L’auto di Chiara Natoli, attivista di Libera (fonte)
Avevo letto la notizia di sfuggita sui social e mi ero ripromesso di approfondirla e riprenderla. Pubblico allora l’articolo che Paolo Borrometi ha pubblicato sul suo blog e rimando a Palermo Today per altre notizie e commenti.
“Giovedì, il giorno della memoria organizzato da Libera, Palermo si è svegliata con il volto di Chiara Natoli, attivista dell’associazione di don Ciotti, che su Rai 3 diceva: “Ricordare le vittime della mafia vuol dire impegnarsi concretamente per i diritti e la giustizia sociale”. Due giorni dopo, in piena notte, ignoti hanno bruciato l’auto della Natoli, parcheggiata sotto casa. Lo riporta il quotidiano La Repubblica, che sottolinea come chi ha distrutto la macchina della donna ha agito, quasi come una sfida, a pochi passi dalla caserma della Guardia di finanza che si trova nel popolare quartiere del Borgo Vecchio, di fronte al porto. “Una sfida per tutti noi commenta don Luigi Ciotti ma noi siamo molti di più. Giovedì, c’erano quasi ventimila studenti nel centro di Palermo, mentre venivano letti i nomi delle 1.011 vittime della mafia”. “Lei lavora ogni giorno nei quartieri più difficili della città racconta don Luigi si dà un gran da fare in maniera concreta”. Chiara Natoli, 31 anni, racconta: “Una cosa che colpisce, ma Palermo è cambiata vedo una grande voglia di partecipazione. E ce lo siamo ripetuti il giorno del ricordo, non si può delegare l’impegno contro la mafia a magistratura e forze dell’ordine”. Ora, la polizia cerca due giovani per il raid contro la referente di Libera: in un video, estratto da una telecamera della zona, si vedono di spalle mentre vanno a colpo sicuro. “E’ stata lanciata sfida a tutti noi ma noi siamo molti di più. Il 21 marzo a Palermo, per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, eravamo 20.000: una primavera di rinascita e impegno che ci ha unito in modo ancor più forte al resto d’Italia, nel nostro percorso quotidiano di contrasto alle mafie, insieme a tanti, nel nostro Paese”. Lo dichiara il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, in merito all’intimidazione a danno dell’attivista Chiara Natoli, che si è vista dare alle fiamme l’auto nella notte tra venerdì e sabato. “In attesa di indagini e verifiche per comprendere l’accaduto – sottolinea don Ciotti – se dovesse essere confermato che è un atto contro di noi, ribadiamo la nostra volontà di non arretrare e proseguire il percorso di impegno e cambiamento intrapreso”. Mentre la stessa Chiara Natoli ringrazia tutti “per la vicinanza e il sostegno. Le indagini sono in corso – prosegue – e nutro massima fiducia nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura che si stanno adoperando per individuare i responsabili. In particolare ringrazio la Prefetta che sin dalle prime ore mi ha espresso personalmente la vicinanza dello Stato. In attesa delle verifiche ribadisco che quelle fiamme non erano rivolte solo a me, ma colpiscono tutta Libera e i tantissimi che il 21 marzo sono stati con noi in piazza. Un Noi che a Palermo e in Sicilia sta facendo rifiorire una nuova primavera. Una primavera che nessuna incendio, nessuna intimidazione può fermare”. “La Fondazione Caponnetto esprime la propria totale solidarietà e vicinanza a Chiara Natoli di Libera per il vile attentato incendiario subito. Uniti contro la mafia sempre e comunque ed oggi ancor di più”. Lo dichiarano il Presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri e la responsabile siciliana, Giusi Badalamenti, in merito all’intimidazione a danno dell’attivista Chiara Natoli, che si è vista dare alle fiamme l’auto nella notte tra venerdì e sabato.”
“Che emozione! Che emozione, la mia Trieste… vedervi qui
riuniti, è veramente un’emozione grandissima… parlare di mafie in maniera
obiettiva, consapevole, e di essere anche io qui, personalmente. Il dolore c’è,
ci accompagna quotidianamente, un dolore che non sparisce… impari solamente a
conviverci, un dolore che non svanirà finché non ci verrà restituita la verità.”
Così ha esordito Silvia Stener, nipote di Eddie Cosina, vittima della strage di
via d’Amelio in quanto membro della scorta di Paolo Borsellino. Era presente
insieme alle due sorelle di Eddie, Oriana ed Edna, alla plenaria di apertura di
Contromafie.
“Io devo dire grazie in particolare al mio papà spirituale,
don Luigi (Ciotti, ndr). L’ho incontrato la prima volta nel 2005 o 2006 alla
Giornata della Memoria delle vittime di mafia, la prima a cui ho partecipato
con la mamma e la zia, e devo dire che è stato veramente liberatorio. Per la
prima volta ho pianto, ho pianto davanti a tutti senza vergognarmi e devo dire
che mi sono sentita a casa, anche se a chilometri e chilometri dalla vera casa…
tutti gli abbracci e l’affetto che ho ricevuti. Soprattutto sono entrata a far
parte della famiglia di Libera che accoglie tutti noi, famigliari delle vittime
innocenti delle mafie e del dovere; in questi anni ci hanno accompagnati con
umiltà, discrezione e tanto affetto, nonché con tantissima pazienza. Ringrazio
tutti i ragazzi di Libera, in particolare quelli del Presidio Eddie Cosina di
Trieste.
Manca un ragazzo qui, tra noi. Manca Eddie. Aveva
trent’anni, ha fatto semplicemente il suo dovere. Ha detto di no due volte alla
vita, prendendo il posto del suo collega, sia partendo da Trieste, sia quel
giorno del 19 luglio a Palermo, quando era arrivato il suo sostituto e gli
disse che avrebbe fatto lui il suo turno così che potesse riposarsi. Io vi
voglio lasciare con il messaggio di portare avanti quei valori per cui i nostri
ragazzi hanno perso la vita per noi, quei valori che molto spesso la società di
oggi ci porta a mettere in secondo piano e a sottovalutare, ma devono essere la
base del vivere civile. Quindi, innanzitutto, il senso del dovere, avere il
coraggio di fare il proprio dovere e mettere al primo posto il prossimo,
piuttosto che noi stessi.
Sono felice anche di essere in un luogo speciale come
questo, l’Università: ho detto in più occasioni che quello che desidero, che
auspico per la nostra Italia e non solo, visto che il fenomeno mafioso non è
una questione meramente italiana, è una sana e buona rivoluzione culturale, che
parta dal basso, dai nostri ragazzi, quindi avendo anche il coraggio di parlare
nelle scuole di mafie, di legalità. Si parla certe volte anche a sproposito di
questi argomenti, bisogna trovare il senso giusto delle parole. E bisogna avere
anche il coraggio di dare un nome e un cognome a persone che ci fanno evocare
pezzi di storia che invece noi tendiamo a dimenticare.
Quindi, con orgoglio, sono Silvia Stener, nipote di Eddie Walter Max Cosina,
agente di scorta del giudice Paolo Borsellino”.
Un articolo apparso su Confronti il 20 settembre: è a firma di Soumaya Bourougaaoui e tratta della Tunisia e della sua tradizione di dialogo interculturale e interreligioso.
“La Tunisia, nella sua storia è diventata simbolo di accoglienza: sempre aperta e tollerante, è il luogo dell’incontro dove non si impongono limiti culturali, religiosi o politici. Promuove le diversità, resta un modello di pluralismo e di incrocio di religioni e culture. Ricordiamo le parole di Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, intervenendo all’Assemblea dei rappresentanti del popolo tunisino (Arp) nel febbraio 2016: «La Tunisia è un modello di pluralismo e tolleranza».
La Tunisia è indiscutibilmente un esempio di convivenza pacifica e del dialogo interculturale ed interreligioso. Non si scorda Sidi Mehrez (951-1022), considerato il patrono di Tunisi, che è stato soprattutto convinto protettore delle minoranze religiose… Il suo nome è legato alla fondazione del quartiere ebraico della città vecchia di Tunisi ovvero Elhara, per quasi 10 secoli, Elhara è stato effettivamente il cuore pulsante della comunità ebraica di Tunisi, la cui localizzazione sarebbe stata scelta gettando un bastone dall’alto della moschea che oggi porta il suo nome (David Cohen, Le parler arabe des Juifs de Tunis, Parigi, 1964). Quindi, la minoranza ebraica di Tunisi ebbe modo di vivere all’interno della città, mentre precedentemente gli ebrei ne erano esclusi e dovevano rimanere all’esterno durante la chiusura delle porte, dovevano passare la notte nei pressi del villaggio.
Oggi l’isola di Djerba, la perla del Mediterraneo, è anche nota per la sua minoranza ebraica, che abita sull’isola da secoli. Quest’anno, ha ospitato migliaia ebrei all’antica sinagoga di Ghriba. Ogni anno, il 33° giorno dalla Pasqua ebraica e in occasione della festa di Lag Ba’omer, la Ghriba – che in arabo significa “straniero” – diventa meta di un pellegrinaggio che mobilita migliaia di credenti.
«La Tunisia resterà un Paese di apertura e coabitazione di religioni», afferma il premier tunisino Youssef Chahed, nel periodo di effettuazione di questa tradizionale ricorrenza, nel corso della giornata di domenica 14. Inoltre, in quest’occasione, è stato annunciato che Tunisi presenterà ufficialmente la richiesta all’Unesco per l’inserimento dell’isola di Djerba tra i siti patrimonio dell’umanità, esempio di convivenza di fedi diverse da millenni: musulmana, ebraica e cristiana.
Un altro esempio di vicinanza tra comunità religiose diverse (alla Goulette hanno convissuto a lungo tunisini, francesi, maltesi, italiani), la messa dell’Assunzione di Maria, che fino al 1962 prevedeva anche la processione della Madonna di Trapani fino al mare. La Goulette è diventata il polo d’attrazione dei giovani grazie alla tradizionale tolleranza.
Il filologo e mediterraneista Alfonso Campisi (professore ordinario di Filologia Romanza presso l’università la Manouba a Tunisi e presidente dell’Aislli, Associazione per lo Studio della Lingua e Letteratura Italiana, sezione Africa. Studioso della Sicilia e del Maghreb, si occupa di identità, lingua e storia dell’emigrazione siciliana in Tunisia e negli Stati Uniti) scrive: «Il quartiere de La Petite Sicilie, alla Goulette, nasce intorno alla chiesa della Madonna di Trapani, celebrata dai trapanesi il 15 agosto. Secondo gli archivi da me consultati, la Madonna usciva dalla chiesa attraversando le stradine de La Goulette accompagnata da una banda musicale. La giornata si concludeva con i fuochi d’artificio e un concerto sulla piazza principale. Dornier così descrive la processione: “La processione della Madonna di Trapani, a La Goulette, non è un semplice corteo dove si cammina in fila, cantando inni o recitando il rosario. La Vergine è portata su un carro da una dozzina di uomini che si alternano. E tutto intorno alla Vergine c’è una folla eterogenea, che vuole toccare la statua, chi con un fazzoletto, o chi con la mano. A questa folla si mescolano donne musulmane velate, ebrei praticanti, che erano venuti anch’essi a pregare la Madonna. Alcuni seguono la processione scalzi per esaudire un voto, andando da La Goulette a Tunisi. Nelle ore serali, intorno alle 20:30, saranno le prostitute accompagnate dai loro protettori a fare il rito chiamato Le rite de la Madeleine prostrandosi ai piedi della croce”» (si veda “La comunità siciliana di Tunisia: La Goulette,un esempio di tolleranza”, del prof. Alfonso Campisi).
Nella prima metà dell’800, l’emigrazione italiana nel Maghreb è prima un’emigrazione intellettuale e borghese, di fuorusciti politici, di professionisti, di imprenditori. Liberali, giacobini e carbonari, si rifugiano in Algeria e in Tunisia. Scrive Pietro Colletta nella sua Storia del reame di Napoli: «Erano quelli regni barbari i soli in questa età civile che dessero cortese rifugio ai fuoriusciti». Dopo i falliti moti di Genova del 1834, in Tunisia approda una prima volta, nel 1836, Giuseppe Garibaldi, sotto il falso nome di Giuseppe Pane. Nel 1849 ancora si fa esule a Tunisi.
«Ma la grossa ondata migratoria di bracciantato italiano in Tunisia avvenne sul finire dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, con la crisi economica che colpì le nostre regioni meridionali. Si stabilirono questi emigranti sfuggiti alla miseria nei porti della Goletta, di Biserta, di Sousse, di Monastir, di Mahdia, nelle campagne di Kelibia e di Capo Bon, nelle regioni minerarie di Sfax e di Gafsa. Nel 1911 le statistiche davano una presenza italiana di 90.000 unità. Anche sotto il protettorato francese, ratificato con il Trattato del Bardo del 1881, l’emigrazione di lavoratori italiani in Tunisia continuò sempre più massiccia. Ci furono vari episodi di naufragi, di perdite di vite umane nell’attraversamento del Canale di Sicilia su mezzi di fortuna. Gli emigrati già inseriti, al di là o al di sopra di ogni nazionalismo, erano organizzati in sindacati, società operaie, società di mutuo soccorso, patronati degli emigranti. Nel 1914 giunge a Tunisi il socialista Andrea Costa, in quel momento vicepresidente della Camera. Visita le regioni dove vivevano le comunità italiane. Così dice ai rappresentanti dei lavoratori: “Ho percorso la Tunisia da un capo all’altro; sono stato fra i minatori del Sud e fra gli sterratori delle strade nascenti, e ne ho ricavato il convincimento che i nostri governanti si disonorano nella propria viltà, abbandonandovi pecorinamente alla vostra sorte”» (Francesco Casula, Il Mediterraneo tra illusione e realtà, integrazione e conflitto nella storia e in letteratura).
Con la scrittrice Marinette Pendola si scopre la storia dei siciliani di Tunisia. Pendola è nata a Tunisi da genitori di origine siciliana e come molti ha dovuto abbandonare la terra natale. Ricostruisce queste vicende personali della sua infanzia nel romanzo La riva lontana (Sellerio, 2000), è autrice di L’erba di vento (Arkadia Editore, 2014), ha insegnato lingua e letteratura francese nelle scuole superiori, vive a Bologna e fa parte del gruppo di lavoro “Progetto della memoria”, istituito dall’ambasciata italiana a Tunisi, cui sono legate numerose pubblicazioni, tra cui L’alimentazione degli italiani di Tunisia (2006). Per i “Quaderni del Museo dell’Emigrazione di Gualdo Tadino” ha pubblicato Gli italiani di Tunisia. Storia di una comunità (XIX-XX secolo) (2007). Inoltre, ha creato il sito http://www.italianiditunisia.com, con questi obiettivi:
Creare un luogo di scambio e di ritrovo fra tutti gli italiani di Tunisi sparsi nel Mondo.
Mantenere viva la memoria dell’esperienza storica e del patrimonio culturale italo-Tunisino.
Diffondere la conoscenza dell’esperienza storica e culturale italiana in Tunisia.
Raccogliere materiale di vario genere sulla comunità italiana di Tunisia.
Promuovere la ricerca attraverso la premiazione di tesi di laurea e di dottorato sulla storia, costumi, e la cultura degli italiani di Tunisia.
In Tunisia, nel settore dell’educazione e della ricerca, presso la Facoltà di Lettere, delle Arti e dell’Umanità di Manouba, è stato attivato il Master di ricerca in civiltà e religioni comparate. È stata una buona iniziativa e unico modo per partecipare alla costruzione di un futuro di pace e di convivenza armonica di diverse culture, ovvero, lanciare un messaggio di pace, e consolidare la coesistenza pacifica sottolineando come la tolleranza e la convivenza interreligiosa, siano un valore distintivo della società tunisina.
«Nel 2007, la Tunisia aveva 10 milioni di abitanti, di cui 20.000 cattolici, provenienti da 60 nazioni diverse. È veramente una Chiesa… cattolica! La domenica alla Messa, su 100 persone presenti, possono essere rappresentate ben 50 nazionalità diverse. Ciò porta una grande ricchezza culturale, spirituale e liturgica. Oggi la Tunisia è un Paese musulmano moderato, molto aperto; riconosce il suo passato cristiano e bizantino. La Chiesa è rispettata e tollerata. Coloro che sono in contatto con noi, ci apprezzano» (mons. Marun Lahhm, vescovo di Tunisi dal 2005, “Cristiani che vivono tra i musulmani”. L’articolo è tratto da una conferenza tenuta a Brescia presso la parrocchia di s. Francesco di Paola).
In Tunisia ebrei e musulmani e cristiani coabitano in pace da sempre, la Tunisia si conferma una terra dove la tolleranza e il rispetto non mancano. E le minoranze non hanno mai avuto problemi nel professare il loro credo. Il decano della Facoltà di Lettere, delle Arti e dell’Umanità di Manouba, professor Habib Kazdaghli, in una conferenza, tenuta il 28 marzo 2017, presso la Biblioteca “Diocésaine” di Tunisi, sulle minoranze tunisine tra ricordo e oblio, organizzata dal giornalista Hatem Bourial, dice: «La minoranza è la fonte della grandezza della maggioranza, e le minoranze fanno parte della storia di Tunisia».”