Gemma n° 1932

“Ho portato una bandana con cui giro sempre; è un portafortuna e appartiene a una persona a me molto cara. E’ molto sporca perché non l’ho mai voluta lavare. La persona a cui appartiene ha passato dei momenti molto difficili nella sua vita: quando la indosso è come se percepissi che la persona sta bene. Quando c’è qualcosa che non va un po’ lo avverto, mi è già successo su una cosa molto brutta. Nei momenti in cui non ho la bandana sono molto in pensiero perché è come se mi mancasse il supporto della persona a me cara”.

Credo che esista quanto descritto da S. (classe prima), ossia che si possa creare una sintonia a distanza tra due persone, che si possano avvertire dentro di sé sensazioni positive o negative che vibrino all’unisono con quelle di un altro. L’ho vissuto e lascia senza parole (e senza fiato).

8. Non deturpare la bellezza

  1. Rispetta la diversità degli altri
  2. Rispetta il Dio degli altri
  3. Tutela sempre la dignità di vita e di morte
  4. Proteggi i bambini e gli anziani
  5. Non sprecare le risorse
  6. Non maltrattare gli animali
  7. Non abusare del tuo corpo
  8. Non deturpare la bellezza
  9. Non tradire il patto fiscale
  10. Non perderti nel mondo virtuale

Su «La Lettura» #285 (maggio 2017) dieci studiosi hanno proposto i sopraelencati precetti etici in sintonia con i nostri tempi. L’ottavo è esplicato da Eike Dieter Schmidt, storico dell’arte tedesco, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Lo si può trovare a questo link.

“Difendere la bellezza: un compito facile e chiaro nel periodo di Kant e Canova, quando l’umanità era convinta dell’unità ideale di Bello e di Bene. A livello teorico, questa armonica convergenza si disintegra poco dopo, già con la «scoperta» ottocentesca – intesa come liberatorio sovvertimento dell’ordine – dei Fiori del Male. A seguire, gli esempi si moltiplicano, e basta additarne un paio: da parte dei nazisti, la stigmatizzazione come «degenerata» di tutta l’arte non devota ai canoni tradizionali; e le celebrazioni grottesche, neroniane degli attentati dell’11 settembre quali spettacoli di suprema bellezza da parte di Karlheinz Stockhausen e Damien Hirst.
Allora ci si deve porre la questione preliminare di quale sia la bellezza da difendere, e come si possa evitarne la deturpazione. Certo è che al giorno d’oggi la teoria estetica e la prassi della critica e storia dell’arte evitano accuratamente di affrontare la categoria del Bello. Tuttavia, questo progressivo spegnimento dei richiami estetici nel campo dell’arte è stato controbilanciato da una fioritura nell’altro campo in cui essi sono tradizionalmente radicati, ovvero la matematica. Specialmente dopo l’applicazione della geometria frattale sviluppata da Benoît Mandelbrot nel 1979 sull’insieme di Gaston Julia, la bellezza matematica, fatto puramente teorico e intellettuale, si è amalgamata con quella estetica, percepibile con i sensi.
A questo possiamo aggrapparci, perché il concetto matematico di Bellezza, già applicato in altri campi del pensiero astratto attraverso la logica, ci fornisce uno strumento potentissimo per capire meglio e agire di conseguenza.
La rivoluzione digitale degli ultimi decenni, un fiume in piena, ci ha travolti tutti portando Turpitudine insieme alla Bellezza 4.0, la volgarità social insieme all’informazione capillare, il falso e il brutale confusi con il vero. È questo il punto: cosa c’è di buono, di utile, o anche di «diversamente bello» in un’edilizia sfrenata e mercantile – pensiamo alle monotone fungaie di brutti grattacieli costruiti davanti a splendide spiagge.
Ma la turpitudine di certi fenomeni consiste anche nel fatto che danneggiano e distruggono sistemi complessi e stringenti, che appiattiscono e abbassano trovate geniali dell’uomo e della Natura; che sono mutili, illogici, falsi. Ecco il dovere morale che nasce dalla falsità del brutto. Con la rivoluzione digitale in pieno corso, il comandamento di non deturpare la bellezza non può limitarsi soltanto alla realtà concreta, on site, ma deve allargarsi anche a quella virtuale, on line.”

Allargare lo sguardo

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“Il mondo ci sa svelare i suoi segreti in forme del tutto inattese.
Per la maggior parte delle persone le giornate iniziano e finiscono senza che accada granché, ma tutti gli elementi devono essere collegati in qualche modo se alla fine ne scaturisce una figura armoniosa, come la tela di un ragno che luccica al sole del mattino.
Al suo interno vi sono insetti rinsecchiti e tante altre cose che a una prima occhiata possono risultare sgradevoli. Ma prese insieme, tutte quante, accolte in uno sguardo grande, immenso, diventano un unico corpo meraviglioso e irripetibile”
(Banana Yoshimoto, Andromeda heights, pp 16-17)
Ecco quel che devo cercare di fare: allargare lo sguardo.

Una risposta proporzionale alla domanda

onde

Un intervento dell’astrofisico Marco Castellani sull’ultima scoperta/dimostrazione dell’esistenza delle onde gravitazionali. All’inizio di quest’anno nelle quinte abbiamo letto “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli; a breve presenterò il pensiero di Vito Mancuso. Questo articolo e il video allegato, pubblicati su Darsi pace, sono decisamente utili per riflettere. Qui invece il blog personale di Marco Castellani.
Siamo abituati così, a lasciar scorrere la scienza così, appena accanto alle cose che ci interessano, di cui ci occupiamo giornalmente. Forse non una presenza scomoda, certo no. Però spesso ininfluente, nella vita quotidiana. Ci sono però momenti nei quali anche l’ambito solitamente ristretto ed impermeabile della ricerca, così usualmente ben confinato, deborda. E accade che improvvisamente i media si accorgano della quantità di persone e di risorse impiegate cercando di comprendere come funziona l’universo, nell’investigarne i meccanismi segreti, le dinamiche più riposte. Un anelito antichissimo, un tempo territorio del mito, oggi campo di indagine squisitamente razionale.
Dopo anni e anni impiegati nella affannosa caccia, nel pomeriggio del giorno 11 febbraio 2016 è stata finalmente annunciata la detezione delle famose onde gravitazionali. C’è un segnale, e sembra concreto.
Evidente che per noi astronomi sia un momento di esaltazione: in casi come questo avverto, lo confesso, il privilegio di sentire in modo palpabile l’eccitazione, percepirne l’onda affascinante ed elettrica, anche nei semplici dialoghi con i colleghi. E la confortante evidenza, a infrangere milioni di freddi universi di nonsenso (che l’anima troppe volte si trova a percorrere): può ancora succedere qualcosa, possiamo ancora stupirci. È indubbiamente confortante che il lavoro che faccio arrivi improvvisamente a trovare spazio in ambiti assolutamente inconsueti, come un telegiornale della sera. Ben vengano queste notizie, dunque. Ben vengano, se ci aiutano a pensare ai cieli sopra di noi.
Però forse c’è anche altro. Dietro questa scoperta si muovono anche cose più profonde, diverse e complementari rispetto alla mera registrazione dell’ennesimo progresso della ricerca scientifica, alla frettolosa celebrazione di un successo (anche) tecnologico.
Ma andiamo con ordine. Ovvero, stiamo al dato, così come ci si presenta.
È necessario infatti, per cogliere il punto che vorrei illustrare, percepire innanzitutto l’importanza propriamente scientifica di quanto è stato annunciato.
E questa importanza scientifica c’è, c’è davvero tutta. Di cosa si tratta, in poche parole? Perché è importante aver trovato queste onde? Ebbene, si tratta di una corroborante conferma del fatto che il nostro modello interpretativo dell’universo, quello accettato dalla grandissima parte dei cosmologi e percolato ormai profondamente nel senso comune, funziona. Spiega bene la realtà.
A ricevere conferma sperimentale (non certo la prima, ma una delle più eclatanti) è la stessa teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata esattamente un secolo fa. Difficile sopravvalutare l’importanza di tale formulazione teorica, davvero una cattedrale del pensiero dell’età moderna. L’ultima anche, ad essere stata edificata da un solo uomo: i grandi risultati successivi, come la meccanica quantistica – altra teoria epocale che ancora attende di essere compiutamente recepita – sono marcatamente risultati “di squadra”, impianti teorici elaborati dalla stretta collaborazione di molte persone.
Qui no. Questa cattedrale è stata costruita da un uomo solo. Un uomo, per giunta, completamente umano, non esente da grandi difetti e da limiti anche nell’ambito privato (come molte biografie ci hanno impietosamente indicato).
Ebbene, la teoria della relatività di Einstein prevede che si creino – in determinate circostanze – delle deformazioni del tessuto dello spazio tempo, capaci di propagarsi a grandissime distanze, proprio come onde. È una sorta di “radiazione gravitazionale”, che però genera episodi di particolare ampiezza (gli unici, del resto, che possiamo realisticamente sperare di rilevare empiricamente) solo in casi in cui delle ingenti masse modifichino in modo rapido la loro distribuzione. Tipico esempio, è quello della coalescenza di due buchi neri, che poi è proprio l’evento la cui rilevazione è stata annunciata il pomeriggio di giovedì 11 febbraio dal gruppo del rivelatore “Advanced LIGO” (per maggiori particolari vi rimando ad un post molto informativo su GruppoLocale.it).
Qui vorrei però esplorare alcuni aspetti che riguardano la nostra stessa concezione del mondo. Come interpretare allora questa notizia? Abbiamo appena ricevuto una conferma del fatto che non viviamo assolutamente in uno spazio cartesiano, in un universo imperturbabile o in un contenitore asettico, come ci viene sovente da pensare. Non siamo buttati dentro qualcosa che non si “piega” alla nostra mera presenza. Tutt’altro. Gli apparecchi più moderni questo indicano, che la semplice presenza di materia modifica la struttura dello spazio-tempo, lo fa vibrare come un’onda.
In altre parole, abbiamo una ulteriore preziosa conferma del fatto che l’universo, lungi dall’essere un asettico ed inossidabile contenitore di eventi, è invece una entità “viva” che interagisce e si modifica a seconda di quello che ospita, e di cosa avviene al suo interno. No, il cosmo non è affatto imperturbabile, il cosmo è tutt’uno con quanto avviene nel suo grembo. Vibra e si modifica per quanto avviene dentro di lui, ora ne siamo proprio certi. Potremmo vederlo come un universo “simpatetico”, che reagisce con quanto accade in lui, che vibra di quanto succede, nel modo in cui succede. In ultima analisi (così mi piace pensarlo, andando al senso etimologico della parola), che ha com-passione di quello che accade.
Estrapolazioni poetiche, se volete. Speculazioni metafisiche, davanti alle quali forse storcete il naso. Non lo so. Quel che è certo è che non possiamo più pensare allo spazio e alle cose che vi accadono dentro, come entità distinte. Lo spazio, il tempo, gli eventi, la presenza stessa dell’uomo… ogni evidenza empirica non fa che sottolineare sempre più come queste entità che – per pigrizia e bassa energia mentale – ancora pensiamo separate, sono invece profondamente e misteriosamente interlacciate tra loro. Collegate, in modo inestricabile. Relazionate, in maniera inestirpabile.
Non se ne abbia a male Cartesio, ma la sua visione cosmologica è ormai sorpassata. Anzi, defunta. Con tutto quanto ne consegue anche sul lato culturale, e perfino spirituale. Aver aperto una nuova “finestra” di indagine sul cosmo, come sta avvenendo con la neonata astrofisica gravitazionale, non è senza conseguenze. Del resto, è sempre stato così: l’universo ci mostra volta per volta solo quello che siamo in grado di capire. La risposta è modulata, da sempre, sulla sapienza della domanda.
Abbiamo appena aperto lo scrigno di un universo in cui è tutto davvero intimamente collegato, è tutto davvero in relazione. Ci stiamo lasciando alle spalle – grazie al cielo! – una concezione di corpi separati, divisi, ultimamente contrapposti (azione e reazione, forze uguali e contrarie), lascito fecondo ma drammatico della fisica e della cultura classica, nel suo massimo positivistico splendore. Dobbiamo però ancora capire cosa vuol dire entrare davvero in questo universo relazionale, anche in ambito umano. Dobbiamo lavorare per questo, superando resistenze fortissime.
Il vecchio universo (fuori e dentro di noi) infatti resiste accanitamente, ma è ogni giorno più rigido, più teso ed arrabbiato. Perché si sente il fiato sul collo, perché sta esaurendo il suo stesso spaziotempo, perché il suo gioco egoico è sempre più scoperto.
Per legare insieme le cose, per trovare un senso, non serve più la mutua collisione dei corpi, la ben nota dinamica che ne esaspera la distanza ed esprime, definendo (anche formalmente) ogni contatto ultimamente solo come un urto. L’energia che ne viene è energia malata, corrotta. Ci vuole qualcosa, Qualcuno, che leghi tutto insieme, che regali speranza.
Ci vuole un’onda, un’onda nuova.”

Gemma n° 380

La mia gemma è lo spartito di “Segni del tuo amore” del Gen Rosso perché l’anno scorso ho suonato alle tastiere questo brano con la mia parrocchia. E’ stato anche un modo per esprimere potenzialità”. Questa è stata la gemma di M. (classe terza).
Ho cominciato a cantare in un coro a 15 anni e, a parte qualche pausa, non ho mai smesso. Mi piace l’idea di dare vita a qualcosa insieme agli altri, con la caratteristica che il mio contributo deve tener conto di quello degli altri, deve armonizzarsi con esso. Dare il meglio di sé, sapendo di essere essenziali al pari degli altri.

Gemme n° 283

danza

Avrei voluto portare le prime scarpette di danza classica, ma non le ho trovate. Allora ho portato delle foto di questa passione che ho dovuto lasciare per colpa della scuola e che volevo condividere con la classe”. Questa la gemma di G. (classe quarta).
Ballare: mi sento inadeguato, imbranato, inadatto, innaturale. Però mi affascina guardare persone che ballano, vederle rapite, ammirare l’armonia che si sprigiona da quell’intesa, da quei movimenti… “Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma” (Garcia Lorca).

Gemme n° 258

Prof, non se la prenda per il testo che ho portato… Vorrei proporre uno stralcio del discorso di Ivan ad Alëša, tratto da “I fratelli Karamazov”. Ivan dichiara di credere in Dio, ma non nel mondo costruito da Dio, a causa delle sofferenze che ci sono. Vi ritrovo molte delle mie idee.” Così, un po’ timorosa, G. (classe quarta) ha presentato alla sua classe la gemma. Non lo sa che in quinta leggeremo proprio una parte dello stesso brano quando affronteremo la tematica del male.
i fratelliPerciò ti dichiaro subito che accetto l’idea di Dio così com’è, puramente e semplicemente…
Sembrerebbe che fossi sulla buona strada, no? Ebbene, figurati che, tirando le somme, questo mondo creato da Dio io non l’accetto, pur sapendo benissimo che esiste, anzi non l’ammetto proprio! Non è che io non accetti Dio, capiscimi bene, ma è questo mondo creato da Lui, che io non accetto e non posso rassegnarmi ad accettare…
Oh, secondo la mia povera intelligenza terrena, euclidea, so soltanto che la sofferenza esiste e che i colpevoli non esistono, che ogni cosa deriva semplicemente e direttamente da un’altra, che tutto scorre e tutto si equilibra; ma queste non sono che sciocchezze euclidee, lo so bene, e non posso accontentarmi di vivere in base a simili sciocchezze! Cosa m’importa che non esistano colpevoli, che ogni cosa derivi semplicemente e direttamente da un’altra, e, che io lo sappia! Hobisogno di un compenso, se no, mi consumo. E di un compenso non nell’infinito, chi sa dove e chi sa quando, ma qui sulla terra, e voglio vederlo coi miei occhi! Io ho creduto, e perciò voglio vedere anch’io, e se allora sarò già morto, mi devono risuscitare, perché se tutto accadesse senza di me, sarebbe una cosa troppo avvilente. Non ho mica sofferto per concimare con le mie colpe e le mie sofferenze un’armonia futura in favore di chi sa chi! Voglio vederlo coi miei occhi, il daino che ruzza accanto al leone, e l’ucciso che si rialza e abbraccia il suo uccisore…
Ascolta: se tutti devono soffrire per comprare con le loro sofferenze un’armonia che duri eternamente, cosa c’entrano però i bambini, dimmi? Non si capisce assolutamente perché debbano soffrire anche loro, e perché debbano pagare quest’arrnonia con le loro sofferenze… No, Alëša, non bestemmio! Io capisco bene come si scuoterà l’universo intero quando tutte le voci, in cielo e sotto terra, si fonderanno in un unico inno di lode, e tutto ciò che vive o ha vissuto griderà: «Tu sei giusto, o Signore, giacché le Tue vie ci sono rivelate!»…
… quel momento sarà davvero l’apoteosi di ogni conoscenza, e allora tutto sarà spiegato. Ma proprio qui sta il busillis, è proprio questo che non posso accettare!
Finché sono in tempo, dunque, corro ai ripari, e perciò mi rifiuto assolutamente di accettare questa armonia eterna. Essa non vale le lacrime nemmeno di quell’unica creaturina che si batteva il petto col piccolo pugno e pregava « il buon Dio » nello stanzino puzzolente. Non le vale, perché quelle lacrime sono rimaste senza riscatto. Esse devono essere riscattate, altrimenti non ci può essere nessuna armonia. Ma che cosa le riscatti, dimmi, con che cosa? Ti sembra possibile riscattarle? Forse perché dopo saranno vendicate? Ma che m’importa la vendetta, che m’importa se c’è l’inferno per i carnefici? A che cosa può rimediare l’inferno, quando i bambini sono già stati tormentati? E poi, che razza di armonia può essere, se c’è l’inferno? Io voglio perdonare, voglio abbracciare tutti; non voglio che qualcuno soffra ancora. E se le sofferenze dei bambini saranno servite a completare quella somma di sofferenze che era necessaria per pagare la verità, io affermo in anticipo che tutta la verità non vale un prezzo simile. Insomma, non voglio che la madre abbracci l’aguzzino che ha fatto sbranare suo figlio dai cani! Non lo deve perdonare! Se vuole, lo può perdonare per la parte sua, gli può perdonare il suo dolore di madre; ma le sofferenze del suo bambino sbranato lei non ha il diritto di perdonargliele, lei non gliele deve perdonare neanche se il bambino stesso lo perdonasse! E se è così, se non si può perdonare, dove va a finire l’armonia? Esiste in tutto il mondo un essere che possa perdonare, e che abbia il diritto di farlo? Io non voglio nessuna armonia, per amore dell’umanità non la voglio. Preferisco restare con tutte le sofferenze da vendicare. Preferisco tenermi la mia sofferenza invendicata e il mio sdegno insaziato, anche se dovessi aver torto. E poi, l’hanno valutata troppo quell’armonia, l’ingresso è davvero troppo caro per la nostra tasca. Perciò mi affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso. E se sono un uomo onesto, lo devo restituire al più presto possibile. È appunto quello che faccio. Non è che io non accetti Dio, Alëša; soltanto, gli restituisco rispettosamente il biglietto.
– Questa è ribellione – disse piano Alëša, con gli occhi bassi. Osservò Ivan in tono penetrante: – Si può forse vivere di ribellione? Perciò io voglio vivere! Ora dimmi francamente una cosa, mi appello a te, e tu rispondimi. Immagina di essere tu a costruire l’edificio del destino umano, con lo scopo ultimo di far felici gli uomini, di dare loro, alla fine, pace e tranquillità; ma immagina anche che per arrivare a questo sia necessario e inevitabile far soffrire un solo piccolo essere, per esempio quella bambina che si batteva il petto col minuscolo pugno, e sulle sue lacrime invendicate fondare appunto questo edificio: accetteresti di essere l’architetto, a queste condizioni? Dimmelo, e non mentire!
– No, non accetterei – rispose piano Alëša.
– E puoi ammettere che gli uomini, per i quali tu costruisci l’edificio, acconsentano da parte loro ad accettare una felicità fondata sul sangue innocente di un piccolo martire e ad essere poi felici in eterno?
– No, non lo posso ammettere.”

A commento un’altra suggestione letteraria, presa da “Il diavolo e la signorina Prym” di Paolo Coelho (pagg. 26-27):
“La mia scadenza è di una settimana. Se, entro il termine di sette giorni, qualcuno del paese sarà trovato ucciso – potrebbe essere un vecchio non più produttivo, o un malato incurabile, o un minorato mentale che costituisce solo un’incombenza: la vittima non è importante, quest’oro apparterrà agli abitanti di Viscos, e io trarrò la conclusione che siamo tutti cattivi. Se tu ruberai il lingotto, ma il paese resisterà alla tentazione, o viceversa, concluderò che ci sono buoni e cattivi: il che mi pone un serio problema, perché ciò significa che esiste una lotta sul piano spirituale, una battaglia che può essere vinta da ciascuna delle due parti. Tu credi in Dio, nei piani spirituali, nelle lotte fra angeli e demoni?”
La giovane non disse niente, e questa volta lo straniero capì che aveva rivolto la domanda nel momento sbagliato: c’era il rischio che lei, semplicemente, gli voltasse le spalle e non lo lasciasse finire. Era meglio smetterla di ironizzare, andando direttamente al nocciolo della questione:
“Se, infine, lascerò il paese con i miei undici lingotti d’oro, tutto quello in cui volevo credere si sarà rivelato una menzogna. Preferirei morire con la risposta che non vorrei ricevere: la vita mi sarebbe più sopportabile se ne fossi certo, e se il mondo fosse cattivo.
“Anche se la mia sofferenza sarebbe identica, se tutti soffrono, il dolore risulterebbe più tollerabile. Se, invece, soltanto alcuni sono condannati ad affrontare grandi tragedie, allora c’è qualcosa di veramente sbagliato nella Creazione.”
Gli occhi di Chantal erano pieni di lacrime. Comunque trovò la forza per controllarsi:
“Perché fai questo? Perché proprio al mio paese?”
“Non si tratta né di te né del tuo paese, io sto pensando solo a me: la storia di un uomo è la storia di tutta l’umanità. Voglio sapere se siamo buoni o cattivi. Se siamo buoni, Dio è giusto e mi perdonerà per tutto quello che ho fatto: per il male che ho augurato a coloro che hanno tentato di distruggermi, per le decisioni errate che ho preso nei momenti più difficili e per la proposta che ti sto facendo adesso, giacché è stato Lui a spingermi verso l’oscurità.
“Se siamo cattivi, invece, allora tutto è permesso: non ho mai preso nessuna decisione errata, noi siamo già condannati, e poco importa cosa facciamo in questa vita, poiché la redenzione è al di là dei pensieri o degli atti dell’essere umano.”
Prima che Chantal potesse allontanarsi, l’uomo soggiunse: “Tu puoi decidere di non collaborare. In tal caso, sarò io stesso a dire a tutti che ti ho dato l’opportunità di aiutarli, ma che hai rifiutato; poi farò loro la proposta. Se decideranno di uccidere qualcuno, è molto probabile che la vittima sia tu.””

La stessa musica

overhead

Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che suona la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica”.
(D. Pennac, Diario di scuola, 2007)
Far conoscere la stessa musica, questa è la sfida.

Gemme n° 106

diapasonHo portato un diapason che simboleggia il mio amore per la musica: ha sempre fatto parte della mia vita e spero continui. Senza la musica non penso di poter vivere. Per me cantare è una cosa bellissima, la più bella che possa fare”. Queste sono state le parole di G. (classe quinta). Ogni volta che ho assistito a un concerto mi ha sempre incuriosito questo strumento che alcuni direttori utilizzano: è usato per dare l’intonazione alle voci di un coro o per accordare strumenti. Lascio come commento una domanda per una riflessione personale: qual è il diapason della nostra vita, con cosa le diamo l’intonazione?

La passione della terra

Fusine_0045 fbRingrazio un mio studente per aver segnalato questo articolo di Vito Mancuso, comparso ieri su La Repubblica. Vi sono molte delle idee contenute anche nel libro “Il principio passione”.

“La nostra civiltà è malata, è in corso una via crucis del pianeta davanti ai nostri occhi distratti. L’aria delle nostre città, i nostri mari ormai quasi privi di pesci, l’acqua, le foreste, gli oceani, sono vittime di un’ideologia rapace e utilitaristica che considera la natura solo come un’inanimata risorsa da sfruttare e che alimenta la fiorente industria della fiction per la finzione necessaria a sedare le coscienze. I rifiuti prodotti dagli oltre 7 miliardi di esseri umani sono ormai superiori alle possibilità di smaltimento, e per alcuni di essi come le scorie nucleari lo smaltimento è praticamente impossibile. Che cosa avverrà quando nel 2025 la popolazione sarà di 8,1 miliardi? E quando nel 2050 giungerà a 9,6 miliardi? Una nuova guerra mondiale? Una serie permanente di inarrestabili conflitti locali?

Barbara Spinelli l’altro giorno ricordava Hans Jonas e la sua nuova formulazione dell’imperativo etico in senso ecologico. In un’intervista del 1992 a “Der Spiegel” Jonas segnalava il pericolo del “tragico fallimento della cultura superiore, la sua caduta in una nuova primitivizzazione”, intendendo con ciò “la povertà di massa, la morte di massa, l’uccisione di massa”. Da allora sono passati oltre vent’anni e questo declino verso la primitivizzazione e la massificazione è proseguito: lo vediamo nei costumi, nel gusto estetico, nella politica, nel linguaggio dove tutto diventa più grossolano e più violento. E più irrazionale.

Ai nostri giorni un terzo del cibo prodotto viene buttato via, sono 1,3 miliardi di tonnellate di cibo su scala annuale che finiscono tra i rifiuti, con l’uso scriteriato di acqua, energia e vita animale e vegetale che tutto questo comporta. E ciò a fronte del fatto che ogni giorno muoiono per fame 24.000 esseri umani, 8 milioni e mezzo all’anno. Basta questo per evidenziare la pericolosa malattia mentale di cui soffre la nostra società? Nutriamo la nostra anima con le manifestazioni di massa dell’effimero (sport di massa, musica di massa, cinema di massa…) pagandone i protagonisti con cifre esorbitanti, mentre miliardi di esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno. Proprio nell’epoca del trionfo della scienza assistiamo a un tracollo della razionalità nel governo del mondo, con la conseguenza che a trionfare non è veramente la scienza, la quale è sempre ricerca e dubbio, ma è piuttosto la tecnica che ammanisce certezze e cattura le menti. Anche la modalità con cui nelle nostre società si conquista il consenso e si accede al potere è sempre più all’insegna dell’irrazionalità, perché vince chi sa suscitare emozioni forti mentre chi pratica l’onestà dell’analisi è inevitabilmente destinato alla sconfitta: se penso ai leader politici di quand’ero ragazzo (Moro, Zaccagnini, Berlinguer) vedo che per loro non vi sarebbe oggi nessuna chance.

Quando Francesco d’Assisi compose il suo testo più bello, il Cantico delle creature, la pagina più antica della letteratura italiana, era quasi cieco per una malattia agli occhi e soffriva per una serie di altri mali che da lì a un anno l’avrebbero condotto alla morte. Ciò non gli impedì di cantare la luce di frate sole e di frate focu e di celebrare le altre realtà naturali. Penso che guardando alla sua vita sia possibile capire le due principali malattie di cui soffriamo oggi: 1) una filosofia di vita opposta a quella di Francesco e analoga a quella del ricco mercante suo padre, cioè all’insegna dell’accumulo e del consumo, a cui si viene indotti fin da piccoli dalla potenza della pubblicità e dall’industria dell’intrattenimento che le gira attorno; 2) una filosofia della natura opposta a quella del Cantico delle creature che considera la materia come inerte e la vita come lotta, e da cui discende un atteggiamento predatorio verso il pianeta e il conseguente inquinamento. Dal canto suo la religione tradizionale dell’Occidente non è stata in grado di fronteggiare questi due mali, anzi vi ha persino contribuito a causa del suo antropocentrismo, per cui anche il cristianesimo si deve rinnovare, anzi direi convertire.

L’umanità, se vuole sopravvivere, deve cambiare la mentalità che guida le sue politiche economiche e che orienta il suo atteggiamento verso la natura. L’unica possibilità di una svolta è nella presa di coscienza che la Terra è un organismo che deve la sua origine e la sua esistenza alla logica dell’armonia relazionale. Il passaggio da una civiltà basata sulla lotta a una civiltà basata sulla cooperazione può avvenire solo se si comprende che è la stessa logica dell’evoluzione naturale a basarsi sulla cooperazione e si educano i nostri ragazzi in questa prospettiva. Occorre quindi superare la cupa filosofia della vita trasmessa dal darwinismo e comprendere che a guidare l’evoluzione non è soltanto la lotta ma prima ancora il rapporto di complementarietà e di armonia, visto che non esiste vita se non in relazione, non esiste bios se non come symbios, come simbiosi.

Dalla crisi ecologica ed etico-spirituale non si uscirà se non si risaneranno le idee che l’hanno prodotta. Occorre che l’urgenza ecologica trasformi la nostra visione della biologia e ci faccia prendere coscienza del legame che unisce tutte le cose, dell’interconnessione di ogni ente con il tutto, di ciò che la fisica chiama entanglement e che costituisce il paradigma ontologico più avanzato. Tutto ciò è traducibile in filosofia dicendo che la prima categoria dell’essere non è la sostanza ma è la relazione, all’insegna di una relazionalità globale che supera l’antropocentrismo e l’utilitarismo che ne discende.

Da Francesco d’Assisi malato e alla vigilia della morte nacque uno dei testi più sublimi della spiritualità di tutti i tempi. Dalla nostra civiltà, malata e così cieca da non riconoscere la sua malattia, può emergere ancora la possibilità di una svolta per non precipitare nell’abisso sempre più vicino? Penso che nessuno lo sappia ed è per questo che le tenebre del venerdì santo avvolgono le nostre esistenze e il nostro futuro, senza sapere se ci sarà data la luce di pasqua. Ma credere di sì è un dovere morale, oltre all’unica concreta possibilità che la svolta possa prodursi davvero.”

Per una femminilizzazione del mondo

Nelle ultime settimane sto sempre meno volentieri su fb, dove sempre più spesso leggo rabbia e livore, se non odio. Il tutto mi sta nauseando e annoiando. I Radiodervish escono con un nuovo cd, Human. In un’intervista di Chiara Calpini per XL che ho letto oggi pomeriggio affermano: “Quello che da tempo aspettiamo è una femminilizzazione del mondo, nel senso di far corrispondere le nostre risposte e i nostri comportamenti all’emisfero destro del cervello che sovraintende ai sentimenti, all’intuizione e alla creatività. Ma anche trovare un’armonia che superi il dualismo e lo scontro. Smettere con le recriminazioni e lavorare con gioia al cambiamento. La musica può fare tutto questo, raccontando storie positive ed emblematiche”.

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