E io ti rubo la terra

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Il fenomeno del land grabbing spiegato da Paola Springhetti prendendo spunto dal rapporto “Custodi della terra, difensori del nostro futuro” di Oxfam. L’articolo è presente su Vinonuovo.
A Paanama, sulla costa dello Sri Lanka, vivevano 350 famiglie di contadini e pescatori. Hanno lavorato lì per 40 anni, di cui 30 segnati dalla guerra civile. Nel 2009 è arrivata la pace e dall’anno successivo le cose hanno cominciato a cambiare, grazie al turismo e ai surfisti che arrivavano da tutto il mondo. Poteva essere, finalmente, l’ora del benessere. E invece, nel giro di una notte, quelle famiglie sono state allontanate dalla propria terra, con la forza, dall’esercito. Sono state private dei mezzi di sussistenza, per fare spazio a una base militare e ad un hotel di lusso, sorti in breve tempo.
Le proteste – pacifiche -, che si sono susseguite negli anni seguenti, hanno convinto il Governo a restituire la terra alle famiglie: decisione presa nel 2015, ma non ancora attuata.
Questa storia è stata raccontata da Oxfam (che con Slow Food e Mani Tese ha lanciato la campagna Land Rights Now, con l’obiettivo di raddoppiare entro il 2010 la quantità di terra formalmente posseduta dalle comunità indigene) nel suo rapporto intitolato “Custodi della terra, difensori del nostro futuro”, secondo il quale il numero delle persone depredate della loro terra è spaventosamente alto.
Benché Oxfam sia una Ong laica, il titolo del rapporto è in sintonia con l’enciclica di Papa Francesco, la Laudato Sì’, che si fonda sul principio per cui l’uomo non è il padrone della terra e dei suoi beni, ma il suo custode e poiché il mondo è stato creato per tutti, anche il diritto alla proprietà privata è subordinato alla destinazione universale dei beni. «Il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”… San Giovanni Paolo II ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”» (Laudato Si’, 93).
Il rapporto di Oxfam fa il punto sul problema del land grabbing (accaparramento delle terre): è dall’inizio del 21° secolo che si denuncia il fatto che grandi aziende multinazionali e governi acquisiscono ampi terreni agricoli nei Paesi in via di sviluppo, con metodi per lo più discutibili e comunque con conseguenze gravi. Ma dalla crisi finanziaria del 2008 il problema è esploso: i grandi investitori cercano terreno per coltivare cibo, per i carburanti biologici o semplicemente per speculare.
In genere le transazioni avvengono senza il consenso delle comunità, che perdono lavoro, casa, rapporti senza avere alcun risarcimento. E, se il problema è evidente particolarmente nei Paesi in via di Sviluppo, sarebbe un errore pensare che quelli europei (che fanno gola perché fertili), ne siano esenti.
Secondo lo studio “Land Concentration, Land Grabbing and People’s Struggle in Europe”, realizzato dal Coordinamento europeo Via Campesina e da Hands off the Land, in Europa il 3% dei proprietari di terreni agricoli controlla il 50% di tutte le superfici agrarie. Più o meno quello che succede in Brasile, Colombia e nelle Filippine. Sempre secondo il rapporto, multinazionali, fondi sovrani stranieri e oligarchi russi prima hanno preso di mira i Paesi dell’Est (Ungheria, Romania, Serbia, Ucraina), poi quelli occidentali: Andalusia e Catalogna, Germania, Francia e Austria. A proposito dell’Ucraina, Farmlandgrab, che è un osservatorio web sulla corsa all’acquisto dei terreni agricoli, sostiene che sono 17 milioni gli ettari controllati da imprese straniere – più della metà del territorio coltivabile – e che nel 2013 un’agenzia governativa cinese (Xpcc – Xinjiang Production and Construction Corp) – che già ha grandi possedimenti in Asia, sottoposti a coltivazione intensiva di soia – ha ottenuto un leasing di 50 anni su tre milioni di ettari.
Gli esempi sono comunque tantissimi. In Tanzania, un generale degli Emirati ha acquistato diritti di caccia esclusivi su un parco di 400 mila ettari, per i quali ha vietato l’accesso a chi non è autorizzato. Con buona pace dei Masai, in cerca di pascoli per i loro greggi. Le tribù che cercano di resistere a vivere nella valle dell’Omo, in Etiopia, devono sopportare le intimidazioni continue da parte dell’esercito. In Kenya, i diritti sui terreni sono tanto confusi che villaggi, scuole, intere comunità si sono ritrovate all’interno di recinti alzati di sorpresa, in poche ore. In Laos e in Cambogia compagnie vietnamite della gomma vogliono espandere le loro piantagioni.
Nel rapporto di Oxfam vengono denunciati cinque casi, oltre a quello dello Sri Lanka, in cui le popolazioni hanno visto la loro vita sconvolta da sfratti e violenze: Honduras, dove le terre del popolo Garifuna sono state cedute dal governo ad imprese private; Perù, dove i Quechua dell’Amazzonia hanno intrapreso una battaglia legale per riottenere il controllo delle loro terre, danneggiate da anni di trivellazioni petrolifere; Australia, dove gli aborigeni di Kimberley resistono al governo locale, che specula sulle attività minerarie; India, dove l’aumento di domanda di legno teak ha provocato un’espansione delle piantagioni a scapito della comunità di Kutia Kand Adivasi, che senza le sue foreste rischia di scomparire; e infine Mozambico, dove nella comunità di Wacua, la decisione unilaterale del suo leader, convinto dai rappresentanti di un’azienda agro-alimentare, ha provocato, nel giro di un solo mese, lo sfratto dalle proprie terre di un’intera comunità.
Le conseguenze del land grabbing sono immediate (povertà per le popolazioni escluse), ma anche a lungo termine: coltivazioni intensive, deforestazione, sfruttamento eccessivo delle risorse idriche… Il territorio cambia e viene depauperato.
Secondo il rapporto OXFAM, «il 75% delle oltre 1.500 transazioni fondiarie, indagate negli ultimi 16 anni riguarda contratti relativi a progetti già in fase di realizzazione; ma il dato più preoccupante è che il 59% di queste riguarda terre comuni rivendicate da popoli indigeni e comunità di piccoli agricoltori, la cui titolarità alla terra è scarsamente riconosciuta dai governi. Solo in rari casi si è stabilito un dialogo preventivo con le comunità, mentre più spesso, e tragicamente, si è fatto ricorso alla violenza estrema, che ha portato a omicidi e sfratti indiscriminati in moltissimi villaggi. Una prassi che, dalle osservazioni sul campo, sembra diventare la norma».
Il problema è legato anche al fatto che «ai 2,5 miliardi di persone appartenenti ai popoli indigeni che abitano più di metà della Terra formalmente vengono riconosciuti titoli di proprietà soltanto per un quinto di essa. Un’emergenza che continua a peggiorare col passare del tempo e che è sempre più inestricabilmente legata alla lotta alla fame così come alla tutela della biodiversità e alla lotta ai cambiamenti climatici».
Nella Laudato Si’ si citano vescovi del Paraguay: «Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suo esercizio non sia illusorio ma reale» (94). Ancora una volta, impegno ecologico e difesa dei diritti degli uomini vanno di pari passo.”

Non tutti in crisi…

oxfamPubblico un estratto del Rapporto “Grandi disuguaglianze crescono” elaborato da Oxfam, una rete di 17 organizzazioni di paesi diversi volta a ottenere un maggior impatto nella lotta globale contro la povertà e l’ingiustizia.
Secondo il Rapporto Grandi disuguaglianze crescono di Oxfam, la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%. Il fatto che questa disuguaglianza sia in continua e costante crescita rende necessarie misure dirette a invertire la tendenza. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, il Rapporto denuncia il fatto che l’esplosione della disuguaglianza frena la lotta alla povertà in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno, e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare. Winnie Byanyima, direttrice esecutiva di Oxfam International, userà quest’anno tutta l’influenza che deriva dal suo ruolo di co-chair al Forum per chiedere un’azione urgente volta ad arginare la marea crescente della disuguaglianza, partendo da una proposta di contrasto reale all’elusione fiscale delle multinazionali e da una spinta verso l’adozione di un trattato globale di lotta ai cambiamenti climatici.
Grandi disuguaglianze crescono è il documento di analisi pubblicato oggi da Oxfam, da cui emerge che l’1% della popolazione ha visto la propria quota di ricchezza mondiale crescere dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e che a questo ritmo si supererà il 50% nel 2016. Gli esponenti di questa elite avevano una media di 2,7 milioni di dollari pro capite nel 2014. Del rimanente 52% della ricchezza globale, quasi tutto era posseduto da un altro quinto della popolazione mondiale più agiata, mentre il residuale 5,5% rimaneva disponibile per l’80% del resto del mondo: vale a dire 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media detenuta dal ricchissimo 1%.
Vogliamo davvero vivere in un mondo dove l’1% possiede più di tutti noi messi insieme? – ha detto Winnie Byanyima – La portata della disuguaglianza è semplicemente sconcertante e nonostante le molte questioni che affollano l’agenda globale, il divario tra i ricchissimi e il resto della popolazione mondiale rimane un totem, con ritmi di crescita preoccupanti.”
Negli ultimi 12 mesi, i leader mondiali – dal Presidente Obama a Christine Lagarde – hanno più volte ribadito quanto necessario e importante sia affrontare il tema della grande disuguaglianza. Ma ancora poco è stato fatto in termini concreti ed è arrivato il momento per i nostri leader di prendersi carico degli interessi della stragrande maggioranza per intraprendere un cammino verso un mondo più giusto per tutti.”
Se il quadro rimane quello attuale anche le elite ne pagheranno le conseguenze – afferma Roberto Barbieri, Direttore Generale di Oxfam Italia – perché non affrontare il problema della disuguaglianza riporterà la lotta alla povertà indietro di decenni. I più poveri sono poi colpiti 2 volte: perché hanno accesso a una fetta più piccola della torta e perché in assoluto ci sarà sempre meno torta da spartirsi, visto che la disuguaglianza estrema impedisce la crescita.”
Lo scorso anno, Oxfam ha dominato la scena a Davos, rivelando che gli 85 paperon de’ paperoni del mondo detenevano la ricchezza del 50% della popolazione più povera (3,5 miliardi di persone). Quest’anno il numero è sceso a 80, una diminuzione impressionante dai 388 del 2010. La ricchezza di questi 80 è raddoppiata in termini di liquidità tra il 2009-2014. Oxfam chiede ai governi di adottare un piano di sette punti per affrontare la disuguaglianza:
1. contrasto all’elusione fiscale di multinazionali e individui miliardari;
2. investimento in servizi pubblici gratuiti, come salute e istruzione;
3. distribuzione equa del peso fiscale, spostando la tassazione da lavoro e consumi verso capitali e ricchezza;
4. introduzione di salari minimi e graduale adozione di salari dignitosi per tutti i lavoratori;
5. introduzione di una legislazione ispirata alla parità di retribuzione, e politiche economiche che prevedano una giusta quota per le donne;
6. reti di protezione sociale per i più poveri, incluso un reddito minimo garantito;
7. un obiettivo globale di lotta alla disuguaglianza.
Il documento di analisi di oggi, che arriva dopo il rapporto di ottobre Partire a pari merito: eliminare la disuguaglianza estrema per eliminare la povertà estrema, fa luce sul fatto che le grandi ricchezze siano passate alle generazioni successive e che le elite mobilitino ingenti risorse per piegare regole e leggi a loro favore. Più di un terzo dei 1.645 miliardari della classifica Forbes ha ereditato parte o tutta la ricchezza che detiene. Il 20% dei miliardari ha interessi nei settori finanziario e assicurativo, un gruppo che ha visto la propria liquidità crescere dell’11% nei 12 mesi precedenti a marzo 2014. Questi settori hanno speso 550 milioni di dollari per fare lobby sui decisori politici a Washington e Bruxelles nel 2013. Nel 2012 negli Stati Uniti solo durante il ciclo elettorale, il settore finanziario ha speso 571 milioni di dollari in contributi per le campagne.
I miliardari che hanno interessi nei settori farmaceutico e sanitario hanno visto il loro patrimonio netto collettivo crescere del 47% in un solo anno. Questi settori, durante il 2013, hanno speso oltre 500 milioni di dollari in lobby a Washington e Bruxelles.
La preoccupazione di Oxfam è che il potere di lobby di questi settori possa essere un ostacolo alla riforma del sistema fiscale globale e all’adozione di regole sulla proprietà intellettuale che non precludano l’accesso dei più poveri a medicine salva-vita. Come più volte ribadito da più parti, Fondo Monetario Internazionale in primis, la disuguaglianza estrema non è soltanto una pessima notizia per gli ultimi del mondo ma anche un danno enorme per la crescita economica.”
Per chi desidera un approfondimento maggiore:
Paper-Davos-2015_finale

Quant’è grande la mia fetta?

2Un interessante articolo di Rainews24 a firma Roberta Rizzo sulla distribuzione della ricchezza.
“La forbice tra ricchi e poveri nel mondo si allarga sempre di più. Pochi forse sanno, però, che gli 85 uomini più ricchi del pianeta detengono una ricchezza pari a quella di metà della popolazione mondiale. A dirlo è il rapporto di ricerca Working for The Few, diffuso dall’ong Oxfam alla vigilia del World Economic Forum di Davos. Lo studio intreccia la lista dei milionari stilata da Forbes nel 2013 con un rapporto Credit Swisse (la banca sivzzera), il Global Wealth Report 2013, che analizza i trend della ricchezza globale.
L’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri implica anche un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza. In pratica, secondo Oxfam, le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale.
Una situazione che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma anche quelli dell’Occidente e che vede in primo piano il nostro Paese. Uno studio condotto della Paris School of Echonimcs evidenzia come in Italia le diseguaglianze tra la fascia ricca e quella più povera della popolazione dal 1976 al 1985 fosse in diminuzione per poi invertire la rotta e aumentare in maniera costante dal 1986 fino al 2009.
L’opinione pubblica ha sempre più consapevolezza della concentrazione di potere e privilegi nelle mani di pochissimi. Dai sondaggi che Oxfam ha condotto in India, Sud Africa, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, la maggior parte degli intervistati è convinta che le leggi siano scritte e concepite per favorire i più ricchi.
Nel continente africano le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria/estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà; in India il numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di politiche fiscali altamente regressive, mentre il paese è tra gli ultimi del mondo se si analizza l’accesso globale a un’alimentazione sana e nutriente.
Negli Stati Uniti, il reddito dell’1% della popolazione è aumentato ed è ai livelli più alti dalla vigilia della Grande Depressione. Recenti studi statistici hanno dimostrato che, proprio negli USA, gli interessi della classe benestante sono eccessivamente rappresentati dal governo rispetto a quelli della classe media: in altre parole, le esigenze dei più poveri non hanno impatto sui voti degli eletti. Come non ricordare la denuncia pubblica fatta dal multimiliardario Warren Buffet nel 2012 durante la discussione della riforma fiscale disse “Non è possibile che la mia segretaria in proporzione paghi più tasse di me”.
“Un sistema che si perpetua, perché gli individui più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali più vantaggiose e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli” afferma Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International.
Il rapporto di Oxfam evidenzia, ad esempio, come sin dalla fine del 1970 la tassazione per i più ricchi sia diminuita in 29 paesi sui 30 per i quali erano disponibili dati. Ovvero: in molti paesi, i ricchi non solo guadagnano di più, ma pagano anche meno tasse. Il tutto a spese delle classi povere e medie che ci conduce a dove siamo oggi: nel mondo 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza è aumentata negli ultimi trent’anni, e dove l’1% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza globale (110.000 miliardi dollari).
“Se non combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta contro la povertà estrema, ma neanche di costruire società basate sul concetto di pari opportunità, in favore di un mondo dove vige la regola dell’asso pigliatutto'”, conclude Winnie Byanima. Negli ultimi anni il tema della disuguaglianza è entrato con forza nell’agenda globale: Obama lo ha identificato come una priorità del 2014, e proprio il World Economic Forum ha posto le disparità di reddito diffuse come il secondo maggiore pericolo nei prossimi 12-18 mesi, mettendo in guardia su come stia minando la stabilità sociale e ”minacciando la sicurezza su scala globale”.”