L’Agenzia di Stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha pubblicato questo articolo:
“Il PEW Research Center ha presentato i risultati di un’indagine sulle differenze teologiche in Europa occidentale e Stati Uniti. Dalla ricerca emerge una sostanziale similitudine di visioni fra protestanti e cattolici su molti temi riguardanti la fede, la grazia, la Bibbia, le opere, la Riforma e gli insegnamenti della chiesa. Ne parliamo con Gabriella Lettini, pastora valdese, docente di teologia etica presso la Facoltà Starr King School for the Ministry della Graduate Theological Union di Berkeley (California).
La metodologia di indagine ha visto due diversi approcci in Europa occidentale (dove sono state effettuate interviste telefoniche a 24.599 persone in 15 paesi) e negli Stati Uniti (dove l’indagine è stata condotta online tra 5.198 partecipanti). Poco più della metà dei protestanti statunitensi (52%) afferma che sono necessarie buone azioni e fede in Dio per “entrare in paradiso”, una posizione storicamente cattolica. Il 46% sostiene che sia sufficiente la sola fede per ottenere la salvezza (uno dei quattro principi fondamentali della Riforma: sola Scriptura, solus Christus, sola Gratia, sola Fide). Anche in Europa emerge la stessa tendenza, e dati simili riguardano chi sostiene che la Bibbia fornisca tutte le istruzioni religiose di cui un cristiano ha bisogno. Il 52% dei protestanti americani intervistati sostiene che i cristiani dovrebbero cercare la guida dagli insegnamenti e dalle tradizioni della chiesa, oltre che dalla Bibbia (una posizione tradizionalmente cattolica). Solo il 30% di tutti i protestanti statunitensi afferma che sono sufficienti la sola Fide e la sola Scriptura. Altro dato significativo, per cattolici e protestanti dell’Europa occidentale: c’è un livello relativamente alto di disaffiliazione (per fare due esempi, il 15% in Italia, fino al 48% in Olanda, sono le percentuali di chi si descrive come ateo, agnostico o “nulla in particolare”; ma, fra i protestanti praticanti olandesi, la percentuale di quelli che pregano quotidianamente (58%) e frequentano la chiesa ogni settimana (43%) è la più alta in Europa. In tutti i paesi europei, sia protestanti sia cattolici dicono di essere disposti ad accettare membri dell’altra tradizione come vicini o familiari.
Dalla ricerca sembrerebbe emergere un certo analfabetismo religioso; può confermarlo?
Penso che in parte questa ignoranza dottrinale sia il fatto che per molte persone il linguaggio dottrinale del passato non sembri più rilevante alla loro fede nel presente. Per molti credenti, poi, essere cristiani non si esprime necessariamente nella fedeltà ad una dottrina, ma nel seguire la chiamata di Cristo nella vita di tutti i giorni, nel modo in cui trattano il prossimo e si fanno promotori di pace e giustizia. L’occidente teologico cristiano ha dato molto valore all’ortodossia, ma per molti credenti, in tante parti del mondo, la fede si esprime soprattutto nell’ortoprassi. Le teologie della liberazione si sono fatte portavoci di questa posizione.
In ambito teologico e dogmatico, quanto sono, ancora, importanti i concetti di sola Scriptura, solus Christus, sola Gratia, sola Fide?
La ricerca PEW ci fa vedere come siano le correnti evangelicali più conservatrici, e non i Protestanti delle chiese storiche, a parlare di sola fede e sola scriptura. Molti di loro stanno offrendo supporto all’ideologia per nulla cristiana del presidente Trump. Personalmente preferisco la creazione di nuovi linguaggi teologici che ci aiutino ad essere più vicini al messaggio di amore e giustizia del vangelo, che alla fedeltà a categorie che non sono necessariamente più così rilevanti o sono magari diventate problematiche.
Secondo lei, c’è qualche problema nelle chiese riformate (ma anche cattoliche) nell’approccio alla fede, alla lettura della Bibbia, all’approfondimento in generale?
Per me credo il problema principale sia il fatto che il Cristianesimo sia spesso stato complice, se non istigatore, di alcune fra le più grandi atrocità della storia del mondo. Solo pensando agli ultimi 500 anni, abbiamo la conquista coloniale e il genocidio nelle Americhe, la tratta degli schiavi africani, l’apartheid e la segregazione razziale, l’anti-semitismo, la giustificazione della discriminazione e della violenza contro le donne e le persone omosessuali e transessuali, lo sviluppo del capitalismo. Com’è stato possibile che le teologie dell’Occidente “Cristiano” non siano riuscite ad offrire un correttivo a queste aberrazioni della fede Cristiana? Forse ci sarebbero dovute essere altre questioni al centro del pensare teologico.”
Quaresima alla salisburghese
Interessante iniziativa di avvicinamento tra cattolici e protestanti in Austria per questo inizio di Quaresima. Ne scrive su Vatican Insider Maria Teresa Pontara Pederiva.
“L’ecumenismo «in cammino» indicato da Papa Francesco comincia a produrre i suoi frutti anche nella pastorale ordinaria. I tanti incontri con cui Bergoglio ha sorpreso la sua Chiesa e il mondo – la visita all’amico protestante a Caserta, l’incontro di Cuba con il patriarca Kirill, la visita a Lund in Svezia, fino all’ultima nella chiesa anglicana di All Saints a Roma con l’ipotesi di un viaggio in Sud Sudan insieme al primate Welby – non rappresentano solo gesti riservati ai leader delle chiese, ma un esempio da seguire nel quotidiano.
«Non si può fare il dialogo ecumenico stando fermi» perché «le cose teologiche si discutono in cammino» e allora le comunità sono chiamate a mettersi in marcia insieme a partire dalle diverse attività feriali. Un ecumenismo, che potremmo anche definire semplice o spicciolo, ma che nelle intenzioni del Pontefice rappresenta una modalità ineludibile per testimoniare l’unico Vangelo di Cristo: un aiuto reciproco, secondo le necessità.
E un esempio arriva fresco dall’Austria dove, in nome della collegialità episcopale col Vescovo di Roma, l’arcivescovo di Salisburgo ha raccolto la sfida e nelle scorse settimane ha proposto al sovrintendente evangelico di stendere insieme la tradizionale Lettera di Quaresima che verrà presentata alle rispettive comunità domenica 5 marzo.
Franz Lackner, 60 anni, già provinciale dei Frati Minori austriaci e un passato nelle fila dei caschi blu dell’Onu, dal 2014 alla guida dell’antica diocesi di Salisburgo (eretta nel 798), ha inteso in tal modo unire con questo gesto due ricorrenze significative: l’anniversario dei 500 anni dalla Riforma di Lutero e la Giornata della Bibbia che in Austria si celebra la prima domenica di marzo.
«L’uomo non vive di solo pane» non è allora solo una Lettera pastorale di Quaresima (28 pagine), ma rappresenta soprattutto uno stile. Una modalità, forse per alcuni inedita, che parla da sola perché porta l’ecumenismo fra la gente: non si tratta di annullare le differenze, che restano ambito del dialogo teologico, ma di rimarcare l’unico Vangelo di Cristo a partire dalle comunità di vita delle persone: cattolici e protestanti sono i destinatari di un unico testo e questa è già la prima riflessione.
«Dio è il nostro fondamento», scrive Lackner nell’introduzione richiamando la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani celebrata a gennaio e in particolare alcune espressioni del Vangelo di Giovanni «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5) e ancora «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12), «Io sono la porta» (Gv 10, 9) o «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). La vite è una pianta caratterizzata da una grande adattabilità anche a terreni aridi perché le sue radici possono estendersi anche a 20 metri di profondità per raggiungere l’acqua: l’immagine della vite è significativa e rappresenta il desiderio di vita da parte dell’uomo, un anelito che la Parola di Dio può colmare.
«L’Occidente cristiano ha una lunga storia alle spalle, una storia di salvezza, ma anche di tanti disastri, guerre e ingiustizia e il nostro cammino non può dirsi mai concluso, come ci ricorda Paolo. Una parte del Paese e dell’Europa intera non trova nella fede la propria guida e la partecipazione alla vita della comunità cristiana è in calo, le città sono prese a ostaggio dalla minaccia del terrorismo e la sicurezza che credevamo acquisita da decenni si è trasformata in paura, ma questo non significa che nella nostra società non esista il bene». Con il ricordo di una recente esercitazione di soccorso alpino in condizioni atmosferiche proibitive cui ha assistito, Lackner indica tutto il mondo del volontariato sociale, i gesti di condivisione e accoglienza ai nuovi arrivati e l’azione della Caritas lasciando al giudizio della storia se l’Occidente sarà ritenuto all’altezza di superare la sfida di oggi. Per questo è importante il camminare insieme anche all’interno di un dialogo ecumenico che deve farsi ogni giorno più serrato: il germoglio dal tronco di Jesse è diventato un ceppo di vite che continuerà a dare frutti.
«La condivisione della Scrittura è una modalità ormai collaudata», aggiunge il sovrintendente Olivier Dantine con riferimento al Vaticano II. Nonostante le differenze di selezione dei testi e la disposizione dei Libri, la Bibbia resta il fondamento comune che lega tutte le chiese cristiane alla radice. La lettura della Parola ha giocato un ruolo fondamentale nella fede della Riforma: la traduzione di Lutero trovava posto in ogni casa e ogni discussione, anche su temi sociali, faceva riferimento ultimo alla Scrittura, spesso con il rischio di interpretazioni di parte. Con il Concilio la sua importanza è stata rimarcata anche da parte cattolica e da 50 anni si può procedere sulla medesima strada.
Ecco allora che la Lettera si fa ancora più originale e le pagine che seguono costituiscono un invito alla lettura: in coppia, in famiglia, in gruppi la condivisione della Parola è un modo per accostarsi a ciò che chiede il Vangelo, una via di conversione per questa Quaresima 2017. L’invito è quello di formare Gruppi della Parola (i «Bibelteilens») in ogni comunità parrocchiale per andare alle fonti della propria fede, per individuare insieme la strada e testimoniare Gesù Cristo nel proprio ambiente di lavoro, nella società intera. Non si tratta di quello che conosciamo più propriamente come Lectio Divina, ma qualcosa forse di più accessibile, già sperimentato in diverse sedi, specialmente giovanili: un momento di preghiera anche in forma di canto, una lettura a voce alta dove ciascuno può rimarcare un versetto o approfondire con una riflessione personale, un momento di silenzio per interiorizzare e quindi una condivisione per giungere a ciò che la Parola chiede per la propria vita, la famiglia, il lavoro, la comunità civile per concludere poi con una preghiera o un canto finale.
Citando una celebre espressione dello scrittore americano Mark Twain («Molte persone sono preoccupate di non capire la Bibbia. Io sono più preoccupato di ciò che ho capito») il testo fa seguire alcuni esempi di lettura e comprensione biblica firmati da Matthias Hohla e Eduard Baumann. Mentre venerdì 3 marzo, a Salisburgo, verrà presentata la Nuova traduzione interconfessionale della Bibbia cui ha lavorato da parte cattolica anche l’arcivescovo emerito Alois Kothgasser a fianco della pastora Jutta Henner della Società Biblica d’Austria.”
17 febbraio, festa di libertà
Domani sarà una giornata di festa per i protestanti italiani, per i valdesi in particolare, come ogni 17 febbraio dal 1848 a questa parte. E leggendo quest’articolo mi pare corretto dire che dovrebbe essere una festa per tutti coloro che amano la libertà. L’articolo è tratto dal sito Notizie Evangeliche.
“Da 169 anni i valdesi celebrano il 17 febbraio in ricordo del riconoscimento dei loro diritti civili da parte del Re di Sardegna Carlo Alberto. E’ una festa sentita con particolare solennità nelle Valli valdesi del Piemonte, dove il 17 febbraio ha assunto il carattere di festa civile e religiosa: da un lato i cortei con le fanfare e i falò notturni – in memoria di come, di valle in valle, si diffuse la notizia delle concesse libertà – dall’altro i culti celebrati nei diversi templi.
Le “Patenti di grazia” firmate da Re Carlo Alberto il 17 febbraio 1848 (e pubblicate il successivo 25 febbraio) concessero ai valdesi del Piemonte i diritti civili e politici, ma non la piena libertà religiosa. Nel provvedimento si legge infatti: “i valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici dei nostri sudditi, a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici. Nulla è però innovato quanto all’esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”. Nonostante i limiti di questa dicitura, le “lettere patenti” posero comunque fine a una condizione d’inferiorità civile durata per secoli: sino al febbraio 1848 ai valdesi era proibita la frequenza delle scuole pubbliche ed era vietato l’esercizio delle professioni (se non quella di notaio e di medico, a esclusivo vantaggio dei propri correligionari); fuori dal “ghetto alpino” delle loro valli, essi non potevano nemmeno possedere beni immobili. Inoltre, le amministrazioni comunali dovevano essere composte in maggioranza da cattolici, anche nei comuni quasi totalmente valdesi. Per quanto concerne l’esercizio del culto, questo continuò ad essere consentito solamente in un certo numero di templi autorizzati, situati nelle località più elevate, con assoluto divieto di attività religiose fuori da quei luoghi.
A favore della parità di diritti civili per i valdesi si erano battuti diversi liberali piemontesi: lo dimostra una petizione il cui primo firmatario era Roberto d’Azeglio; seguivano, tra gli altri seicento, Camillo Cavour e 75 ecclesiastici cattolici. Il 29 marzo dello stesso anno analogo provvedimento di emancipazione fu adottato nei confronti degli ebrei, mentre negli anni successivi maturarono le condizioni per una vera libertà – non senza dure battaglie che, ad esempio, riguardarono la costruzione di edifici di culto a Torino e a Genova. Diversi furono invece gli sviluppi legislativi per le due confessioni: il regime giuridico delle comunità israelitiche fu stabilito da una legge specifica (la cosiddetta “legge Rattazzi” del 1857). I valdesi rifiutarono invece l’emanazione di un’apposita legge con una celebre dichiarazione del 1848, in cui la Tavola valdese (massimo organo esecutivo) affermava tra l’altro che “la Chiesa valdese, essendo tale in virtù della sua regola di fede e della sua costituzione, deve amministrarsi in modo assolutamente indipendente secondo i suoi principi, nei limiti del diritto comune; ogni impedimento e riduzione posti dallo Stato alla sua attività ed allo sviluppo della sua vita interna ne falserebbero il carattere di chiesa e costituirebbero un tentativo di distruggerla”.
Non fu approvata alcuna legge speciale sui valdesi e il sistema del “diritto comune” rimase in vigore sino al 1929, offrendo così a tutte le altre confessioni evangeliche che si affacciarono nell’Italia unita un quadro di libertà religiosa. La ricorrenza del 17 febbraio – oggi festeggiata da tutti i protestanti del nostro paese – ha quindi un duplice significato: è la festa dei diritti civili concessi ad una minoranza, ed è insieme il ricordo di un provvedimento che, in se stesso limitato, aprì la via alla libertà religiosa in tutta Italia: una festa che per i suoi significati generali è divenuta una ricorrenza di più ampia portata.”
L’occasione Lund
Il 31 ottobre il papa si recherà in Svezia, a Lund, per la commemorazione ecumenica congiunta luterano-cattolica del 500esimo anniversario della Riforma. Ne parla Alberto Melloni in questo articolo pubblicato su La Repubblica.
“Il vento è una grande figura biblica. È il Soffio che accarezza il mondo vuoto, la Voce dell’impalpabile silenzio che parla ai profeti, l’irruento Respiro che divide il mare della liberazione. Ed è un vento di questa caratura biblica quello che percorrerà l’Europa e porterà il Papa di Roma a Lund,in Svezia, luogo di fondazione, della federazione mondiale delle Chiese evangeliche — quelle che il gergo chiama protestanti o luterane.
Francesco infatti parteciperà ad un giubileo non suo: quello che prepara il 500° anniversario dell’inizio della riforma di Lutero (quando, si racconta, vennero affisse le 95 tesi alla porta del duomo di Wittenberg), con cui egli manifestava cos’è la sete cristiana di salvezza e l’insofferenza per l’abuso nella chiesa.
Quello di Francesco sarà «un gesto senza precedenti», ripeteranno enfaticamente tutti. Pur sapendo che vedere un Papa fare qualcosa di mai fatto prima, non sorprende ormai nessuno. E anzi, volendo andare di fino, si potrebbe dire che anche questa usuale ricerca dell’inusuale potrebbe apparire come una scivolosa analogia col registro della politica e della sua fame di exploit, e potrebbe far correre al magistero il rischio di venir ascoltato quando fa cose strane e di venir ignorato — come ad esempio accade davanti alla tragedia di Aleppo o di Mosul — quando annuncia il vangelo della pace.
In realtà ciò che c’è di storico nel gesto di Lund non consiste nel fare a favore di telecamera qualcosa di “nuovo”: ma nel dimostrare che alla fine del mondo latinoamericano, dove la teologia europea ha spesso visto dilettantismi e pericoli, una chiesa aveva custodito i grandi semi del Concilio e del Novecento, vivi e vitali. E fra quei semi c’è l’ecumenismo.
Un movimento che in Occidente s’è talmente rinsecchito fra cortesie di capi e negoziati fra teologi che il termine ha finito per essere utilizzato da non pochi cialtroni per indicare il rapporto fra cristianesimo e religioni.
Però il seme ecumenico che Francesco riporta al centro della scena era ed è altro: non compromessi tessuti all’ombra dei rapporti di forza, ma il desiderio di sperimentare che anche la Chiesa può vivere una unità come tensione che continuamente la riforma e la aduna.
Per i cattolici era stata una gigantesca conversione dall’utopia del “ritorno” dei fratelli separati alla chiesa del papa alla ricerca. Nella quale la maggiore o minore prossimità rituale e dottrinale costituiva un banco di prova: Roma si sarebbe fermata al dialogo apparentemente più “facile” con l’ortodossia o avrebbe cercato l’unità anche con le Chiese della e dopo la riforma?
Questa domanda ha segnato la primavera ecumenica del cattolicesimo romano: e ha avuto un grande peso nel dialogo cattolico- luterano. Il centenario della nascita di Lutero nel 1983 fu l’occasione per un primo grande passo: grazie a un lavoro storico intenso l’intensità cristiana di Lutero ricominciava a parlare ad entrambe le chiese. Liberava Lutero dai miti e dagli anti-miti e consegnava a tutte le Chiese la passione di un un uomo che dopo un secolo in cui la riforma da tutti attesa era stata rinviata, la imboccava a proprio rischio e pericolo, ritenendo ogni compromesso impossibile in vista della salvezza.
Questa testimonianza luminosa e irruenta, non portò però a passi di comunione fra le Chiese: neppure il fondamentale accordo sulla dottrina della giustificazione del 1999, che riconosceva come le due dottrine sulle quali i cristiani si erano divisi e uccisi erano compatibili e convergenti, veniva seguito da gesti di comunione effettiva. Fornendo argomenti non piccoli a chi riteneva che l’ecumenismo fosse giunto al capolinea: o perché aveva conseguito l’enorme risultato di disarmare cristiani che si erano odiati e che imparavano a stimarsi; o perché aveva fallito l’unità dell’altare, celebrando ancora e sempre eucarestie divise.
A Lund, dunque, il papato di Francesco riprende il filo di quella ricerca: a partire da una dimensione del Corpo di Cristo, che è il Corpo del povero. Là dove era stata massima per Roma l’asimmetria fra il rapporto con l’Oriente e il rapporto coi Protestanti, Francesco reinventa un ecumenismo nel corpo del povero e del rifugiato. Questo, che sarà uno dei contenuti della dichiarazione di Lund siglata dal Papa di Roma e dal presidente della Federazione Luterana mondiale può avere due significati: trovare ancora una volta un modo per evitare il problema di fondo — e cioè quanta unità dottrinale serve per poter celebrare la stessa eucarestia; o un modo per aprire quel capitolo a partire da un corpo nel quale c’è una presenza reale del Cristo. In attesa che da quella sottomissione alla verità cristiana spiri un altro Vento che darà alla Chiesa quella unità che non serve ad avanzare pretese più violente, ma a mostrare al mondo che è il soffio del perdono che ne impedisce il crollo sotto il peso della crudeltà e della indifferenza umane.”
Cambia la popolazione, cambia la religione
Uno sguardo sulla Cina e sulla situazione delle religioni. Articolo di Fabrizio Mastrofini preso da Vatican Insider.
“Nel vasto «pianeta cinese» è in corso una profonda trasformazione che investe la religione. Il punto di partenza è dato dall’esodo dalle campagne verso le città, un fenomeno che ha dimensioni bibliche. Secondo le statistiche ufficiali gli abitanti nelle città hanno superato quelli delle campagne: 690,79 milioni contro 656,56 alla fine del 2011. Gli effetti sul piano religioso sono rilevanti. A dedicare servizi a questi aspetti e a documentare i problemi ci sono due agenzie stampa specializzate sull’Asia: Ucanews con sede a Honk Kong ed Eglise d’Asie della Società delle Missioni Estere di Parigi, con sede nella capitale francese. I dati raccolti, le testimonianze, le analisi, convergono nel sottolineare che la trasformazione demografica ha cominciato ad avere effetti sul piano religioso. Ucanews ha preso ad esempio la storia di Bosco Wang, migrante cattolico, dalla campagna a Guangdong e poi da qui in una cittadina a sud di Shangai. Il primo gravissimo problema che ha affrontato è stato linguistico: trovarsi con sacerdoti in grado di esprimersi solo in cantonese e non in mandarino. «Ho visto – ha raccontato – numerose persone che durante la messa recitavano il rosario senza seguire la celebrazione. Poi ho capito che non erano in grado di comprendere il sacerdote». E casi simili sono in grande aumento. Eglise d’Asie in un recente servizio sul problema nota come l’esodo dalle campagne stia ristrutturando sia la Cina sia il cattolicesimo. Come accade nel villaggio di Erquanjing, nel nord-ovest della provincia di Hebei, diocesi di Xiwanzi. Qualche anno fa contava oltre duemila abitanti, praticamente tutti cattolici; oggi sono ridotti ad un centinaio. E secondo le statistiche dell’Istituto di antropologia dell’Università di Pechino ogni giorno spariscono tra 80 e 100 villaggi a causa dell’esodo massiccio verso le città. Un parroco – don Joseph Yang, nel distretto di Yang – ha dichiarato che ogni settimana si trova davanti a volti nuovi nelle sue messe, con la conseguente grande difficoltà di dare risposte pastorali efficaci.
Ma anche le altre religioni e confessioni cristiane affrontano sfide difficili. Ad esempio il mondo buddista, in grande crescita e nonostante sia favorito dal governo perché viene visto come una religione tradizionale dell’Asia, a differenza del cristianesimo che viene percepito come una religione occidentale, dunque importata. Il professor Ji Zhe, sociologo e specialista in storia delle religioni cinesi, dirige un progetto di ricerca internazionale sull’evoluzione del buddismo in Cina. Attualmente – ha dichiarato a Eglise d’Asie – delle cinque religioni ufficialmente riconosciute (buddismo, taoismo, cattolicesimo, protestantesimo, islam), i buddisti costituiscono il più numeroso gruppo di credenti e praticanti». In particolare parliamo del buddismo Mahayana Han, con 100 milioni di fedeli, mentre sono 7,6 milioni i buddisti tibetani e 1,5 milioni i buddisti Theravada. Secondo lo studioso il buddismo è sostenuto dal governo per motivi politici e per interessi economici. Per questi ultimi il caso esemplare è quello del tempio Shaolin nella provincia di Henan, molto famoso per la grande tradizione nelle arti marziali. È un luogo di turismo che raccoglie decine di migliaia di visitatori ogni anno ma i proventi del biglietto di ingresso vanno al 70% al governo locale. E la comunità monastica è sottoposta ad uno stringente controllo amministrativo su come spende quel 30% di introiti che ha a disposizione. Inutili le vibranti proteste che ogni anno vengono sollevate dai monaci. Quanto ai motivi politici l’analisi del professor Ji Zhe è precisa. «La religione che si sviluppa di più in Cina è il protestantesimo, soprattutto evangelico, che è più attivo e rivendicativo, non esita a invocare la libertà religiosa ed il rispetto dei diritti dell’uomo, anche grazie ai legami con l’estero e grazie all’organizzazione specifica, difficile da controllare per lo stesso governo. Cattolicesimo ed islam sono ugualmente problematici per il governo centrale, sia sul piano diplomatico, sia sul piano etnico. Ed allora si cerca di favorire l’espansione del buddismo Mahayana Han – gli Han sono l’etnia maggioritaria alla quale appartiene il 92% della popolazione cinese – per tentare di contenere l’espansione di altre religioni».”