Un mese fa: Diwali

Un mesetto fa gli induisti hanno festeggiato Diwali e Il Post ha pubblicato un articolo interessante e non troppo lungo. Lo pubblico proponendo anche le stesse foto del giornale on-line.

Un negozio di lampade e decorazioni a Bangalore (fonte)

“Fra lunedì e martedì [20 e 21 ottobre, ndr] l’India e le comunità induiste in tutto il mondo festeggiano il Diwali, la festività delle luci, una delle celebrazioni più importanti dell’induismo che nel tempo ha assunto anche una grande dimensione economica. Ogni anno se ne parla anche perché nell’occasione vengono sparati molti (ma davvero molti) fuochi artificiali, motivo per cui le città indiane dopo il Diwali hanno livelli di inquinamento decisamente superiori al normale. Per Nuova Delhi, di per sé molto inquinata per gran parte dell’anno, è un problema particolarmente grave.
Ma il Diwali è soprattutto una festività per cui l’India e la maggioranza dei suoi 1,4 miliardi di abitanti si fermano, così come buona parte dell’Asia meridionale. A livello di impatto sociale e culturale è una sorta di Natale indiano, che mantiene anche una forte connotazione spirituale in un paese molto religioso.
Da qualche anno viene festeggiato anche in Occidente, esportato dalle molte comunità indiane all’estero (gli emigrati sono 35 milioni, solo la Cina ne ha di più). È diventato più conosciuto anche per il maggior consumo di prodotti culturali indiani sui mercati statunitensi o europei. In tre stati americani (California, Connecticut e Pennsylvania) è un giorno festivo e le scuole sono chiuse anche a New York. Nelle città britanniche dove l’immigrazione dal subcontinente indiano è maggiore le celebrazioni sono diffuse.

Luci e lumini a Ayodhya (fonte)

La parola Diwali viene dal sanscrito Dipavali e significa “fila di luci”, dall’usanza dei fedeli di accendere luci, originariamente dentro lampade di argilla (diya) fuori dalle case e dai luoghi di culto. Rappresentano la vittoria della luce sull’oscurità, della fede sul dubbio, del rinnovamento sulla conservazione, della giustizia sulla tirannia, del sapere sull’ignoranza, del bene sul male. Il concetto centrale del Diwali è questo, poi la festività assume significati religiosi diversi a seconda delle diverse zone dell’India, e coinvolge molte delle decine di divinità della religione induista.
Nel nord dell’India si celebra il ritorno vittorioso del dio Rama, dopo aver sconfitto un rivale nel sud (le luci gli mostrano la via); altrove la vittoria di Krishna sul demone Narakasura; in Bengali si celebra la dea guerriera Kali. È piuttosto diffusa la tradizione di accendere luci per permettere l’ingresso in casa della dea Lakshmi, associata alla salute, all’abbondanza e all’agricoltura, che teme le tenebre. Ma Diwali è una festa anche per i sikh (che celebrano il sesto profeta), per i giainisti e i buddisti: anche un 30 per cento dei cristiani che vivono in India e il 20 per cento dei musulmani (molto più numerosi) festeggia quella che è diventata anche una festa “non-religiosa”.
Per gli induisti le feste del Diwali durano cinque giorni, in cui quello del Diwali vero e proprio è il terzo: non c’è una data fissa, perché la ricorrenza è legata al calendario lunare. Cade con la luna “nuova”, cioè quando solo un primo spicchio è visibile, quasi sempre fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Quest’anno in alcune parti dell’India il giorno è lunedì, in altre il martedì, a seconda dell’orario in cui tramonta il sole e sorge la luna.

Un rangoli (fonte)

I giorni precedenti al Diwali si procede a grandi pulizie delle case e all’allestimento di lampade a olio, candele, festoni colorati in tessuto o altri materiali (jhalaras), decorazioni geometriche sui pavimenti e sugli usci con polveri colorate, riso, petali di fiori o gesso (rangoli).
Nei giorni di festa gli indiani si vestono con vestiti tradizionali, nuovi, appariscenti ed eleganti, spesso comprati per l’occasione. Si scambiano regali; sfoggiano gioielli, monili d’oro e d’argento nuovi, perché comprarli nel primo giorno delle festività, Dhanteras, è di buon auspicio (le quotazioni dei metalli preziosi aumentano in corrispondenza delle festività). Il tutto crea un notevole aumento di acquisti e alimenta l’economia legata alle festività.
Poi c’è il cibo, che ha un ruolo centrale: moltissimi dolci, di cui l’India ha una tradizione millenaria. La maggior parte dei dolci, chiamati mithai, è a base di zucchero, latte e latte condensato, mentre altri ingredienti comuni sono il pistacchio, il cardamomo, la noce moscata, i chiodi di garofano, il pepe nero e le noci. Ma ci sono anche gli spuntini e gli antipasti salati, i chaat, nonché tutti i piatti classici delle varie cucine indiane.
Nel giorno del Diwali poi si festeggia facendo un largo uso di fuochi d’artificio, cioè la parte più discussa delle celebrazioni.

Fuochi artificiali a Mumbai (fonte)

Varie città indiane negli ultimi anni hanno provato a vietarne l’uso, ma con scarso successo. A Delhi, dove i livelli di inquinamento sono fra i più alti al mondo e assumono l’aspetto di una pervasiva nebbia, i fuochi erano proibiti dal 2020. Quest’anno la Corte suprema indiana ha autorizzato la vendita e l’uso dei cosiddetti fuochi d’artificio ecologici (o green), che dovrebbero ridurre l’impatto inquinante di circa il 30 per cento. La decisione è stata molto contestata dalla parte della popolazione meno legata alla tradizione, perché rischia di rendere meno respirabile l’aria nei giorni e nelle settimane successive alla festa.”

Gemma n° 2754

“Ho scelto di portare come gemma questa foto del mio diciottesimo, per me una serata memorabile… con tutte le persone per me più care…
Ho avuto una serata davvero spensierata, un augurio per questo inizio di percorso da maggiorenne.
Ho deciso di mettere la foto della macedonia perché questo è stato il dessert per terminare il rinfresco, un mio desiderio che ho espressamente chiesto per dare un tocco di originalità al rinfresco.
Alla festa c’era musica, abbiamo ballato senza pensieri (come dice la canzone) tutta la sera, ero stata molto felice di avere accanto tutte le persone per me più importanti, questa serata resterà per sempre nei miei ricordi.
Insomma il diciottesimo, meritava di diventare la gemma di quest’anno✨✨🤩” (G. classe quarta).

Gemma n° 2277

“Mi piace ricollegare le gemme al periodo delle vacanze estive, dove si fanno più esperienze e dove ci si sente anche un po’ più liberi e tranquilli, almeno per me. Avrei voluto portare un sacco di racconti, foto, canzoni che mi rimandano a questa estate, una delle più belle fino ad oggi ma alla fine ho scelto una gemma che posso collegare a varie cose. Si tratta di un biglietto con il quale si può accedere ad un drink gratis. L’ho avuto quando sono andata ad uno schiuma party l’otto di agosto. Devo ammettere che è stato forse uno dei giorni più belli di tutta l’estate per vari motivi e non solo perché è stata la prima volta che i miei genitori mi hanno fatto partecipare ad una festa studentesca. Infatti, la ragione principale per cui considero questo biglietto una gemma è perché mi ricorda una serata trascorsa con la migliore amica, che non vedo da tanto perché abita in un’altra città. Sono stata felicissima di poter fare un’esperienza così con lei ma soprattutto sono stata felicissima di averla rivista dato che lei abita lontano. Spero inoltre che questa gemma mi faccia da porta fortuna aiutandomi a poter rivedere la mia migliore amica il prima possibile. Chissà magari succederà!” (A. classe terza).

Gemma n° 1946

“Ho deciso di portare il video preferito di tutta la mia galleria, è quello del mio diciottesimo compleanno. E’ stata una giornata molto bella per me e per le mie amiche: ci siamo preparate tantissimo prima ed è stato un momento molto emozionante. Lì c’erano tutte le persone più importanti per me: i miei amici, la mia famiglia, il mio fidanzato. Ogni volta che lo riguardo mi ricordo del bel momento passato insieme e anche la canzone in sottofondo è molto significativa.”

Stephen Littleworld ha scritto una cosa che commenta bene la gemma di C. (classe quinta): “Il compleanno è solo un giorno in più di tutti i giorni che verranno, ma diventa un ricordo speciale se trascorso con chi si ama. Ciò che rende speciale un compleanno non è la data in sé, ma l’amore che si è seminato negli anni, raccolto attraverso le attenzioni e sorrisi di chi ci sta accanto.”

Rewind: venerdì

Ho pubblicato l’ultimo post sul giovedì santo, poi mi sono preso qualche giorno di pausa dal blog. Ne avevo bisogno. Desidero però riprendere le riflessioni che Alessandro D’Avenia ha pubblicato su Avvenire sul venerdì e sabato santo e sulla domenica di Pasqua. Ecco il primo
E se il venerdì fosse il giorno della festa?

nozze-di-cana
Predella (verso) – Le nozze di Cana, 43,5 x 46,5 cm., Museo dell’Opera del duomo, Siena

Chi di noi nel bel mezzo di una felicità non è colto a volte da un improvviso senso di smarrimento, quando si rende conto che potrebbe sfuggirgli di mano o che inevitabilmente finirà, e vorrebbe fermare il tempo? In che cosa sperare, quando la festa finisce e rimangono solo i segni dell’abbandono alla sera di quel giorno? A che cosa possiamo noi aggrapparci perché la festa continui sempre? E non è questo quello di cui parla di più il Vangelo: feste, banchetti, inviti a nozze?
Quando Dante viene soccorso da Virgilio nella sua notte oscura, le prime luci dell’alba che danno speranza al poeta sono quelle del venerdì santo, per molti commentatori quelle del 25 marzo, festa anche dell’Annunciazione e, nella tradizione medievale, data simbolica della creazione del mondo, all’inizio della primavera “quando l’amor divino / mosse di prima quelle cose belle”. La presenza di Virgilio è frutto di una catena di misericordia che da Maria, attraverso santa Lucia, Beatrice e l’autore dell’Eneide, arriva al nostro poeta, infatti egli spiega a Dante, bloccato tra selva e fiere, che “Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo impedimento”. Maria, avendo compassione per l’uomo che non riesce a superare l’ostacolo insormontabile, interviene piegando perfino “il duro giudizio” del cielo, lei è la donna gentile che, proprio in quel 25 marzo, disse “sì” all’amore “per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore” di una primavera perenne.
Nella Commedia, e anche in quest’anno giubilare, il venerdì santo e la festa dell’Annunciazione sono intrecciati e non possiamo ignorarlo. “Donna” (da “domina”, signora) è il nome che Virgilio usa per riferirsi alla Madonna (“mea domina”), lo stesso nome che Cristo sulla Croce rivolge a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”. In quell’epiteto dall’apparente freddezza, usato nel vangelo di Giovanni, che non vuole raccontarci la semplice cronaca dei fatti, risuona lo stesso accento con cui Cristo le si rivolge alle nozze di Cana, quando Maria fa notare al figlio che in quella festa non hanno più vino: “Che ho da fare con te, o donna, non è ancora giunta la mia ora”. L’ora adesso è giunta, e Maria, onnipotenza supplicante come la chiamano i teologi, l’aveva semplicemente anticipata con il segno dei 600 litri d’acqua trasformati in vino, perché dire “non hanno più vino”, alla luce dell’ultima cena e della crocifissione, non è altro che dire: “non hanno più sangue”, non hanno più vita, solo con il dono della tua avranno una festa illimitata, nozze senza fine. Dostoevskij ha scritto il suo romanzo più grande a commento di questo passo, nei Fratelli Karamazov infatti fa dire ad uno dei suoi personaggi chiave, a commento delle nozze di Cana a cui dedica un intero capitolo: “egli converte l’acqua in vino per non interrompere la gioia degli ospiti, aspetta nuovi ospiti, ne invita continuamente di nuovi, e così nei secoli dei secoli”. Ora sulla croce è evidente che quel “non hanno più vino” sta per “non hanno più sangue”: il sangue che Cristo dà perché la festa continui, e che ha offerto nell’ultima cena proprio come memoriale perenne della sua morte e resurrezione. Sbagliano quelli che si concentrano sul sangue del sacrificio senza tenere presente il vino delle nozze, manca un pezzo, manca il pezzo più bello. Non è il sangue il fine, ma la festa. Quel sangue-vino ci raggiunge ogni giorno nell’Eucarestia, sorprendendoci, come accade al maestro di tavola delle nozze di Cana: proprio quando abbiamo esaurito le nostre scorte, arriva il vino migliore, questa è l’unica vera buona notizia. L’uomo per quanto cerchi di far festa si ritrova sempre senza scorte, ma Cristo lo rifornisce del vino-sangue che rinnova tutto e per sempre, fa nuove tutte le cose strappandole al loro esaurirsi e alla nostra stanchezza.
Maria è l’origine, il sangue di Cristo è quello che lei gli ha dato nei nove mesi di gestazione, è lei che con la sua “compassione” si rende conto, per prima, che siamo rimasti senza più nulla, che non c’è più modo di festeggiare e in qualche maniera “costringe” il Figlio a darsi: “Fate quello che egli vi dirà”. Cristo sulla Croce riprende quel momento e lo compie, adesso la sua ora è piena, e chiede a sua madre di continuare a custodirci come aveva fatto a Cana: il discepolo diventa figlio e lei madre. Il testamento di Gesù sulla Croce non è un messaggio astratto, ma è la “Donna” della festa, la Donna gentile, il cui fiat rende il mondo una primavera perenne, una festa continua. Il testo dice che da quel giorno Giovanni, autore di quel Vangelo intessuto – a saper ascoltare – di dialoghi intimi con Maria, “prese Maria con sé”, anzi le parole affermano con più forza “la prese tra le sue cose”. Solo se tra le nostre cose più intime, proprio dove il nostro umano si esaurisce, la nostra capacità di far festa viene meno, il nostro vino scarseggia, accogliamo la Donna gentile, non ci mancherà mai il vino per la festa, perché noi da soli proprio non riusciamo a far festa: le nostre feste finiscono tutte.
Solo se riceviamo il testamento di Cristo, Maria, verremo resi discepoli, e la sera del dì di festa non solo sarà ancora festa ma lo sarà di più, e inoltre la nostra povera acqua sarà vino per chiunque ci passerà a fianco. Questo venerdì, ci dice Cristo, è il giorno della Donna, della mia Donna, che adesso è tua.”

Gemme n° 60

“Preferisco mostrare prima il video e poi commentarlo” ha detto V. (classe quinta).

La questione expò non è importante per quello che voglio dire. Semplicemente mi sono immedesimata nel video: rispecchia la mia visione attuale del cibo, dopo un problema che mi ha fatto detestare il cibo. All’inizio, per me, il cibo era solo un mezzo di sostentamento, poi però è diventato problema che mi impediva di fare feste e stare con gli amici. Nel video si dice esattamente il contrario: il cibo è festa, condivisione, vita! E’ così che lo percepisco oggi!”
Mi sono venute in mente le parole di Tiziano Ferro nella canzone “Mai nata”:
In quel frigo…si freddano le lacrime, in dispensa…rinchiudi le tue ansie e poi, sotto il letto…nascondi la tua polvere, poi non dormi…ti chiudi e rifletti. E’ la vita che unita al dolore si ciba di te e della tua strada sbagliata; e continui a pensare, placando il tormento, che bello se non fossi mai nata.
Salpa salpa salpa, il raziocinio toglie l’ancora. Da una cerebrale come te nessuno se lo aspetta, parli parli parli, sei un vulcano inarrestabile, treno più che rapido, efficiente poco timida.
Ma ti hanno detto mai che devi amarti un po’, puoi rallentare e poi pensare un po’ più a te. Che sicurezza mostri se i casini sai risolvere ma i problemi tuoi non li affronti proprio mai.”
Nelle ultime parole la luce alla fine del tunnel: “E la smetti? Rilassati! Forza reagisci sei te che condizioni la tua strada. E, su, prova a pensare che bello sarebbe se invece amassi di più la tua vita”.