Prendo dal sito di Ferdinando Camon la sua riflessione su quanto successo all’isola del Giglio.
“Cosa dice il comandante della Costa Concordia in segreto, come se parlasse a se stesso, quando il disastro è ormai chiaro, la nave è squarciata e imbarca acqua, ogni pericolo si fa reale, morti, dispersi, affondamento, inquinamento, che cosa dice? Solo, in disparte, col cellulare in mano, sta parlando con un amico lontano, e uno dell’equipaggio lo sente mormorare: “Stavolta perdo tutto, la mia carriera finisce qui”. Cosa vuol dire “tutto”? Il comando. Questa è una tragedia causata dall’“ebbrezza del comando”. Un comando assoluto, com’è quello di un capitano sulla nave. Un comando al quale si può sottrarsi col più traumatico e pericoloso dei modi: l’ammutinamento. È per mostrare il comando, l’ebbrezza del potere, che il capitano ha guidato la nave fin sopra gli scogli. Fino a 900 metri dalla costa la nave fu guidata dagli strumenti, a 900 metri il capitano afferrò il timone (che qui è un joystick) dicendo: “Adesso comando io”. E puntò verso la riva. La distanza dalla riva quand’è avvenuto l’urto sulla punta aguzza dello scoglio è stata misurata ieri: si tratta di 92-96 metri. Una sfida mortale. Un record. Il comandante voleva firmare questo record. In una di quelle case doveva esserci (ma in quel momento non c’era) un altro comandante come lui, che era stato il suo precedente comandante, su una nave sorella di questa. Era una specie di “visita a domicilio”. Uno dei piaceri che dà il potere è questo: poterlo mostrare. L’esibizionismo. Tra potente e potente si crea un legame di clan, fatto di omaggi. Chi seleziona i candidati al comando è questo che dovrebbe esaminare: se il candidato pecca di questo peccato, il vanto del potere. Se ha questo peccato, è pericoloso per coloro su cui ha potere. A un certo punto qui s’impose la scelta: conservare l’orgoglio e lasciar perdere tutto, o umiliarsi e salvare le vite altrui. Il comandante fece la prima scelta. Per 40 minuti mentì a tutti, dichiarando che non c’erano pericoli. Se avesse ammesso l’errore e il dramma, e dato l’ordine di evacuazione, i marinai dicono che si sarebbero potuti salvare tutti, perché si sarebbero calate le scialuppe da ambedue le murate, ancora dritte. Ma quanto più alto è l’esibizionismo del potere, tanto più difficile è piegarsi all’umiliazione, ammettere l’errore, contraddirsi. Qui il capitano non lo fece mai. L’equipaggio ha una doppia obbedienza: una al comandante e l’altra alla nave e a chi c’è dentro. La seconda obbedienza sta al di sopra della prima. Un gruppo di ufficiali in seconda decise l’evacuazione 13 minuti prima che la decidesse il capitano. Quando un comandante sbaglia palesemente e gravemente, qualunque soldato può disobbedirgli. Nei film vediamo comandanti ubriachi rivelare ordini segreti nell’imminenza di un’operazione, e la ronda arrestarli. La ronda è composta di soldati semplici. Sulla “Concordia”, il gruppetto di ufficiali in seconda che prese decisioni in contrasto col comandante superiore, tecnicamente commise un ammutinamento. Ma poteva e doveva farlo. Visto che il comandante aveva abbandonato il posto di comando, e si era messo in salvo su una scialuppa, la Capitaneria di porto lo degradò, impartendogli ordini: “Torni sulla nave”. Il comandante non obbedì, preferì tenersi in salvo. Anche questo è un ammutinamento. Questo naufragio del Giglio è segnato da due ammutinamenti. Ma tra i due ammutinamenti c’è una differenza: quello degli ufficiali in seconda fu commesso per eroismo e altruismo, quello del comandante per viltà. A qualcuno son tornati in mente altri naufragi, come il Titanic e l’Andrea Doria. Ma non c’è paragone possibile. L’iceberg che squarciò il Titanic non era certo segnato sulle carte, e il comandante dell’Andrea Doria rimase sul ponte di comando anche dopo che tutti avevan lasciato la nave. I suoi ufficiali dovettero tornare indietro e portarlo via con la forza.”

