“Cara E. del passato, carissima versione passata di me. Sei la mia gemma, l’unica persona che per me c’è sempre stata. Come stai? Non c’è nemmeno bisogno che tu risponda: so già che sei felice. E non parlo di te di cinque anni fa, ma di te di dieci anni fa o più, con quell’aria spensierata e quel sorriso genuino e infantile che regalavi a tutti. Tu, che il mondo lo vedi come il più semplice dei giochi. Tu, che parli senza pensare alle conseguenze. Tu, che riesci a vedere oltre le etichette. Tu, che trovi il bello in qualsiasi cosa fai. Mi manchi. Dove sei finita? Spero che tu possa sentire queste parole, perché provo esattamente tutto quello che sto scrivendo. Sono successe così tante cose in questi anni che non puoi nemmeno immaginare… Non ho ancora trovato la risposta a tutte le tue domande, ma ad alcune sì: Sì, mamma e papà ci portano ancora in viaggio, sia me che Lucy. No, le medie non sono assolutamente come nei film americani. Sì, sei ancora in contatto con alcuni di loro. No, non sei sola. Si, hai ancora una vena creativa. No, non sei un’incapace E sì, la vita non va sempre come dovrebbe andare — e va bene così. Con il tempo riuscirai più o meno a capirlo. Se devo essere sincera però adesso probabilmente non mi riconosceresti… anche se la frangia ce l’ho ancora: dopotutto siamo nate con la frangia. Gioco ancora con la nostra cara Wii, e ogni tanto mi stupisco che funzioni ancora. Amo ancora vedere le persone sorridere e farle sorridere. Amo ancora ridere per le cavolate più assurde e insensate. Amo riguardare un programma o un video svariate volte senza mai stancarmi. Ho ancora paura dell’andare al piano di sopra o in cantina da sola. Suono ancora il pianoforte, e sì, sei finalmente riuscita a farti regalare la chitarra dello zio. Guardo ancora il cielo quando assume colorazioni particolari. Racconto ancora storie e ne invento altrettante. E purtroppo però, proprio come te, forse non mi sono ancora del tutto accettata. La vita è dura, E., non posso negarlo. E se penso a tutto quello che dovrai affrontare, mi si stringe il cuore. Ma allo stesso tempo mi rassicura sapere che riuscirai a superarlo e ad arrivare dove Io oggi sono. Non ho ancora raggiunto tutto ciò che vorrei, ma se guardo la te di cinque anni fa, mi sento già meglio… infatti ultimamente mi sono fatta l’idea che Sì… potremmo avere di più ma potremmo anche avere di meno. Dunque il mio suggerimento è: Non smettere mai di sorridere. Non avere paura: se deve succedere, fregatene…che succeda. Non cercare di combatterlo a tutti i costi. Nonostante ciò lo ammetto: Se potessi tornare indietro, cancellerei tante cose… ma non voglio spaventarti: è solo un periodo. Non preoccuparti dei voti a scuola. Non preoccuparti di quei buffoni. Non sei sbagliata. Non sei ciò che vogliono farti credere. Non devi chiedere scusa a nessuno per essere come sei. Siamo così diverse, e allo stesso tempo incredibilmente simili. Perché dico che siamo diverse? Io dico le parolacce; tu invece ti copri le orecchie e ti offendi appena ne senti una. A volte resto in silenzio; tu non fai altro che chiacchierare con tutti, senza barriere e senza paura del giudizio. Ogni tanto sento la tua presenza, il tuo ritorno. Lo percepisco chiaramente quando accade. E, in effetti, se ci penso, è sbagliato dire che siamo diverse. Entrambe ridiamo quando qualcuno ci guarda in modo insolito o comico. Entrambe cantiamo parole di canzoni straniere in una lingua che sembra aliena. Entrambe ci imbarazziamo quando qualcuno ci fa un complimento o ci dimostra affetto. Entrambe cerchiamo di essere gentili, indipendentemente dalla persona che abbiamo davanti. No, noi non siamo diverse. Noi siamo la stessa persona. E chissà se tu sei fiera di me… tanto quanto io lo sono di te”. (E. classe quarta).
Immagine realizzata con l’intelligenza artificiale della piattaforma POE
I colloqui con i genitori di allieve e allievi di quinta si concentrano spesso sul dopo-liceo, sulle prospettive future: frequentemente raccolgo la preoccupazione di chi non ha ancora deciso, di chi è perplesso, di chi teme la scelta di una strada “sbagliata”. Allora mi capita di raccontare il mio anno e mezzo di scienze geologiche prima di comprendere quale fosse il mio cammino; racconto anche quanto in realtà la strada “giusta” fosse ben delineata dentro di me, nascosta però da mille rovi e arbusti che, nel tempo, l’avevano coperta. Forse sarebbe stato comodo incontrare quel personaggio di cui Alessandro D’Avenia parla spesso quando affronta l’Odissea: un Mentore che mi sapesse consigliare, che mi aiutasse a leggere meglio dentro di me quella risposta di cui andavo cercando. D’altra parte riconosco che quello che talvolta io stesso ho considerato un anno e mezzo buttato via, è stato forse uno dei periodi più fecondi della mia esistenza, perché mi ha aiutato a vedere tutto ciò che non volevo diventare. Intuire chi si vuole diventare, ascoltare una vocazione, accogliere la risposta che noi stessi ci diamo, dare una direzione all’imprevedibile che si palesa: sono tutti verbi declinati all’infinito che richiedono però un risposta che trovi una concretezza finita nell’esistenza.
Lascio allora spazio a un articolo della pedagogista Paola Bignardi, scritto la scorsa settimana su Avvenire.
“Una riflessione dedicata al rapporto dei giovani con il tempo potrebbe avere per titolo semplicemente “I giovani e il futuro”; questa è infatti l’unica dimensione temporale che essi percepiscono: il tempo che hanno davanti a sé. D’altra parte, quello che hanno alle loro spalle è troppo breve per poter costituire una memoria significativa. E il presente? In esso sono immersi, e lo vivono – forse al pari di molti adulti – come una realtà così scontata da non rendersi conto di essa. Se ne rendono conto quando è troppo disordinato, arruffato; in quelle situazioni allora appare che la libertà di occupare il tempo secondo il desiderio del momento o i propri capricci non è per niente appagante. Anche l’istante nel quale sono immersi ha bisogno di ordine, di ritmo, per diventare veramente esperienza di serenità e di crescita. La necessità di una disciplina per la propria vita è difficile da proporre alle nuove generazioni, al di fuori di un contesto che mostri di essa l’utilità e il valore come stile di vita che può restituire tranquillità e armonia alle proprie giornate. Il tempo verso cui la tensione dei giovani è protesa è il futuro; questa è la dimensione attesa, desiderata. Il futuro è la vita in cui ha inizio l’autonomia, la realizzazione dei propri progetti, dei propri desideri. Non ci sono ancora delusioni e quindi ci si può orientare verso il domani caricandolo di aspettative e di idealità. Anche i ragazzi e le ragazze di oggi guardano al futuro con il desiderio di realizzazione personale e aspirano a una vita piena, serena, in cui poter concretizzare i propri sogni: trovare un lavoro soddisfacente, costruire relazioni autentiche e durature, e “diventare qualcuno” senza perdere la propria autenticità. Per alcuni, l’università rappresenta un passaggio decisivo, ma è anche fonte di incertezza: non sempre le idee sul percorso da intraprendere sono chiare, e prevalgono talvolta la confusione o la paura di sbagliare; ne è riprova il numero di ragazzi e ragazze che dopo il primo anno di università si accorgono di aver intrapreso una strada che non fa per loro e cambiano facoltà, oppure si trascinano lentamente in un percorso culturale che non li soddisfa. Accanto a questo slancio positivo vi è nei giovani uno sguardo preoccupato. Il tema del futuro è più facilmente comprensibile alla luce delle considerazioni svolte qualche settimana fa in queste pagine sul dolore dei giovani. In una ricerca realizzata dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo nel 2013 risultava un dato inquietante: il 67% dei giovani interpellati nell’ambito dell’indagine dichiarava di pensare il proprio futuro come pieno di rischi e di minacce. Si tratta di una percentuale che si è mantenuta stabile nel corso degli anni, con un peggioramento nel periodo della pandemia, quando la fiducia nel futuro si è abbassata significativamente, mostrando nella popolazione femminile la componente più fragile e più sensibile alle ragioni della paura. In una ricerca attualmente in corso sul territorio delle diocesi di Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto la situazione sembra essere ancor più severa. I giovani che hanno dichiarato di guardare al futuro con preoccupazione e incertezza sono il 71%, cioè quasi tre quarti degli interpellati. La pandemia, le crisi economiche, le guerre e il cambiamento climatico incidono profondamente sulle nuove generazioni. «Ho ansia e paura per il futuro – dice un giovane diciottenne –, il mondo è a rotoli». La sottile sfiducia verso gli adulti e soprattutto verso le istituzioni accentua il senso di precarietà e l’incertezza della realizzazione dei propri progetti e obiettivi. Le cause sociali e strutturali si riflettono sul piano individuale e danno forma a un interrogativo sulla propria persona, sulla propria identità. Dice un giovane ventiduenne: «Che futuro avrò? Che persona sarò? Chi sarò tra 5-10 anni, domani? Troverò una svolta nella mia vita?». Al tempo stesso vi è nelle ragazze e nei ragazzi di oggi la consapevolezza del delicato valore della loro età e della loro condizione. Dice una giovane: «Attraverso l’adolescenza so che da una bozza di ciò che sono ora può uscire un capolavoro». È come sentirsi un prezioso vaso di cristallo che prende forma a poco a poco nelle mani di un artigiano che, per quanto esperto, corre sempre il rischio di spezzarlo. Ragioni esterne e interiori si intrecciano; per qualcuno troppo fragile questa situazione diventa una sfida insostenibile; per molti, motivo per approfondire le proprie ragioni, il proprio atteggiamento di fronte alla vita, per rendere più mature le proprie scelte. Dietro la paura del futuro c’è spesso una domanda spirituale implicita: «Perché vale la pena vivere, impegnarsi, sperare?». Anche nell’inquietudine rispetto al futuro molti giovani esprimono la loro domanda di senso, la loro inquietudine spirituale, che spesso non approda alle forme religiose tradizionali ma che rivela tratti di una nuova ricerca: di relazioni autentiche, di cura del sé, di connessione con la natura, di armonia interiore, di giustizia sociale. Pensare a un futuro pieno di rischi e di incognite non significa restare di fronte a esso passivi e rassegnati, ma piuttosto consapevoli. I giovani oggi sanno che il futuro non verrà loro incontro in maniera scontata, ma richiederà loro impegno, intelligenza, determinazione. La complessità del futuro spaventa meno quei giovani che possono far conto su una famiglia accogliente, presente, capace di dialogo; questi si sentono meno soli davanti all’ignoto e alla loro paura di fallimento. In contesti familiari fragili, soprattutto dal punto di vista relazionale, l’incertezza del futuro rischia di essere vissuta come minaccia concreta, più che come sfida potenziale. Accanto alla famiglia, il sostegno per guardare al futuro con fiducia sono gli amici. Nella ricerca citata, che riguarda un migliaio di adolescenti, gli amici vengono continuamente riferiti come la principale fonte di sostegno emotivo, più della famiglia e spesso più delle istituzioni scolastiche o religiose. Il futuro smette di essere un nemico quando lo si affronta “insieme”. I rapporti amicali 1possono aiutare perché costituiscono la grande risorsa del mondo giovanile. L’amicizia è una delle forme principali di spiritualità vissuta: è un luogo di fiducia, di presenza, di dono reciproco. Molti giovani che si dichiarano “non religiosi” trovano proprio nell’amicizia quell’esperienza del bene gratuito che un tempo veniva mediata da contesti religiosi o comunitari. L’amicizia diventa così un luogo del bene gratuito, una via relazionale alla fiducia, in cui il futuro non appare più come una minaccia ma come un cammino condiviso. Anche attraverso l’amicizia l’inquietudine verso il domani rappresenta la porta che apre a un’esperienza spirituale. «La serenità in famiglia e il sostegno dei miei amici – dice un ragazzo – costituiscono l’aiuto più concreto per affrontare il futuro». In una società dove le istituzioni tradizionali – famiglia, scuola, religione – faticano a offrire orizzonti stabili, gli amici diventano il luogo in cui si impara che il futuro non si affronta da soli, ma si può affrontare insieme. L’orizzonte di senso dei giovani non è individualista ma relazionale. L’incertezza del futuro non è eliminabile, ma è abitabile se è possibile viverla nel sostegno reciproco. In questa prospettiva, ciò che potrebbe aiutare i giovani ad affrontare il futuro in modo più positivo non è tanto una – improbabile – promessa di stabilità, quanto la possibilità di radicarsi in legami significativi e in una visione di sé che dia direzione e valore all’imprevedibile e ne trasformi il potenziale distruttivo in una risorsa per crescere.”
Immagine realizzata con l’intelligenza artificiale della piattaforma POE
Sulle pagine di Avvenire, senza dichiararlo esplicitamente, la prof.ssa Paola Muller ritorna su alcuni concetti che sono stati al centro delle risposte di Leone XIV ai giovani nella veglia di sabato 2 agosto a Tor Vergata: Agostino, l’utilizzo del tempo, le scelte, il bene, il futuro.“
«Che cos’è dunque il tempo?». È una delle domande più celebri – e più disarmanti – della storia del pensiero. Agostino la pone all’inizio dell’undicesimo libro delle Confessioni, dopo aver raccontato la propria conversione e aver meditato sulla creazione del mondo: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma che cosa significa “principio”? Si tratta di un istante? Di un inizio cronologico? Oppure di qualcosa che sfugge alla nostra immaginazione? Nel riflettere sul tempo, Agostino non costruisce una teoria astratta. Parte piuttosto da un’esperienza che tocca ogni essere umano: il tempo ci accompagna in ogni istante, ma sfugge appena tentiamo di definirlo. “Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so” (Confessioni XI, 14.17). Per Agostino, il tempo è un paradosso vissuto. Parliamo continuamente di passato, presente e futuro, eppure – se ci pensiamo bene – il passato non è più, il futuro non è ancora, e il presente, se lo si prova a misurare, non ha estensione. Appena lo afferriamo, è già trascorso. Eppure, ricordiamo, attendiamo, calcoliamo durate. Com’è possibile? Dove si dà il tempo, se non ha consistenza né stabilità? Agostino propone una risposta radicale: il tempo non è qualcosa di esterno, ma è nell’anima. Non è una cosa, né un flusso oggettivo di eventi: è una modalità del vivere, una tensione interiore. Il tempo – per l’uomo – è vissuto prima che misurato. La chiave per capire questa visione è un’espressione centrale nella riflessione agostiniana: distensio animi (Confessioni XI, 26.33). L’anima, dice Agostino, è “distesa” tra ciò che ricorda e ciò che attende. Non vive in un eterno presente puntiforme, ma in una continua tensione tra passato e futuro, raccolta nell’attenzione al presente. Questa idea ha un’enorme forza antropologica. Per Agostino, l’uomo non è semplicemente un essere che “passa nel tempo”, ma una creatura capace di tenere insieme ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. La memoria, l’attenzione e l’attesa sono le tre forme con cui l’anima si misura col tempo. Non misuriamo il tempo perché lo possediamo fuori di noi, ma perché lo custodiamo in noi. Esso è un tratto costitutivo della nostra coscienza. Agostino ricorre a un’immagine musicale per descrivere questa esperienza: l’anima è come un cantore che conosce il brano che sta per eseguire (Confessioni, XI, 28.38). All’inizio, tutto è attesa. Mentre canta, una parte del canto è passata, un’altra è ancora da eseguire. Solo nel presente l’anima tiene insieme ciò che ha già cantato e ciò che deve ancora cantare. Così avviene anche nella vita: la nostra coscienza non è mai pura immediatezza, ma è sempre memoria di ciò che è stato, attenzione a ciò che accade e anticipazione di ciò che verrà. In ogni istante, l’uomo è un essere narrativo, che tiene unito il proprio passato e il proprio futuro. La memoria è una delle grandi scoperte agostiniane. Non è un deposito passivo di ricordi, ma un atto vitale dell’anima, capace di dare senso al tempo vissuto. Nel De Trinitate (XV, 21.40), Agostino paragona la memoria al grembo in cui viene concepita la coscienza. Senza memoria, il tempo sarebbe un susseguirsi indistinto di frammenti. È la memoria che ci dà identità, che rende possibile la continuità del sé. Questa riflessione è quanto mai attuale. In un’epoca che tende a vivere nel presente perenne dell’istante, nella dispersione delle notifiche, nel consumo compulsivo di stimoli, nella rincorsa al “prossimo evento”. Ma se il tempo è una distensione dell’anima, come suggerisce Agostino, allora ogni accelerazione impone una domanda: dove sono io, in questo tempo che corre? Il tempo autentico non è solo quello che scorre, ma quello che raccoglie, che trasforma, che custodisce il senso. Agostino ci ricorda che la profondità della vita dipende dalla nostra capacità di fare memoria. Una società che dimentica non solo la storia, ma il proprio vissuto interiore, è una società che si disgrega nel tempo. Il cuore teologico della riflessione agostiniana sul tempo si gioca nel confronto con l’eternità. Dio non è nel tempo: è il Creatore del tempo. In Lui non c’è successione, ma solo presenza piena, totale, senza mutamento. L’eternità, scrive Agostino, è il “sempre ora”: non una durata infinita, ma una totalità senza inizio né fine. Questa differenza è decisiva: mentre l’uomo vive nella distensione, Dio vive nella pienezza. Mentre il tempo umano è instabile e fragile, Dio è stabile e immutabile. Ma proprio questa distanza non allontana, bensì chiama. Il tempo è la forma del nostro desiderio: viviamo nel tempo perché siamo fatti per l’eternità. Questa tensione si rivela nel cuore stesso della fede: se Dio ha creato il tempo, è perché vi vuole abitare. Se il Verbo si è fatto carne, è perché l’eternità ha voluto entrare nella storia. Il tempo, allora, non è un carcere da cui fuggire, ma il luogo in cui si compie il cammino della redenzione. Agostino sa che il tempo può disperdere, ma anche redimere. Il passato non è solo nostalgia, ma memoria trasfigurata; il futuro non è solo incognita, ma promessa. Il presente – spesso vissuto come un attimo fugace – diventa il luogo della decisione: è nel presente che si gioca la conversione, cioè il ritorno a Dio. Il passato può essere redento, il futuro può essere affidato, il presente può essere abitato. La conversione – nel linguaggio di Agostino – è un atto del presente, ma nasce dalla memoria e guarda alla speranza. È il momento in cui l’anima si riallinea alla verità, ritrova il ritmo dell’eterno. Per questo, nel pensiero agostiniano, il tempo ha anche un valore spirituale. Non è solo ciò che passa, ma ciò che può cambiare. È lo spazio della libertà, in cui l’uomo può voltarsi indietro per rileggere la propria vita e alzare lo sguardo per rivolgersi a un bene più alto. La preghiera, ad esempio, è un atto profondamente temporale: è memoria della promessa di Dio, attenzione alla sua presenza, attesa del compimento. Pregare è vivere il tempo non come qualcosa da subire, ma da offrire. Nei Salmi, che Agostino commenta a lungo, il tempo è spesso protagonista. Il tempo del lamento, del silenzio, della supplica, ma anche quello della lode. Il tempo della prova non è mai tempo perso, se diventa invocazione. E il presente – fragile e fugace – diventa il luogo dove la grazia può visitare l’anima. La distensio animi, allora, non è solo una struttura psicologica, ma una disposizione morale. È la condizione per vivere il tempo non come condanna, ma come occasione. Viviamo in un tempo inquieto, frammentato, contraddittorio. Siamo bombardati da stimoli, compressi tra nostalgia e ansia. Ma se, come dice Agostino, il tempo è nell’anima, allora l’unico tempo che ci salva è quello che ci riconduce a noi stessi. Il tempo abitato, pensato, offerto. Il tempo che diventa sapienza. Agostino non offre una soluzione tecnica, né una ricetta psicologica. Prospetta un cammino. Un cammino fatto di memoria, di presenza, di attesa. Ci offre una direzione: imparare a vivere il tempo come apertura all’eterno. Non si tratta di misurare meglio il tempo, ma di misurarlo su ciò che conta. E ciò che conta – per Agostino come per noi – è imparare a riconoscere la presenza del bene anche nel tempo che fugge. È lì che inizia la sapienza. Un tempo umano, perché fatto di desiderio. Un tempo cristiano, perché attraversato da una promessa”.
“Quando si tratta di un rapporto stretto, io sono sicura che il tempo non gioca un fattore importante. Per molti anni della mia vita non ero al corrente dell’esistenza dei miei stessi zii (di secondo grado). Mia nonna per qualche ragione aveva preferito allontanare me ed i miei fratelli da loro. Ha sempre tenuto il motivo nascosto e non abbiamo mai avuto modo di sapere il perché. Il rapporto con suo fratello (mio zio) è sempre stato d’amore e odio, crescendo hanno preso strade molto diverse ma erano comunque rimasti in contatto. Ho conosciuto i miei zii per la prima volta alla mia comunione, allora non avevo compreso fossero miei parenti. In quell’occasione mi regalarono questo bracciale, la collezione a cui appartiene viene venduta con un libricino che descrive la personalità che ognuno possiede. Senza conoscermi l’avevano azzeccata alla perfezione. Solo due anni dopo mia nonna ha iniziato a portarmi a casa degli zii e quando è venuta a mancare le visite sono diventate più e più frequenti. In famiglia avevamo bisogno di sostegno e loro ci hanno aiutato a lavorare sul nostro dolore. Ho imparato a conoscerli e a volergli bene ed ora sono infinitamente grata del rapporto genuino che condividiamo. Quindi, sì, posso dire con certezza che il tempo non è rilevante quando delle persone si capiscono così bene” (E. classe seconda).
“Come gemma di quest’anno ho deciso di portare il film Parthenope di Paolo Sorrentino. Ho visto il film a ottobre scorso e all’inizio non avevo compreso appieno il significato che c’era dietro. Infatti non avevo mai visto un film di questo genere e nei mesi successivi ho ragionato moltissimo sul suo significato. Essendo una grande appassionata di cinema, questo film mi ha spiazzato completamente e mi ha fatto comprendere quanto veloce scorra il tempo e quanto sia bello essere giovani e nel pieno della nostra energia” (A. classe seconda).
“Per concludere il percorso delle gemme, ma anche quello delle superiori, ho deciso di parlare dei miei diari. Li ritengo perfetti come ultima gemma perché coincidono esattamente con il mio percorso alle superiori: ho cominciato il primo diario nel settembre 2020, quindi all’inizio della prima. Da quando ho cominciato questa tradizione, scrivo principalmente per lasciare una testimonianza della me attuale alla me del futuro. O almeno, la pensavo così fino ad un mese fa, quando, prima di inaugurare il diario 2025, ho deciso di rileggere i diari vecchi. E ho scoperto tanto. Ho realizzato con una nuova profondità quanto sono realmente cambiata in questi 5 anni. Il primo giorno di prima superiore mi sembra una vita fa, ma è anche l’altroieri. Ho scoperto anche che, rileggendo le parole che ho scritto 5 anni fa, mi sembra di leggere le parole di qualcun altro, oppure è come se avessi scritto in una lingua diversa, non completamente comprensibile dalla me di adesso (il fatto che avessi una calligrafia veramente terribile non aiuta, ma lasciamo stare). Ho anche realizzato che adesso non scrivo principalmente per la G. del futuro. Scrivo principalmente per la G. di adesso. Scrivo anche per lasciare una testimonianza storica e psicologica, perché ho realizzato che rileggere le mie parole e rendermi conto dei miei cambiamenti è importante. Scrivo per organizzare le mie emozioni e i miei pensieri attraverso carta e inchiostro. Scrivo per introspezione, per conoscere me stessa meglio. Scrivo, ma non solo: i miei diari sono una continua ricerca artistica e stilistica, di scrittura ma anche di disegno. Scrivo per essere consapevole di cosa faccio nei miei giorni, di come utilizzo il tempo e per valorizzarlo, per ricordarmi sempre che è la risorsa più preziosa che abbiamo: non possiamo comprare tempo extra, abbiamo solo quello che ci viene dato, ma siamo noi che scegliamo come usarlo” (G. classe quinta).
“Il cinema è come una porta aperta su mondi infiniti, dove le storie prendono vita e le emozioni si possono vivere insieme, in un istante. Il cinema ha un potere straordinario: quello di trasportarci lontano, in universi lontani e sconosciuti, mentre ci regala frammenti di verità umana che possiamo sentire come nostri. È una forma d’arte che non ha limiti e non conosce confini, perché le sue immagini sono capaci di raggiungere ogni angolo del nostro essere, scatenando riflessioni, sorrisi, lacrime e connessioni. La magia del cinema sta proprio nella sua capacità di condensare il tempo e lo spazio, di darci l’opportunità di vivere vite diverse, di esplorare emozioni intense e di capire cose che spesso nella vita quotidiana restano celate. Basta pensare a un film come L’attimo fuggente, dove attraverso le parole di Robin Williams, diventiamo parte di quella classe di giovani che scoprono la bellezza di vivere, di pensare, di essere liberi. O a Interstellar, un viaggio che non è solo spaziale, ma anche emotivo, un’esperienza che ti fa riflettere sulla relatività del tempo e sull’amore, su come il legame tra un padre e una figlia possa trascendere le barriere dell’universo. Ogni film ha il potere di risvegliare emozioni che ci fanno vedere il mondo sotto una nuova luce, mentre ci offre anche uno specchio in cui riconoscere i nostri sogni, le nostre paure, le nostre speranze”. (B. classe quarta).
“Come gemma di quest’anno ho deciso di portare una serie: Hawaii-Five-0. Ho scelto questa serie perché da piccola la guardavo ogni pomeriggio con mio padre sul divano a casa. Oggi questa serie mi riporta indietro a quelle ore passate insieme con spensieratezza e felicità senza nessuna preoccupazione per la scuola o il lavoro” (A. classe seconda).
“La gemma di quest’anno è stata la più difficile da scegliere, ci ho pensato per mesi e fino all’ultimo sono stata molto indecisa. Questo è stato l’anno più complicato della mia vita, e dico complicato perché anche se mi sembra che mi siano successe solo tante cose brutte, devo riconoscere che quest’anno me ne ha anche donate tante belle ma soprattutto mi ha insegnato tanto. Quindi come gemma ho deciso di portare la scena iniziale del film “Love actually” dove il narratore racconta di come, se ci prestiamo attenzione, siamo circondati dall’amore, sempre e comunque. Questo film mi ha dato tanta speranza, soprattutto questa scena. Prima del 2024 non ho mai creduto in cose come l’aldilà né tanto meno al destino o alle coincidenze, ma quest’anno ho vissuto esperienze che mi hanno fatto dubitare di tutto, soprattutto mi hanno fatto dubitare di essere circondata da amore. Una in particolare è stata la morte di un mio amico molto giovane. Questo ragazzo è una delle persone più buone che io abbia mai conosciuto. Non è che avessimo questo rapporto incredibile, ma lui è una di quelle persone di cui ho solo bei ricordi, l’ho adorato dal primo istante in cui l’ho visto e qualsiasi momento passato insieme lo ricordo come un momento particolarmente felice. Beh ecco da quell’incidente il mio modo di pensare è completamente cambiato, e soprattutto il mio modo di relazionarmi con le persone. Da tutto questo ho imparato una cosa, a non dare per scontato neanche un momento e soprattutto a non dare per scontate le persone che ci vogliono bene. Quest’anno ho avuto modo di conoscere tante persone, di riavvicinarmi a vecchi amici e di non separarmene più, ma anche di perderli di nuovo. Non ho dato per scontato neanche un momento trascorso con loro. Adesso ogni volta abbraccio le persone che amo una volta in più, perché è sempre meglio che stringerle una volta in meno, in particolare le mie amiche, senza le quali probabilmente non starei raccontando questa gemma. Incredibilmente, la morte mi ha insegnato cosa vuol dire amare”. (E. classe quarta).
“La clessidra mi è stata regalata per Natale più o meno dieci anni fa e da allora è sempre rimasta in bella vista sulla scrivania della mia camera. Oltre ad essere un oggetto peculiare ed interessante, in quanto si tratta di una clessidra “al contrario” (i granelli, immersi in liquido non esattamente identificato, procedono verso l’alto anziché verso il basso come una normale clessidra), esso è per me uno strumento particolarmente ipnotico, che, nel suo scorrere, mi trasmette un senso di serenità. Non è una “gemma” molto significativa, però è un qualcosa che appartiene alla mia quotidianità e che mi andava di condividere” (A. classe quinta).
“La gemma di quest’anno è la Polaroid che mi ha regalato il mio ragazzo al mio compleanno, quest’estate. È stata una sorpresa bellissima che non mi aspettavo, anche se ho sempre desiderato avere una macchina fotografica istantanea. Infatti ci sono molto affezionata perché penso sia stupendo poter immortalare dei ricordi che dureranno nel tempo e che riguarderò con felicità e un po’ di nostalgia” (A. classe quinta).
“Come gemma quest’anno, siccome è l’ultima, ho deciso di portare qualcosa che io considero una parte di me. Quindi ecco quello che credo sia l’oggetto a me più caro e intimo e di cui sono più gelosa: un diario in cui sono custoditi tutti i miei ricordi. Recentemente mi è capitato di leggere una frase che secondo me cade proprio a pennello: “usa i ricordi non per rimpiangere ciò che è passato ma per ricordarti di quanto sei stato fortunato a viverlo”. Io credo da sempre che i nostri ricordi siano uno muro portante per la nostra esistenza perché, riportandoci indietro nel tempo, fungono da promemoria di ciò che siamo stati e di quello che abbiamo vissuto; non mi riferisco solo ai ricordi piacevoli, ma anche a quelli che, se ci ripensi, ti lasciano un po’ di amaro in bocca. Questo diario è il mio di muro portante: mi ha accompagnato per tutta la mia adolescenza ma si espande anche all’infanzia, ed è una raccolta di veri e propri frammenti della mia vita che a me piace collezionare: qui dentro ci sono io al 100% e sono convinta che se qualcuno ci sbirciasse sarebbe in grado di cogliere perfettamente la mia personalità, i miei desideri o le mie paure. Il contenuto spazia tra pensieri, riflessioni ma anche cose più materiali che tante volte sono le più semplici: biglietti scritti a mano, la cartina dei miei cioccolatini preferiti, biglietti del cinema, fiori seccati, i braccialetti luminosi di qualche festa… insomma c’è davvero tanto. Riempire queste pagine è un’esperienza che mi fa tornare un po’ bambina, infatti il titolo di questo quaderno è proprio il soprannome che ho sin da quando sono piccina. Ogni tanto mi capita di sfogliarlo e, passando attraverso le diverse fasi della mia vita, proprio come dice la citazione, mi fa sentire fortunata e grata di averle potute vivere”. (A. classe quinta).
“La gemma di quest’anno è la mia estate. È stata una delle migliori estati fino ad ora, soprattutto per quanto riguarda la crescita personale e la responsabilità. Ho lavorato tutta l’estate e continuo tutt’ora a fare la cameriera. Sentivo il bisogno e la curiosità di sapere cosa si prova a lavorare e a sentirmi più indipendente finanziariamente. Ora posso essere libera di spendere i soldi come mi pare senza sentirmi in colpa per chiederne troppi ai miei genitori. Inoltre ho imparato a relazionarmi con i clienti e a stare dietro alle loro esigenze (non tutti sono cortesi), e con i colleghi di lavoro. Allo stesso tempo, nonostante lavorassi molto, sono riuscita spesso ad uscire con i miei amici, a divertirmi e a fare nuove esperienze con loro. Ho cercato di organizzare il tempo al meglio. Dopo quest’estate ho capito che sto veramente crescendo e che sto entrando nel mondo adulto, cosa che un po’ mi spaventa ma prima o poi doveva succedere” (G. classe quinta).
“Quest’anno ho portato come gemma delle foto con i miei nonni. Nella prima foto ci sono io da piccola assieme ai miei nonni durante la festa di un mio compleanno che appunto ero solita festeggiare a casa mia nel mio giardino insieme ai parenti più stretti. La seconda invece è una foto del Natale appena passato. Ho deciso di parlare di loro perché hanno ricoperto un ruolo importante nella mia vita. Sono stati il mio papà e la mia mamma, tutto ciò che so l’ho imparato da loro da piccolissima. Ogni volta che vado a trovarli mi vengono in mente tutti i ricordi: quando ero piccola ogni giorno andavo a casa loro che abitano in un paesino piccolissimo, di 4 case, classico paese di contadini. Mi ricordo le passeggiate nei campi con mio nonno, mi raccoglieva le pannocchie e mi diceva “ninine fâs viodi a tô none” e per me era come oro; raccoglievamo i pomodori ciliegina, ci sedevamo per terra in mezzo al campo e li mangiavamo tutti. Grazie a mia nonna ho imparato molte cose. Mi ha insegnato a fare il tiramisù e tuttora “nonna, tu âs fat il tiramisù?” Ogni volta che vado da loro. Ricordo quando lei doveva lavare i vestiti a mano e io la aiutavo lavando i fazzoletti in panno di mio nonno. Ogni settimana mi comprava i gessetti per disegnare sul marciapiede del giardino e giocare a campana con il nonno. Loro hanno i polli e i conigli e ho sempre amato aiutare mia nonna a dar da mangiare e prenderli in braccio. Mi ricordo quando andavamo tutti assieme in bici, perché loro non hanno la patente, nel paese vicino a fare la spesa. I pomeriggi assieme a mio nonno sulle altalene del parchetto”. (I. classe quinta).
“Come gemma quest’anno ho deciso di portare questa foto di me ed una mia amica d’infanzia. In generale mi piace tantissimo riguardare le vecchie foto e i video per rivivere tutti i ricordi passati. Penso che questa foto sia una delle migliori che abbiamo insieme ed è per questo che ci sono molto affezionata. Ogni volta che penso alla mia infanzia mi viene in mente lei, dato che passavamo quasi tutti i giorni insieme a giocare e la consideravo quasi come una sorella. Nonostante oggi non ci vediamo più come una volta perché andiamo in scuole diverse, il nostro rapporto non è mai cambiato. Ogni volta che ci vediamo è come se tornassimo indietro nel tempo. Sono molto felice del fatto che siamo ancora amiche dopo così tanti anni e spero che lo saremo anche in futuro” (S. classe quarta).
“Come gemma ho deciso di portare questa scatola. La riempio da quando sono molto piccola con oggetti significativi per me. Si possono vedere delle collanine, un fazzoletto, una “carta d’identità” e altre cose che non ricordo perché avessi buttato qua dentro. La cosa che mi piace di questa scatola è che niente di quello che c’è dentro viene rimosso. Anche se la mia vita continua a cambiare, questa scatola viene sempre e solo riempita e mai svuotata. Specialmente un taccuino di pelle mi fa ricordare i tempi della mia infanzia: regalatomi da una mia amica con cui ora non ho più contatti, continua ad essere un ricordo della nostra bella amicizia” (A. classe terza).
“Bikky, questo è il nome con cui affettuosamente mi chiama mio papà da quando sono nata nel 2005 con il nome di M., nome importante e ricco di storia. Il mio nome era anche quello della mia bisnonna M., chiamata così da tutti perché, povera, non aveva portato la vittoria di Caporetto tanto sperata dal suo papà. Io invece credo di aver portato un po’ più di fortuna: una figlia femmina dopo due maschi. Della mia bisnonna io non so nulla ma l’unica cosa che ho di lei sono i suoi occhi e i suoi lineamenti che io e mamma condividiamo. Pensando a questo, ultimamente sono giunta alla conclusione che dentro ognuno di noi si uniscono tutte le storie e ricordi di vite passate e anche di facce che ci rendono quelli che siamo. Trovo veramente speciale guardare i miei genitori e fratelli e vedere in loro qualcosa che ci accomuna nonostante le differenze, e che ci lega l’un l’altro e con chi c’era prima di noi. Un nome, una somiglianza, un tratto comune. Fa tenerezza vedere dentro di sé una parte di loro. Di mia mamma ho i lineamenti e i capelli, di mio papà il carattere e il sorriso (anche i denti storti), dei miei fratelli ho gli insegnamenti, i ricordi e le cicatrici che mi hanno procurato giocando e soprattutto quel tipo di amore che solo i fratelli più grandi sanno dare e che farà sempre parte di me… e della mia bisnonna beh un nome che spero mi porti fortuna e vittoria nella vita” (M. classe quinta).
“Quest’anno come Gemma ho deciso di portare G., o come la conoscono tutti i miei amici e la mia famiglia, Nonna G. La nonna è sempre stata nel cuore di tutte le persone che l’hanno conosciuta. Da quando sono nata, dati i turni più vari e improbabili dei miei genitori, lei mi ha fatto da seconda mamma: dormivo da lei nel suo letto perché il nonno se n’è andato poco dopo la mia nascita , mangiavo da lei, andavo lì dopo scuola… Di solito durante il periodo dell’asilo mi svegliavo alle 7 e il papà mi portava a casa sua per fare colazione mentre mi faceva le trecce ogni mattina. A 12 anni ho litigato con i miei genitori perché, nonostante casa sua non fosse così moderna, volevo a tutti i costi comprarla una volta cresciuta e abitarci. Con lei ho passato anni a colorare rigorosamente dentro ai bordi, a guardare la tv, a cercare di fare esercizi di matematica che lei purtroppo con la quinta elementare sapeva risolvere ancora meno di me che già non ci capivo niente. E nonostante questo mi è stata sempre vicino. Ho avuto la fortuna di aver avuto una nonna che abitava vicino a tutte le scuole che ho frequentato prima di scoprire Udine. Infatti, al contrario dei ragazzi del mio paese chiusi nella stessa dimensione, io mi sentivo speciale, anche se un po’ esclusa da loro, ad avere una doppia vita perché il pomeriggio ero fuori con i miei amici a P. e infatti le persone importanti sono diventati loro. Ho avuto la fortuna di aver avuto una nonna che dentro è sempre stata una bambina, che faceva il contrario di quello che le dicevano i miei per vedermi felice, come comprarmi gli ovetti kinder: è stata la persona con cui bisognava mantenere i primi segreti infatti, con cui si mangiava di tutto, ci si riempiva di gelato senza che la mamma lo venisse a sapere. E se lo veniva a sapere si sghignazzava comunque sotto i baffi. Lei mi ha insegnato non tutto, ma buona parte, come ci si arrangia, come vedo la nonna ideale, come si raccontano battute in friulano che non sono divertenti ma che fanno ridere per la loro banalità, come reagire ai primi atti di bullismo nei miei confronti. A 5 anni mi aveva già reso una discreta giocatrice di scala quaranta. Ora la vedo quasi ogni giorno ma sono cambiate delle cose: io non ho la scusa per andare da lei, anzi spesso mi è logicamente scomodo, lei in 17 anni è invecchiata e ci sente la metà, il che diminuisce la comunicazione e certe volte la pazienza. Cerco di andare a pranzo una volta a settimana ma è complicato. Eppure la nonna è sempre lì che mi aspetta con un sorrisone, a braccia sempre aperte con il gelato, gli ovetti e le carte in mano, mentre io maledico il tempo che è passato troppo in fretta e vorrei starle vicino più che mai”. (E. classe quarta)
“Come gemma quest’anno ho deciso di portare questa foto, che nella sua semplicità racchiude gran parte della mia estate. Guardarla infatti mi porta un senso di nostalgia ricordando la calma, la tranquillità e il divertimento che queste giornate ormai passate hanno portato. Dall’altro lato però mi ricorda di come sia e di come farà sempre parte dei miei ricordi piacevoli quando la mia mente tornerà a pensarci. E mi farà sempre tener presente come alla fine di tutte le “fatiche” c’è sempre la calma, in questo caso rappresenta dall’estate” (P. classe quarta).
“Qualche giorno fa ho ritrovato questa piccola macchina fotografica appartenente a mia madre e ho riscoperto l’esistenza di tantissime foto della mia infanzia. Ho dedicato del tempo a me stessa per osservare tutte le fotografie e rivivere tutti i ricordi racchiusi nelle stesse. Avere la possibilità di riprendere in mano queste immagini mi ha suscitato un’emozione particolare che mi ha fatto riflettere sul valore dei ricordi. Io riconosco di essere una persona molto legata al passato, perché durante tutta la mia vita ho vissuto dei momenti bellissimi che mi hanno lasciato delle memorie indimenticabili. Tuttavia, non so se definire il mio atteggiamento un pregio o un difetto, dal momento che io sono così strettamente legata ai miei ricordi che mi sembra di vivere continuamente una condizione di permanente malinconia, consapevole del fatto che tendo spesso a rivivere il passato e a dimenticarmi di ciò che mi circonda nel presente. Io penso che ricordare sia quel valore umano che consente di legare tutte le fasi della propria vita, di rivivere gli stessi momenti con le stesse emozioni, e riconosco la mia paura del tempo, una forza irrefrenabile, che determina l’avanzare del presente e un abbandono del passato. Ed è proprio questa la mia preoccupazione, ovvero il dimenticare i momenti speciali e le memorie più belle, determinato da un proseguire del tempo al quale io non riesco a stare dietro. Proprio per questo motivo, mi prendo del tempo per dedicarmi a dare importanza ai miei ricordi, che sono una parte essenziale di me e che mi danno un senso di sicurezza, perché so di poterli rivivere attraverso la memoria. Dalle foto che ho velocemente guardato, sono emerse alcune che mi hanno consolato del fatto che io stessa, in questo momento, mi sento serena e in un certo senso anche soddisfatta nei confronti della mia vita. In particolare, mi hanno colpito principalmente delle foto raffiguranti me e la mia famiglia, che mi hanno fatto realizzare il valore della stessa e una foto che mi ritrae con una farfalla posata sulla mia mano. Quest’ultima, nel suo complesso, risulta essenzialmente semplice, ma, per me, racchiude la mia personalità, e, in un certo senso, mi lascia un senso di sicurezza, perché so che dentro di me lei è ancora chiaramente presente”. (C. classe quarta)