Gemma n° 2261

“1° Settembre, 2022
h. 22.30
Quando manca una persona a noi cara cerchiamo immediatamente di raccogliere ogni cosa possa rammentarcela. Una frase, un oggetto, un ricordo qualunque, come se avessimo paura che con la morte fisica, quella persona non esistesse più, si cancellasse dalla nostra mente.
La verità è che, nonostante i ricordi sbiadiscano, l’essenza dell’anima è immortale. Quella persona vive in noi, è nei nostri modi di dire, nelle nostre azioni quotidiane, è legata a noi per sempre in una maniera che non potremo percepire finché non la riabbracceremo.
Le anime si ritrovano sempre.”
(B. classe quinta).

Gemma n° 2207

“Ho scelto di portare una fotografia di anni fa nella quale ci sono mia mamma, mio fratello ed io nel pancione. La mia famiglia sarà sempre preziosa come una gemma. Ci tengo molto a questo ricordo speciale seppur io non fossi ancora nata, credo anche che saremo per sempre uniti e che continueremo a volerci bene come dal primo momento” (A. classe terza).

Gemma n° 2154

Fine Line

Amore.

Odio.

Entrambi sono il potere più forte esistente, ma c’è una leggera differenza tra queste due parole.
“L’amore” rappresenta un forte legame che continua a vivere dentro di te, che fa riscaldare il tuo cuore e che ti rende felice.
“L’odio” rappresenta un forte legame che continua a vivere dentro di te, che fa riscaldare il tuo cuore e che ti rende triste.
“Felice” e “triste” sono l’unica differenza tra questi due legami.

Amore e Odio.

Odio e Amore.

Queste due parole sono ancora più simili.
“Amore e Odio” rappresenta una connessione tra “Amore” e “Odio”, dove “Amore” è il primo che si manifesta, seguito da “Odio”.
“Odio e Amore” rappresenta una connessione tra “Odio” e “Amore”, dove “Odio” è il primo che si manifesta, seguito da “Amore”.
L’ordine di “Amore” e “Odio” è l’unica differenza tra queste due connessioni.

Odio nell’Amore.

Amore nell’Odio.

Queste due emozioni, invece, sono molto più diverse tra loro.
“Odio nell’Amore” significa amare qualcuno e permettere a te stesso di odiarlo a volte. Non è sbagliato. Non è qualcosa di cattivo. È normale. È normale lasciare spazio all’odio per l’amore. L’amore è la sensazione principale, quindi non scomparirà e l’odio non la supererà mai completamente.
“Amore nell’Odio” significa odiare qualcuno e a volte lasciarsi amare. È qualcosa che di solito accade inaspettatamente e che non può essere prevenuto in alcun modo. Potrai continuare a pensare di odiare quella persona, ma il tuo cuore si sta riempiendo di amore verso di loro. E non puoi farci niente. Tutto l’odio che senti si trasformerà progressivamente in amore.

C’è una leggera differenza tra i due legami.
C’è una piccola differenza tra le due connessioni.
C’è un significato completamente diverso tra le due emozioni.

C’è una linea molto sottile tra “Amore” e “Odio”.
E ci sono volte in cui questa linea sottile è più presente.

Una linea sottile che rappresenta l’intera relazione. A volte li odi, a volte li ami, può iniziare con amore e odio e poi trasformarsi in odio e amore. E, infine, senti l’amore nell’odio e l’odio nell’amore.
L’odio nell’amore è ciò che meglio definisce l’amore dal mio punto di vista: le cose possono andare male e potrei doverti odiare per un po’, ma dentro di me so che è amore e che non posso cambiarlo.

Siamo una linea molto sottile.

Gemma n° 2077

“Ho deciso di portare come gemma lui. Lui è il mio “secondo” papà, quello che fino al suo arrivo non ho mai avuto. Si chiama F. e per molti anni si è preso cura di me, insieme a mia mamma. F. non è il mio vero papà, ma è come se lo fosse. Mi ha cresciuta, mi ha insegnato ad affrontare la vita, si è preso cura di me, quando stavo male c’è sempre stato e quando mi vede giù è il primo a chiedermi cosa succede. Io sono convinta che il papà è colui che ti cresce e che fa quel ruolo, prendendosi cura di te, non abbandonandoti. Franco per me è il mio migliore amico, abbiamo un rapporto speciale ed è la persona a cui sono più legata, gli voglio tanto bene ed è uno dei pochi con cui mi sento davvero me stessa” (L. classe seconda).

Gemma n° 1974

“La canzone You’ve got the love è la mia gemma. Mi ricorda un giorno specifico dell’estate, quando una mia amica ed io siamo andate a fare un picnic. Ci siamo messe a disegnare: nessuna delle due sapeva farlo, ma ci abbiamo provato. Ci scambiavamo i disegni ogni tot minuti e li continuavamo in modo alternato. Poi ognuna se ne è tenuto uno. Intanto ascoltavamo musica e cantavamo a squarciagola questa in particolare. Tutto questo mi dava delle vibes molto positive e ogni volta che l’ascolto mi viene in mente quel giorno”.

Un verso della canzone dei Florence and the machine proposta da A. (classe seconda) dice “Ma tu possiedi l’amore di cui ho bisogno per essere completa”. Mi ha fatto pensare a quanto raccontato in classe da A., a quello che stavano facendo lei e la sua amica. Se i due disegni li avessero fatti separatamente, ognuna il suo, sarebbero stati diversi e forse, chissà, li avrebbero buttati o dimenticati. Ciò che invece li ha resi speciali è l’averli creati insieme e aver avuto un ruolo l’una nella costruzione del disegno dell’altra. Penso che sia quello che succeda nelle nostre vite con l’amore e con l’amicizia.

Gemme n° 102

mani tanteNon pubblicherò la gemma portata da F. (classe quarta) in quanto si tratta di un video privato: “E’ un filmato di 7 minuti fatto con mia sorella per il compleanno di un’altra sorella. Abbiamo rappresentato i momenti più importanti della sua vita utilizzando come interpreti i bambini, figli e nipoti. E’ stata dura perché i bimbi erano scatenati. Ho portato questo video perché è fatto con mia sorella e ci sono i bambini, una delle cose più belle. Ritrae momenti importanti della famiglia, fondamentale per me”. Erma Bombeck afferma: “La famiglia. Eravamo uno strano piccolo gruppo di personaggi che si facevano strada nella vita condividendo malattie e dentifrici, bramando gli uni i dolci degli altri, nascondendo gli shampoo e i bagnoschiuma, prestandoci denaro, mandandoci a vicenda fuori delle nostre camere, infliggendoci dolore e baci nello stesso istante, amando, ridendo, difendendoci e cercando di capire il filo comune che ci legava.”

L’amore sincero

Un bell’articolo di Alessandro D’Avenia pubblicato su La Stampa e sul suo blog. Tratta di un argomento di cui parliamo in prima, ma che forse riprenderò anche in altre classi.

“Conosco quel quartiere e quella via. Conosco la scuola di Carmela, uno dei licei classici amore, femminicidio, Girard, legami, morte, Palermo, potere, relazioni, violenza, vittimamigliori di Palermo, nel quale l’anno scorso ho incontrato gli studenti e chissà che non ci fosse anche lei, Carmela, con quel suo viso pulito, sereno, pieno di sogni, dilaniati e dissanguati dal fendente di chi, per spiegare l’accaduto, dice: «Ho perso la testa». Non avevo dubbi. Ma il punto è che quella testa non c’è mai stata. Non è stata persa. Piuttosto nessuno ti ha aiutato a entrarci dentro.

La violenza è dentro ciascuno di noi e in questo non siamo diversi da Samuele. Tutto le volte che l’uomo non accetta di averla in se stesso, la esteriorizza, la proietta sugli altri. Così è sempre stato e sarà, da Caino e Abele a Samuele e Carmela. Come spiega il grande antropologo René Girard, la violenza e il capro espiatorio (la sua vittima) sono un meccanismo da cui l’uomo non può liberarsi da solo e, infatti, proprio per salvarsi dall’autodistruzione costruisce attorno alla violenza le regole del sacro (i comandamenti) e del profano (le leggi), per arginarne (non risolverne) il deflagrare. La vittima perfetta, oggi più che mai, è la donna, innalzata da photoshop a icona di perfezione irraggiungibile e quindi a oggetto da dominare. Nella storia, per tentare di liberarsi dalla violenza che ha dentro, l’uomo ha sempre cercato di distruggere il nemico inventato all’occorrenza come bersaglio, quando invece di proiettarla fuori, questa violenza dovrebbe riconoscerla dentro se stesso e guardarla con coraggio, per poterla sgretolare da dentro, grazie a quella pietas (il riconoscimento della dignità altrui e propria), sempre più debole nella nostra cultura.

Come recuperare la pietas, l’empatia per l’altro?

Purtroppo l’incapacità di dare senso alla propria vita porta inevitabilmente a cercarne la soluzione nel consenso. Il consenso dello sguardo altrui. L’altro viene investito di una carica di assoluto che si spera possa redimere e salvare la propria mancanza di identità: dal grande fratello con il suo occhio senza pietà, alle relazioni (di lavoro, d’amore…) senza pietà. Perdere il consenso dell’altro, significa perdere in qualche modo se stessi. Senza l’altro non si è più nessuno. Questo porta all’ossessione in cui lo stesso Samuele è precipitato, con sms e minacce, precedenti al suo raptus. La sorella di Carmela, Lucia, sua ex-ragazza per lui aveva una colpa senza remissione possibile: essersi portato via Samuele, non solo se stessa, interrompendo la loro relazione. Samuele, forse, si sentiva qualcuno solo grazie o a spese di quella ragazza, non voleva tornare nel nulla di prima. La beffa blasfema dell’amore, come l’ha definito perfettamente ieri su queste colonne Mariella Gramaglia, è il potere, il controllo, il dominio. L’amore dice «per me è bello che tu esista» e accetta anche di non essere ricambiato, magari. Il potere invece dice «è bello che tu esista solo per me» e con tutti i mezzi è pronto a nutrirsi dell’altro, pur di sopravvivere, senza alcuna pietà.

Ma perché arrivare alla follia della distruzione dell’oggetto amato o dell’autodistruzione di sé? Sono storie che assomigliano alle mantidi che decapitano il partner dopo l’accoppiamento o alle falene che trovano la morte nella luce che le attira. Non siamo falene né mantidi, abbiamo l’anima, ma assomigliamo a mantidi e falene quando l’anima si svuota. Dove manca il senso da dare alla propria vita, si pretende che siano le cose e le persone a determinarlo, dall’esterno, generando dipendenze e schiavitù di ogni tipo, che spesso culminano in un’overdose che distrugge o chi dipende o ciò da cui si dipende, o entrambi. È la ferrea e drammatica logica degli amori che non liberano.

Samuele ha rovinato la vita di due famiglie e la sua. Il bilancio finale non sembra razionalizzabile, ma io testardamente ho bisogno di provare a trovarne uno, per arginare il dolore della morte di una ragazza che poteva essere una mia alunna, per non ripetere gli stessi errori. Chiunque, se è stato scaricato, vorrebbe costringere l’altro a tornare (e magari userebbe la violenza fisica o psicologica, tanto fa male, se non si vergognasse di averlo anche solo pensato): il «funerale» di una storia d’amore viene rimandato tanto più quanto più quella storia d’amore dava senso ad un’esistenza personale priva di autonomia ed equilibrio. Dico sempre ai miei studenti di «mettersi» con se stessi, prima che con un ragazzo o una ragazza, altrimenti useranno l’altro per riempire i propri buchi e non per amarlo. Sono storie d’amore con il conto alla rovescia e spesso ad esserne vittime sono proprio le ragazze (più raramente i ragazzi), disposte a passare sopra uno strattone, uno schiaffo, una minaccia, pur di non perdere quell’amore che le protegge dalle loro debolezze, con le quali invece imparare a convivere anche da sole. È una dinamica interna all’amore, quella di poter regredire a «potere», e da questa possibilità non ci libereremo mai, se non cresciamo in autonomia e in cultura. E non è facile per nessuno, a partire da chi scrive.

Vorrei dire, soprattutto ai ragazzi che leggono queste righe, che un solo episodio di violenza in una relazione è un avvertimento: peggiorerà. L’unica cosa da fare è trovare il coraggio per troncarla, subito. L’altro non sarà salvato, cambiato, dall’amore: è quasi sempre un’illusione. Chi ha compiuto una violenza una volta, lo farà di nuovo. Ho ricevuto il racconto di una ragazza che, dopo aver rischiato di morire per le percosse ricevute dal suo ragazzo, ha accettato la proposta di lui: sparisco dalla tua vita se non mi denunci. Lei per paura di subire altro male, ha detto di sì. Quel ragazzo ora è la fuori a ripetere il giochetto con la prossima vittima. Samuele è un ragazzo come tanti. Per lo più un sacco vuoto, muscoli da mostrare su Facebook e poca anima, un vuoto riempito momentaneamente da una ragazza più piccola e matura di lui, che magari sperava di cambiarlo. Ma poi lo aveva lasciato.

Il nichilismo affama le vite di un senso impossibile da trovare, e le nutre di risentimento, da scatenare contro la vittima più debole. E in una cultura maschilista ed erotizzata come la nostra, la donna è la vittima sacrificale perfetta, per redimersi dal vuoto in cui galleggiamo. Forse possiamo stupirci se a Mr. Grey, il personaggio più amato nelle classifiche librarie nostrane, sia possibile dire tra gli applausi: «Devi sapere che appena varchi la mia soglia per essere la mia Sottomessa, io farò di te quello che voglio. Devi accettarlo e desiderarlo… Ti punirò quando mi ostacolerai. Ti addestrerò a compiacermi»?”

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