Gemma n° 1951

“Ho portato questa collana che mi è stata regalata due anni fa da mio padre. Non lo vedo tanto spesso, durante le vacanze di Natale o in estate. Da quando l’ho indossata penso che le cose siano migliorate: la porto sempre con me quando ho qualcosa di importante da fare, oppure la indosso e mi fa sentire bene. Una volta l’avevo persa e ci sono stata molto male, poi l’abbiamo ritrovata e da quel giorno la tengo sempre accanto a me. E’ un portafortuna, anche molto di più”.

Trovare ispirazione per commentare la gemma di M. (classe prima) mi ha portato ad una canzone di Enrico Ruggeri dal titolo Oggetti smarriti, solo che vi si parla più che altro di oggetti dimenticati e credo che siano due cose diverse. Un oggetto smarrito in quanto dimenticato non mi fa problema, l’ho dimenticato, non è più presente nella mia mente. Ma l’oggetto smarrito e cercato diventa un’ossessione, è tutto il contrario dell’essere dimenticato, è talmente presente nella mente che rischio di vederlo dappertutto. Si tratta di quell’oggetto che, anche nel caso in cui non venga ritrovato, è talmente importante da non poter essere cancellato dalla memoria.

Vorrei sbrigarmi a uscire dalla vergogna

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Sotto Natale ho letto in un boccone “Tutto torna” di Giulia Carcasi. L’inizio per me è stato fulminante, una scossa perché qualche anno fa ho scritto un breve racconto simile al suo incipit. E mi è tornata in mente Anna, mia nonna, e il pensiero oggi va a lei, lassù…

“Il mio bambino, non trovo il mio bambino,”grida una donna, s’aggrappa a chi passa.

Le chiedono: calma, cos’è successo.

Il bambino vuole camminare senza essere tenuto per mano, certe volte s’impunta così tanto che lei lo lascia fare, ma lo segue con lo sguardo, sta attenta. È stato un attimo, giura, un battito di ciglia e il bambino non c’era più. Maledice se stessa.

Le chiedono com’è fatto, quanti anni ha, come si chiama.

È un bambino sensibile al buio, risponde, come bastasse a riconoscerlo tra mille, di notte vuole la luce accesa sennò non s’addormenta. Gesù, se il bambino sta al buio è capace che impazzisce. Lei ha paura soltanto al pensiero che lui possa averne, nessuno in una vita intera, nessuno potrà arrivare a conoscerlo come lei lo ha conosciuto subito da subito, sentirlo come lei fa. Si piega sulle ginocchia e nello spavento si culla.

Quando vedo la folla intorno e lei al centro, porca puttana penso.

Un poliziotto chiede a tutti di stare indietro: un bambino è stato rapito. Mi faccio avanti e dico quello che devo.

“Questa favola la racconterà in commissariato,” m’interrompe l’agente appena inizio a spiegargli: ha il sospetto che io stia tentando d’intralciare o, addirittura, depistare le indagini.

“I documenti,” vuole, intanto guarda lei e ciecamente le promette giustizia.

“I documenti,” ripete mentre li sto cercando e penso che è assurdo: a un’emozione si crede, la verità ha bisogno di prove.

“Non li trova?” insinua, allora gli domando se anche a lei li ha chiesti.

“Le domande le faccio io,” mette in chiaro il poliziotto: non li ha chiesti.

Da una cartella tiro fuori i documenti, i miei e quelli di lei, l’agente li controlla con la faccia di uno che ha mischiato giorno e notte. “Prenda la signora e se ne vada,” mi avverte: che non accada più, come se lei e io avessimo scelta.

Provo ad alzarla da terra, mi scaccia, io la scacciavo quando voleva tenermi per mano. “Mi lasci”, non si muoverà da quel punto finché non ritrovano suo figlio.

Mi avvicino ancora, le parlo sottovoce, è un segreto nostro: il poliziotto mi ha detto che il bambino è in salvo, lo riporteranno direttamente a casa, dobbiamo andare a casa ad aspettarlo, altrimenti busserà alla porta e non la troverà.

“Dice davvero?”

C’è un istante, ogni volta che non mi riconosce, un tempo minuscolo e immenso in cui anche io dubito di me.

Glielo assicuro e non so se sono sincero o mento o tutt’e due, so che non ci farò mai l’abitudine, mentre lei ride ride e ringrazia il cielo. La prendo sottobraccio, gli altri ci fissano, con lentezza lei si alza e io vorrei sbrigarmi a uscire dalla vergogna. “Su, andiamo, mamma.”

Non mi sono perso e non mi hanno rapito.

Sono cresciuto e lei lo dimentica.