Le domestiche bambine del Marocco

Nella giornata che celebra i diritti dell’infanzia pubblico questo articolo che parla delle domestiche bambine. Il pezzo si conclude con le richieste fatte da Human Rights Watch al governo marocchino. Mi permetto di aggiungere una domanda: nell’articolo si scrive che spesso quello di queste bambine è l’unica fonte di sostentamento della loro famiglia. Cosa succede ai famigliari? Si potrebbe ipotizzare che lo stesso lavoro venga svolto da un altro membro della stessa famiglia? L’articolo di Monica Ricci Sargentini compare qui.

“Lavorano dalle sei di mattina a mezzanotte, sette giorni su sette, per una paga misera,images.jpg tra gli 11 e i 61 dollari al mese che vengono versati direttamente ai genitori. Sono le domestiche bambine che a migliaia vengono mandate ogni anno a lavorare nelle case della media borghesia marocchina. Una situazione veramente vergognosa per un Paese che cerca di dare di sé una immagine moderna e proiettata verso l’Occidente. Le piccole, spesso di appena 8 anni, vengono da zone rurali e spesso il loro misero stipendio è la sola fonte di sostentamento delle loro famiglie. L’arrivo in città il più delle volte è traumatico, molte raccontano anche di aver subito molestie e violenze sessuali da parte dei padri e dei figli della famiglia ospitante. La loro vita si svolge solo all’interno delle mura domestiche ad eccezione di quando escono per qualche commissione. Ma ribellarsi e denunciare è impossibile. Parliamo di bambine semianalfabete (la metà ha smesso di andare a scuola, un terzo non c’è mai andato) che non sanno dove e a chi chiedere aiuto.

Da tempo si discute della necessità di una legge che regoli il lavoro domestico e il governo ha promesso di metterla in agenda entro il 2013. Troppo poco per Human Rights Watch (HRW) che il 15 novembre ha pubblicato un rapporto dal titolo La servitù solitaria: “Il governo – ha spiegato Jo Becker di HRW – dice che il lavoro minorile è diminuito e la scolarizzazione aumentata. E’ vero ma c’è la necessità di proteggere queste lavoratrici con azioni mirate. Il lavoro al di sotto dei 15 anni dovrebbe essere proibito. Queste ragazzine vengono sfruttare, abusate e costrette a lavorare per moltissime ore per un salario bassissimo. Nessuno sa quante siano veramente”. L’ultimo dato risale al 2001 in cui si stimava che ci fossero tra 66mila e 86mila domestiche bambine, di cui 13,500 solo a Casablanca. Oggi quella cifra, assicura HRW, si è sicuramente ridotta ma il fenomeno è ancora diffuso. Il governo ha promesso dei nuovi dati presto. In ogni caso, dicono oggi le autorità marocchine, il lavoro minorile è sceso drasticamente da 517mila persone nel 1999 a 123mila nel 2011. Agli ispettori, però, è proibito andare nelle case private per questo è più difficile quantificare il fenomeno. “Il lavoro domestico – ha aggiunto ancora Becker – è un problema serio perché queste ragazzine sono invisibili, lavorano all’interno delle abitazioni e quindi sono più vulnerabili all’abuso fisico e per loro è ancora più difficile cercare aiuto”.

Un anno fa fece clamore la morte di Khadija una domestica di soli 11 anni uccisa dalla figlia della padrona di casa perché le aveva rovinato la camicetta lavandola. La ragazzina veniva da Tagadirt, un piccolo villaggio a sud-est di Marrakesh, aveva cominciato a lavorare a nove anni per 50 dollari al mese. La donna che l’ha uccisa aveva 31 anni. Ma anche quest’episodio, seppure agghiacciante e commovente insieme, sembra essere stato dimenticato. Anche perché il fenomeno è così diffuso che spesso chi deve far rispettare le leggi (giudici, poliziotti, ministri) ha in casa una domestica bambina.

  • Human Rights Watch ha chiesto al governo marocchino e al re Mohammed VI di varare le seguenti misure:
  • Stabilire che l’età minima per il lavoro è 15 anni e prevedere multe salate per i datori di lavoro e per i reclutatori
  • Aumentare l’informazione sul lavoro domestico con una campagna stampa in cui si spiega alle ragazze come chiedere aiuto chiamando un numero verde
  • Identificare i lavoratori bambini e rimuoverli immediatamente da quella situazione
  • Perseguire penalmente chi commette violenza e abusi nei confronti dei lavoratori domestici”

Dai palloni alla wii

Io gioco, tu lavori. Dipende da dove si nasce… Periodicamente la storia si ripete: prima i palloni da calcio, ora la wii… Il tutto mascherando il lavoro minorile con degli stage per studenti. Ne scrive Marta Serafini sul Corriere.

“Quando dei minorenni vengono usati per testare e produrre giochi per altri bambini. È nintendo-wii-logo.jpgsuccesso nel 1996, quando la foto di un bambino pakistano che cuciva un pallone della Nike fece il giro del mondo diventando il simbolo del movimento no global. E succede ancora alla Foxconn, nella fabbrica di Yantai, dove – è notizia di mercoledì – hanno lavorato per più di tre settimane 56 minori di 16 anni, assunti come stagisti. E ciò che rende ancora più inquietante la scoperta della ong China Labor Watch è che proprio in quella fabbrica venga testata e assemblata la Nintendo Wii U, piattaforma di videogame destinata proprio ai teenager. La Nintendo in comunicato ha fatto sapere di star investigando sull’accaduto e ha fatto sapere che «la policy aziendale è rispettare le leggi che vietano lo sfruttamento del lavoro minorile in tutte le fabbriche dove vengono assemblati prodotti con il marchio Nintendo. Foxconn inclusa». Ma secondo il sito americano Techcrunch, non ci sono dubbi: in quello stabilimento la Wii è in fase di test. D’altro canto la Foxconn già nei giorni scorsi aveva chiesto scusa per aver violato la legge cinese che vieta il lavoro minorile sotto i 16 anni. Cupertino nel frattempo si è affrettata a far sapere che nella fabbrica «incriminata», quella di Yantai, non vengono assemblati prodotti Apple. Insomma, come sempre, tutti cercano di uscirne senza macchie. Peccato che la denuncia di “stage illegali” (gli studenti sono costretti ad abbandonare gli studi per andare in fabbrica pena la bocciatura) era già avvenuta a maggio di quest’anno, quando un report della Students and Scholars Against Corporate Misbehaviour aveva messo in luce il regime militaristico delle fabbriche e l’utilizzo degli studenti in formazione come operai nelle fabbriche Foxconn sparse sul territorio cinese. Insomma dal 2005 ad oggi dello sfruttamento degli operai nelle fabbriche dove si producono cellulari, pc, smartphone, tablet e piattaforme di ogni tipo, si parla ormai sempre di più. Tanto che l’argomento è stato affrontato anche da Obama e Romney durante l’ultimo dibattito elettorale. La domanda rivolta ai candidati è stata semplice: se sappiamo che le aziende cinesi usate da quelle americane per la produzione di alcuni ritrovati tecnologici, violano i diritti umani, possiamo convincere le aziende americane a tornare in patria? Romney ha provato a farne una questione di relazioni commerciali con la Cina e ribadendo che l’America può competere anche con la Cina per la produzione di ritrovati tecnologici a patto che la competizione sia basata su regole condivise. Obama, invece ha detto che le attività manifatturiere di basso costo possono anche essere delocalizzate dalle aziende americane, ma è importante invece concentrarsi su innovazione e ricerca negli States. Ma nessuno dei due ha voluto spingersi oltre. E nessuno dei due ha denunciato la costante violazione dei diritti dei lavoratori, minorenni e non. Il tutto mentre Pechino fa della repressione dei diritti dei lavoratori una parte sistematica della politica dello stato.”