Sarajevo si ergeva sui libri

Sto terminando di leggere il libro di Paolo Rumiz “Maschere per un massacro”. All’inizio del 7° capitolo riporta le parole di Miljenko Jergovic sull’incendio dell’edificio della Vijećnica che ospitava la Biblioteca Nazionale, bombardata il 25 agosto del 1992 (bruciarono 600.000 volumi):

“Sopra la testa senti un sibilo, passa qualche istante di tensione e poi laggiù, da qualche parte in città, si scaraventa il boato. Dalla tua finestra quel punto lo vedi sempre chiaramente. Un’alta e slanciata colonna di polvere che si trasforma in fumo e fuoco. Aspetti ancora un poco per capire di che tipo di abitazione si tratta. Se il fuoco è lento e pigro, è la casa di qualche poveraccio. Se prende la forma di una grossa sfera bluastra, allora è un loft elegante, rivestito di legno laccato. Se invece il fuoco divampa lungo e costante, allora brucia la casa piena di mobili in legno massiccio di qualche ricco proprietario della čaršija. Se le fiamme si impennano repentine, selvagge e dissolute come i capelli di Farrah Fawcett per poi svanire più repentine ancora lasciando al vento sfoglie di cenere plananti sopra la città, tu sai che poco prima è andata a fuoco una qualche biblioteca privata. E quando in tredici mesi di bombardamenti ne hai viste molte di queste torce giocose, pensi che un tempo Sarajevo si ergeva sui libri.”

Libreria-cerca-libri.jpgConclude il paragrafo Paolo Rumiz: “La storia di Sarajevo, sigillata nella biblioteca universitaria, raccontava proprio questo: dei grandi edifici pubblici costruiti all’inizio del Cinquecento da Gazi Husrefbeg, ricco filantropo figlio di uno slavo convertito, o degli ebrei sefarditi in fuga dalle pulizie etniche della cristianissima Spagna, che laggiù trovarono aperta ospitalità e spazio per floridi commerci. In quei volumi stava scritto che – assai più dei cattolici, costretti più volte alla fuga – proprio gli ortodossi vissero bene sotto l’Islam, ebbero in Costantinopoli la loro capitale religiosa esattamente come i turchi, e spesso si convertirono spontaneamente. Tutto questo doveva sparire, essere cancellato. Distrutto con un grande fuoco purificatore”.

E nel 1996 Giovanni Lindo Ferretti compone la canzone “Cupe vampe”:

“Di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo, la città trema, livida trema

brucia la biblioteca i libri scritti e ricopiati a mano

che gli Ebrei Sefarditi portano a Sarajevo in fuga dalla Spagna

s’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe

brucia la biblioteca degli Slavi del sud, europei del Balcani

bruciano i libri, possibili percorsi, le mappe, le memorie, l’aiuto degli altri

s’alzano gli occhi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe

s’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe

di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo, la città trema, come creatura

cupe vampe livide stanze occhio cecchino etnico assassino

alto il sole: sete e sudore; piena la luna: nessuna fortuna

ci fotte la guerra che armi non ha, ci fotte la pace che ammazza qua e là

ci fottono i preti i pope i mullah, l’ONU, la NATO, la civiltà

bella la vita dentro un catino bersaglio mobile d’ogni cecchino

bella la vita a Sarajevo città questa è la favola della viltà”

Una picozza per rompere il mare di ghiaccio

NZO.jpgSe il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perchè dunque lo leggiamo? Buon Dio, saremmo felici anche se non avessimo dei libri, e quei libri che ci rendono felici potremmo, a rigore, scriverli da noi. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro deve essere una piccozza per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi.

Franz Kafka