A breve, nelle prime, parleremo di solitudine. Anticipo un po’ l’argomento con questa canzone di Jovanotti, di qualche anno fa, nell’album Safari. L’invito che fa il cantante è quello a tenere aperti gli occhi, le orecchie, i sensi a tutti gli stimoli che possono arrivare dall’esterno, anche quando questo può far paura e rischia di spingerci a chiuderci in noi stessi (in mezzo a colpevoli, vittime e superstiti, le città si fanno incomprensibili e pericolose e il dialogo fra persone è frammentario). Ci si sente accusati, con le armi puntate addosso, si percepisce la solitudine, e se si commette un errore non c’è modo di rimediare: una sola possibilità. Ecco, allora, l’invito di Jovanotti: guardarsi attorno e cogliere il profumo dei fiori, l’odore della città, il suono dei motorini, il sapore della pizza, le lacrime di una mamma, le idee di uno studente, gli incroci possibili in una piazza… Così si possono vivere le emozioni, positive e negative (rido e piango), sognare il cielo e apprezzare la terra (mi fondo con il cielo e con il fango), avere il coraggio di innamorarsi, svegliarsi, alzarsi, non lamentarsi più e incamminarsi verso il domani: il battito di un cuore dentro al petto, la passione che fa crescere un progetto, l’appetito, la sete, l’evoluzione in atto, l’energia che si scatena in un contatto. Appunto, l’unico pericolo è l’apatia, non riuscire più a sentire niente: lì sì la solitudine è reale, ed è angoscia (un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te ma ti guardi intorno e invece non c’è niente). Le antenne alzate verso il cielo, invece, ti fanno percepire gli altri: io lo so che non sono solo anche quando sono solo.
Io lo so che non sono solo anche quando sono solo…
sotto un cielo di stelle e di satelliti tra i colpevoli le vittime e i superstiti
un cane abbaia alla luna, un uomo guarda la sua mano
sembra quella di suo padre quando da bambino
lo prendeva come niente e lo sollevava su era bello il panorama visto dall’alto
si gettava sulle cose prima del pensiero
la sua mano era piccina ma afferrava il mondo intero
ora la città è un film straniero senza sottotitoli
le scale da salire sono scivoli, scivoli, scivoli il ghiaccio sulle cose
la tele dice che le strade son pericolose ma l’unico pericolo che sento veramente
è quello di non riuscire più a sentire niente
il profumo dei fiori l’odore della città il suono dei motorini il sapore della pizza
le lacrime di una mamma le idee di uno studente gli incroci possibili in una piazza
di stare con le antenne alzate verso il cielo
io lo so che non sono solo…
e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango…
la città è un film straniero senza sottotitoli una pentola che cuoce pezzi di dialoghi
come stai quanto costa che ore sono che succede che si dice chi ci crede
e allora ci si vede
ci si sente soli dalla parte del bersaglio e diventi un appestato quando fai uno sbaglio
un cartello di sei metri dice tutto è intorno a te ma ti guardi intorno e invece non c’è niente
un mondo vecchio che sta insieme solo grazie a quelli che hanno ancora il coraggio di innamorarsi
e una musica che pompa sangue nelle vene e che fa venire voglia di svegliarsi e di alzarsi
smettere di lamentarsi
che l’unico pericolo che senti veramente è quello di non riuscire più a sentire niente
di non riuscire più a sentire niente
il battito di un cuore dentro al petto la passione che fa crescere un progetto
l’appetito la sete l’evoluzione in atto l’energia che si scatena in un contatto…
