“Come gemma, ho deciso di portare un’esperienza indimenticabile che ho vissuto quest’estate: il concerto di Billie Eilish. Insieme ad altri due miei cari amici, l’8 giugno di quest’anno sono andata a Bologna, al mio primissimo concerto. Da quando ho iniziato ad ascoltare quest’artista, ho sempre giurato a me stessa che il mio primo concerto sarebbe stato suo, e così è stato. Per quanto molti la possano considerare una cantante come altre, io la considero come un vero e proprio posto sicuro; la sua musica mi accompagna da molti anni, e mi ha sempre aiutato e consolato nei momenti difficili. Sono molto grata di aver avuto la possibilità di sentirla dal vivo, con persone che condividono la mia medesima passione. Porterò quel giorno per sempre nel cuore!” (B. classe quinta).
“Quest’anno ho deciso di portare qualcosa che sento davvero mio: un duo musicale, gli Psicologi. Questa foto è di qualche mese fa, quando sono andata al loro concerto. Per me è stato un momento davvero speciale, perché finalmente ho potuto vederli dal vivo e ascoltarli davvero, non solo dalle cuffiette. La cosa più bella è che, nonostante fossi in mezzo a tantissime persone, sembrava che ci fossimo solo io e loro. Era la stessa sensazione che provavo anni fa, quando li ascoltavo da sola in camera mia. Non credo di essermi mai sentita così al sicuro: ero circondata da persone che, anche se per motivi diversi, provavano la mia stessa passione e lo stesso amore per ciò che stavamo ascoltando. Il vero motivo per cui sono così importanti per me è perché sono gli unici artisti che ascolto ancora dalle medie, quindi da più di cinque anni. Per me non è una cosa da niente, perché in tutto questo tempo sono cambiata un sacco: ho cambiato gusti musicali, modo di vestire, di truccarmi, persino come porto i capelli… e soprattutto sono cambiata io. Eppure loro sono rimasti lì, e la loro musica continua a rappresentarmi, forse anche più di prima. È un po’ come se fossero cresciuti con me. Sono quelli che ascolto quando ho bisogno di stare un po’ per conto mio o quando devo sfogarmi. E spero che continuerà a essere così ancora per molto” (B. classe quarta).
Ma perché le gemme? Spesso mi succede di imbattermi in esperienze o in testi che danno una risposta a questa domanda. E’ capitato con l’Ultimo banco 263 pubblicato sul Corriere da Alessandro D’Avenia e poi pubblicato sul suo blog.
“L’infelicità è carenza di sorprese. La vita ne è piena ma siamo noi a dormire: l’educazione in fondo è allenamento a star svegli e pronti a riceverle. Per questo al mattino cerco di inventare un appello diverso per «ri-svegliare» corpo e anima dei ragazzi. Qualche giorno fa ho fatto ascoltare il primo movimento del concerto per violino n.1 di Vivaldi: La primavera. Il famosissimo Allegro, forse il brano più noto al mondo, dura 3 minuti e 20, come la Donna cannone. I ragazzi l’hanno subito riconosciuto anche se magari non ricordavano nome e autore. Su una cosa però concordavano tutti: li aveva messi di buon umore in soli tre minuti.
Come ci era riuscito? Sorprendendoli. La sorpresa è infatti il primo gradino della felicità, purché per sorpresa non s’intenda la sua riduzione odierna: il bisogno continuo di choc dopaminergici da post e video per dimenticare quanto siamo insoddisfatti della vita, «sorprese» che invece di renderci vivi ci addormentano, perché sono dipendenze. Le vere sorprese (dal latino super prendere: afferrare dall’alto, esser «elevati», «sollevati») donano invece una leggerezza che non è fuga ma pieno possesso della vita, liberano perché «sorprendersi» è fare esperienza della gratuità, cioè sentire che la vita è data, gratis, anche nel ripetersi. Un arcobaleno è sempre sorprendente, così come l’Allegro della Primavera di Vivaldi. Come fare allora a essere ordinariamente aperti all’effetto sorpresa della realtà senza il quale esser felici è impossibile? Quest’anno quel concerto di Vivaldi compie 300 anni. Era il 1725 quando ad Amsterdam furono pubblicati gli spartiti del «Cimento dell’armonia e dell’invenzione», 12 concerti (in origine una forma musicale in tre tempi in cui il solista dialoga-contende, con-certa, con gli altri strumenti) per violino solista e archi, di cui i primi quattro sono le celeberrime Stagioni. Allora non essendoci supporti di registrazione, la musica rimaneva solo quando veniva pubblicata e accadeva solo ai più grandi. Eppure la prima esecuzione era avvenuta qualche anno prima a Venezia, in un orfanotrofio, «sorprendendo» tutti. Infatti Vivaldi, sacerdote cattolico, insegnava violino alle giovani accolte in una delle istituzioni di carità per orfani e poveri della città: l’Ospedale della Pietà, specifico per le ragazze, altrimenti destinate alla strada. In questo contesto venivano educate nel canto e nello strumento (perché nelle nostre scuole quest’arte indispensabile all’educazione è ridotta al flauto o alla melodica delle medie?), raggiungendo esiti passati alla storia (ascoltate lo Stabat Mater o il Gloria di Vivaldi). Vivaldi, detto «il prete rosso», per i capelli o per l’abito indossato da lui e dalle musiciste, dirigeva le ragazze celate da grate lignee al pubblico proveniente da tutta Europa (ne parlano anche Goethe e Rousseau) per ascoltarne l’incanto. Nelle Stagioni in particolare il musicista si era divertito a imitare i suoni naturali: uccelli, tuoni, cani, foglie, venti gelidi… tanto da stupire tutti per genialità compositiva, esecutiva e sociale, un fenomeno unico in un’epoca in cui alle donne era vietato suonare in chiese e teatri. I miei studenti, benché fossero le 8 del mattino, erano anche loro «sorpresi», cioè elevati a un livello di vita gioioso e sollevati dalle zavorre del XXI secolo: facevano esperienza del «gratuito». Il contrario di questa esperienza è infatti il «dare per scontato», espressione nata per indicare qualcosa di acquisito (nel senso di acquistato) perché pagato subito a fronte di uno sconto: saldato vs regalato. Solo l’esperienza della vita data «gratis» e non «per scontata» (che infatti è diventato sinonimo di: «non mi sorprende più») provoca risveglio e unione, i due elementi della gratitudine, senza la quale non è possibile esser felici. Il giorno in cui si dà qualcosa o qualcuno per scontato finisce la gioia, perché la felicità è tanta quanta lo stupore: la sorpresa di un volto o un oggetto si spengono. Allora non è la felicità a renderci grati, ma è la gratitudine a renderci felici. Ci sono persone che, pur avendo tutto, non sono felici, e persone che, avendo poco, lo sono. Come mai? La differenza sta nella pratica (è un’azione) della gratitudine, che rende capaci di ricevere l’istante come un dono, cosa che purtroppo spesso ci riesce solo quando perdiamo qualcosa o qualcuno (chi ha sofferto per amore o per un lutto lo sa). Questo significa che la capacità di sorprendersi è in noi: è interiore e va allenata. Infatti tradizioni spirituali e filosofiche millenarie e molto diverse tra loro invitano a svegliarsi e vegliare, e non perché ci vogliano insonni e ansiosi come accade oggi salvo poi invocare un po’ di mindfulness a buon mercato, ma perché ci vogliono grati, cioè felici. Il cristianesimo dovrebbe produrre un’etica della gioia (la parabola delle vergini addormentate che devono partecipare alla festa lo racconta bene), perché tutto è grazia per chi ha fiducia (fede) nella vita che è infatti «eucarestia» (in greco «ringraziamento»), rito nel quale la vita stessa di Dio è data gratis, risolto spesso in una pratica da sbrigare. Ma torniamo alle sorprese: possono riguardare anche cose brutte o consuete, perché ciò che conta è che stanno capitando a noi che siamo liberi, cioè capaci di decidere che cosa farci. Il problema non è il cosa accade ma il che cosa ci faccio. Ad esempio: che cosa ci fa un geniale musicista con delle ragazze abbandonate? Le fa diventare una Primavera immortale: Anna Maria della Pietà – violinista, clavicembalista e compositrice – fu la solista più celebrata dell’Ospedale della Pietà, a lei Vivaldi dedicò 28 concerti per violino, molti venivano a Venezia solo per ascoltarla (dopo la morte del maestro, fu lei a dirigere); Chiara della Pietà, detta «la meraviglia di Venezia» per la versatilità, suonava tutti gli strumenti a corda e a fiato; per Candida della Pietà, nota per purezza ed estensione di voce, Vivaldi scrisse arie con l’indicazione specifica «per Candida»; Apollonia della Pietà, per lei il maestro compose i suoi concerti per fagotto, strumento raro all’epoca ma che lei maneggiava come nessuno; di Barbara e Pellegrina della Pietà, cantanti soliste, le cronache riferiscono che «i forestieri, udendo le loro voci, giuravano di trovarsi in paradiso». Per queste ragazze senza cognome se non l’appellativo «della Pietà» la musica fu salvezza e riscatto. Chi le aveva ascoltate senza vederle dietro le paratie di legno, quando poi le incontrava di persona si stupiva di trovarsi davanti popolane non troppo aggraziate e dai modi semplici. Una vera «sorpresa». La tomba della felicità è il «dato per scontato» o «dato per scartato». Chi dà per «scontato» o «scartato» non riceve, chi non riceve non è grato, chi non è grato non è felice. E la scuola è proprio il luogo in cui si impara a essere sempre aperti alla vita, dove ci si allena quindi a essere, in sequenza: svegli, sorpresi, grati, felici, vivi. A cominciare dall’appello o da un po’ di buona musica. Magari un Allegro di Vivaldi.”
Qualche giorno fa, subito dopo essersi svegliato dal pisolino pomeridiano, Fra ha iniziato a ridere. “Perché ridi?” gli ho chiesto. E’ vero che non ha neanche due anni, ma riesce a farsi capire bene. Solo che ha continuato a ridere. E più ripetevo la domanda, più continuava a ridere. Ridevo con lui, perché in quella risata era di una bellezza indefinibile. Siamo andati avanti una decina di minuti. Una scena che mi è tornata alla mente alla fine del terzo articolo di Gabriella Greison per la rubrica Interferenze di Avvenire (mi sa che li proporrò tutti, li trovo estremamente interessanti e fecondi).
“Oggi vi parlo di Werner Heisenberg, uno dei creatori della fisica quantistica. Werner Heisenberg non aveva bisogno di dogmi, ma di armonie. Non entrava nei templi, ma saliva sulle montagne della Baviera, violino sotto braccio, per contemplare l’alba come fosse un’equazione che si lascia intuire solo per pochi istanti, e poi svanisce. La sua preghiera era fatta di musica e matematica, di silenzi e formule, di ipotesi scritte di notte e cancellate al mattino. Il suo altare non aveva icone, ma lavagne piene di simboli che solo pochi al mondo potevano comprendere, e che lui difendeva come un linguaggio sacro. La sua vita è la prova che si può credere senza possedere, che ci si può dedicare a qualcosa di invisibile senza mai vederlo direttamente. Perché questo fa un fisico: dedica la vita a entità che non compariranno mai a occhio nudo, ma che sente presenti come presenze concrete, reali, più solide del legno dei banchi su cui scrive. La scienza, per lui, era una forma di contemplazione, non un’appropriazione. Guardava il mondo non per domarlo, ma per comprenderne la musica segreta. Quando Heisenberg formulò il principio di indeterminazione, disse al mondo una cosa che nessuno voleva sentire: che non possiamo conoscere tutto, che non esiste la certezza assoluta. Possiamo dire dove sta una particella, oppure quanto corre, ma non entrambe le cose insieme. Non è un limite dei nostri strumenti, ma un limite della realtà stessa. Era come dichiarare che il cuore dell’universo è velato, che esiste una soglia che la mente umana non può oltrepassare. E questo, se ci pensate, ha la stessa radicalità di un annuncio religioso: non tutto ci è dato. Il mistero non è un incidente, è una struttura. Non siamo noi a decidere dove finisce la conoscenza: è la realtà stessa che ci pone un confine, e ci chiede rispetto. Non era un mistico convenzionale, Heisenberg. Non lo trovavi inginocchiato davanti a un altare, ma potevi trovarlo in silenzio davanti a un tramonto, o al banco di un laboratorio, a osservare un esperimento che sembrava non obbedire a nessuna regola. C’era qualcosa di profondamente spirituale nel suo modo di guardare al cosmo. Credeva che l’universo fosse costruito su una bellezza matematica, e che quella bellezza non fosse un dettaglio estetico, ma una firma. Come se ogni legge fosse una frase di un poema invisibile, scritto da una mano che non smette mai di scrivere. E quando quella mano tace, resta l’eco. L’eco di un ordine che non riusciamo a spiegare, ma che riconosciamo come familiare. C’è una sua immagine che resta scolpita: il bicchiere delle scienze naturali. Disse: “Il primo sorso ci rende atei, ma sul fondo del bicchiere ci aspetta Dio.” È la sua maniera di dirci che la scienza ci disillude, ci toglie certezze facili, ci fa scendere dal trono dell’onniscienza… ma se abbiamo il coraggio di bere fino in fondo, quello che troviamo non è il nulla: è un fondamento che ci supera. Non un Dio dei dogmi, ma un Dio delle profondità, delle domande, dell’incompletezza. La scienza, per lui, era il viaggio dell’uomo che non smette di interrogarsi, e Dio era il nome che dava al mistero che resta, anche dopo aver spiegato tutto il resto. Heisenberg aveva due passioni parallele: la fisica e la musica. Passava ore al pianoforte, convinto che Bach e Mozart stessero dicendo con le note ciò che la fisica dice con gli integrali: che l’universo non è un ammasso caotico, ma un ordine segreto, una trama nascosta che ci avvolge. La musica era per lui una sorella della scienza: entrambe gli restituivano l’intuizione che il mondo non è mai muto, ma vibra di senso. Suonava e scriveva come chi cerca lo stesso accordo in linguaggi diversi. Diceva che un’equazione è come una fuga di Bach: inizia con un tema, poi si ripete, si intreccia, si trasforma, fino a ritrovare se stessa. Era il suo modo di dire che la verità, prima di essere capita, va ascoltata. Ma la vita di Heisenberg non fu solo contemplazione. Venne attraversata da dilemmi morali che lo marchiarono per sempre: lavorare o no sul progetto atomico durante la guerra, scendere a compromessi con un regime che pretendeva obbedienza, salvare la scienza tedesca senza macchiarsi di sangue. Era un uomo diviso, e sapeva che nessuna formula avrebbe potuto cancellare quella divisione. Quando fu interrogato dagli alleati dopo la guerra, rispose con un’idea che ancora oggi fa discutere: che la conoscenza non è mai neutrale, ma porta con sé una responsabilità. La sua spiritualità non era evasione, ma coscienza vigile: la consapevolezza che ogni scelta scientifica è anche una scelta etica. Heisenberg ci ha insegnato che il mistero non è quello che resta quando la scienza fallisce, ma quello che incontriamo anche quando la scienza riesce. Ogni volta che una teoria funziona, ogni volta che una previsione coincide con un esperimento, lì non troviamo la fine del mistero, ma un nuovo inizio. Ogni conquista della conoscenza apre un’altra finestra sull’infinito, e ogni risposta genera nuove domande. È come una montagna: sali, credendo di arrivare in vetta, e scopri che dietro c’è un’altra vetta, più alta e più luminosa. La conoscenza autentica non elimina la sete, anzi la accresce. Forse la sua eredità più grande non è il principio di indeterminazione, né il Nobel che lo consacrò giovanissimo. Forse tra i suoi meriti c’è quello di averci ricordato che la conoscenza non è possesso, ma umiltà. Che non si arriva mai, ma si cammina. Che la scienza e la spiritualità non sono due opposti, ma due sguardi diversi sullo stesso orizzonte. Heisenberg è la prova che si può essere razionali e mistici, rigorosi e sognatori, precisi e pieni di stupore. E allora la sua frase sul bicchiere non è solo un gioco di spirito. È un invito: a bere fino in fondo, a non fermarsi al primo sorso di scienza, a non accontentarsi delle semplificazioni. Perché in fondo a quel bicchiere non c’è la fine del pensiero, ma il suo inizio più radicale. Bere fino in fondo, in fondo, vuol dire accettare di non sapere tutto, ma continuare a voler capire. Domanda per voi, per tutti noi: se la realtà, come ci ha insegnato Heisenberg, non si lascia mai catturare del tutto, se c’è sempre un margine di indeterminazione, siete disposti a vivere accanto a quel margine? A convivere con un mondo che non si lascia possedere ma solo contemplare? Forse la vera spiritualità, e la vera scienza, cominciano proprio lì: nel coraggio di abitare l’incertezza senza smettere di cercare. E magari, se ogni tanto l’universo ci sembra incomprensibile, ricordiamoci che anche lui, laggiù tra le montagne bavaresi, davanti a un’alba che cambiava colore ogni minuto, sorrideva. Sapendo che la bellezza più grande è quella che non si lascia definire.”
“Era il 2017… mese e giorno non ricordo, però ricordo che eravamo io e mia sorella in cucina a scegliere un programma su Netflix da guardare in famiglia mentre la mamma cucinava e mio padre apparecchiava la tavola. Sicuramente come al solito sarò stata in disaccordo su cosa guardare, infatti sin da piccola è difficile accontentarmi… è uno dei miei più grandi difetti e purtroppo ci sto ancora lavorando. Sulla home scorrevano titoli su titoli ed era incredibile come niente ci ispirasse. Stavamo per mollare ma all’improvviso abbiamo trovato una serie di 6 stagioni del 2009 di nome Glee che parlava di un gruppo di canto (o glee club) ritenuto da tutti gli studenti del liceo McKinley (dove è ambientata la storia) un luogo per disagiati. Sarà William Schuester, uno dei protagonisti e professori, a reclutare vari studenti con un incredibile talento canoro e con dell’incredibile potenziale e a fare del Glee club un’eccellenza canora portando i ragazzi a superare numerose difficoltà e portando l’immagine della scuola e del club a poco a poco a livelli nazionali. Negli episodi della serie, essendo in una scuola superiore, oltre a canzoni ci saranno anche drammi amorosi, scolastici e personali molto coinvolgenti. Quello che mi piace di questa serie è che, nonostante sia girata nel 2009, tratta molti temi ancora oggi attuali, soprattutto tra i giovani adolescenti: bullismo, maternità precoce, sessualità, razzismo, individualismo, fare la differenza, fare squadra e altri… Quello che mi ha dato questa serie è stato un sogno e una passione per il mondo dello spettacolo, una cultura musicale in quanto mi ha fatto conoscere parecchie canzoni anche datate e ha anche costruito un grande tratto della mia personalità. In conclusione, vorrei consigliarvela perché secondo me questa serie apre una porta… e quindi offre un aiuto non solo psicologico ma anche emotivo”. (E. classe terza).
“Quest’anno come gemma ho deciso di portare la musica. La musica è sempre stata una parte molto importante della mia vita, ma soprattutto da due anni a questa parte è diventata del tutto indispensabile. Io sono cresciuta in una famiglia in cui fin da piccola mi hanno esposto a qualunque tipo musica: non c’era un giorno in cui mio nonno non ascoltasse l’orchestra della Rai alla televisione, e mio padre mi faceva ascoltare più generi di musica possibile, insegnandomi anche a suonare il pianoforte. Da piccola non mi piaceva abbastanza e quindi ho suonato per cinque anni, per poi smettere per un po’. In quella pausa relativamente breve ho capito quanto effettivamente fosse importante per me. Ogni volta che sentivo suonare mi si creava un vuoto dentro, come se mi mancasse qualcosa di veramente importante, e così ho ripreso. Adesso per certi versi rimpiango quel periodo, perché se non avessi smesso di suonare per quell’anno e mezzo/due adesso sarei di sicuro più brava. Però mi sono anche accorta che se non avessi smesso adesso non sarei così attaccata dalla musica: infatti da sei anni suono più o meno tutti i giorni, e anche se non ho tempo trovo sempre dieci minuti anche solo per ripassare il brano che mi piace di più. Negli ultimi due anni ho effettivamente notato quanto la musica mi faccia stare bene. E’ come un cerotto che ripara i buchi dell’anima e pian piano li fa riassorbire. Inoltre la musica è un modo per unire le persone. C’è stato infatti un periodo in cui io e mio padre non andavamo molto d’accordo, ma grazie alla musica ci siamo ritrovati. La musica è infinite cose per me, ottantotto tasti che racchiudono l’universo e la felicità” (G. classe quarta).
“Come gemma di quest’anno, ho deciso di portare il primo concerto della mia vita, un’esperienza che non dimenticherò mai. Ho scelto di assistere al live dei Cigarettes After Sex a Milano, senza sapere che quella serata avrebbe lasciato un segno così profondo dentro di me. Non avevo mai capito davvero la magia dei concerti, fino a quando non mi sono ritrovata in uno stadio gremito di persone, tutte pronte a cantare all’unisono le stesse canzoni, a condividere emozioni pure e intense. È stato un momento unico, quasi surreale, che ho avuto la fortuna di vivere accanto a una delle mie migliori amiche, S. Lei è una persona speciale, una di quelle che restano, che ti accompagnano nelle follie e nei momenti difficili, che c’è sempre, anche quando non serve parlare. Quel concerto è stato più di una semplice serata di musica: è stato un viaggio emotivo, un turbine di sensazioni nuove e profonde. Mi sono sentita sopraffatta dalla felicità, dall’emozione pura di essere lì, di vivere quell’istante che sapevo sarebbe rimasto impresso nel cuore. Sono infinitamente grata a S. per aver condiviso con me questa esperienza, una delle più significative della mia vita. Senza di lei, quel momento non sarebbe stato lo stesso” (G. classe quarta).
“Quest’ anno come gemma ho deciso di portare la musica, perché la musica è una parte fondamentale della mia vita. Mi accompagna ogni giorno, sia per rilassarmi, concentrarmi o semplicemente per divertirmi. Ogni genere ha qualcosa di speciale per me, e mi piace scoprire nuovi artisti e suoni. Mi aiuta a scaricare lo stress e a migliorare l’umore, ed è sempre presente quando ho bisogno di compagnia. La musica per me è anche un ricordo, perché quando ascolto una canzone ripenso sempre al periodo in cui la ascoltavo più frequentemente, come le canzoni R&B dei cd di mio padre che cantavo a squarciagola durante i tragitti più lunghi quando ero più piccola (anche se lo faccio ancora). Non importa dove mi trovi o cosa stia facendo, la musica è sempre lì, a rendere ogni momento un po’ più speciale. Non potrei mai farne a meno, perché la musica, con ogni suo genere diverso, mi fa sentire a casa ovunque io sia perché mi porta conforto e mi comprende anche quando non so spiegare i miei sentimenti e mi sento sola” (C. classe seconda).
“Questa canzone per me ha un significato molto importante perché simboleggia un po’ in generale la musica che più mi caratterizza e la ricollego anche ad un persona molto importante per me. Nonostante sia una canzone un po’ triste per me ha un significato molto forte e rispecchia ciò che amo” (B. classe quarta).
“Come gemma ho deciso di portare questa foto che rappresenta un po’ il legame tra me e mia cugina. Per il mio quindicesimo compleanno i miei genitori mi hanno regalato due biglietti per il concerto di Alfa. Ho deciso di chiedere a mia cugina A. di venire con me dato che condivide la stessa passione per le canzoni di Alfa. Da quando ho ricevuto il regalo, non aspettavo altro che quel giorno da vivere insieme a lei, per cantare a squarciagola tutte le canzoni, dall’inizio alla fine. Quella sera è stata una delle più belle della scorsa estate, trascorsa con una persona davvero speciale, una delle persone a cui tengo di più. Ci siamo ritrovate in un mondo tutto nostro, dove ogni canzone di Alfa sembrava parlare direttamente a noi, come se fossimo le uniche due persone presenti. A. mi è sempre stata vicina. I miei genitori mi hanno raccontato che quando sono nata lei, ancora piccolina, aveva 7 anni, è venuta in ospedale a farmi visita e mi ha donato uno dei suoi peluches preferiti, Panciotto, un adorabile orsetto con qualche toppa che ho consumato a forza di abbracci. Su lei posso sempre contare, mi ha sempre supportato anche nei momenti in cui avevo più paura e ansia come quando da bambina sono andata a fare il buco per gli orecchini e lei, che ce l’aveva già, ne ha fatto un altro insieme a me per darmi coraggio; oppure come il giorno dell’orale di terza media quando sono uscita da scuola e si è presentata con un magnifico e variopinto mazzo di fiori. A. c’è e c’è sempre stata, con lei al mio fianco mi sento più sicura. È la sorella maggiore che non ho, non smetterò mai di volerle un mondo di bene”. (E. classe seconda).
“Quest’anno ho scelto come gemma questa foto. Qua eravamo al concerto di Taylor Swift quest’estate, ed è stata scattata a nostra insaputa da una ragazza seduta dietro di noi, che poi ci ha chiesto di airdropparcela perché eravamo “troppo carine”. È stato uno dei momenti più belli della mia vita fino ad ora, non solo perché sono riuscita a vedere finalmente dal vivo una dei miei artisti preferiti, ma anche perché ero insieme ad una delle mie migliori amiche. Perciò per me questa foto rappresenta un ricordo molto importante per questi diversi motivi” (S. classe quarta).
“A inizio anno scolastico non avevo idea di che cosa portare come gemma, ma verso la fine di ottobre, Tyler, The Creator ha rilasciato un nuovo album: Chromakopia. Nell’album, una delle canzoni che mi ha colpito di più è stata St. Chroma. I temi della canzone sono la fiducia in se stessi e la determinazione. Secondo il mio punto di vista, la canzone in sé è un inno verso i propri trionfi passati, presenti e futuri, e insegna ad essere più sicuri di se stessi. Ormai ascolto questa canzone ogni giorno, e mi ha fatto capire che c’è sempre un modo per uscire dal tunnel e trovare la luce. «You are the light, It’s not on you, it’s in you»” (L. classe terza).
“Da tre anni io suono il violino che apparteneva al mio bisnonno. Il mio bisnonno ha svolto la leva militare per poi andare in guerra, durante la quale fu catturato e imprigionato in un campo di lavoro. Il campo si chiamava “Alma” nome della località in cui era situato. Al suo rientro in Italia nel 1946, ha acquistato il violino che è stato conservato dai miei nonni” (M. classe prima).
“Ho deciso di portare questa canzone che ho scritto quando ero ancora alle medie. Nella mia vecchia scuola facevamo teatro e, essendo l’ultimo anno, dovevamo mettere in scena il nostro spettacolo per l’ultima volta. Ci tenevo molto a scrivere una canzone e dedicarla alla mia classe, un modo per rappresentarci. All’inizio l’avevo buttata sullo scherzo e avevo detto alla mia migliore amica che, se un giorno il nostro professore (quello con cui facevamo teatro) ci avesse lasciati, avrei voluto che lei suonasse la chitarra e io cantassi. Quando ne abbiamo parlato con lui, però, la prese seriamente e ci aiutò: supportò molto la mia migliore amica con gli accordi e aiutò me a cantare a tempo. Quando arrivò il giorno dello spettacolo, tutto accadde molto velocemente e, quando mi resi conto che era finito, sono scoppiata a piangere. Per me, tutto ciò che mi rendeva felice era ormai finito: il teatro, la scuola e i rapporti con i miei compagni. Ancora oggi vorrei tornare a quei giorni, perché ero felice. La panchina e la chitarra sono i simboli del mio professore, che è una delle persone più importanti per me” (I. classe prima).
“Ecco la mia gemma di quest’anno, ultima gemma (si spera) di questo percorso scolastico (non perché è l’ultima, ma perché mi auguro di poter passare la maturità!). C’è chi penserà che possa essere una canzone, chi una foto, un video, una poesia…niente di tutto questo. Ciò che voglio celebrare oggi sono “COINCIDENZE”, nel significato stesso della parola: numeri, persone, luoghi, avvenimenti giusti al momento giusto. Le COINCIDENZE stanno caratterizzando costantemente e continuamente gli ultimi due anni della mia vita, che sinceramente reputo i più belli, precisi e felici della mia esistenza. L’1, il 2 e il 4, numeri che ritrovo costantemente in combinazione tra loro, che portano fortuna, oppure certi cognomi (non li riporto, mi sta a cuore la privacy!) spesso ricorrenti, pienamente in positivo. Certe persone, amici e non, spesso incontrati per puro caso proprio dopo aver pensato a loro; certe azioni, con la stessa modalità, successe “a comando”. Ma, soprattutto, certe canzoni, che passano alla mia radio preferita nei momenti giusti (“Freed from Desire” come primo brano dell’anno nuovo, “Bittersweet Symphony” dei Verve nei giorni un po’ più tristi, “Right on Track” del Breakfast Club per quando serve un po’ di energia)… tutto questo senza alcun mio intervento fisico, semplicemente sono cose che accadono, semplicemente, COINCIDENZE”. (L. classe quinta).
“Come gemma di quest’anno ho voluto portare Can’t Help Falling In Love di Elvis ed Elvis stesso. Da piccola sentivo spesso la musica di Elvis perché a mio papà e a mio fratello piaceva molto, soprattutto a mio padre, ma non l’ho mai seguito fino a maggio 2024, quando ho visto il film “Elvis” su Netflix. Mi sono immediatamente innamorata di questa persona e del suo modo di cantare e atteggiarsi durante i concerti, mi sono appassionata tantissimo, specialmente alla sua voce stupenda; qualcuno potrà dire “ma è morto e non l’hai mai conosciuto, come fai ad essere così affezionata a lui?”. Ebbene la verità è che Elvis con la sua musica e la sua voce mi ha fatto staccare la spina dal mondo più di una volta; inoltre dopo aver saputo tutte le cose brutte che ha passato nella sua vita mi ci sono affezionata ancora di più. Ho scelto questa canzone perché è la mia preferita e ha una melodia fantastica; spero un giorno di riuscire ad andare a Memphis a visitare casa sua che ora è un museo” (B. classe terza).
“Come gemma ho deciso di portare la foto dell’accampamento che abbiamo tirato su io e i miei amici quest’estate in campeggio. Siamo stati lì 4 giorni a giugno perché volevamo vedere il concerto di Calcutta ma nessuno aveva la casa a Lignano. Quei 4 giorni sono stati decisamente i più belli dell’anno per svariati motivi: è stata la mia prima vacanza in autonomia e l’ho trascorsa con alcune delle persone a cui voglio più bene. Ho sempre trascorso le mie estati in campeggio, ma negli ultimi anni io e la mia famiglia abbiamo optato per altre mete turistiche. Tornare lì mi ha fatto riaffiorare un sacco di ricordi ed è decisamente uno dei posti che mi porterò sempre nel cuore. C’è una libertà che ti dona lo stare in mezzo alla natura che un appartamento non potrà mai darti. È stata inoltre una vacanza significativa perché è stata l’ultima vacanza trascorsa nel camper dei miei nonni, visto che l’hanno venduto qualche giorno fa, dopo averci viaggiato per 50 anni e aver donato a tutta la famiglia dei ricordi di viaggi che raramente si dimenticano. Dal campeggio si sentivano le prove del concerto e non vedevamo l’ora di ascoltare Calcutta dal vivo. Dopo il concerto siamo andati in spiaggia e siamo rimasti lì fino all’alba. È stato uno dei primi after che io abbia mai fatto ed è stato tutto veramente speciale. Anche se quest’estate ho visto parecchi concerti di artisti ben più famosi di lui, posso dire che il suo è stato quello che mi porterò nel cuore, grazie alle persone con le quali ho trascorso quei 4 giorni”. (E. classe quarta).
“Come gemma ho deciso di portare questo cd. È My Everything di Ariana Grande e me l’ha comprato mio padre nel 2015/2016, lo mettevamo sempre in macchina quando andavamo al mare. Ho sempre ascoltato la musica di Ariana da quando ero piccola, ogni mattina mettevo le sue canzoni su youtube e saltavo sul letto. Ogni volta che ascolto le sue canzoni mi sembra di ritornare a quei tempi e ancora ad oggi, quasi 10 anni dopo, l’ascolto ed è per me importante perché sono cresciuta con lei e la sua musica” (A. classe seconda).
“La gemma che ho portato quest’anno è una parte del mio viaggio in un paese estero, ormai una tradizione per la mia famiglia: quest’anno la meta era il Regno Unito. Con mio padre ho visitato un museo a Liverpool che per noi era molto importante e significativo: il museo dei Beatles. Per lui sono la sua band preferita, per me sono la prima band mai ascoltata. Questo posto era una tappa che volevamo raggiungere da molto tempo, ma purtroppo non ne avevamo mai avuto la possibilità. Tutto questo era fino a quest’estate, quando ha deciso di fare sia a me che a lui stesso una grande sorpresa. Il museo è stata in sé un’esperienza indimenticabile: l’ambientazione, la musica, la storia, la cultura… Tutto ciò, insieme alla significatività che per me e mio padre va oltre al luogo in sé, formano una parte del mio repertorio di ricordi che non riuscirò proprio mai a lasciar andare” (F. classe terza).
“Come gemma ho portato uno scontrino che risale a quest’estate, quando sono andata a Lubiana con la mia migliore amica S., dove ci siamo trovate con un’altra mia amica, L., che ho conosciuto grazie alla passione per la musica e i concerti che abbiamo in comune. In questa giornata abbiamo girato per la città, siamo andate al bar, abbiamo parlato e in generale sono stata molto bene. Infatti penso che questo sia stato uno dei giorni migliori di quest’estate. Inoltre ho appeso questo scontrino in camera proprio per ricordare questi momenti passati insieme” (G. classe quarta).