Il post precedente parlava di nuove immigrazioni e allora per fare un po’ di contrappeso pensando al passato e per ascoltare un po’ di musica ho pensato a un pezzo del mitico Bruce. La canzone è American Land ed è stata proposta dal vivo la prima volta nel 2006. Viene raccontato il mito della terra promessa americana, la terra dove ogni sogno è possible: là fantastica di recarsi un uomo che dialoga con la moglie. Lei lo raggiungerà per costruire la loro casa in questo paese delle favole descritto nel ritornello. Ma la realtà a cui va incontro l’uomo è ben diversa: sbarca nella baia di New York dove arriva anche la moglie e insieme alla quale costruisce la città e la casa, col proprio sudore e le proprie mani. Sono gli immigrati ad aver costruito gli Stati Uniti: i McNicholas, i Posalski, gli Smith, gli Zirilli (il nome della famiglia della madre di Bruce), i negri, gli irlandesi, gli italiani, i tedeschi e gli ebrei, i portoricani, i clandestini, gli asiatici, gli arabi. E il loro sforzo è arrivato spesso al sacrificio della vita. Dura è l’accusa finale di Bruce Springsteen al suo paese, un’accusa che giunge fino ai giorni d’oggi: “Sono morte per arrivare fin qui cento anni fa e ancora muoiono, le braccia che hanno costruito il Paese che ha sempre cercato di opprimerle.” Il testo rimanda soprattutto per le prime due strofe alla poesia “He lies in the American land” di Andrew Kovaly. Kovaly era un minatore slovacco che aveva così raccontato la storia di un conterraneo che, poco dopo aver spedito a moglie e figli il denaro necessario a raggiungerlo, muore in una miniera.
Eccola qua:
What is this land of America, so many travel there
I’m going now while I’m still young, my darling meet me there
Wish me luck my lovely, I’ll send for you when I can
And we’ll make our home in the American land
Over there all the woman wear silk and satin to their knees
And children dear, the sweets, I hear, are growing on the trees
Gold comes rushing out the river straight into your hands
If you make your home in the American land
There’s diamonds in the sidewalks, there’s gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There’s treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American land
I docked at Ellis Island in a city of light and spire
I wandered to the valley of red-hot steel and fire
We made the steel that built the cities with the sweat of our two hands
And I made my home in the American land
Chorus
The McNicholas, the Posalski’s, the Smiths, Zerillis too
The Blacks, the Irish, the Italians, the Germans and the Jews
The Puerto Ricans, illegals, the Asians, Arabs miles from home
Come across the water with a fire down below
They died building the railroads, worked to bones and skin
They died in the fields and factories, names scattered in the wind
They died to get here a hundred years ago, they’re dyin’ now
The hands that built the country we’re all trying to keep down
Chorus
Ed eccone la traduzione (Bruce Springsteen Come un killer sotto il sole, Colombati, pag.135)
Cos’è questa terra chiamata America dove in tanti stanno andando?
Ci andrò ora che sono giovane; là mi raggiungerai, mia cara:
augurami buona fortuna, amore mio, ti manderò a prendere quando potrò
e costruiremo la nostra casa in terra americana.
Le donne, laggiù, vestono di seta e raso da capo a piedi,
i bambini, cara, e i dolci, ho sentito, crescono sugli alberi
e l’oro sgorga dai fiumi dritto nelle tue mani
se costruisci la tua casa in terra americana.
Ci sono diamanti sui marciapiedi, ci sono rigagnoli dritti come fusi
e, cara, ho sentito che la birra sgorga dai rubinetti tutta la notte
e che ci sono tesori a portata di mano per chiunque lavori sodo
e costruisca la propria casa in terra americana.
Sono sbarcato a Ellis Island in una città di guglie e luce
e ho riabbracciato il mio amore li nella valle di acciaio incandescente;
col nostro sudore e le nostre mani abbiamo fatto l’acciaio per erigere le città
e abbiamo costruito la nostra casa in terra americana.
Rit.
I McNicholas, i Posalski, gli Smith e anche gli Zirilli,
i negri, gli irlandesi, gli italiani, i tedeschi e gli ebrei
i portoricani, i clandestini, gli asiatici, gli arabi lontani miglia da casa
hanno attraversato l’oceano col fuoco nel cuore
(hanno attraversato l’oceano, mille miglia da casa,
con le pance vuote ma col fuoco nel cuore: così nel booklet).
Sono morti costruendo le ferrovie, hanno lavorato fino a ridursi pelle e ossa,
sono morti nei campi e nelle fabbriche – i loro nomi dispersi nel vento.
Sono morte per arrivare fin qui cento anni fa e ancora muoiono,
le braccia che hanno costruito il Paese che ha sempre cercato di opprimerle.
Rit.

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