Gemma n° 1977

“Per me, ogni anno, è un sacco difficile portare una gemma perché non riesco mai a trovare qualcosa che davvero voglio condividere: ogni anno mi sforzo di trovare qualcosa anche se non lo considero una vera e propria gemma. Quest’estate mi è capitato di pensare a cosa avrei portato quest’anno e siccome ho passato davvero una bella estate, per la prima volta ero indecisa su quale gemma portare! Peccato che poi è arrivato settembre e ho perso quei pochi amici che avevo: di nuovo senza gemme. Mi sento tremendamente in colpa per quello che sto per tirare fuori dallo zaino perché col periodo che stiamo passando tutti in generale dovrei riuscire a trovare qualcosa di bello, però non c’è. Ho deciso di portare un cartoncino, non del mio colore preferito o di un colore qualsiasi, ma nero: il nero non è un colore e attira tutti gli altri colori. Mi sento un po’ come lui: ultimamente cerco di fare mio tutto quello che provano gli altri e provo io, sia i momenti belli che quelli brutti perché non ho niente in particolare o di significativo che voglio condividere. Quello che mi rappresenta di più in questo momento è che non c’è niente che mi rappresenti e quindi mi piace assorbire tutti gli altri colori, tutte le altre sensazioni e le emozioni degli altri”.

Solitamente, appena hanno concluso la presentazione della gemma, fotografo quello che hanno portato in classe per poi mettere la foto qui sul blog. Talvolta mi dimentico e allora mando una mail nel pomeriggio per farmi mandare l’immagine. Oggi avrei potuto fotografare un foglio nero che avevo in casa, eppure ho mandato comunque la mail ad A. (classe quarta). E questo è il suo foglio nero. Metterne un altro avrebbe significato parlare di un’altra persona. A proposito del nero, Wassily Kandinsky scrive: “È questo, esteriormente, il colore meno dotato di suono, sul quale perciò ogni altro colore, anche quello che ha il suono più debole, acquista un suono più forte e più preciso, a differenza di quanto avviene su un fondo bianco, su cui quasi tutti i colori perdono in intensità di suono e molti si dissolvono completamente, lasciandosi dietro un suono fioco, indebolito”. Auguro  ad A. e a tutti i colori neri che incontro ogni giorno che quei colori e quella luce che fanno propri consentano loro di far emergere tutti i suoni, anche quelli più deboli, anche quelli che altrimenti si dissolverebbero.

Nel bianco

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Ci sono volte in cui monto sulla macchina fotografica il teleobiettivo e perlustro l’ambiente intorno a me come se guardassi dal mirino di un fucile. In questo modo mi capita di cogliere particolari che non avrei potuto vedere a occhio nudo; ma succede anche di rischiare di perdersi cose come queste. E’ stata Sara a battermi con la mano sulla spalla a indicarmi i due gabbiani sulle croci. Sono su un piccolo lembo di terra che emerge tra Grado e Barbana. I due gabbiani assomigliano a due sentinelle che scrutano l’orizzonte. Sotto di loro le due croci, di altezze diverse (o piantate più o meno in profondità) ma gemelle con un crocifisso identico. Più sotto ancora la pietra commemorativa che parla di un tempo passato. Immagino che non sia difficile riuscire a

Doviersapere chi siano le due persone chiedendo a qualche amico di Grado; ho provato a fare una veloce ricerca su internet e ho trovato una notizia del 14 gennaio 1910 riportata su “Il Paese. Il giornale della democrazia”: “D’oltre confine. Tragedia accidentale tra fratelli. Grado — Un ragazzo tredicenne Giusto Dovier, maneggiando un fucile carico, lo puntò per ischerzo contro il fratello Felice d’anni 7. Disgraziatamente partì un proiettile che fulminò sull’attimo il piccolo Felice. Immaginarsi la costernazione dell’involontario fratricida”. Non so se si tratti della stessa persona.
Sotto le croci erbe selvatiche, rami secchi, e più sotto ancora pietre umide ad arginare un mare che può essere solo intuito. Oltre le croci, il bianco, che per me vuol sempre dire molte e variegate cose: la luce, la pienezza, il vuoto, il nulla, lo scrivibile, la purezza, la cecità, il bagliore, la speranza, la carta, l’ignoto.