“Il cinema è come una porta aperta su mondi infiniti, dove le storie prendono vita e le emozioni si possono vivere insieme, in un istante. Il cinema ha un potere straordinario: quello di trasportarci lontano, in universi lontani e sconosciuti, mentre ci regala frammenti di verità umana che possiamo sentire come nostri. È una forma d’arte che non ha limiti e non conosce confini, perché le sue immagini sono capaci di raggiungere ogni angolo del nostro essere, scatenando riflessioni, sorrisi, lacrime e connessioni. La magia del cinema sta proprio nella sua capacità di condensare il tempo e lo spazio, di darci l’opportunità di vivere vite diverse, di esplorare emozioni intense e di capire cose che spesso nella vita quotidiana restano celate. Basta pensare a un film come L’attimo fuggente, dove attraverso le parole di Robin Williams, diventiamo parte di quella classe di giovani che scoprono la bellezza di vivere, di pensare, di essere liberi. O a Interstellar, un viaggio che non è solo spaziale, ma anche emotivo, un’esperienza che ti fa riflettere sulla relatività del tempo e sull’amore, su come il legame tra un padre e una figlia possa trascendere le barriere dell’universo. Ogni film ha il potere di risvegliare emozioni che ci fanno vedere il mondo sotto una nuova luce, mentre ci offre anche uno specchio in cui riconoscere i nostri sogni, le nostre paure, le nostre speranze”. (B. classe quarta).
“Ho scelto di portare il trailer del film Interstellar: l’ho visto al cinema con i miei in un periodo non buono per me. Mi hanno colpito alcune frasi che ci sono nel trailer e anche tante scene. Devo dire anche che, avendolo rivisto recentemente, sono riuscita a comprendere molte più cose della prima volta”.
Ho trovato Interstellar un film molto ricco di suggestioni e una fonte abbondante di riflessione. Per commentare la gemma di G. (classe seconda) lascio qui delle citazioni (solo alcune, ce ne sarebbero tante!).
TARS : La terza legge di Newton. L’unico modo che gli umani hanno trovato per andare avanti è lasciarsi qualcosa alle spalle.
Cooper : Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango.
Murph: Perché tu e la mamma mi avete chiamata come una cosa brutta? Cooper: No, non è vero. Murph: La legge di Murphy. Cooper: La legge di Murphy non significa che succederà una cosa brutta, ma che tutto quello che può accadere accadrà. E a noi questo non dispiaceva per niente.
Romilly: Se solo potessimo vedere all’interno della stella collassata. La singolarità. Allora capiremmo la gravità. Cooper: Non c’è nessun dato da captare? Romilly: Niente supera quell’orizzonte. Neanche la luce. La risposta è lì ma non c’è modo di vederla.
Professor Brand : Non ho paura della morte. Sono un vecchio fisico. Ho paura del tempo.
Dr. Mann : Lei ha dei legami, ma anche senza una famiglia le posso assicurare che il desiderio di stare con altre persone è potente. Quell’emozione è alla base di quello che ci rende umani. Non è da sottovalutare.
Dr. Mann : Lei sa perché non potevamo mandare delle macchine nelle nostre missioni, vero Cooper? Una macchina non improvvisa bene. Perché non si può programmare la paura della morte. Il nostro istinto di sopravvivenza è la nostra più grande fonte di ispirazione. Prendiamo lei come esempio: un padre con un istinto di sopravvivenza che si estende ai propri figli. Per la ricerca sa quale sarà l’ultima cosa che lei vedrà prima di morire? I suoi figli. I loro volti. In punto di morte la sua mente spingerà ancora un po’ di più per sopravvivere. Per loro, Cooper.
Al cinema ho apprezzato molto il film “Arrival” e ora ho trovato un’interessante riflessione di Mario Domina sul blog filosofico La botte di Diogene.
“Come già mi era successo con Interstellar di Nolan, anche con Arrival di Villeneuve ho provato la sensazione fortissima di venire integralmente assorbito in una visione altra (aliena in senso lato) del mondo, e di trovarmi poi a fluttuare a lungo con la mente (e persino con il corpo) entro questa dimensione sospesa e rarefatta, come se il pianeta mi stesse stretto e fosse ormai così asfittico da dovermi apprestare a lasciarlo. Per poter proseguire così il viaggio della visione in un più articolato viaggio cosmico ed esistenziale. La potenza visionaria di questo genere di film e di storie – che sfidano addirittura i massimi sistemi fisici, filosofici, etici, estetici e semiotici, e che alzano sempre più il livello insieme emotivo ed intellettuale – non si limita più a scaraventarci addosso domande da far tremare i polsi (che cos’è il tempo? che cos’è l’alterità? che cos’è umano? siamo liberi o predeterminati? siamo tutt’uno col cosmo? esistono limiti nella nostra capacità percettiva? e via ontologizzando), ma va oltre: ci scava la terra sotto i piedi, ci pone in una situazione straniante-perturbante, perché non sono più la mente o la coscienza ad esserne avvinte o affascinate, ma la radice stessa della nostra esistenza, quel tutt’uno passionale e razionale (ed altro ancora) che noi siamo, o che crediamo di essere, o che ci raccontiamo di essere. Vi è uno sradicamento minore ed uno maggiore in tutto ciò: non siamo per nulla soddisfatti del quotidiano (precarietà, infelicità, paura e angoscia diffusa, fragilità, incertezza – nonostante gli indubbi progressi tecnologici e quantitativi, che sono tra l’altro le medesime radici che generano fantascienza, tecnoincubi e distopie, al momento il genere letterario più diffuso, dopo il ciclo fantasy); ma non lo siamo nemmeno sul fronte della storia, che non sappiamo più come modificare o far virare al meglio, essendo sempre più capillarmente convinti che nulla possiamo di fronte a processi ineluttabili che ci sovrastano: Marx è morto nella nostra mentalità, più ancora che nell’arena storica. E allora perché non gettarci anima e corpo in potenti evasioni immaginifiche? – il cui ruolo pare peraltro essere quel che un tempo ricoprivano i sogni (ad occhi aperti) e le utopie (in campo politico). La fantascienza esistenziale risponde a tali bisogni sia in termini di forma che di sostanza: corrisponde ad un bisogno estetico (il terrore sublime dell’ignoto), ma anche ad un bisogno etico-politico, che però non sembra avere più esiti pratici convincenti. Prendiamo Arrival: il tema della comunicazione con altre forme di vita (e con l’alterità) è la questione delle questioni, senza la cui risoluzione la specie umana non andrà da nessuna parte. Di più: la scelta di far nascere qualcuno in un mondo che immaginiamo in disfacimento – senza così cospirare contro la razza umana, contribuendo alla sua estinzione (come auspica il pessimismo à la Ligotti) – è un atto insieme libero e folle. Perché Hannah dovrà nascere se è destinata alla malattia e alla morte? La risposta sta in un salto ontologico, in grado di generare una mentalità totalmente aliena alla nostra: perché la morte (e il tempo) non esistono, sono pure illusioni prodotte da un irriducibile narcisismo individuale destinato ad accelerare la nostra estinzione. Ma questo sì che richiederebbe un cambio radicale di paradigma: occorrerebbe lasciare questo pianeta – questa valle di lacrime – attraversare il meraviglioso cerchio della conoscenza aliena ed affidarci alla saggezza di un altro pianeta, quello abitato dagli eptopodi, per i quali ogni nostro atto è pura immanenza, processo e necessità. Un dono (non un’arma) che non abbiamo nessuna intenzione di accettare, se non in qualcuno dei nostri più reconditi sogni.”