Mare alto

4140697763_5eaa3b2f11_o.jpgStamattina, sfogliando il numero settembrino di XL, mi sono imbattuto nella rubrica che Marco Lodoli tiene sul mensile, uno dei passi per me imprescindibili. Anche stavolta, ne è valsa la pena. Scrive dei primi passi che un ragazzo può compiere nel mondo della musica, dalla sua camera o dal suo garage, al piccolo club o palco, al palcoscenico, alla radio, ai concerti… “L’underground trova una consacrazione ufficiale, diventa cultura popolare, collettiva, condivisa. Così funziona la cultura in un paese sano. Così non funziona più in Italia. Ciò che viaggia in un circuito alternativo, resta lì, ha il suo pubblico, ma è comunque un pubblico selezionatissimo, una sorta di aristocrazia del gusto, e a poco a poco la spinta si ammoscia, la cantina soffoca l’immaginazione nata per correre in piazze e strade. In Italia si è drasticamente interrotta la comunicazione tra la novità e l’ufficialità. […] Il noto scansa l’ignoto, e così facendo entrambi si spengono tristemente.”

Mentre leggevo queste parole la mia mente, in questo mese che segna la riprese delle attività didattiche, è andata alla scuola, agli studenti che tra una settimana ricomincerò a vedere ogni giorno, a quelli “nuovi”, con le loro storie tutte da scoprire, a quelli “vecchi”, in piena corsa nel cammino del liceo che hanno scelto, a quelli “stravecchi”, che parlano delle superiori al passato. E ho trovato, nell’ultimo paragrafo dell’articolo di Lodoli, l’augurio per questo nuovo anno scolastico: “Il nuovo resta ai margini, ignorato, schifato. I ragazzi bussano e la porta non si apre. I musicisti suonano e le note gli ricadono addosso, pioggia gelata, acqua malinconica. […] il pop nazionale e internazionale non lascia più quasi nessuno spazio, si va sul sicuro, e ciò che è sicuro ristagna e marcisce in una top ten, in una playlist, in un gerontocomio di lusso”. Bene. Ho voglia di lasciare acque stagnanti, ho bisogno di mare alto, ignoto, sconosciuto, largo. Sono pronto a navigare sopra le profondità per poi potermi immergere: là c’è spazio per tutti.