Gesù e Ungaretti


Continuo la serie dei letterati e Gesù: tocca a Giuseppe Ungaretti

 

Nel 1928, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) trascorre una settimana nel monastero di Subiaco, ospite di un suo amico monaco: è la settimana santa e l’attenzione è concentrata sul mistero della passione e morte di Cristo. L’interrogativo su Dio è chiaro fin dalle composizioni del 1916 come Peso e soprattutto Dannazione (1916):

“Chiuso fra cose mortali

(Anche il cielo stellato finirà)

Perché bramo Dio?”

Tale interrogativo sul mistero di Dio si era reso più urgente durante le ore difficili della guerra del 1914-18 a cui aveva partecipato come soldato (cfr. poesie come Veglia, Soldati). Ma in alcune liriche l’attenzione si sposta sulla figura di Cristo.

In La Preghiera (del 1928) le prime tre strofe descrivono la condizione umana di peccatori; poi inizia l’invocazione tre volte ripetuta: “Fa’ che…” . Il poeta domanda che l’uomo riconosca il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione che Cristo ha portato a termine: è l’“infinita sofferenza” che dà senso al dolore umano, ma

“L’uomo si sottrae, folle,

Alla purezza della tua passione.”

All’uomo che “deifica” la propria ragione e pretende di essere il metro di giudizio e di avere la spiegazione di tutto, il poeta prega Cristo: “Sii la misura, sii il mistero”. E’ questo un verso decisivo, in cui si contesta la pretesa moderna dell’uomo di essere il centro e la misura di tutto.

“[…] Fa’ che l’uomo torni a sentire

Che, uomo, fino a te salisti

Per l’infinita sofferenza

Sii la misura, sii il mistero.”

Mio fiume anche tu è una composizione del 1943-44, durante la seconda guerra mondiale, dopo che il poeta era rientrato dal Brasile nel 1942. Il fiume Tevere, e quindi la città di Roma, è visto come il punto di incontro tra la cultura classica e la fede cristiana. L’interrogativo sul dolore si apre e diventa un inno alla sofferenza umana che Cristo ha preso su di sé con la propria morte. Sempre in Cristo è svelato il volto di Dio. Il poeta può dire: “Vedo ora chiaro nella notte triste / Vedo ora nella notte triste, imparo”. E’ il passaggio alla chiarezza e alla certezza della salvezza in Cristo “pensoso palpito / Astro incarnato nell’umane tenebre”. Il cuore di Cristo è la fonte dell’amore vero, non quello vano e vuoto. Negli ultimi versi riecheggia in modo evidente il Sanctus della Messa e più ancora la visione di Isaia che vede i cherubini glorificare Dio tre volte Santo (cfr. Is 6, 3): qui la maestà e la grandezza di Dio sono nella sua sofferenza: “come fratello t’immoli” per riedificare l’uomo e liberare dalla morte.

“[…] “Cristo, pensoso palpito,

Perché la Tua bontà

S’è tanto allontanata?”. […]

L’uomo si sottrae, folle,

Alla purezza della Tua passione […]

Cristo, pensoso palpito,

Astro incarnato nell’umane tenebre,

Fratello che t’immoli

Perennemente per riedificare”

(G. UNGARETTI, Mio fiume anche Tu, in Vita d’un uomo, I Meridiani, Mondadori, Milano 1977)

Cristo resta il modello di giustizia insuperabile; per questo Ungaretti scrive:

“Bisogna riuscire a unire, a fondere il sentimento della giustizia e dell’uguaglianza con il sentimento della libertà, che è poi il sentimento che ci ricongiunge all’insegnamento più profondo del Vangelo. E credo che l’adempimento del messaggio di Gesù sia la missione alla quale deve tendere ogni uomo di buona volontà.”

(G. UNGARETTI, in La guerra di Ungaretti, in “Avvenire”, 15 agosto 2000, p. 25)

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