Dati recenti sulla pena di morte

In terza stiamo parlando di pena di morte. Come avevo promesso pubblico i dati recenti tratti da www.nessunotocchicaino.it

LA SITUAZIONE AD OGGI
 
L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2009 e anche nei primi sei mesi del 2010.
I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 154. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 96; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 8; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44.
I Paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 43, a fronte dei 48 del 2008, dei 49 del 2007, dei 51 del 2006 e dei 54 del 2005.
Nel 2009, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 18, notevolmente diminuiti rispetto al 2008 e al 2007 quando erano stati 26.
Il graduale abbandono della pena di morte è anche evidente dalla diminuzione del numero di esecuzioni nei Paesi che ancora le effettuano. Nel 2009, le esecuzioni sono state almeno 5.679, a fronte delle almeno 5.735 del 2008 e delle almeno 5.851 del 2007.
Nel 2009 e nei primi sei mesi del 2010, non si sono registrate esecuzioni in 9 Paesi che le avevano effettuate nel 2008: Afghanistan, Bahrein, Bielorussia (che però ne ha effettuate due nei primi mesi del 2010), Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Mongolia (che nel frattempo ha deciso una moratoria delle esecuzioni), Pakistan, Saint Kitts e Nevis e Somalia.
Viceversa, 3 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Thailandia (2) nel 2009, dopo uno stop nel 2008; Taiwan (4) e Autorità Nazionale Palestinese (5) nel 2010, dopo cinque anni di sospensione. penadimorte.jpg
 
Dei 43 mantenitori della pena di morte, 36 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 15 di questi Paesi, nel 2009, sono state compiute almeno 5.619 esecuzioni, circa il 99% del totale mondiale. A ben vedere, in tutti questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.
Sul terribile podio dei primi tre Paesi che nel 2009 hanno compiuto più esecuzioni nel mondo figurano tre Paesi autoritari: la Cina, l’Iran e l’Iraq.
Dei 43 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il sistema dei diritti umani, il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto.
Le democrazie liberali che nel 2009 hanno praticato la pena di morte sono state solo 3 e hanno effettuato in tutto 60 esecuzioni, circa l’1% del totale mondiale: Stati Uniti (52), Giappone (7) e Botswana (1). Nel 2008 erano state 6 (con Indonesia, Mongolia e Saint Kitts e Nevis) e avevano effettuato in tutto 65 esecuzioni.
 
Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 5.000 esecuzioni (più o meno come nel 2008 e, comunque, in calo rispetto agli anni precedenti), il dato complessivo del 2009 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 5.608 esecuzioni (il 98,7%), in calo rispetto al 2008 quando erano state almeno 5.674.
Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (52) nel 2009.
In Africa, nel 2009 la pena di morte è stata eseguita solo in 4 Paesi (con la Somalia, erano stati 5 nel 2008) dove sono state registrate almeno 19 esecuzioni – Botswana (1), Egitto (almeno 5), Libia (almeno 4) e Sudan (almeno 9) – come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006 effettuate in tutto il continente.
Nel settembre 2009, la Commissione Africana per i Diritti Umani e dei Popoli ha organizzato nella capitale ruandese Kigali una conferenza sulla pena di morte nella regione centrale, orientale e meridionale del continente africano. I 50 partecipanti hanno chiesto ai Paesi africani di seguire l’esempio del Ruanda e di abolire la pena capitale, attraverso l’istituzione di moratorie formali e l’adozione di un protocollo alla Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli sull’abolizione della pena capitale in Africa. “Invitiamo tutti i Paesi membri dell’Unione Africana che non l’avessero ancora fatto a sottoscrivere gli Strumenti sui Diritti Umani che proibiscono la pena capitale, vale a dire il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e lo Statuto di Roma (della Corte Penale Internazionale), adeguando la propria legislazione nazionale”, è scritto nel documento finale.
Tra il 12 e il 15 aprile 2010, il gruppo di lavoro sulla pena di morte della Commissione Africana sui diritti umani ha organizzato un secondo incontro regionale a Cotonou, nel Benin. Alla conferenza, che si è concentrata sui paesi africani settentrionali e occidentali, hanno partecipato circa 50 rappresentanti provenienti da 15 paesi della regione. La sessione plenaria e i gruppi di lavoro si sono soffermati sulla questione della pena di morte in Africa e sui mezzi per realizzare l’abolizione.
All’incontro regionale di Cotonou, il secondo dopo quello di Kigali, seguirà una conferenza continentale con esperti e rappresentanti degli stati membri dell’Unione Africana. Il Commissario Sylvie Kayitesi, che presiede il gruppo di lavoro, ha in mente di presentare ai capi di Stato e di Governo africani una proposta di protocollo aggiuntivo alla Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli, relativo alla pena di morte. Questo darebbe all’Africa la possibilità di adottare uno strumento vincolante che comporti la sua abolizione.
 
In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2009 non sono state effettuate esecuzioni, ma nel marzo 2010 due uomini sono stati giustiziati per omicidio. Nel 2008, erano state effettuate almeno 4 esecuzioni. Ne era stata effettuata almeno 1 nel 2007 e, secondo i dati OSCE, almeno 3 nel 2006 e 4 nel 2005.
Una risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte è stata adottata durante la sessione annuale dell’Assemblea parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che si è tenuta a Vilnius, in Lituania, tra il 29 giugno e il 3 luglio 2009. La risoluzione invita la Bielorussia e gli Stati Uniti ad adottare un’immediata moratoria sulle esecuzioni e chiede al Kazakistan e alla Lettonia di modificare la loro legislazione nazionale che ancora prevede la pena di morte per alcuni tipi di reati commessi in circostanze eccezionali.
 
Dopo che nel 2008, 3 Paesi hanno cambiato status rafforzando ulteriormente il fronte a vario titolo abolizionista, altri 6 lo hanno fatto nel 2009 e nei primi sei mesi del 2010.
Nell’aprile 2009 il Burundi ha adottato un nuovo codice penale che abolisce la pena di morte. Nel giugno 2009, il parlamento del Togo ha votato all’unanimità la legge che abolisce la pena di morte. Nel luglio 2009, il Presidente del Kazakistan ha promulgato la legge che limita la pena di morte a crimini terroristici che provocano la morte di persone e a reati particolarmente gravi commessi in tempo di guerra. Nel luglio 2009 Trinidad e Tobago ha superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi va considerata abolizionista di fatto. Nel gennaio 2010 le Bahamas hanno superato dieci anni senza praticare la pena di morte e quindi vanno considerate abolizioniste di fatto. Nel gennaio 2010, il Presidente della Mongolia ha introdotto una moratoria sulle esecuzioni capitali.
 
Nel 2009 e nei primi sei mesi del 2010, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi.
Nell’aprile 2009, il ministro della Giustizia ha annunciato che la Giordania abolirà la pena di morte per tutti i reati eccetto che per omicidio premeditato. Nel giugno 2009, una Conferenza nella Repubblica Democratica del Congo si è conclusa con l’annuncio da parte del Presidente dell’Assemblea Nazionale e del Presidente del Senato dell’avvio del processo legislativo volto ad abolire la pena di morte nel Paese. Nel giugno 2009, il Vietnam ha approvato la eliminazione della pena di morte per otto reati. Nell’agosto 2009, il Ministero della Giustizia del Libano ha lanciato una campagna nazionale a sostegno della proposta di abolizione della pena di morte. Nel settembre 2009, il governo della Corea del Sud si è detto d’accordo a non applicare la pena di morte, come chiesto dal Consiglio d’Europa. Nel novembre 2009, il governo del Benin ha presentato una proposta di legge all’Assemblea Nazionale per inscrivere l’abolizione della pena di morte nella Costituzione. Nell’aprile 2010, già abolizionista per tutti i reati, Gibuti ha approvato un emendamento che introduce l’abolizione della pena di morte nella Costituzione.
Nel 2009, per la prima volta nella storia del Paese non sono state registrate esecuzioni in Pakistan.
Il 7 gennaio 2009, nel suo ultimo giorno come Presidente del Ghana, John Kufuor ha graziato oltre 500 detenuti. Nel gennaio 2009, la Corte Suprema dell’Uganda ha stabilito la commutazione in ergastolo delle condanne a morte dei prigionieri che si trovano in carcere da più di tre anni. Nel gennaio 2009, il Presidente dello Zambia ha commutato le condanne capitali di 53 prigionieri del braccio della morte. Nel luglio 2009, in occasione del 10° anniversario della sua incoronazione, il Re del Marocco Mohammed VI ha concesso un’ampia amnistia che ha riguardato circa 24.000 detenuti, molte decine dei quali hanno ricevuto la commutazione della condanna capitale in ergastolo. Nell’agosto 2009, il Presidente del Kenia, Mwai Kibaki, ha annunciato la commutazione in ergastolo della pena capitale per gli oltre 4.000 prigionieri del braccio della morte. Nell’agosto 2009, lo Stato di Lagos in Nigeria ha commutato la pena capitale nei confronti di 40 prigionieri del braccio della morte, 3 dei quali sono stati amnistiati e liberati. Nel novembre 2009, il presidente della Tanzania ha commutato in ergastolo le condanne a morte di 75 prigionieri.
 
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il 18 marzo 2009, il New Mexico ha abolito la pena di morte, divenendo così il secondo Stato USA in oltre quarant’anni a farlo, dopo che il New Jersey l’aveva abolita il 13 dicembre 2007. Molto vicino all’abolizione è arrivato anche il Connecticut, dove Camera e Senato hanno votato l’abolizione, ma la governatrice M. Jodi Rell ha posto il veto il 5 giugno 2009.
 
Sul fronte opposto, la Thailandia ha ripreso le esecuzioni nell’agosto 2009 dopo circa sei anni di sospensione.
Nell’aprile 2010, in Palestina il Governo di Hamas a Gaza si è reso responsabile della ripresa delle esecuzioni dopo una moratoria di fatto durata cinque anni. Alla fine di aprile 2010, anche Taiwan ha ripreso le esecuzioni dopo cinque anni di sospensione.

Ancora su Dio e il male

L’articolo che segue è di Sergio Givone e non è proprio facilissimo, ma è un interessante contributo a quanto abbiamo affrontato in quinta

Dice ancora qualcosa la morte di Dio agli uomini di oggi? Secondo Nietzsche, poco o nulla. L’annuncio che «Dio è morto» è destinato a cadere nel vuoto. Magari tutti ripetono la frase a proposito di questo o di quello (secolarizzazione, scristianizzazione, pensiero unico, e così via). Ma come se fosse un’ovvietà, una cosa scontata, di cui prendere atto per poi archiviarla senza farsi troppi problemi. Un po’ come dire: siamo moderni, emancipati, la fede in Dio appartiene al passato. Dovranno passare secoli – è sempre Nietzsche a sostenerlo – prima che gli uomini tornino a interrogarsi sul senso profondo e misterioso di questa morte.maschera1R375_31ott08.jpg Che la morte di Dio appaia come un evento che è ormai alle nostre spalle e che ci lascia sostanzialmente indifferenti non è ateismo. È nichilismo. L’ateismo a suo modo tiene ferma l’idea di Dio. Non fosse che per distruggere e negare quest’idea, liquidando al tempo stesso ogni forma di trascendenza: sia la trascendenza della legge morale, sia la trascendenza del senso ultimo della vita. Tutte cose che costringerebbero l’uomo in uno stato di sudditanza e gli impedirebbero di realizzare la sua piena umanità. L’ateismo in Dio vede il nemico dell’uomo. Perciò gli muove guerra. Per il nichilismo niente di tutto ciò. Quella di Dio è una bellissima idea. Talmente alta e nobile che, come afferma quel perfetto nichilista che è Ivan Karamazov, c’è da stupire che sia venuta in mente a un «animale selvaggio » come l’uomo. Però destinata a dissolversi come rugiada al sole sotto i raggi spietati della scienza. Rimasto senza Dio, l’uomo deve fare i conti con la realtà. Deve imparare a vivere sotto un cielo da cui non può più venirgli alcun soccorso né consolazione. Quindi, deve riappropriarsi della sua vita terrena e soltanto terrena. Con quanto di buono e prezioso la terra ha da offrire una volta che Dio è uscito di scena. Ma siccome non c’è nulla di buono e prezioso se non in forza dei nostri stessi limiti, diciamo pure in forza del nostro destino di morte (infatti come potremmo amarci gli uni gli altri se fossimo immortali?), sia lode al nulla! Questo dice il nichilismo. Ma anche più importante di quel che il nichilismo dice, è quel che il nichilismo non dice. Per realizzare il suo progetto di riconciliazione con la mortalità e la finitezza, il nichilismo deve tacere su un punto decisivo: lo scandalo del male. Precisamente lo scandalo che l’ateismo aveva fatto valere contro Dio, in questo dimostrandosi consapevole del fatto che il male sta e cade con Dio. È di fronte a Dio che il male appare scandaloso. Cancellato del tutto Dio, persino come idea, il male continua a far male, ma rientra nell’ordine naturale delle cose. Ed ecco la parola d’ordine del nichilismo: tranquilli, non è il caso di far tragedie. A differenza del nichilismo, l’ateismo pur negando Dio ne reclama o ne evoca la presenza. Esemplare da questo punto di vista il ragionamento (che a Voltaire sembrò invincibile) svolto da Pierre Bayle. Il male c’è, indiscutibilmente. Come la mettiamo con Dio? O Dio non vuole il male ma non può impedirlo, e allora è un dio impotente; o Dio può impedire il male ma non vuole, e allora è un dio malvagio; o Dio non può e non vuole, e allora è un dio meschino (oltre che impotente); o Dio può e vuole (ma di fatto non lo impedisce), e allora è un dio perverso. Dunque: non può essere Dio un dio impotente oppure malvagio oppure meschino oppure perverso. Obietterà Leibniz: non è vero che Dio lasciando essere il male si condanna alla malvagità e quindi alla non esistenza. Il bene, sul piano ontologico, è infinitamente più grande del male: anche se il bene è silenzioso, spesso invisibile, e invece il male sconquassa il mondo. Il valore positivo del bene è infinitamente più grande del valore negativo del male. Non solo, ma il bene è ogni volta una vittoria sul male, mentre non si può dire che il male sia una vittoria sul bene, perché il bene resta, anche se c’è il male, e al contrario il male, pur non cancellato, è vinto dal bene. Perciò Dio, pur potendolo, non impedisce il male. Se lo facesse, col male toglierebbe anche il bene. Quel bene che, rispetto al male, è un di più di essere, di vita, di senso. Lasciamo stare se gli argomenti di Bayle siano convincenti e se la risposta di Leibniz possa soddisfare pienamente. Certo è che tanto l’ateismo di Bayle quanto il teismo di Leibniz concordano su un punto: è alla luce dell’idea di Dio che il male rivela la sua natura per così dire «innaturale», sconcertante, scandalosamente disumana. Tolto Dio, certo si continua a soffrire, e cioè a patire le offese che la natura reca agli uomini e gli uomini a loro stessi, ma quanto più debole sarebbe quel «no, non deve essere» che osiamo dire di fronte al male chiamando in causa Dio… Il nichilismo, a differenza dell’ateismo, non vuole vedere il male, non può vederlo. E questo per la semplice ragione che Dio non è più l’antagonista, il nemico: semplicemente non è più. Lo stesso si deve dire del male: non è più. Evaporato, dissolto, fattosi impensabile. «L’unico senso che do alla parola peccato – ha detto recentemente un filosofo che fa professione di nichilismo – è quello che è contenuto nell’espressione: che peccato!». Viva la chiarezza. Il nichilismo è subentrato all’ateismo. Potremmo dire che il nichilismo altro non è che una forma di ateismo in cui Dio non è più un problema, come non è più un problema il male – Dio è morto, e questa sarebbe l’ultima parola, non solo su Dio, ma anche sul male. Questo nichilismo amichevole e pieno di buon senso, oltre che perfettamente pacificato, continua a essere la cifra del nostro tempo.