Musica e Dio/2

Chi prende l’Inter?

Dove mi porti?

E poi soprattutto perché?

Ligabue accusa Dio: non risponde! O, quantomeno, lui non riesce a sentirlo. Sente di avere qualcosa in cui credere ma non riesce a ricordare cosa esso sia. Si sente solo come solo, in fondo si deve sentire Dio.

E allora, per lo meno, vorrebbe sapere se il viaggio (= la vita) sia unico. Cosa c’è dall’altra parte?

Sono i perché esistenziali dell’uomo…

HAI UN MOMENTO DIO 

http://delmo.myblog.it/media/02/02/0dde190edb4e010a56277918932be21b.mp3

C’è un po’ di traffico nell’anima

Non ho capito che or’è

E c’ho il frigo vuoto

Ma voglio parlare perciò paghi te

Che tu sia un angelo od un diavolo

Ho tre domande per te

Chi prende l’Inter

Dove mi porti

E poi dì soprattutto perché

Forse la vita capisce

Chi è più pratico

Hai un momento Dio

Non perché sono qua

Insomma ci sarei anch’io

Hai un momento Dio

O te o chi per te

Avete un attimo per me

Li pago tutti io i miei debiti

Se rompo pago per tre

Quanto mi costa una risposta da te

Dì su! Quant’è

Ma tu sei lì

Per non rispondere

E indossi un gran bel gilet

E non bevi niente

O io non ti sento com’è perché

Perché

Ho qualche cosa in cui credere perché

Non riesco mica a ricordare che cos’è

Hai un momento Dio

non perché sono qua

se vieni sotto offro io

hai un momento Dio

lo so che fila c’è

ma tu hai un attimo per me

nel mio stomaco son sempre solo

nel tuo stomaco sei sempre solo

ciò che sento

ciò che senti

non lo sapranno mai

almeno dì se il viaggio è unico

e se c’e il sole di là

se stai ridendo

io non mi offendo però perché

perché

nemmeno una risposta ai miei perché

perché

non mi fai fare almeno un giro

col tuo bel gilet

hai un momento Dio

non perché sono qua

insomma ci sarei anch’io

hai un momento Dio

o te o chi per te

avete un attimo per me

ueh ueh ueh ueh

ueh ueh ueh ueh

Musica e Dio/1

Dice Antonello Venditti:

Sono comunista, ma ciò non toglie che sia anche profondamente cattolico. Credo fermamente che alla base della nostra vita ci sia il Cristo e la Croce. Questi due mondi possono coesistere e compenetrarsi l’un l’altro. Per me è così…  Vorrei che tutti fossimo accomunati nel nome di Cristo… Un tema che mi sta a cuore è la solidarietà, ma credo anche che la solidarietà con le canzoni sia un terribile inganno. Nessuna azione è vera se non è sorretta dallo spirito di carità. La solidarietà è vera solo se ha un contenuto spirituale. L’impegno più vero è quello personale e non andrebbe mai reso pubblico”

DIMMI CHE CREDI 
http://delmo.myblog.it/media/02/00/3ebbe942da2014d5b749387078e8cee3.mp3

“Se tu ragazzo cercherai nella stagione dei tuoi guai

un po’ d’amore un po’ d’affetto,
e nella notte griderai, in fondo al buio troverai
solo il cuscino del tuo letto,
non devi piangere, non devi credere
che questa vita non sia bella,
per ogni anima, per ogni lacrima,
nel cielo nasce un’altra stella.
Molti si bucano, altri si estasiano,
e non troviamo mai giustizia,
e non si parlano, e poi si perdono,
perché non amano abbastanza.
Tu non ti arrendere, non ti confondere,
apri il tuo cuore all’universo,
che questo mondo, sai, bisogna prenderlo
solo così sarà diverso.
Dimmi che credi, dimmi che credi,
come ci credo io,
in questa vita, in questo cielo,
come ci credo io.
Il tuo sorriso tra la gente
passerà forse indifferente,
ma non ti sentirai più solo,
sei diventato un uomo.
 

E nella notte cercherai, nella stagione dei tuoi guai,
un po’ d’amore, un po’ d’affetto,
e disperato griderai, e in fondo al buio stringerai
solo il cuscino del tuo letto,
non devi piangere, non devi credere
che questa vita non sia bella,
Per ogni lacrima, per ogni anima,
nel cielo nasce un’altra stella.
Dimmi che credi, dimmi che credi,
come ci credo io,
in questa vita, in questo mondo,
come ci credo io.
Tu non ti arrendere, non ti confondere,
apri il tuo cuore all’universo,
che questo mondo, sai, bisogna prenderlo
solo così sarai diverso.
Non devi piangere, non devi credere
che questa vita non sia bella,
per ogni anima, per ogni lacrima,
nel cielo nasce un’altra stella.
Che sia. Che sia.”

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Visto la scarsa partecipazione alle categorie divise per classi ho deciso di eliminarle… restano le categorie normali. Eventualmente più avanti proverò a suddividerle meglio. Mandi

Essere donna in Afghanistan

Da www.corriere.it

La prigione delle ragazze afghane: schiave, spose forzate, suicide

Il governo di Kabul ammette: «Le figlie restano proprietà delle tribù»

HERAT—Sorride dolce Leilah, l’assassina. Arrossisce Fatemeh, l’adultera. Si nasconde Guldestan che in un paio di settimane ha perso tutto: papà, mamma, tre sorelle, l’intera rete familiare, probabilmente il futuro. Ha visto il padre uccidere la madre perché sospettava che sotto il burqa covasse il tradimento; ha visto lo zio uccidere il padre per vendicare l’onore della sorella; lei stessa è diventata assassina sparando a quello stesso zio che aveva adottato lei e le sorelle. L’uomo dormiva dopo averla stuprata. Guldestan è in prigione, le sorelline, dai 3 agli 11 anni, in orfanotrofio.

La maggior parte delle detenute del carcere minorile di Herat non sono arrivate a tanto. Sono colpevoli di aver disobbedito alla legge tribale e alla tradizione. Ragazze in fuga da matrimoni forzati con uomini che non avevano mai visto, più o meno vecchi, danarosi o poligami, comunque decisi a portarsi a casa manodopera gratuita e compagnia notturna. Sono ragazze pagate al padre-padrone 5-6 mila dollari oppure tre tappeti, otto capre e due paia di scarpe, come nel caso di Sarah. Ragazze che a 13-14 anni si sono trovate una mattina il mullah in casa che chiedeva loro se volevano fidanzarsi, il padre che le minacciava e l’aspirante sposo che le blandiva con un vestito nuovo in mano. «La famiglia prepara tutto in segreto—racconta Chiara Ciminello, cooperante per l’Ong italiana Intersos — e senza capire quel che succede le bambine si ritrovano fidanzate. A quel punto dire “no” diventa reato».

Se l’adulterio viene consumato, in teoria, la condanna è ancora la lapidazione prevista dalla Sharia, ma il governo di Kabul ha imposto una moratoria. Gli ospedali funzionano abbastanza da verificare la verginità e, se non c’è stato tradimento, la condanna per la ribellione di una minorenne varia da 3 mesi a un anno di carcere. Il peggio viene dopo. Le famiglie non vogliono riaccogliere chi, con la disobbedienza, ha portato il disonore. La Ong inglese World Child lavora a Herat per aiutare proprio il reinserimento delle reprobe. Ma il problema è enorme. Lo stigma della rivolta mette queste ragazze ai margini della società. Chi non ha una rete familiare attorno non può lavorare, affittare casa, vivere sola. L’esito della ribellione per amore o libertà diventa così la prostituzione.

Meglio morire. Lo pensano in tante. Così a Kabul le fidanzate a sorpresa o le giovani spose si danno fuoco al ritmo di due-tre a settimana. In tutto l’Afghanistan si calcola che le suicide siano minimo una al giorno. Herat, forse la provincia più sviluppata del Paese, non fa eccezione. Nel 2006, una (rara) Commissione governativa ha contato una media di 7 torce umane al mese. «Il nodo è che le figlie sono considerate una proprietà. Prima dalla famiglia del padre poi da quella del marito — spiega ancora Ciminello —. A Herat la situazione è particolare a causa della vicinanza all’Iran. Mentre tra i sunniti, soprattutto se pashtun, le cifre sono importanti, tra gli sciiti di influenza iraniana l’uso di pagare la moglie è quasi simbolico. A volte lo sposo firma una sorta di caparra, la shirbaha, per cui in caso di divorzio si impegna a risarcire la donna con una buona uscita che le permetta di tirare avanti. Ma quel che manca in entrambi i gruppi è il rispetto della volontà delle ragazze».

Andrea Nicastro

07 febbraio 2009

La scuola oggi

Prendo questo interessante pezzo da www.ilsussidiario.net

Pubblichiamo il giudizio espresso dallo studente di un liceo romano in merito alla situazione educativa attuale nel nostro Paese. In queste righe si svela la sorprendente maturità di un alunno a confronto con la logica “protettiva” che riduce la classe docente a fornire informazione senza più educare

Anno 2009, qual è la missione della scuola italiana? Quali gli obiettivi da perseguire se ancora ce n’è rimasto qualcuno?

Partiamo dal mio punto di vista, quello di studente. Dunque, sono convinto che la scuola debba essere protagonista nella vita dell’adolescente, nel sapergli lasciare non solo una quantità più o meno cospicua di informazioni, ma soprattutto delle risposte, dei valori, delle certezze che siano utili e veri per il ragazzo una volta uscito dall’istituto e immesso nel fiume della vita, perché egli possa relazionarsi con il lavoro, con gli amici e con tutte le sfide che la quotidianità gli proporrà.

Tuttavia, come spesso accade, se guardiamo la teoria rischiamo di evadere dalla realtà, e questo perché da noi le cose non vanno esattamente così: la scuola si configura, nel migliore dei casi, sempre più come semplice veicolo di informazioni e conoscenze, uno sterile strumento che spesso non riesce nemmeno a fornire un’adeguata preparazione. Male, a maggior ragione oggi, quando l’istituzione scuola dovrebbe rispondere allo studente, alle sue incertezze, al suo desiderio di vivere visto che il compito di porlo davanti alla realtà è indubbiamente della famiglia e degli educatori, chiamati a svolgere una compito davvero importante e unico nella società.

Tuttavia oggi educare è forse la missione più ardua, i governanti fanno orecchie da mercante e non ascoltano l’eco di un’emergenza educativa sempre più grave, il relativismo diventa l’unico principio appreso a scuola: tutto è vero, tutto non è vero, ognuno la pensa come vuole, secondo il suo punto di vista… ma, è sempre vero tutto ciò?

Senza dubbio ognuno deve maturare liberamente un proprio senso critico e delle convinzioni ma il dialogo può iniziare solamente se alla base vi sono dei fattori comuni, valori forti e concreti che, almeno loro, non siano in balia di relativismo e compagnia bella.

Qualcuno potrebbe asserire che dare risposte vorrebbe dire che i professori “impongano” il loro credo, le loro idee, il loro pensiero. No, non è così, non si tratta infatti di plagiare o plasmare nuovi ragazzi, si tratta invece di testimoniare loro ciò che di bello e di vero ha incontrato nella propria esperienza l’insegnante, si tratta di proporre loro ciò che per lui è davvero importante, si tratta di volere il loro bene.

Perché educare vuol dire accompagnare i ragazzi, aprire loro gli occhi, dar loro risposte, saperli ascoltare ma anche far sì che essi diventino uomini in tutto e per tutto, ma questa serie di “miracoli” non si può realizzare se alla base del rapporto non vi è l’amore e l’interesse per l’altro, perché educare è amare. Più semplice di così.

Quand’è che un governo si sveglierà e si impegnerà realmente per sostenere i nostri educatori, perché una società senza educazione è instabile e precaria, senza un futuro certo, perché da quelle essenziali acquisizioni nasce un popolo consapevole e maturo, esattamente il contrario della nostra classe dirigente odierna!

(Marco Fattorini)