Ulisse in primo banco con Dante

Mi ha intrigato il titolo del nuovo spazio che il professor Alessandro D’Avenia occupa sulle pagine del Corriere il lunedì. Dopo i “Letti da rifare”, arriva “Ultimo banco”. Queste le sue parole di lunedì 9 settembre, con le quali spiega la scelta del nome:

Anonimo fiorentino, Il naufragio della nave di Ulisse (1390-1400)

“Ogni vita che incontro in classe potrebbe essere descritta con il posto che decide di occupare in aula. Quelli dell’ultimo banco, per esempio, amano vedere senza esser visti, celati nella loro piccola trincea fatta di timidezze e rinunce o di clandestinità e spavalderia. Alle elementari mi nascondevo nelle retrovie per dedicarmi a ciò che più amavo: parlare e giocare. Così venivo regolarmente «punito» con le prime file. Oggi, all’ultimo banco ci siamo un po’ tutti: perennemente distratti, l’ultimo banco è diventato una condizione interiore. Ma la vita, prima o poi, fa l’appello, e ci chiama, con nome e cognome, a giustificare la rinuncia a venire alla luce o la mancanza di felicità. Vivere non è girare a vuoto, ma tendere a un fine: c’è vita se la vita ha un senso, attendiamo (verbo composto da tendere e ad) ciò che può rispondere alla nostra incompiutezza, che è la spinta senza cui il presente non diventa mai futuro, e che chiamiamo desiderio. Però l’attesa comporta attenzione (hanno la stessa radice di tendere), grazie alla quale si alimenta il desiderio, fonte di coraggio e iniziativa, e si soffoca la paura, che produce ansia e dipendenze (dal cellulare alle droghe). Dipendere è infatti l’opposto di tendere: chi dipende (pende da) s’aggrappa a qualcosa per paura e non cresce, chi tende, invece, nella vita si lancia intensamente, costi quel che costi. Ma tendere a cosa? A ciò che è intenso (altra parola che viene da tendere): la vita si «intensifica» dove trova ricchezza di senso, cioè dove non solo è custodita, ma si compie un po’ di più e quindi cresce.
Prendiamo l’esempio dei cellulari. Hanno colonizzato i nostri sensi, ipnotizzato l’attenzione, spento l’intensità del presente, relegandoci all’ultimo banco: è kriptonite (il misterioso minerale che priva Superman dei poteri) del desiderio. L’ho capito meglio quest’estate facendo un trekking di due settimane sulle Alpi con un gruppo di 15enni. La montagna spesso «scampa» dal segnale e invita a fare, di sé, degli altri e delle cose del mondo, il «campo» dell’attenzione. Il presente così offre la sua intensità e risveglia la tensione alla vita che in noi vuole crescere. Abbiamo anche proposto loro di liberarsi dei telefoni per 48 ore, e alla fine erano entusiasti, ringraziandoci per aver liberato energie in loro addormentate: «Mi sono sentito più vivo! Ho fatto e visto molte più cose! Mi sono divertito di più con gli altri!». Chi di noi riesce a stare senza la propria kriptonite per 48 ore? Il multitasking è in realtà uno degli inganni peggiori del nostro tempo. Provate a uscire a cena, a passeggiare, leggere… senza portare il cellulare: vi sorprenderà quante volte lo cercherete (dipendenza) e quanto sia intenso il segnale emesso da ciò che abbiamo sotto gli occhi. Per questo dopo i Letti da rifare voglio esplorare l’Ultimo banco: non un nostalgico ricordo del passato, ma un banco di prova per l’arte di vivere felici. Disattenti, ci auto-esiliamo in fondo all’aula: nelle relazioni e negli affetti, nella comprensione di noi stessi, degli altri e del mondo. Ma dove il desiderio retrocede, paura, noia e rinuncia hanno la meglio: non attendiamo più nulla, anzi, come nella Storia infinita di Michael Ende, aspettiamo, senza più speranza e immaginazione, che proprio il nulla ci divori. L’attenzione, che è l’unica possibile «presenza del presente», invece, distrugge un po’ di nulla (il vivere senza senso, cioè male) in noi e attorno a noi: la vita diventa «intensa» solo se siamo «attenti» a viverla.
Ogni lunedì sarà una pagina o un personaggio ad «alta tensione» a illuminare un ultimo banco dell’esistenza, per restituire luce al «qui e ora», e futuro al presente perduto. Oggi scelgo l’Ulisse di Dante: il suo «ardore» di «divenir del mondo esperto» ci strappa dalla paralisi del desiderio e spinge a mettersi in «mare aperto» per cercare, con i nostri amici, il compimento del desiderio ultimo di felicità. Così mentre l’Ulisse omerico torna e si ferma a Itaca, quello dantesco (alter ego del poeta) la lascia, non gli basta: il primo è un cerchio, il secondo una freccia del desiderio tesa al bersaglio della vita totale e piena. La vita terrena è una «breve vigilia dei sensi» da non sprecare, veglia di chi riceve l’alba, l’amore, la festa… proprio perché, vigile, li attende: noi diventiamo ciò a cui tendiamo. Il discorso pieno di eros dell’eroe risveglia nei compagni un desiderio tanto «acuto» da indurli a partire verso l’ignoto. Vivrebbero da «bruti», animali senz’anima, desideranti senza desiderio, se rinunciassero a «virtute e canoscenza», cioè il bersaglio della vita. E se Ulisse naufraga nell’abisso del desiderio, mostrando dove l’uomo arriva con le sue forze, Dante parte da quell’abisso, in cui scopre che il desiderio infinito di essere amato non è altro che il desiderio infinito di Dio di amarlo. E noi, come Ulisse e Dante, non siamo fatti per l’ultimo banco del desiderio, ma per il primo.”

Riorganizzare la speranza

neet

Ho letto su La Stampa l’articolo di Niccolò Zancan su Ernesto Grasso, ventunenne torinese la cui esperienza viene brevemente raccontata come emblema dei Neet, acronimo inglese inventato nel 1999 che sta per Not in employement, education or training. Fa parte di quei “giovani fra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano e non stanno facendo percorsi di formazione”: in Italia sono il 19%. Alcune delle sue parole mi hanno colpito “I pomeriggi sono la cosa più difficile. Gioco alla PlayStation. Vado a camminare. Ma non passano mai” […] “Mi sono iscritto a sette centri per l’impiego. Fino a qualche mese fa, ogni giorno andavo al centro commerciale a vedere se mettevano degli annunci. Ho provato all’Ikea, a Leroy Merlin. L’ultimo tentativo è stato per un posto da commesso in un negozio di videogiochi. Non servo. Mi scartano sempre. Dopo un po’, ti chiudi. Ci rinunci. Vivi dentro la tua stanza, aspetti che passi il pomeriggio”…

Nei mesi di maggio e giugno ho letto vari libri di psicologi, psichiatri, antropologi su adolescenti e giovani e ho partecipato a convegni e incontri. In Abbiamo bisogno di genitori autorevoli lo psicoterapeuta Matteo Lancini scrive: “Sostenere la speranza di un futuro possibile è il compito fondamentale di ogni genitore e di qualsiasi figura adulta significativa, impegnata in un ruolo affettivo o professionale con gli adolescenti. Il futuro rappresenta infatti lo spazio e il tempo della realizzazione di sé dell’adolescente, l’ambito dove potranno affermarsi il suo talento e la sua originalità. Se manca questa prospettiva, se l’adolescente si rappresenta senza futuro, in assenza di avvenire, c’è la crisi adolescenziale. Il disagio dell’adolescente dipende soprattutto da questo.” E ancora “gli adolescenti necessitano di un adulto non troppo angosciato, sufficientemente preoccupato e autorevole da restituire loro uno sguardo di ritorno pieno di fiducia e capace di avvicinare le risorse necessarie alla realizzazione di sé in una società davvero complessa. Tutto ciò richiede agli adulti più creatività di quanto ne fosse necessaria in un passato neanche troppo lontano”.

L’articolo citato in apertura di questo post portava questo sottotitolo: “Un giorno con un Neet: gioco alla playstation perché ho smesso di guardare al futuro”. Penso che per dare concretezza al futuro di Ernesto, o di un qualsiasi adolescente la cui visione sul domani sbatte contro un muro, sia necessario lavorare sul presente, sull’oggi (che poi è la stessa cosa che scrive Lancini). E’ proprio la preoccupazione per un domani impossibile da immaginare che impedisce di vivere, apprezzare e abbracciare il presente che diventa quindi a sua volta tempo di frustrazione.
Mi vengono in mente le preoccupazioni e le angosce dei discepoli di Gesù, sempre in ansia. Vedono Gesù placare la tempesta e camminare sull’acqua, ne fanno diretta esperienza (Pietro), vengono sfamati quando pare loro impossibile… Si stupiscono di tutto questo, eppure le preoccupazioni restano. I discepoli temono, Pietro inizia ad affondare, dopo la moltiplicazione e la mangiata a sazietà sono preoccupati per non aver preso i pani… E l’accusa che muove loro Gesù è sempre la stessa: “uomini di poca fede”. La paura blocca la fede, quella che nasce dall’esperienza di un Dio vicino, buono e amorevole, che sa le necessità dell’uomo prima ancora che queste vengano esplicitate (Mt 6,7-8: Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate). Ancora Lancini: “Se si vuole aiutare l’adolescente in crisi bisogna essere in grado di «raggiungere» il ragazzo o la ragazza là dove sono. La clinica dell’adolescente richiede di arrivare alla mente del paziente là dove è, là dove si trova adesso, con un profondo rispetto per come il soggetto prova a gestire l’insopportabile crisi evolutiva, il fatto di vivere in una quotidianità senza prospettive visibili dal suo punto di vista. Su queste basi è possibile costruire un’alleanza con l’adolescente che consenta a noi, e ai suoi adulti di riferimento, di avvicinargli le risorse utili alla ripresa evolutiva, alla scoperta del proprio vero Sé, del proprio talento, come unica possibilità per riorganizzare la speranza e investire in un futuro possibile”.

Aspettative d’estate

Corsica_075 copia fb

Forse per questo motivo c’era quella elettricità, quella strana tentazione carica di aspettativa nei pomeriggi di maggio in bilico fra la scuola e i misteri dell’estate” (G. Carofiglio, “Testimone inconsapevole”).

A fine maggio, inizio giugno, gli studenti entrano in agitazione, in fibrillazione: le vacanze sono alle porte. Si fanno gli ultimi sforzi per salvare l’anno, per evitare scomodi esami di fine agosto, per sistemare la media, per arrivare a una borsa di studio… il tutto con la prospettiva dell’estate. A volte chiedo loro cosa si aspettano da questo periodo e cosa hanno intenzione di fare per soddisfare tale aspettativa. Ecco, voglio rinnovare la domanda, senza voler sapere la risposta qui. Come sta andando questa estate? Rispecchia le attese? Trovo triste leggere tweet come “mi annoio”, “non ho niente da fare”, “che monotonia”, “che palle questa estate vuota”: sono tweet da pensionati depressi!!! Pubblico la foto del porto di Livorno che ho scattato la mattina del 7 luglio in partenza per Bastia. E’ un invito: ad accendere i motori, a spiegare le vele, a salpare. Le aspettative chiedono di essere soddisfatte: animo!

Una piacevole noia

C’è noia… e noia…

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“La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. Non che io creda che dall’esame di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccorne, ma non dimeno il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto l’universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, è però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali.” (Giacomo Leopardi)

Il puzzo della brillantina

Ha 15 anni e frequenta il liceo Gozzano. Scrive questo articolo, da cui promanano una passione travolgente e una rabbia contro noia, apatia e indifferenza: lo pubblica sul giornale della scuola. E’ il 1942. Domani, se mi ricordo, vi dico chi è 😉

“Un turbine caotico, vorticoso che si abbatte sulla terra tutto distruggendo nella sua furia irresistibile, istituzioni, ideali, posizioni di fortuna che vengono completamente sconvolte. Un succedersi continuo di avvenimenti, un perenne capovolgimento di situazioni. Ecco le caratteristiche del momento che viviamo.

chagall.jpgMomento storico paragonabile a pochi, forse a nessuno nella storia dell’umanità e destinato ad avere ripercussioni storiche, politiche e sociali non limitate a un breve spazio né per poco tempo. Questo è un aspetto del nostro tempo, ma ve n’è un altro non meno consolante, ed è precisamente l’abbozzolarsi di alcuni, purtroppo anche giovani, nel loro involucro meschino coperto di muffa e di polvere, degnando di uno sguardo supremamente passivo gli avvenimenti che stanno cambiando la faccia del mondo. È precisamente il rinchiudersi in una tana maleodorante di brillantina e tabacco. È precisamente l’osservare dalla finestra ciò che succede, pronti a rinchiuderla e a sbarrarla alla prima corrente d’aria un po’ forte. E non sanno questi tali che da un momento all’altro il bozzolo verrà schiacciato, che nella tana buia e profonda penetrerà accecante la folgore della realtà quotidiana.

Non mi venite a dire che voi sapete dov’è il Sangro, dove si trova Isernia, che sapete la distanza tra Krivoj Rog e il Bug e il vero accento dei nomi dei generali russi. Non mi venite a dire che conoscete il numero dei motori del nuovo apparecchio tedesco né pronunciatemi il nome esotico di un’isola del Pacifico. Tutto questo non basta, si può far così ed esser più morti che mai nel vivere questo momento storico, più inerti dell’operaio che non sa tante cose ma agisce sul serio per strappare la fabbrica al padrone, più inerti dell’uomo della strada che dice Reic ma si prepara a pescare dal torbido un posto che non sia tra gli ultimi della società futura. Perché il domani, nero e pauroso come una notte senza luna, sarà di chi saprà prenderselo, di chi si troverà con le armi in mano per lottare, anche duramente, contro tutto e contro tutti per il trionfo di una causa di giustizia. Domani emergeranno dalla massa quelli che avranno una base solida, una formazione intellettuale e morale sicura. Perché ognuno dovrà crearsi da sé il suo avvenire, faticosamente, pezzo per pezzo, con tenacia e sacrificio; riuscirà meglio chi sotto al lavoro e al sacrificio abbia già saputo piegare le spalle e incurvare le gambe. Noia, apatia, indifferenza, peggio che mai esasperazione contro il nostro dovere sono un delitto contro noi stessi. Ottimismo facilone e pessimismo astenico sono uno scavarci la fossa sotto i piedi. Esigenze anacronistiche sono un coprirci di ridicolo. Ho chiesto a un giovanotto impomatato perché leggesse tanti romanzi: «Evado – mi disse con sussiego – dalla realtà quotidiana». Allora ho avuto un fremito e ho rimpianto di non essere un violento, del resto il puzzo della brillantina mi faceva schifo.”

No, dai, scherzavo, chi vuol sapere di chi si tratta può andare qui.