Gemme n° 214

Prof, io avevo da tempo preparato la mia gemma, ma ieri ho visto un video che vorrei condividere con la classe: posso mostrare entrambi?” così mi ha accolto C. (classe quarta). Ottenuto il mio assenso ha proposto questo video (già oggetto di un’altra gemma),affermando che “ogni tanto è bene guardarsi intorno e capire che non siamo da soli e magari dare una mano: basterebbe pensare che potremmo essere noi ad averne bisogno, e sarebbe brutto che nessuno se ne rendesse conto”.

https://www.youtube.com/watch?v=AYRS4FQXZrk

Il secondo video è, invece, più personale: mi è stato d’aiuto in un brutto periodo”.

Una delle frasi più importanti del brano, ripetuta molto spesso, è senz’altro “Voglio qualcuno che mi ami per quel che sono”. Penso che una delle cose che possiamo fare nei confronti di ciò su cui non abbiamo controllo sia accettarlo: e su chi amo non posso avere il controllo… “Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai. Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera significa accettare il rischio dell’inverno. Farsi Presenza, significa accettare il rischio dell’Assenza” (Antoine de Saint-Exupéry).

Il mare lontano

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Un brano di letteratura e una canzone: li ho uniti perché li sento affini, come se facessero vibrare in me le stesse corde. Il nodo è quello di cercare il senso, l’anelito, la scintilla da cui poi derivano le passioni, le motivazioni, le ragioni del nostro agire. C’è chi lo trova in sé, chi lo trova negli altri, nella natura, in Dio, nell’idea di uomo. Antoine de Saint Exupéry ne scrive come di una sete da risvegliare, un qualcosa che quindi per l’uomo è esigenza, bisogno fondamentale, necessità di sopravvivenza; e che quando riceve soddisfazione dona piacere, un piacere atavico. Sergio Cammariere ne canta come di un punto in mezzo al mare, lontano dalla terra, dalle case e dal porto, un posto dove ricordi e cose note si confondono per dare spazio a una nuova possibilità, a una nuova creazione in cui dare un nome nuovo ai sentimenti.

“Se vuoi costruire una nave non devi chiamare gente che procuri la legna e prepari gli attrezzi necessari, o distribuire compiti e organizzare il lavoro. E non devi raccogliere le persone per dar loro ordini e spiegare ogni dettaglio o dire loro dove trovare qualunque cosa. Prima, invece, risveglia la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà svegliata in loro questa sete, le persone si metteranno subito al lavoro per costruire la nave”. (Antoine de Saint Exupéry)

Dalla pace del mare lontano fino alle verdi e trasparenti onde

dove il silenzio non ha più richiamo e tutto si confonde

Dalle lagune grigie e nere, dal faticare senza riposo

dalla sete alla fame allo spavento al più segreto tormento

Avemmo padri avemmo madri fratelli amici e conoscenti

Ed imparammo a dare un nome nuovo ai nostri sentimenti

E così un giorno a camminare su questa terra sotto a un sole avaro

Per un amore che sembrava dolce e si è scoperto amaro

Ma è solo un’eco nel vento nel vento che mi risponde

Venga la pace dal mare lontano venga il silenzio dalle onde

E in mezzo al mare c’è un punto lontano così lontano dalle case e dal porto

Dove la voce delle cose più care è soltanto un ricordo

Ma da quel punto in poi non si distingue più

La linea d’ombra confonde ricordi e persone nel vento

Avemmo padri avemmo madri …

Il postino di Natale

Sempre per creare un po’ di spirito natalizio posto il piccolo racconto pubblicato sul suo blog da Alessandro D’Avenia.

“Stefano Occhipinti è un postino che fa le sue consegne in bicicletta, anche quando nevica. E in questo Natale di crisi la neve si è accanita contro le strade della città, quasi potesse lavarle definitivamente. Ma si sa che la città degli uomini è troppo polverosa per essere lavata dalla neve. Il 24 dicembre è l’ultima giornata di lavoro dell’anno. Stefano solca la neve lentamente e sul suo volto c’è la stanchezza buona di un lavoro compiuto. Stefano ha imparato da suo padre che nella vita non è importante la parte, ma la recitazione. Che tu sia Re, Buffone o Postino, quel che conta è che tu sia un bravo Re, Buffone o Postino. Per lui essere un buon postino è portare le lettere al destinatario, anche quando ne è rimasta solo una e si è fatto tardi e si potrebbe rimandare al giorno dopo.

E in fondo al sacco ne è rimasta una.

Stefano è rimasto solo con la neve. La gente ha già acceso le luci colorate della vigilia e le facciate dei palazzi sembrano aver perso la loro ordinaria e ripetitiva tristezza.

Legge sulla busta: non c’è l’indirizzo. C’è il francobollo e c’è una lettera da un foglio a giudicare dal peso della busta, conosce bene il suo mestiere, le sue dita sanno determinare il contenuto di ogni busta dal solo peso. Ma purtroppo la busta è bianca come la neve che, nuova, si poggia sulla vecchia.

Stefano è un postino a fine giornata, il 24 dicembre. La neve continua a cadere e lo trasforma in un fantasma nel buio. Ha una busta senza destinatario. Il suo turno è finito. Si avvicina ad un cestino per buttare la lettera. E se fosse una lettera importante? Se ne dipende qualcosa di vitale, in quel Natale?

La apre. Spiega il foglio e legge:

…ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,

ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo…

Si ferma perché quella parola è scritta sul fronte e sul retro di quel foglio centinaia di volte e assomiglia ad una poesia, dal momento che gli a capo non sono regolari. Guarda i fiocchi di neve, che – si sa – sembrano tutti uguali, ma a guardare bene si scopre che non uno è uguale all’altro, perché ciascuno dispone i suoi cristalli in modo perfettamente geometrico, ma sempre nuovo e diverso. Un caos ordinato, o un ordine caotico?

Stefano riprende a leggere. Anche se c’è scritta una sola cosa, ogni «ti amo» ha una nevicata.jpggrafia leggermente diversa, ora una «t» è più lunga, ora una «o» più arrotondata, ora una «a» più schiacciata, ora una «i» più slanciata. Come se ogni «ti amo», apparentemente uguale all’altro, fosse unico e nuovo a saperlo scrivere e a saperlo leggere come si deve. Ma per vedere certe cose bisogna averci gli occhi aperti. Spalancati. E questo Stefano lo sa, perché se c’è una cosa che il suo mestiere gli ha insegnato è che l’essenziale è leggere bene nome e cognome e indirizzo su una busta.

Dopo l’ultimo «ti amo», non c’è scritto più nulla. Follie da innamorati. Neanche una firma. Anzi al posto della firma, in basso a destra galleggiava un altro «ti amo». Quasi fosse quella la firma, il nome e il cognome del mittente.

Stefano alza gli occhi dal foglio e li costringe a ripercorrere al contrario la caduta dei fiocchi come chi cerca la sorgente di un fiume. Si perdono, fiocchi e occhi, nel cielo buio e compatto della vigilia, come se si potesse spaccare da un momento all’altro. Tutto sembra così simile a quella lettera in quella notte. Tutto è così calmo in quella notte. Tutto è così consueto e nuovo in quella notte. Come un «ti amo» pronunciato all’infinito, ma sempre diverso. Basta guardare la neve cadere dal cielo nelle proprie mani.

L’essenziale è visibile agli occhi.”