Gemma n° 2392

“Il fallimento non è il contrario del successo ma è una parte di esso.
Questa frase mi è rimasta impressa perché non importa quante volte si cade ma l’importante è quante volte ci si rialza e quando si tocca il fondo è un nuovo punto di partenza” (M. classe terza).

Gemma n° 1757

“La mia gemma è un peluche che mi ha regalato mia nonna quand’ero piccolina e che ho chiamato con il suo nome. Questo peluche è stato cucito da una sua amica e la nonna mi ha raccontato che rappresenta la speranza e il fatto di non aver mai paura e di andare sempre avanti. Adesso mia nonna non c’è più e io ho voluto lasciare questo peluche in casa sua come simbolo di speranza”.

Il gesto di A. (classe seconda) di voler lasciare il peluche in casa della nonna mi ha portato alla mente una scena del film Sette anni in Tibet: due amici si stanno salutando perché uno è in partenza per il viaggio di rientro. Vengono versate due tazze di tea: la prima viene consumata, la seconda resta intatta, in attesa del suo ritorno. Certo la nonna di A. non può ritornare ma quel legame con il peluche, quel gesto di lasciarlo nella casa è un mantenerne la memoria, un continuare l’amore.

Gemme n° 216

La mia gemma è la scena finale di “Fast & Furious 7”, con l’omaggio a Paul Walker, deceduto mentre le riprese del film erano ancora in corso: mi fa riflettere sulla morte e sull’amicizia, sia quelle rappresentate sul set che quelle della vita. Nella sequenza finale le auto dei due amici prendono strade diverse mentre uno dice «Tu sarai sempre con me. E sarai sempre mio fratello». Noi siamo in quarta e il prossimo anno ci divideremo, i rapporti saranno difficili da mantenere, m penso che le amicizie vere restano”. Questa la gemma presentata da V. (classe quarta).
A un certo punto si sente “Dovunque voi siate, non importa se a un quarto di miglio o dall’altra parte del mondo…”. E la canzone di Wiz Khalifa in sottofondo dice: “Accidenti, chi conosceva tutti gli aerei su cui abbiamo volato, bei momenti che abbiamo passato, che sarei in piedi proprio qui a parlare con te, a parlarti di un altro percorso. So che ci piacerebbe partire in viaggio e ridere ma qualcosa mi ha detto che non sarebbe durato. Abbiamo dovuto cambiare piano, guardare cose diverse, vedere il quadro complessivo. Quelli erano i giorni, il duro lavoro paga sempre, ora ti vedo in un posto migliore”…

Sulla nostalgia

4078432209_273e0aa6ac_oUn articolo di Roberto Cotroneo molto fertile.
In una pagina meravigliosa del suo libro L’ignoranza, Milan Kundera parla della nostalgia, e racconta come questa parola sia diversa da lingua a lingua, anche nei suoi significati, nelle sue sfumature. Sappiamo che nostalgia viene dalle parole greche nóstos e da álgos: ritorno e sofferenza. La sofferenza di non poter più tornare. Di non riuscirci più. Dunque la sofferenza di un mondo che non c’è, di persone lontane, di luoghi che non vedi da anni, di ritorni che appaiono impossibili. I portoghesi la chiamano saudade e in certi paesi si distingue tra nostalgia vera e propria e rimpianto della propria terra. Ad esempio gli islandesi, che hanno un lingua antichissima dicono söknudur per nostalgia, e heimfra, per il rimpianto. E gli spagnoli usano añoranza, che viene dal catalano enyorar, e a sua volta dal latino ignorare.
La nostalgia è non poter tornare e non poter sapere. Si dice con molte parole diverse, ma anche con espressioni che sono entrate nel linguaggio comune: «mi manchi», o in francese «je m’ennuie de toi», sento la tua mancanza. I tedeschi, ci spiega Kundera, preferiscono dire sehnsucht, «desiderio di ciò che è assente». La mancanza delle propria terra, dei propri luoghi, dell’amore, e ancora la distanza, il non poter sapere, il non poter vedere. Le nostalgie di Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi ma soprattutto l’uomo di nóstos e di álgos.
Agli inizi del secolo scorso, esploratori e scrittori coniarono l’espressione “mal d’Africa”. Il mal d’Africa era quella strana sensazione, alle volte improvvisa, che ti faceva rimpiangere il continente africano, anche se ci eri stato una sola volta e per poco: come un richiamo, ancestrale, arcaico, come una malattia priva di cure e alle volte irresistibile. Il luogo originario, il punto lontano da tutto dove hai bisogno di tornare è un tema fondante da sempre. La nostalgia diventa quasi uno spazio sacro, un rito di lontananza, nel nome dell’añoranza, dell’ignoranza. Solo che ormai nóstos e álgos hanno perso il loro valore. Non c’è più ritorno e dunque sofferenza, non c’è più lontananza, non c’è più immaginazione.
La grande rivoluzione non è soltanto il web, e non è soltanto la condivisione, ma è in quelle che chiamiamo le wearable technologies, ovvero le tecnologie portabili ed indossabili, modellate attorno al corpo delle persone, che permettono di fare molte cose: dal monitorare la nostra salute, rilevando dati corporei, al registrare emozioni, al tenersi in collegamento e in connessione con qualcun altro fino a condividere movimenti, immagini, musica, e quant’altro.
Molte startup si concentrano su queste tecnologie di ultima generazione, molti pensano che, a cominciare dall’Apple Watch, avremo davanti una nuova strada da percorrere, molto interessante. Con soluzioni che in alcuni casi possono essere straordinarie. Tutte le applicazioni mediche wearable permetteranno di monitorare e tenere sotto controllo la salute della popolazione anziana. Oppure, se siete diventati genitori da pochi giorni e volete stare tranquilli, potete far indossare al vostro neonato un abitino in cotone chiamato Howdy, prodotto da un’azienda di Monza, che tiene sotto controllo il suo cuore, la sua respirazione i suoi movimenti, e trasmette i dati al vostro tablet.
Ma al di là di questi prodotti specifici, e oltre quelli pensati per il fitness, che esistono da sempre, il futuro è molto orientato anche a un nuovo modo di indossare la nostalgia, per tenere lontana l’añoranza. Sistemi che permettono di avere con sé una vicinanza artificiale di immagini, sensazioni ed emozioni altrui che puoi indossare e sentire con te. Un passo ulteriore per prosciugare quel grande mare dove navigò Ulisse, il mare che gli restituì la via del ritorno. Si torna per poter raccontare, e lo stare lontani permette di ricordare. Oggi non ci sono partenze e ritorni, c’è un tempo misto, ibrido che non consente ricordi che non siano memoria di un presente indifferente, dove esserci o mancare è solo una connessione accesa o spenta, che cancella sogni e nostalgie.”

Gemme n° 0

Apro una nuova sezione nel blog: GEMME. Ho chiesto ai miei studenti di pensare a qualcosa (una canzone, una scena di un film, una pagina di un libro, un quadro, una foto, un oggetto…) per loro significativo e che desiderano far conoscere ai compagni come fosse una gemma preziosa. Il pomeriggio, poi, metterò qui sul blog i loro spunti. Intanto metto una mia gemma, quella che presenterò loro questa settimana.

In sottofondo “I giorni migliori”, Tiromancino.
Ci sono nell’aria delle cose che dentro di noi conosciamo a memoria perché sono quelle che sentiamo più nostre, più personali, che sentiamo veramente come parte di noi e che non possiamo condividere magari per paura o solo proprio perché desideriamo che continuino a restare nostre. Mi viene da pensare ai sogni, alle speranze, ma anche al senso che possono avere per noi una determinata foto, una certa canzone, una stella alpina chiusa tra le pagine di un libro…
Queste cose, che poi formano la nostra identità, non vanno mai rinnegate, soprattutto nei momenti difficili, in quei momenti in cui niente va per il verso giusto, in cui resta ben poco a cui aggrapparsi, in cui sembra proprio di essere tagliati fuori, di essere rimasti fermi mentre tutti continuano a correre felici verso la loro meta “in continuo movimento”. E’ proprio questo il momento in cui difendere le fragili cose che sentiamo nel cuore. Come? Facendo volare “in alto i nostri pensieri più limpidi”.
In questa canzone Federico Zampaglione parla di speranza, di ideali, di valori ma anche e soprattutto delle piccole cose che poi rendono concreti la speranza, gli ideali, i valori. Per una persona che è finita a terra, che si è ritrovata precipitata in una situazione difficile, è forse più facile pensare al futuro, cercare di rimettersi in piedi, riscoprendo l’interesse per le piccole cose. Non penso che sia parlando dell’amore o della fiducia che mi torno ad innamorare, ma ricevendo o dando una carezza, uno sguardo, un bacio, un abbraccio… “perché sono le sfumature a dare vita ai colori e a farci tornare in mente le cose più pure dei giorni migliori”. Si potrebbe allora pensare che si tratti di una canzone che parla di nostalgia, di un passato comunque migliore del presente che stiamo vivendo o del futuro che potrebbe arrivare. Ma c’è l’ultimo verso a venirci in soccorso, che ci invita a non cercare facili scorciatoie, ma a basarci sulla strada in cui crediamo e sul coraggio di percorrerla: “Non ci sono percorsi più brevi da cercare, c’è la strada in cui credi e il coraggio di andare”. E la forza di mettersi in cammino sulla strada è quella che emerge in tutti i brani di chiamata che troviamo nella Bibbia, da quelli dei profeti a quelli dei discepoli, e tutti richiedono un movimento, di piedi e di cuore. Cito solo l’inizio del Vangelo di Marco: “Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”.
E il discorso si può estendere a tutti i viaggiatori, da Siddharta a Ulisse, da Frodo a Marco Polo, da Gilgamesh a Terzani.

Foglio bianco

matitaPenso che “Pochi inutili nascondigli” sia il libro che meno mi è piaciuto di quelli scritti da Giorgio Faletti. Tuttavia, vi ho trovato un bel passo, che voglio legare all’inizio dell’anno scolastico, a ogni inizio, al momento in cui a una persona viene chiesto di mettersi in gioco, di provare a immaginare e disegnare il proprio futuro, che sia alunno o insegnante.

Non sarebbe mai riuscito a spiegare a un profano che cosa era un foglio bianco per un disegnatore, quale e quanta speranza ci fosse ogni volta che si metteva di fronte allo spazio immenso di quel rettangolo immacolato da riempire di segni, sogni, colori, idee.
Forse Dio, se c’era, proprio quello aveva fatto. Prima l’universo era un grande cosmico foglio di carta bianco e lui con la stessa speranza e la stessa fantasia aveva chiuso un attimo gli occhi e poi si era messo al lavoro e aveva disegnato tutto.
Fece scorrere la copertina ripiegandola dietro al blocco ed ebbe anche lui davanti il suo piccolo universo da creare.
Si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, impugnò la matita e guardò il mondo davanti a lui.”
Giorgio Faletti, Pochi inutili nascondigli, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008, pag. 51

Aspettative d’estate

Corsica_075 copia fb

Forse per questo motivo c’era quella elettricità, quella strana tentazione carica di aspettativa nei pomeriggi di maggio in bilico fra la scuola e i misteri dell’estate” (G. Carofiglio, “Testimone inconsapevole”).

A fine maggio, inizio giugno, gli studenti entrano in agitazione, in fibrillazione: le vacanze sono alle porte. Si fanno gli ultimi sforzi per salvare l’anno, per evitare scomodi esami di fine agosto, per sistemare la media, per arrivare a una borsa di studio… il tutto con la prospettiva dell’estate. A volte chiedo loro cosa si aspettano da questo periodo e cosa hanno intenzione di fare per soddisfare tale aspettativa. Ecco, voglio rinnovare la domanda, senza voler sapere la risposta qui. Come sta andando questa estate? Rispecchia le attese? Trovo triste leggere tweet come “mi annoio”, “non ho niente da fare”, “che monotonia”, “che palle questa estate vuota”: sono tweet da pensionati depressi!!! Pubblico la foto del porto di Livorno che ho scattato la mattina del 7 luglio in partenza per Bastia. E’ un invito: ad accendere i motori, a spiegare le vele, a salpare. Le aspettative chiedono di essere soddisfatte: animo!