Tra determinismo e libero arbitrio

Immagine creata con ChatGPT®

Maddalena Feltrin è allieva della Scuola Superiore di Toppo Wassermann di Udine. Recupero un suo pezzo di un mese fa, scritto per Treccani. Il tema è di nuovo quello delle scelte, del libero arbitrio e del determinismo. Ci vuole un po’ di concentrazione, ma gli interrogativi che suscita sono numerosi e interessanti, così come le possibilità di approfondimento.“

Accettando l’analisi che viene proposta da alcuni neuroscienziati come J.D. Haynes e B. Libet, si è costretti all’ammissione di una visione deterministica del mondo, ossia la concezione della realtà per la quale tutti i fenomeni sono collegati l’un l’altro secondo un ordine necessario e invariabile. In altre parole, in natura, data una causa o una legge, può verificarsi soltanto un certo effetto o un particolare fenomeno e non un altro. Nell’Universo non c’è spazio per una variazione spontanea né per il perseguimento di una libera scelta.
Questa visione del mondo comporta degli effetti su molti aspetti del nostro approccio alla vita, ed è emblematico il caso della legislazione, che necessita di essere completamente rivista. La legge è, infatti, basata sull’idea che le persone siano responsabili delle loro azioni (tranne in eccezionali occasioni) ma, se ogni prassi umana è ricondotta a prevedibili schemi di risposta a degli stimoli, non si può più pensare di punire un uomo: egli, ontologicamente, non ha mai preso una vera decisione! Conseguentemente, la negazione del libero arbitrio mette in discussione l’esistenza stessa del sistema giuridico e di qualsiasi forma normativa.
Di fronte a questa conclusione, alcuni filosofi come T. Nagel, P. van Inwagen e C. McGinn ribadiscono l’importanza dell’intuizione della libertà. Essa è la condizione ineliminabile dei giudizi morali e lo stesso Haynes ammette come – non appena si comincia ad interpretare il comportamento delle altre persone – sia virtualmente impossibile credere che esse non stiano attivamente prendendo delle decisioni. Siamo, quindi, condannati a credere nella libertà, anche se abbiamo buone ragioni per pensare deterministicamente. Pertanto, dobbiamo – a loro detta – ammettere il paradosso di dover credere a qualcosa la cui esistenza sembra impossibile da provare: come scrive Inwagen, «il libero arbitrio sembra […] essere impossibile. Ma sembra anche che il libero arbitrio esista. Perciò l’impossibile sembra esistere».
Per rispondere a questa contraddizione, il biofisico H. Atlan recupera il senso di responsabilità del singolo in una visione deterministica con un confronto tra le neuroscienze e Dio. Egli, riprendendo la visione spinoziana della mente e del corpo intesi come aspetti diversi della stessa sostanza, sviluppa il suo pensiero a partire da un verso in un antico trattato ebraico, Capitoli dei padri 3:15 (Pirkei Avot, ndr): Tutto è previsto ma viene concesso il permesso [di scegliere];
e, successivamente, utilizza nella sua argomentazione un passo dal Salmo di Davide (Ps 141:4):
Non inclinare il mio cuore ad alcuna cosa malvagia,
per commettere azioni malvagie con i malfattori,
e fa che io non mangi delle loro delizie.

In questi passaggi delle Sacre Scritture, infatti, l’uomo non percepisce di aver determinato le proprie azioni, ma viene ugualmente definito responsabile di esse. Davide, infatti, sembra quasi accusare Dio di manipolazione o inclinazione perversa, implicitamente dichiarandolo ‘autore’ delle sue azioni malvagie – ma ciò è impossibile, in quanto all’Altissimo non può essere attribuito alcun atto ingiusto. La spiegazione teologica che viene data in risposta a questo paradosso è la stessa che si può utilizzare per recuperare il senso di responsabilità in una visione deterministica su base scientifica: dal momento che la libertà di scelta è puramente un’illusione, gli uomini possono solamente osservare l’agire di una forza esterna nel loro stesso corpo. Contemporaneamente, tuttavia, sono ritenuti imputabili di qualsiasi loro pensiero e gesto in quanto essi stessi si illudono di poter scegliere. Inoltre, non sarebbe possibile giudicare moralmente un agente non umano (che sia Dio o la legge di natura delle cose): la preghiera del re di Israele non è una critica morale all’Onnipotente, ma è una supplica che semplicemente riflette il modo con cui Dio opera e ‘funziona’. Le azioni divine non sono il risultato di una scelta etica, ma sono un modo di essere. Il senso di responsabilità implicato nelle nostre azioni è qualcosa che appartiene alla nostra logica, e che ha senso solamente se si mantiene separato dal concetto di determinismo neurale. Anche se la possibilità di scelta, in senso assoluto, potrebbe essere un’illusione, il concetto di responsabilità è perfettamente reale.
Questi due piani possono essere distinti più facilmente nella lingua inglese, che distingue tra consciousness e conscience: con la prima si intende ‘coscienza di sé, consapevolezza di esser vivi’, con la seconda invece la sensibilità etica dell’individuo. Conseguentemente, si può mantenere una responsabilità per ciò che accade attraverso il proprio corpo, indipendentemente dal controllo della consciousness (riservato a Dio, o al naturale corso degli eventi), ma nella loro piena acquiescenza in una fase di conscience. Tuttavia, il concetto rimane per noi sfuggente e difficile da accettare in quanto queste due funzioni, nei fatti, operano come un unico sistema integrato e con assoluta interdipendenza tra le parti.”

La risposta

LA RISPOSTA (Simone Cristicchi, Dall’altra parte del cancello)
Vengo da un altro pianeta, da un’altra dimensione
Conosco il mondo e le sue bugie, che contano
Nascere, crescere e poi morire, evoluzione di quale specie?
C’è un buco fatto a forma di Dio, che senso ha?
Forse non finisce tutto qui, forse è così…
C’è un senso, a tutto c’è un perché, dentro me
La risposta è dall’altro lato del cervello
La risposta è dall’altra parte del cancello
Cercando un alibi nel mistero,
mi fermo un attimo e guardo il cielo
c’è un buco fatto a forma di Dio…
Forse non finisce tutto qui, forse è così…
C’è un senso, a tutto c’è un perché, dentro me
La risposta è dall’altro lato del cervello
La risposta è dall’altra parte del cancello
Il protagonista sembra essere un non-uomo, o quantomeno un qualcosa di poco umano visto che afferma di venire da un pianeta diverso dal nostro, da un’altra dimensione, ma non per questo di non conoscere il mondo; anzi lo conosce bene visto che sa anche le sue bugie. Si pone le classiche domande di senso: nascere, crescere, morire… che senso hanno? è un’evoluzione? Dio è il motivo? la risposta? o la scusa? l’alibi? Apre la possibilità di un oltre: forse non finisce tutto qui, forse c’è dell’altro… E il senso, la risposta a ogni perché è dentro sé: ma dove?
Dall’altra parte del cervello: forse il riferimento è alla parte emozionale, forse al cuore lasciando perdere la risposta razionale e logica del cervello… E allora sì l’uomo si ferma per poco e guarda su, in alto, verso il cielo verso quel buco fatto a forma di Dio: il mistero. Ma il mistero, per Cristicchi è il posto dove si nasconde un alibi: ripete che la risposta è dentro l’uomo.

Porta alla mente l’aforisma 125 de La gaia scienza di F. Nietzsche:
«“Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente:
Cerco Dio! Cerco Dio!”.
E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa.
È forse perduto?” disse uno.
Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione.
Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi:
Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”.
A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense.
Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”.
Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo:
Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.»

A mio avviso ci pensa Dostoevskij a dare una risposta all’alibi di Dio ne I fratelli Karamazov:
«“Giacché il segreto dell’esistenza umana non è vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere. Se l’uomo non ha ben fermo dinanzi a sé il fine per cui vive, egli non accetterà di continuare a vivere e distruggerà se stesso piuttosto che rimanere sulla terra, anche se avesse pani in abbondanza intorno a sé. Questo è vero.
Ma che cosa è accaduto? Invece di assumere il dominio della libertà degli uomini, tu hai reso quella libertà ancora più grande!
Oppure hai dimenticato che all’uomo la pace, e persino la morte, sono più care della libertà di scelta nella conoscenza del bene e del male?
Nulla è più seducente per l’uomo della libertà di coscienza, ma, nel contempo, non c’è nulla che per lui sia più tormentoso.
Ed ecco che, invece di solidi principi per acquietare la coscienza degli uomini una volta per tutte, tu hai scelto tutto ciò che di più insolito, vago ed enigmatico possa esistere, hai preso tutto ciò che è superiore alle forze dell’uomo e hai finito con l’agire come se non amassi affatto gli uomini, proprio tu che eri venuto a donare la tua vita per loro! Invece di assumere il dominio della libertà umana, tu l’hai accresciuta e hai sovraccaricato con i suoi tormenti il regno spirituale dell’uomo, per sempre.
Tu hai desiderato il libero amore da parte dell’uomo, hai desiderato che egli venisse spontaneamente a te, attirato e catturato da te.
Invece di attenersi alla rigida antica legge, l’uomo, da allora in poi ha dovuto decidere da solo, con il cuore libero, quale fosse il bene e il male, avendo unicamente la tua immagine come guida davanti a sé; ma ignoravi forse che alla fine egli avrebbe rigettato e messo in discussione persino la tua immagine e la tua verità, se fosse stato schiacciato da un fardello così spaventoso come il libero arbitrio?
Ignoravi che gli uomini alla fine avrebbero gridato che non in te è la verità, giacché non avrebbero potuto essere abbandonati in uno stato di confusione e tormento peggiore di quello che tu hai causato, lasciando sulle loro spalle tanti affanni e tanti problemi senza risposta?
Così facendo tu stesso hai posto le basi per la distruzione del regno tuo e non puoi biasimare nessuno più di te stesso.”»

Guarda e scegli

precogQuesto post è dedicato particolarmente alle terze. Abbiamo visto in classe il film Minority Report e abbiamo riflettuto a lungo su due dei temi caldi del film: il libero arbitrio, e quindi la possibilità di scelta fondata sulla libertà, e la capacità di vedere, intesa non tanto come esperienza esclusivamente sensoriale ma anche intellettuale. Ecco che, mentre faccio un’operazione di pulizia di riviste e giornali che compro e poi accumulo quando non ho tempo di leggere, mi imbatto nelle brevissima rubrica di Alessandro Masi sull’ultimo numero del 2013 di Sette. A proposito del termine Opinione, scrive: “Il latino opinari (“credere, pensare”) deriverebbe dalla radice indoeuropea *op-, che rimanda ai concetti di “vista” (in parole come ottica) e di “scelta” (in termini come optare e opzione): per avere un’opinione occorre guardare ciò che succede e prendere posizione di conseguenza. Un procedimento faticoso che oggi si tende a semplificare saltando il primo passaggio: curiosamente, meno si sa di un argomento, più si ritiene di poterne parlare.”
Il pezzo si intitola “L’opinione di chi scruta e poi fa una scelta”. Quale miglior sintesi per quanto fa Anderton nel film?