Ho fatto l’obiettore di coscienza, quindi non ho fatto il servizio militare: quando c’era l’anno di leva obbligatorio ero dell’idea che non fosse assolutamente corretto che uno stato obbligasse un giovane diciottenne a imparare come si usa un’arma. Non penso che il sistema corretto per alzare il livello di democrazia di uno stato sia quello della forza, ma penso anche che sia necessario confrontarsi su questo. Penso anche che a volte il dialogo con un regime totalitario sia difficoltoso se non impossibile. Insomma sono convinto che idee e pareri siano molto diversi. Quando però sento di un attentato in cui perde la vita un giovane soldato mi si stringe il cuore al pensiero di chi quel militare ha amato e che ora piange quella vita che non c’è più. Penso alle vittime delle guerre, di quelle combattute ufficialmente (con tanto di nome ridondante) e di quelle ufficiose ma molto più numerose, a tutte le vittime. E allora torna alla mente una delle primissime canzoni scritte da Fabrizio De André: “La ballata dell’eroe”.
E’ la storia di un soldato che parte per la guerra con l’intento di dare il suo aiuto (o il suo sangue, in un’altra versione) alla sua terra: è la stessa motivazione che sento ripetere spesso dai tanti amici che hanno scelta la professione militare, anzi la missione militare, come preferiscono dire loro. Dai superiori il soldato riceve, oltre a mostrine e stellette, il consiglio di vendere cara la pelle (attenzione: non di riportarla a casa…). Riceve l’ordine di andare avanti e commette l’errore di spingersi troppo lontano nella ricerca della verità: davanti agli occhi mi sono passate le vignette del fumetto “Logicomix”, laddove si parla della I guerra mondiale col tentativo da parte del filosofo Wittgenstein di vivere il suo essere umano stando il più possibile accanto alla morte (e concludendo “Spingete un uomo sull’orlo dell’abisso e … se riesce a non caderci dentro… diventerà un mistico o un pazzo… che forse sono la stessa cosa” pag. 256-7).
Dalla morte del soldato derivano due conseguenze.
La prima non riesce proprio a entrare nelle mie corde: la Patria ha un eroe in più da aggiungere alla propria gloria. Troppe sono le domande che si rincorrono nella mia mente: ne pongo solo tre. Che dire di tutti i morti sul lavoro e che lavorano nella società civile, tra mille rischi e accettando anche mille compromessi? Che dire dei soldati tornati dalle missioni con gravi malattie e neppure risarciti? E’ necessario cadere sul campo per dire che la vita è stata vissuta da eroi?
La seconda conseguenza è quella degli affetti, quella che stringe il cuore: quella della donna che amava il militare e che avrebbe preferito il soldato vivo all’eroe morto, di colei che avrebbe voluto avere accanto a sé, nel letto, colui che avrebbe potuto regalarle un caldo abbraccio piuttosto che la gloria di una medaglia alla memoria. E il cuore si stringe.
