Pubblico una foto che ho visto sul profilo facebook di una ex studentessa di diversi anni fa, quando appena avevo iniziato a insegnare, al liceo di Gemona. E aggiungo due frasi che hanno sempre a che fare con l’ottimismo. La prima è proprio per quella studentessa, visto il suo orientamento scientifico: afferma Galileo “Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono”. Troppo spesso vediamo quel che crediamo… La seconda frase è invece del filosofo cinese Laozi, che affermava “Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela”. Accendiamo, accendiamo che c’è bisogno…
La gabbia d’oro
Nel 1971 esce un disco che mi è tornato in mente in questi giorni: i progressivi Jethro Tull pubblicano Aqualung. Chitarre e il flauto di Ian Anderson dominano l’album. Il lato B del vinile si apre con My God, una canzone di denuncia nei confronti della Chiesa Anglicana per aver ingabbiato Gesù e aver creato un Dio diverso dal suo. La metto qui, a mo’ di monito…
L’avete chiuso nella Sua gabbia d’oro
L’avete piegato alla vostra religione
Lui che è risorto dalla tomba
Lui è il dio di niente
Se questo è tutto quello che riuscite a vedere
Voi siete il dio di tutto
E’ dentro voi e me
Quindi affidatevi a lui gentilmente
E non invocatelo per farvi salvare
Dai vostri onori sociali
E dai peccati ai quali siete soliti rinunciare
L’insanguinata Chiesa d’Inghilterra
Incatenata dalla storia
Richiede la vostra presenza terrena
Al vicariato per il tè
E la figura intagliata di tu-sai-chi
Con il suo crocifisso di plastica
L’ha messo a posto
Mi confonde sul chi e il dove e il perché
E il come prende i suoi calci
Confessando al peccato infinito
L’infinito lamento
Pregherai fino a Giovedì prossimo
Tutti gli dei che riesci a contare
Una vita appesa ad un fax
Ho da poco terminato di leggere il fumetto di Joe Kubert “Fax da Sarajevo”. Racconta la storia, vera, della famiglia Rustemagić, marito, moglie e due figli, della loro vita durante l’assedio di Sarajevo del 1992 e della loro fuga. Ervin Rustemagić racconta tutto attraverso dei fax inviati fortunosamente. Lascio qui alcuni estratti della vita di Ervin, della moglie Edina, della figlia Maja e del piccolo Edvin.
“Oggi nevica a Sarajevo, e nessuno sa cosa ci riservi questa giornata, né quanto sangue colerà sulla neve.
…
Per noi che siamo qui, appare oggi ridicolo ripensare agli attentati terroristici in Italia, in Francia, in Inghilterra… quando i terroristi uccidevano 5, 6 o una dozzina di persone. Quanto chiasso è stato fatto per quegli attentati!! Noi qui abbiamo centinaia di attentati terroristici di quel genere ogni giorno e tutti se ne fregano! New York, Londra, Parigi, Roma, Amburgo sono sotto shock quando una bomba esplode in una stazione o nella metropolitana… Solo nel nostro quartiere di Dobrinja finora sono esplose 250.000 fra bombe e granate…
…
Maja compirà dieci anni il 20 luglio e il suo unico desiderio è che rimaniamo in vita.
…
Ieri era il 114° giorno di assedio a Sarajevo e un amico qui ha detto: ‘Perfino le Hawaii dopo 114 giorni di vacanza risulterebbero insopportabili’. Mi inquieta pensare a quello che succederà dopo la guerra. Ho paura che non ci potrà mai più essere una vita normale qui.
…
‘C’è gente che muore troppo presto, altra troppo tardi. Raramente al momento giusto’. Ebbene, le decine di migliaia di persone che sono morte in Bosnia durante questi ultimi mesi sono morte troppo presto. Un bambino è morto ieri nel ventre di sua madre, uccisa da una granata, venti giorni prima di nascere.
…
Un milione e cinquecentomila granate sono esplose nella città di Sarajevo (tre granate per abitante fino ad ora), e nessuno potrà mai dire quanti milioni di proiettili siano stati sparati. E’ il barbaro assedio di una città all’alba del 21° secolo.”



