Mengoni, però penso che il testo sia molto bello e dica cose vere. Ritengo sia una canzone che si possa dedicare a chi si vuol bene e il cui bene sta prima del nostro. Io la dedico a mia sorella che ha 6 mesi e mezzo. Gliela farò sentire quando sarà più grande cercando di mettere in pratica quello cui il testo si riferisce. Penso serva a tutti avere accanto una persona a cui dedicare queste parole”. Così M. (classe terza) ha presentato la sua gemma.
La fedeltà, l’esserci, l’interessarsi, l’aprire il cuore all’esistenza di un tu, l’alzare lo sguardo dall’ombelico, il posare l’attenzione un po’ più in là, l’essere volpe per un piccolo principe… sono strade che penso valga la pena provare a percorrere.

Come state?

keep-calm-and-come-stai-6Oggi pubblico il “Buongiorno” di Massimo Gramellini pubblicato su “La Stampa” mettendo in evidenza in grassetto la condizione per me essenziale: “mi interessi”.
Cosa farei se vedessi un uomo sul cornicione di un ponte con i piedi pronti al grande balzo? Jamie Harrington, dublinese di sedici anni, è salito sul ponte, si è seduto accanto all’aspirante suicida e gli ha gettato al collo solamente due parole: «Stai bene?». Per tutta risposta l’uomo si è messo a piangere. In tre quarti d’ora di monologo ha concentrato le miserie di una vita.
La sensazione di essere invisibile, inutile, inadeguato. Jamie gli ha lasciato finire il racconto e poi ha detto: «Stanotte non riuscirei a dormire se ti sapessi in giro da solo per la città. Chiamerò un’ambulanza perché ti porti in ospedale». L’uomo alla deriva si è lasciato trarre in salvo: più per non deludere il nuovo amico che per altro. Si sono scambiati i numeri di telefono. A tre mesi da quella notte lo smartphone di Jamie ha suonato e lui ha subito riconosciuto la voce: «Stai bene? Sono state quelle due parole a salvarmi». «Com’è possibile che ti siano bastate due parole?», gli ha chiesto Jamie. «Immagina se per tutta la vita non te le avesse rivolte mai nessuno».
Stai bene. Nel comunicare col prossimo, persino con le persone amate, si preferisce usarne altre più intrusive. «Come è andata?», «Con chi sei stato?». E quando si chiede a qualcuno come sta è solo per recitare una formula di cortesia che spesso non prevede di prestare attenzione alla risposta. Eppure, se pronunciate a cuore aperto, quelle due parole pare facciano miracoli. L’uomo che voleva togliersi la vita ne ha appena creata una nuova, con la collaborazione decisiva di sua moglie. Dice che aspettano un maschio e che lo chiameranno Jamie.”