Gemma n° 2509

“Come ultima gemma ho deciso di portare mia sorella. Potrebbe sembrare un qualcosa di cui ho già parlato, ma in verità ho portato sempre cose legate a lei, come i disegni che mi fa, ma mai lei come persona.
Mia sorella si chiama G., ha 13 anni e frequenta la terza media.
Quando devo parlare di lei piango perché il legame che c’è tra di noi è qualcosa di speciale.
Purtroppo solo negli ultimi anni ci siamo avvicinate così tanto e ho imparato a conoscere lei e me stessa.
Siamo incredibilmente molto simili e sebbene lei sia più piccola di me, mi ha aiutata a crescere. La cosa più importante che mi ha insegnato è che non sempre bisogna essere amati per poter amare: nello stesso anno in cui è nata, la mia nonna paterna si è ammalata di Alzheimer. Ciononostante, G. le ha voluto bene sebbene non l’avesse mai realmente conosciuta, ma soprattutto senza mai chiedere qualcosa in cambio: per me lei è la prova dell’amore senza “ma” e senza “se”.”
(G. classe quinta).

Camminare sull’abisso, oltre il sepolcro

Antonio De Paoli, Eros e thanatos (qui)

Ho letto, sul nuovo numero di Rocca (n. 7 del 1 aprile 2024) un articolo molto bello e interessante di Selene Zorzi dal titolo La morte come buco nero. Vengono trattati argomenti di teologia e di scienze, di morte, amore e di buchi neri e bianchi. Vengono citati Carlo Rovelli, Shelly Rambo e Hans Urs von Balthasar. Attenzione, però, non ha niente a che vedere con l’ambito delle dimostrazioni scientifiche. “Possiamo usare le parole della scienza in analogia…”: sono esplicite le parole della teologa. E molto affascinanti: “Il filo dell’amore non si spezza al bordo della realtà, anzi accade che mentre procediamo in quel tempo e spazio deformati nel trauma del dolore, ha luogo una trasformazione. Ci accorgiamo che lo stiamo costeggiando quel bordo, poi ci ritroviamo a camminare accanto ad esso, infine ci accorgiamo di aver camminato sull’abisso e di aver ripreso a vivere”. Buona lettura. La fonte è qui.

“La teologia è fede che vuole comprendersi e dirsi con le parole, i concetti e le conoscenze del proprio tempo, per parlare ai contemporanei e per – come si dice nella prima lezione di teologia – rendere ragione della fede (cfr. 1Pt 3,15: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi»).
Cosa può dire la fisica quantistica alla teologia? Può forse offrire un linguaggio o delle metafore per poter parlare alla fede? In un entusiasmante testo, il fisico teorico e divulgatore scientifico Carlo Rovelli, nel suo recente libro Buchi bianchi parla dello spazio come granulare, come una rete, dicendo che la struttura profonda della stessa materia dell’universo è fatta di relazione. Non è in fondo ciò che intende dire la Bibbia quando dice che l’essere umano è «ad immagine» di Dio (Gn 1,26) e che siccome il Logos è costitutivamente pros ton theon, rivolto verso il seno del Padre (Gv 1,1;18) l’essere «presso» è il costitutivo creaturale, infatti tutto è fatto «in vista di lui» (Col 1,16).
Scienza e fede sono due discipline autonome ma anche intrecciate nei loro contenuti e nelle loro dinamiche.
Se consideriamo il buco nero come l’orizzonte dell’esistenza oltre il quale nessuno riesce a guardare e dal quale «nessuno è tornato mai a raccontare» (Buchi bianchi p. 47) esso può ben essere una metafora di quello che la teologia cristiana prova a dire sulla morte. Rovelli lavora «sull’ipotesi che i buchi neri si possano trasformare in bianchi» (p.17).
La fisica dell’infinitamente piccolo, la fisica quantistica, ci dice che la tessitura del mondo, la realtà è una rete tessuta all’interno di una relazione; che «la struttura profonda della materia è granulare» (p. 68), dunque non si spezza perché il suo fondamento è la relazione.
Immaginando quindi una massa che cada in un buco nero essa si condenserà sempre. Secondo Rovelli tuttavia questa caduta non sarà infinita. Perché lo spazio che è fatto di questa materia relazionale non si può spezzare.

La relazione come struttura del tutto
Anche la prospettiva cristiana afferma che la struttura profonda del tutto è relazionale; la Scrittura lo dice affermando che siamo fatti «ad immagine di Dio» (Gn 1,26) che questo Dio è relazione in se stesso (Trinità). Quando diciamo che «Dio è amore» (1 Gv 4,16) intendiamo dire questo.
Propongo quindi un’interpretazione della Risurrezione secondo il paradigma della testimonianza: un modello diverso da quello che abbiamo imparato a vedere nelle figurine dei catechismi.
Non si tratta cioè di seguire il modello trionfalistico della risurrezione, che contrappone la vita alla morte, che salta direttamente dalla crocifissione alla risurrezione, dal Venerdì Santo alla Domenica, che vedrebbe un Gesù risorgere in carne e ossa «più bello che pria», con la bandierina in mano, salire folgorante e vittorioso verso il cielo. Questo modello non prende sul serio né il dolore, né la morte, né i nostri traumi.
Ripropongo la lettura dalla teologa femminista Shelly Rambo, in Quel che resta del dolore. Il trauma e la testimonianza dello Spirito (Ed. San Paolo, 2013).
Il fisico ipotizza che la materia assorbita dal buco nero, cadendo dentro questo campo, dove spazio e tempo sono deformati, entrerebbe in una sorta di imbuto che tuttavia non è infinito: in fondo c’è ancora qualcosa e questo qualcosa è la rete granulare dello spazio che non si spezza e che forse potrebbe trasformarsi in un buco bianco. Secondo la fisica quantistica la materia presenta una tessitura profonda, come una rete granulosa che non può bucarsi (p. 68)?
La Tradizione cristiana parla della Discesa agli inferi di Cristo (1Pt 3,19), e l’arte ha dipinto questa discesa al fondo della morte dove Cristo ha ritrovato Adamo che era caduto nel vuoto e con esso ha liberato tutti, proprio tutti (Adam è l’umanità), dalla morsa della morte, risalendo alla vita. La liturgia parla di un amore divino che non ha potuto abbandonare Cristo nel sonno della morte (cfr. Sal 15).

Il vuoto del Sabato santo
Il teologo H. U. v. Balthasar parlava del Subabbraccio dell’amore di Dio nel vuoto del Sabato santo. Tra il Venerdì di passione e la domenica della vita c’è, infatti, un interim del Sabato santo, un luogo strano dove c’è ancora la morte, non c’è la vita risorta ma resta ancora l’amore.
Per il credente è lo Spirito, il tra dell’amore divino, che delicatamente vibra sul caos (come all’inizio della creazione, Gn 1,1), che si esprime nel linguaggio balbettato (i gemiti inesprimibili dello Spirito, Rm 8,26) perché quando la vita va a finire in un buco nero, la vita di chi rimane sul bordo è una vita costantemente segnata dall’esperienza della morte. Questa continua sofferenza di una vita che continua dopo una morte, è l’enigma del trauma (cfr. S. Rambo).
Nel trauma la morte persiste nella vita; vita e morte non hanno più confini precisi così come spazio e tempo sono deformati. Il tempo del lutto è un tempo che si riferisce a chi è fuori. Dentro non c’è tempo lineare.
Chi ama oscilla continuamente tra le fratture della vita, resistendo agli strappi. Così al fondo della morte, resta l’eros, il legame dell’amore, la relazione alla persona amata.
La struttura profonda dell’esistenza è la relazione.
Ecco perché abbiamo bisogno della testimonianza di Maria Maddalena, ecco perché lei è la prima. Maria resta al bordo del sepolcro dimora nell’amore, senza comprendere, né vedere bene (Gv 20,11), ma rivolgendosi a quell’intimità della relazione con Gesù che, sebbene sia stato inghiottito dal buco nero della morte, non sarà assorbita all’infinito nel nulla. Quella relazione resta (Gv 20,16). La morte non può assorbire l’amore (non più come diceva il Primo Testamento: «forte come la morte è l’amore», Ct 2,8): così anche al bordo della vita può continuare la relazione con Colui che è stato per lei il senso della sua vita. Il filo dell’amore non si spezza al bordo della realtà, anzi accade che mentre procediamo in quel tempo e spazio deformati nel trauma del dolore, ha luogo una trasformazione.
Ci accorgiamo che lo stiamo costeggiando quel bordo, poi ci ritroviamo a camminare accanto ad esso, infine ci accorgiamo di aver camminato sull’abisso e di aver ripreso a vivere. Perché lo Spirito cova sull’abisso (Gn 1,2). Certo è un amore debole, un filo, come il «mormorio di un soffio leggero» (1Re 19,12): in fondo abbiamo semplicemente continuato a respirare nonostante il dolore.
La Ruah mantiene il ponte dell’amore nel suo punto più fragile e ci rende capaci di rimanere (menein Gv 15), di persistere; non di trionfare o di conquistare. Tra morte e vita persiste lo Spirito Paracleto, promesso da Gesù come continua presenza di Dio con i discepoli, nell’assenza fisica di Gesù. Essi stessi ora dovranno essere il luogo della nuova forma di vita in cui Dio verrà ad abitare: rimanete nel mio amore (Gv 15,9); «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Dice Rambo che tutta la forza dello Spirito sta nella capacità di farci immaginare una vita quando non la si riesce più a concepire. Una vita riconcepita attraverso, dentro la tempesta stessa.
Tornando al nostro fisico teorico: «la struttura quantistica dello spazio del tempo impedisce alla materia di schiacciarsi ulteriormente. È diventata una stella di Planck, che rimbalza e inizia ad esplodere» (p. 126).

Il buco bianco della Risurrezione
Il buco bianco della Risurrezione «potrebbe essere – cito il fisico – come un pezzettino di capello che fluttua» (p. 129) e siccome «non interagisce con la luce, non la si vede». Eppure ciò che non vediamo potrebbe essere costituito da «miliardi e miliardi di questi delicati piccoli buchi bianchi che ribaltano il tempo dei buchi neri ma non troppo e fluttuano lievi nell’universo come libellule» (p. 130).
La struttura quantistica dello spazio e del tempo impedisce lo schiacciarsi ulteriormente dell’amore nel nulla da cui Dio mantiene permanentemente in essere l’universo.
La trasformazione da morte a vita non può essere semplicemente vista. Nessuno vide l’ora della tua Risurrezione.
Forse la nostra vita è piena di tanti fili di Resurrezione che non vediamo. Il credente sa che la struttura stessa della vita è relazione: è relazione il Dio trinitario, è relazione la creazione, è relazione quel restare amoroso al bordo della morte. Questa relazione amorosa che resta come un sottile alito di vita è il Tra del Padre e del Figlio, è l’alito dello Spirito, che in ebraico è femminile. È il debole amore che resta nei traumi di quando perdiamo qualcuno che amiamo e che è finito oltre l’orizzonte.
Questo «restare attaccati all’inferno» (come diceva Serafino di Sarov) può diventare una spinta che spinge verso la vita. Insomma, che l’universo sia prodotto da un Big Bang o da un rimbalzo cosmico come un Big Bounce poco importa: possiamo usare le parole della scienza in analogia per dire come in Cristo, l’uomo che ha amato fino in fondo, la creatura che ha accolto totalmente le potenzialità offerte da Dio realizzandole fin nelle estreme possibilità umane e facendo della sua stessa esistenza l’apertura totale a questa relazione e a questo amore, entrando nel buco nero della morte ha ribaltato il tempo. Ecco perché diciamo che «Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre» (Eb 13,8). Ecco perché il credente non torna indietro a celebrare un sepolcro ma è sospinto verso la vita («va’ dai miei fratelli», Gv 20,17).”

Gemma n° 2508

“Come mia prima gemma ho scelto di portare il brano Summertime Sadness di Lana Del Rey.
Ho scelto proprio questa canzone, tra tutte quelle che mi piacciono di quest’artista, perché la ascoltavo spessissimo durante l’estate del 2023, che per me fu un periodo molto triste poiché persi il mio nonno paterno a luglio e il mio nonno materno a settembre.
Ogni volta che la ascolto penso a loro e a tutti i bei momenti passati insieme in famiglia.
E, come dice Lana, penso che mi mancheranno per sempre come alle stelle manca il sole nel cielo mattutino” (M. classe prima).

Gemma n° 2507

“Questo è Yago. É stato il mio cane per 8 anni. L’abbiamo preso quando avevo 6 anni ed è morto quando ne avevo 14, quindi l’anno scorso. L’ho scelto come gemma perché ho tantissimi ricordi felici con lui e anche se ogni tanto mi saltava addosso mordendomi gli ho sempre voluto bene” (G. classe prima).

Gemma n° 2506

“Dovrei partire dicendo che scegliere l’argomento di questa gemma sia stato difficile ma non è così. Mi è stato detto scegli una cosa che ti rappresenta, che ti fa stare bene e la prima cosa a cui ho pensato è stata la danza: la  mia più grande passione, ma a volte anche la mia più grande delusione, il posto in cui tutti i miei pensieri scompaiono e fanno posto alla leggerezza, il posto in cui mi sento me stessa al cento per cento e dove posso esprimermi senza parole, dove tutto mi sembra perfetto.
Con lei ho un rapporto di amore e odio: la felicità ad aver fatto un passo in maniera corretta, ma anche la delusione di non riuscire a fare quel passo provato una marea di volte, l’euforia prima di salire sul palco, ma il non sentire di aver dato il massimo appena finito di ballare e infine la sensazione di vuoto dopo una gara andata male. Tutte queste sensazioni, tutte queste emozioni ormai fanno parte di me e anche se sono emozioni negative mi fanno capire che sto facendo la cosa giusta, la cosa che mi fa stare bene. Oltre alle tante emozioni e alle tante esperienze che mi ha regalato, la danza mi ha dato delle amiche vere con cui entrare in sala ogni lezione: ciò mi sprona ancora di più e senza di loro ogni emozione provata non sarebbe stata la stessa. Ci supportiamo e sopportiamo a vicenda nei momenti di tensione e di felicità e ci siamo sempre l’una per l’altra” (B. classe prima).

Gemma n° 2505

“Ho deciso di portare questa gemma perché l’ho trovata in realtà molto carina e anche divertente.
Mia mamma per le vacanze di Natale ha deciso di comprare questo per appenderlo sulla parete della casa. lo all’inizio mi sono messa a ridere perché le renne con sopra i nostri nomi erano troppo simpatiche. Poi l’ho portata perché come dice la frase “insieme è sempre Natale” è quella che più ci rappresenta come famiglia, perché siamo molto uniti e ho un legame bellissimo sia con i miei genitori che con i miei fratelli. E sono molto grata di questo” (M. classe quarta).

Gemma n° 2504

Un individuo senza memoria non è nessuno questa era la frase che più attirava la mia attenzione quando entravo in una delle aule principali della mia scuola media. Ogni mattina leggevo questa frase cercando di immaginare chi sarei stata senza ricordi, senza memoria, ed ogni volta mi sorprendevo per quanto mi spaventasse l’idea di perdere me stessa. Sempre negli stessi anni, riordinando meticolosamente la mia stanza per procrastinare, trovai una scatola con scritto il nome di mia madre. Particolarmente incuriosita decisi di aprirla. Con grande sorpresa trovai una serie di foto ed oggetti della sua infanzia ed adolescenza. Corsi in soggiorno per mostrarle questa mia grande scoperta. Ricordo ancora quanto mia madre si illuminò di gioia alla vista di quei ricordi ormai lontani. Da quel momento mi si accese qualcosa dentro: la paura di dimenticare e di essere dimenticata. Da quel momento in poi iniziai (quasi ossessivamente) a memorizzare più cose possibili cercando di catturare ogni momento come una fotografia e a raccogliere “pezzi” significativi della mia vita all’interno di vecchie scatole di scarpe. Ogni scatola ha al suo interno una “me diversa”, ed ognuna di queste porta con sé tanti piccoli souvenir che la rappresentano in tutto e per tutto. Molti mi hanno definito come una persona romantica e nostalgica, sempre accompagnata da quella strana malinconia che tutti abbiamo vissuto almeno una volta nella nostra vita. Negli ultimi anni mi sono resa conto di quanto io viva di ricordi: li avvolgo e riavvolgo all’infinito come se la mia testa fosse un proiettore degli anni ‘60. Recentemente però, ho anche realizzato quanto vivere nel passato non mi consenta di vivere al 100% nel presente e, senza dimenticare il peso e l’incidenza che hanno i ricordi, ho compreso che se voglio avere in futuro altri ricordi da vivere, devo immergermi nell’attimo e assaporarlo lentamente cercando di lasciarlo sciogliere senza avere fretta. Questo perché il “presente” di oggi sarà il “passato” di domani, ed il futuro sarà a sua volta il “presente” di questo domani, dunque il segreto per avere splendidi ricordi “da vivere” è, banalmente, vivere.
Probabilmente ho detto una delle cose più scontate su questa terra, a volte però dando sempre per scontato qualcosa, alla fine si finisce per dimenticarla/trascurarla. Il mio obiettivo è quello di avere in mano tutte le esperienze, tutti i momenti, tutti gli attimi, tutti i sorrisi, tutto il mio vissuto, “registrato” e custodito, così da poterlo rivivere di nuovo e poterlo condividere con le persone che amo. I ricordi permettono di rivivere momenti ed emozioni senza lasciarli morire, se qualcosa non viene dimenticato non si può definire effettivamente morto. Proprio per questo amo fare foto e video, voglio ricordare e raccontare, voglio che resti qualcosa di tutta questa meraviglia.
Questa è la scatola 2022-2023. Non la riapro spesso, ma ogni volta che lo faccio trovo sempre qualcosa che credevo di avere dimenticato”.
(C. classe quarta).

Gemma n° 2503

“Mia madre è la persona più importante della mia vita; quando ho bisogno la trovo sempre vicino a me e non mi ha mai lasciato da solo e senza risposta. Ha fatto tutto, ha speso tanto per me e io devo restituirle tutto quello che ha fatto per me e i suoi sacrifici” (A. classe prima).

Gemma n° 2502

“Ho deciso di portare l’anello che mi ha regalato la mia ragazza al mio compleanno perché per me è molto importante. Infatti, durante i momenti difficili in cui non sono con lei, guardarlo mi aiuta a sentirmi meno sola. Mi aiuta a ricordarmi che lei ci sarà sempre per me come io ci sarò sempre per lei” (E. classe quarta).

Gemma n° 2501

“In questa gemma ho deciso di parlare di due estati fa, quando io andai in vacanza in Sicilia e io, mio cugino e un altra ragazza di lì, trascorremmo delle giornate indimenticabili, piene di adrenalina e inevitabilmente di errori. In quel periodo ognuno di noi aveva delle fragilità che venivano colmate dalla presenza di un trio molto legato. Mi ricordo ancora quando rimanemmo fuori  tutta la notte, coperti da mia cugina. Il mio ricordo principale di queste serate è una canzone, nata per errore, che invita al divertimento e che ci trasmetteva delle ottime vibes facendoci dimenticare di tutti i problemi e invogliandoci a godere al massimo i momenti che stavamo vivendo. Questa canzone si intitola Bevo tutta la notte, di Alfa, Olly e Drast” (A. classe prima).

Gemma n° 2500

“Ho deciso di portare come gemma le Filippine. Solitamente quando torno nelle Filippine con i miei genitori, ossia ogni 3 anni circa, stiamo a Nasugbu (una città di Batangas) con i parenti e con gli amici.
Quest’anno siamo andati a Palawan, un arcipelago delle Filippine. Siamo stati a Puerto Princesa e a El nido, in particolare a Cadlao Island e Miniloc Island.
Ho portato un video che riassume le mie vacanze di Natale” (J. classe quinta).

Gemma n° 2499

“Ho portato questa foto perché mi ricorda, non solo un momento bello della mia vita, ma è la prima partita ufficiale di calcio che ho giocato da bambino. Da quella partita ho iniziato un percorso che continua tutt’ora” (M. classe quarta).

Gemma n° 2498

Fonte

“Valbruna! Dove il cuore riposa e l’ansia scompare!
Sono particolarmente legata a questo posto perché praticamente tutti i miei ricordi d’infanzia sono concentrati qui.
I miei genitori 14 anni fa hanno preso la seconda casa in questo paesino di montagna.
I primi ricordi che ho legati a questo posto risalgono al 2013 quando ho conosciuto la mia amica O., con cui ho vissuto i momenti più belli e divertenti: siamo andate in viaggio insieme in Germania, abbiamo giocato insieme di notte a nascondino e fatto le camminate più faticose insieme. Abbiamo passato estati intere a raccontarci cosa succedeva nelle nostre due città, e pian piano abbiamo allargato il nostro duo ad altri tre ragazzi con cui abbiamo fatto amicizia negli anni seguenti.
Il primo ricordo è il corso di sci a cui mi avevano iscritto i miei genitori all’età di cinque anni.
Altra cosa significativa sono le giornate passate nei boschi con mio padre e il suo amico alla ricerca di funghi, cosa noiosa all’inizio però quando ne trovavi uno era una soddisfazione indescrivibile.
Ogni sera andavo, assieme a mia mamma, a fare una passeggiata per il paese, in cui a volte capitava di incontrare degli animali, tra cui cervi e volpi.
Questo posto dista molto poco dal confine con l’Austria, infatti, ci vado e ci andavo molto spesso: d’estate al lago, il mio momento preferito, e d’inverno alle terme di Villaco o a fare una giornata di shopping all’Atrio, un centro commerciale di questa città.
Le escursioni effettuate sul monte Osterig, precisamente a Lomsattel, dove la proprietaria del rifugio mi parla solo in tedesco da quando sono piccola; quindi, questo ha aiutato molto a fare pratica della lingua e della pronuncia.
Non ho ricordi brutti legati a questo posto ma ultimamente non ho la possibilità di tornare a casa e questa cosa mi provoca tristezza e nostalgia”.
(V. classe prima).

Gemma n° 2497

“La gemma che ho deciso di portare oggi è una persona a cui tengo molto.
Lei è la zia di mia mamma e si chiama G. Abita in Abruzzo quindi la vedo davvero poco, di solito una volta all’anno d’estate quando vado a trovarla con i nonni.
Quando ci vediamo, anche dopo molto tempo siamo felicissime e già sappiamo che i momenti che passeremo nelle due settimane successive saranno magici. Con lei mi diverto sempre, è come un’altra nonna per me e il nostro rapporto è davvero genuino e speciale, i nostri caratteri sono molto compatibili. La foto che ho portato è del 2019, l’ultima volta in cui ci siamo viste, prima di quest’estate ed è bello sapere che il nostro rapporto sia rimasto sempre invariato. Visitare quella piccola cittadina dell’Abruzzo è per me importante perché rappresenta la vera estate e so che la vedrò e che passeremo dei momenti bellissimi insieme tra fare passeggiate e cucinare dolci.
A novembre in occasione del mio compleanno mi ha fatto la sorpresa di venire a casa dei miei nonni per una settimana, abbiamo creato tanti bei ricordi che mi porterò sempre nel cuore” (G. classe quinta).

Gemma n° 2496

“Questa è la foto di mio nonno, che è l’unico che ho conosciuto, e mi fa ricordare i bei momenti passati con lui” (D. classe prima).

Gemma n° 2495

“Per la mia gemma ho deciso di portare un charm di pandora che rappresenta il globo terrestre. Ogni charm dovrebbe essere legato ad un momento importante o ad una passione e questo qui rappresenta il mio amore per i viaggi, è stato il primo charm che ho comprato perché il viaggio è una passione che c’è sempre stata. Sotto questo aspetto mi ritengo una persona molto fortunata perché nella vita ho avuto molte possibilità, ai miei genitori piace molto viaggiare, e me l’hanno trasmesso. Ho preso il primo aereo a 5 anni non potendo prima perché soffrivo, e soffro tuttora, di problemi alle orecchie legati alla pressione, ma vale la pena sentire il dolore quando l’aereo atterra perché so che l’esperienza sarà indimenticabile.
Vedere le foto di un posto dallo schermo del telefono spesso fa notare solo il bello delle cose ma quando viaggi cogli tutto, cogli com’è veramente il posto in cui vai e capisci che è ben oltre un luogo in cui vai in vacanza. Lì le persone ci vivono ed è orrendo uscire dal resort e vedere che fuori la gente non sta bene.
Ogni volta che sento la canzone della compagnia di viaggi alpitour mi vengono in mente tutte le serate, i balli in piscina, l’acquagym, gli amici conosciuti, il mare e la pizza che non sapeva di pizza.
Concludendo, ho sempre amato viaggiare, lo amo ora e spero di amarlo per sempre” (C. classe prima).

Gemma n° 2494

“A inizio anno mi è stato dato il compito di presentare una gemma e da quel momento mi sono chiesta in continuazione cosa portare. Mi sono concentrata su tutti gli oggetti a cui sono affezionata, alle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, a tutti i momenti che sono rimasti indelebili nella mia mente e nel mio cuore e a tutte le persone che amo. Cercavo in continuazione un qualcosa di complicato, ma mi sono resa conto che “l’essenziale è veramente invisibile agli occhi”. 
Per questa gemma ho scelto di portare mia mamma. Inizialmente mi è apparso un pensiero banale, ma ripensandoci non lo è affatto. Forse l’età mi ha portato ad apprezzarla di più, o meglio, a comprenderla di più. Nonostante io sia la sorella maggiore, quindi ricopro quasi il ruolo di seconda mamma in casa, non riuscirò mai ad essere come lei. Mia madre è la donna più forte che io conosca, non lo dico solo perché ho un amore incondizionato nei suoi confronti, ma anche perché ha avuto modo di dimostrarmelo durante tutti questi anni. Nonostante le immense imprese e ostacoli che il destino ha voluto imporre nel suo cammino, lei ha sempre avuto il coraggio di trovare la forza per lottare per noi e con noi. È riuscita ad affrontare una delle malattie più temute dalle donne, ma nonostante ciò non ci ha mai private della sua presenza. Sì è vero, ha, a volte, un carattere abbastanza irruento, su molte cose siamo in disaccordo, ma non smetterò mai di cercare il suo sguardo per una rassicurazione, per sentire quell’amore che solo una madre può dare. Sono sempre stata una persona a cui non piacciono molto le smancerie, preferisco dimostrare ad azioni, a fatti i miei sentimenti, ma ho anche capito, in questi ultimi anni, che la vita è troppo breve per non pronunciare quel “ti voglio bene mamma”. Ho iniziato a piccoli passi a riaprirmi nel mondo dei sentimenti.
Penso che a tutti sia capitato di trovarsi in una situazione in cui l’unico pensiero fosse quello di essere tra le braccia della propria madre per riuscire a dimenticare ciò che è successo e di sentirsi nuovamente al sicuro. Questa è l’importanza della mamma. Dico spesso che starei benissimo senza di lei, che sono abbastanza grande per affrontare la mia vita da sola, ma nel fondo della mia coscienza sono perfettamente consapevole che tutto questo non è vero.
Non vorrei sembrare banale a questo punto, ma quando dico che mia madre è il mio punto di riferimento lo intendo davvero. Ho sempre sperato e sognato di essere come lei, di avere il suo carattere e di riuscire a farmi rispettare in ogni circostanza, di avere la sua tenacia e la sua testardaggine, anche se a volte è un po’ fastidiosa. Ho capito che tutte le litigate con lei non sono tempo perso, anzi, mi hanno aiutata a crescere.
In questi anni io e lei siamo cresciute insieme e siamo diventate amiche, un tipo di amica che tutti dovrebbero avere nella loro vita. Lei non giudicherà mai, mi sosterrà sempre anche negli errori, ma spiegando gli sbagli e donandomi i consigli giusti per rialzarmi. È un’amica che non ha alcuna invidia nei miei confronti, spera solo che io non commetta i suoi stessi errori e che, anzi, abbia una vita migliore della sua. Le mie lacrime da lei sono sempre state asciugate e facendomi sentire avvolta dalle sue calde braccia sono riuscita a percepire quella rassicurazione che ormai non sento da tempo. La mamma rimarrà sempre la mamma ed è per questo che a lei dedico questa gemma, per ricordarmi quanto lei sia fantastica e anche per ricordarmi di quanto io sia fortunata ad averla al mio fianco.
Ti amo mamma.”
(J. classe quarta).

Gemma n° 2493

“Il 13 Giugno 2023 mi viene detto che sono stata bocciata.
Ovviamente non è stato un fulmine a ciel sereno, lo sapevo da un po’ che sarebbe andata così, ma ciò non significa che l’abbia presa bene. Mi ricordo perfettamente com’è andata: c’era un sole caldo e splendente e facevo l’animatrice al centro estivo, una delle mie attività preferite.
Avevo la squadra blu, composta da bambini dai 6 agli 8 anni.
Quel giorno S., che nonostante i suoi 7 anni aveva una vita troppo travagliata, mi disse: “Maestra S., sei diventata la mia maestra preferita!”.
G., G. e C., di 9 anni e appassionate di ginnastica artistica, mi chiesero di guardarle mentre facevano un balletto che avevano creato da sole.
G., 8 anni e con una gamba rotta mentre andava in bici, si sedette accanto a me e mi raccontò tutto quello che sapeva sugli antichi egizi.
M., 18 anni e la mia migliore amica da 5, mi chiese di andare a mangiare al Mc.
D., 19 anni e il mio posto di pace, mi disse che amava il mio sorriso.
Era una giornata perfetta.
Mentre salutavo i genitori che venivano a prendere i loro figli, vidi la macchina dei miei avvicinarsi, cosa strana considerando che tornavo a casa sempre da sola.
Forse dovevano passare di lì e avevano pensato di venirmi a prendere?
Salii in macchina e mio padre mi chiese com’era andata, ma prima che potessi rispondere, mia madre disse: “Ha chiamato la prof, quest’anno rimani in quarta”. Dissi solo “Vabbè, tanto lo sapevamo tutti”.
Entrai a casa e non ebbi neanche il tempo di spogliarmi per fare la doccia che scoppiai a piangere. Un pianto estremamente esagerato per essere una notizia che già sapevo sarebbe arrivata.
Ma non ero triste per il fatto di dover ripetere l’anno, ero triste perché avevo preso coscienza che sarei rimasta un anno indietro, che non sarei più stata nella classe migliore che mi sia mai capitata. Non avrei più sentito le interrogazioni assurdamente divertenti di Cod, non avrei più riso con Terra ricordando la nostra esperienza come compagne di stanza, non avrei mai più detto “buongiorno raggi di sole!” appena entrata in classe.
Era come se avessi perso parte di me stessa.
Ora, so perfettamente che ci sono cose ben peggiori nella vita, ma il dolore che sentivo era una miscela di nostalgia, di paura e di incertezza per il futuro. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato l’anno successivo, se sarei riuscita a mantenere i legami con i miei ex compagni, se avrei trovato di nuovo il mio posto di pace.
Il pianto che mi aveva travolto era il risultato di tutte queste emozioni riversate in un momento preciso, quando la realtà di ciò che stava accadendo si era manifestata in tutta la sua crudele semplicità. Avrei dovuto affrontare una nuova classe, nuovi insegnanti, una nuova dinamica che non avrei potuto predire.
Così, la doccia che avrebbe dovuto lavare via la fatica della giornata, fu invece un momento di confronto con me stessa, con i miei timori e con la consapevolezza che il mio mondo stava cambiando, anche se non ero del tutto pronta ad accettarlo.
Ora sono in una nuova classe, ho nuovi amici e sono riuscita a mantenere i rapporti a cui tengo di più, quindi direi che non sta andando così male come pensavo.
Certo, a volte il senso di nostalgia e tristezza mi travolge e mi porta giù, ma sto imparando a tornare in superficie sempre più velocemente.
Ho deciso di non scrivere un finale a questo testo perché non so cosa mi riserverà il futuro e non so se sarò pronta ad accettarlo, ma so per certo che porterò per sempre nel mio cuore i miei raggi di sole.”
(S. classe quarta).

Gemma n° 2492

“Come gemma ho deciso di portare il rapporto che ho con mamma e anche se per molti è una cosa banale, per me non lo è.
Starei ore e ore a parlare con lei che a volte mi fa da madre, altre da migliore amica. Con lei riesco ad essere me stessa al 100%. Spesso mi basta un suo sguardo e riesco a trovare la strada per uscire dal labirinto di paranoie e pensieri nel quale mi sono persa. Riusciamo a capirci e a volte fare interi discorsi solo attraverso gli sguardi. Lei la prendo come modello e quando non sono in me è l’unica che riesce a farmi ragionare, qualunque sia il problema. Le voglio un mondo di bene anche se non glielo dico quasi mai” (E. classe prima).

Gemma n° 2491

“Quest’anno come mia prima gemma ho deciso di portare mio zio.
Ho scelto lui perché è una delle persone più importanti della mia vita ed inoltre negli ultimi anni è quella con cui mi confido di più. Il rapporto che c’è tra di noi in certi casi potrei definirlo come fraterno perché come fratello e sorella la maggior parte del tempo ci diamo fastidio facendoci scherzi e dispetti. Io e mio zio condividiamo molte passioni come il tennis e la F1 che ogni fine settimana da quand’ero piccola guardiamo assieme sdraiati sul divano di casa sua. Sono grata di avere uno zio come lui che ogni volta che sono triste mi fa tornare il sorriso e non mi fa pensare ai problemi e anche se non glielo dico quasi mai lui sa che gli voglio un mondo di bene” (G. classe prima).