Proprio in questi giorni mi è passata per le mani e poi addosso una maglietta regalatami da una 5DL di qualche anno fa con la scritta: “Prof… pausetta?”. Sì, pausetta. Anche per il blog… Come ogni anno mi prendo una pausa salutare, anche se idee e progetti per il prossimo anno si stanno già formando… A presto!
In tanti espulsi con Claudio
In questi anni ho scritto alcune volte sul Burundi e sull’attività di Padre Claudio Marano. L’avventura sembra giunta al capolinea, certo non per suo volere. Ammetto che, penso un po’ come tutte le persone che in questi anni si son date da fare per aiutare i ragazzi del centro, mi sento espulso anche io… L’articolo è preso dal Messaggero Veneto, autrice Monica Del Mondo, my sister:
“Padre Claudio Marano ha lasciato il Burundi, probabilmente per sempre. Il sacerdote saveriano è stato “invitato” ad andarsene dal Centro giovani Kamenge, da lui fondato nel 1990 per proporre ai ragazzi la via della pace e della convivenza.
Padre Claudio è un uomo di chiesa e di pace. È l’uomo al quale, nel 2002, è stato assegnato a Stoccolma il premio Nobel alternativo per i suoi meriti umanitari. Con la morte nel cuore, ha fatto la valigia ed è rientrato in Italia. Ma di fatto è stato estromesso. Difficile capire da chi e perché.
Sulla carta i Saveriani hanno ceduto il Centro alla Diocesi di Bujumbura (capitale dello stato burundese) e questa ha deciso di mettere altre persone alla guida della struttura. In realtà le motivazioni possono essere più complesse, a cominciare da una non condivisione (anche negli ambienti cattolici) dello stile “impegnato nel sociale” di padre Claudio Marano, per proseguire con i problemi economici del Centro e con la considerazione di quanto scomodo possa essere un luogo in cui si parla di pace alla periferia della capitale di un Paese dilaniato dai conflitti etnici, dalla corruzione e dalle divisioni, dove mantenere il potere significa far leva proprio su queste miserie e contraddizioni.
Padre Claudio non esita a parlare di un’“espulsione”. Non la prima della sua vita, ma la più dolorosa. «Un’espulsione è un fatto terribile: all’improvviso – racconta padre Claudio – tu non sei più quello di prima, il ruolo che avevi cambia, i progetti intrapresi vengono stoppati. È molto pesante».
Classe 1951, il sacerdote è nato a Melarolo, piccola frazione di Trivignano Udinese. Dopo l’ordinazione e un anno in Francia, nel 1980 è andato per la prima volta in Burundi dov’è rimasto per 5 anni fino a quando i missionari furono cacciati dalla dittatura militare. Lavorò fino al 1990 per la stampa missionaria e poi ritornò in Burundi per intraprende l’avventura del Centro giovani.
Tutto ha inizio da un campo di due ettari, coltivato a fagioli e mais. Lì si comincia a costruire un Centro dove i giovani, tutti, gli Hutu e i Tutsi, quelli di un quartiere e quelli dell’altro, i musulmani con cristiani e protestanti, possano divertirsi assieme, frequentarsi, conoscersi.
«Il nostro scopo – spiega padre Claudio – era creare un ambiente attraente, con strutture, spazi, attrezzature dove i giovani potessero vivere assieme e imparare la fraternità». Utilizzando i linguaggi più diversi, dallo sport al film, dal teatro alla musica, nel Centro Kamenge si parla della pace ma, soprattutto, si propone la vita in pace.
Non è facile, perché fuori si spara e le case vengono distrutte. Non è facile per un ragazzo di un’etnia parlare con un giovane di un’altra etnia, sapendo che fuori i suoi familiari sono stati ammazzati. Non è facile vincere odi e paure.
Non è facile giocare a calcio con un arbitro che grida “tutti a terra” quando si sentono fischiare le pallottole. In 25 anni si sono iscritti al Centro 44.550 giovani. Sono in duemila a frequentarlo ogni giorno, giovani dai 16 ai 30 anni.
«Abbiamo lavorato sulle differenze – precisa padre Claudio –, coinvolto i rappresentanti delle varie religioni e i diversi quartieri con i loro club e le loro associazioni. Abbiamo cercato di aprire il Centro al mondo esterno».
Per un periodo il Centre Kamenge ospitò anche un ospedale da campo. Per mandare avanti il Centro sono impegnati 60 stipendiati e 70 volontari. Le spese sono tante.
«Occorrono circa 450 mila euro l’anno – specifica padre Claudio Marano –, cifra che per metà viene coperta dalle donazioni da organizzazioni umanitarie, ecclesiastiche o private. Altri fondi arrivano dalle persone che si danno da fare per organizzare iniziative e raccogliere denaro. Ma ci siamo anche indebitati, per promesse di denaro non mantenute. Non è una situazione semplice per una realtà che da un lato viene mostrata come esempio di convivenza quando c’è il delegato di turno dall’estero e dall’altro ha nemici ovunque».
Non è forse un caso che, mesi fa, padre Claudio sia incappato nell’accusa di essere coinvolto nell’omicidio delle tre suore italiane in Burundi. «Mi avevano solo visto entrare in un bar e parlare con una persona», ricorda.
Sono in tanti, anche dal Friuli, ad aver inviato aiuti a padre Claudio e tanti i risultati ottenuti, riconosciuti a livello internazionale.
«Quando vedi un ragazzo finire la sua partita a basket, togliersi le scarpe per far giocare un altro ragazzo e quel ragazzo non è della sua stessa etnia e neppure del suo quartiere, capisci per cosa stai lavorando. Lo capisci quando vedi i giovani assieme, nei cantieri lavoro estivi, impegnati per costruire la casa di altre persone, distrutta dai conflitti».
Ora è tutto finito. «I Saveriani hanno ceduto il Centro alla Diocesi che lo fa gestire da tre preti. Non mi hanno voluto. Eppure sarei rimasto lì – dice il sacerdote –, anche a pulire i bagni. Hanno già detto che se non riusciranno a proseguire con il Centro, lo trasformeranno in scuola privata. Tanto si sta poco. Le strutture ci sono. E anche belle e appetibili. Ma solo per chi se le potrà permettere».
Padre Claudio ha lasciato là, con i ragazzi, il suo cuore: «Non riesco a vivere bene se non con loro». Ora si prende un periodo di riposo, in attesa di una nuova destinazione decisa dai suoi superiori. E guarda i giovani friulani con occhi velati di tristezza.
«È una disperazione vedere qui i giovani senza speranza. Stare chiusi nelle proprie stanzette con telefonini o pc significa chiudersi alla vita. È nell’incontro con l’altro la vita. Bisogna riscoprire la bellezza del vivere assieme. Altrimenti saremo sempre qui a contare: quanti migranti riusciremo a ospitare, quanti zingari potremo tollerare, quante auto ci stanno nel garage, quante tv nel salotto. Non le cose riempiono la nostra vita, ma le persone», chiude padre Claudio.
Gemme n° 246
“Una foto mia e della famiglia: questa è la gemma. E’ una foto vecchia, eravamo appena tornati da una camminata ed è una delle poche in cui siamo tutti insieme. Tengo molto alla foto e alla famiglia: i genitori ti crescono, ti insegnano tutto, ti proteggono. Ho pensato che la gemma non poteva che essere questa”. Questa la gemma di M. (classe quinta).
Scrive Leo Buscaglia in “Vivere, amare, capirsi”: “Anche il concetto di noi stessi – chi siamo – lo apprendiamo soprattutto nella nostra famiglia. Nessuno insegna mai a essere genitori. All’improvviso vi ritrovate con un bambino vostro, ed è fatta. Potete sentire la responsabilità, ma potete filtrarla esclusivamente attraverso ciò che siete. Ecco perché questa mattina ho detto che la cosa più importante è che diventiate la persona più grande, più ricca d’amore del mondo… perché è questo che darete ai vostri figli… e a tutti coloro che incontrerete”.
Durata
Domani non scriverò sul blog: mattina a scuola, pomeriggio scrutini. A sera mangerò una fetta di torta con la mia famiglia per festeggiare il 41° compleanno. Neppure dopodomani scriverò: festeggerò l’11 giugno 1995. Vent’anni fa è stato quello di Sara quel viso giovane, illuminato dalla luna, che ha guardato come me, quella notte, quella piccola nube d’argento da cui è iniziata la nostra storia. Festeggiamo il tempo, quello passato e quello a venire, festeggiamo la durata, festeggiamo la vita che si dipana e l’amore.
DURATA (di Ghiannis Ritsos)
La notte ci guarda tra il fogliame delle stelle.
Bella notte silenziosa. Verrà una notte
in cui non ci saremo. E anche allora
il granoturco canterà le sue antiche canzoni,
le mietitrici s’innamoreranno accanto ai covoni,
e tra i nostri versi dimenticati
come tra le spighe gialle
un viso giovane, illuminato dalla luna,
guarderà come noi stanotte,
quella piccola nube d’argento
che si piega e appoggia la fronte sulla spalla dell’altura.
(da Esercizi, 1950-1960 – Traduzione di Nicola Crocetti)
Gemme n° 245
“L’anno scorso avevo lasciato le mie solite attività estive con i bambini per passare un periodo in Francia. Quando sono tornata mi sono dedicata a loro soltanto per una settimana col timore di come mi avrebbero accolto. Il disegno che ho portato oggi l’ha fatto una bambina albanese. Questa bimba, senza conoscermi, è venuta da me e mi ha dato questo disegno con animaletti perfetti e precisi. Ha messo il suo nome perché mi ricordassi di lei. La semplicità dei bimbi è bellissima, senza i pensieri e le congetture che noi adulti facciamo. Ad esempio io pensavo che gli altri fossero delusi per la mia lontananza, invece lì mi sono incontrata con la gratuità e la generosità spontanea di questa bambina. La semplicità è la chiave di tutto questo.” Questa la gemma di M. (classe quinta).
Riporto un brano di Paulo Coelho da Maktub: “Se devi piangere, piangi come un bambino. Una volta sei stato un bambino, e una delle prime cose che hai imparato nella vita fu piangere, perché il pianto fa parte della vita. Non dimenticare di essere libero, e che mostrare le tue emozioni non è vergognoso. Urla, singhiozza forte, fai il chiasso che vuoi. Perché così è come piangono bambini, e loro conoscono il modo più veloce per confortare i loro cuori. Hai mai notato come i bambini smettono di piangere? Smettono perché qualcosa li distrae. Qualcosa li chiama alla prossima avventura. I bambini smettono di piangere velocemente. E così sarà per te. Ma solo se riesci a piangere come fanno i bambini.”
Gemme n° 244
“Avevo diverse idee su cosa proporre alla classe come gemma, poi ho scelto la prima. Questa breve sequenza mi ha fatto pensare che le scelte consapevoli nella nostra vita siano solo un piccolo fattore. I fatti che avvengono a caso sono frequenti, e mi piace pensare che siano anche belli, come gli incontri con persone che cambiano la nostra esistenza in meglio”. Così Z. (classe quinta) ha presentato la propria gemma.
Mi viene in mente una delle ultime frasi di Forrest Gump: “Non lo so… se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza… ma io credo, può darsi le due cose, forse le due cose capitano nello stesso momento”. Il richiamo alla sequenza iniziale del film, con la piuma che svolazza di qua e di là, riproposta anche alla fine, mi pare immediato.
Gemme n° 243
“Come gemma volevo portare un libro, poi ho sentito questa storia che mi ha molto colpito. Il fatto che questa ragazza, nonostante le enormi difficoltà in cui è vissuta abbia trovato la felicità mi ha commosso. Per me il messaggio principale è che bisogna sempre lottare per i propri sogni anche se ci sono persone che dicono che non ce la possiamo fare. E anche essere sempre se stessi penso sia importante come messaggio.” Questa è stata la gemma di A. (classe quinta).
Desidero proporre una frase di Albert Camus a commento del mito di Sisifo (condannato per l’eternità a spingere un masso in salita verso la cima della montagna: puntualmente il masso ricade verso il basso e Sisifo deve ricominciare la sua fatica): “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”. Perché ho scelto questa frase? Per un semplice motivo: non sempre i sogni si realizzano, nonostante i nostri molteplici sforzi. Mi piace pensare, però, che la fatica non sia stata vana.
5AL 5BL 5CL 5DL
E’ un titolo che non attira, che non cattura, quello che ho scelto per questo post. Ma chi frequenta il Liceo dove insegno, capisce.
Domani quinta ora, lunedì prima, mercoledì seconda, giovedì terza. Preferirei non arrivassero. Ci sono alcuni momenti nel mio mestiere che non mi piacciono proprio, anzi, che mi fanno male: quell’Arrivederci mormorato l’ultima volta che esco da una quinta e che invece so bene essere un Addio. E’ senz’altro un momento ricco anche di soddisfazioni, di immagini legate ai cinque anni passati insieme, ai cambiamenti, loro e miei. Mi capita spesso di ripensare alle prime lezioni, nel febbraio del 1998 alle scuole medie di Latisana: tutto preparato nei minimi dettagli, al minuto, persino quando fare una battuta… nulla lasciato al caso… tutto sotto controllo e ben poco naturale, col terrore che qualche alunno alzasse la mano per fare una domanda. Ripenso con un sentimento di tenerezza a quel che sono stato. Ma tornando a quelle quattro ore che mi aspettano, e a tutte le altre volte di questi anni, in quell’attimo in cui do le spalle alla classe ed esco, sento la mancanza di un rapporto che si è costruito; e più avanti vanno gli anni, più è forte quel sentimento che diventa immediatamente nostalgia. E’ vero, dico “arrivederci”: ci si vedrà ancora, durante gli esami, dopo gli esami, in giro, su fb… Ma non posso negare di sentire che è anche un addio a quella classe e a quel gruppo; e ciò indipendentemente dal fatto che siano stati uniti o meno tra loro. E’ semplicemente qualcosa che non ci sarà più e che avverto come qualcosa di mio e che trovo difficile spiegare. Vero, bellissimo, stimolante e affascinante vederli crescere e diventare adulti, però la nostalgia resta. Chi saranno nella loro vita? Chi decideranno di essere? Saranno felici? Realizzeranno le loro aspettative? Faccio un respiro profondo e li accarezzo tutti col pensiero: “Arrivederci”.
Gemme n° 242
“Come gemma ho deciso di portare una canzone, “Summertime Sadness” di Lana Del Rey. Nonostante oggettivamente sia una canzone abbastanza triste, soggettivamente è una delle mie canzoni preferite. Nonostante non ami particolarmente Lana Del Rey, questa canzone mi ha colpito profondamente poiché mi ricorda una persona molto importante che è entrata qualche anno fa nella mia vita e mi ha aiutato durante un periodo buio, ovvero la separazione (dolorosa) dei miei genitori. Vedo questa persona pochi giorni all’anno (d’estate) perché abita in un’altra regione ma nonostante questo è più importante di alcune persone che vedo ogni giorno. Questa canzone mi ricorda appunto il periodo estivo e porta con sé una, tutto sommato, dolce nostalgia e malinconia.”
Questa la gemma di J. (classe seconda). Verso la fine della canzone si sentono le parole: “Come alle stelle manca il sole nel cielo del mattino”. Da dove può nascere il desiderio di una luce più grande che oscuri la mia piccola luce? Forse dalla necessità di rischiarare il buio.
Utili collisioni
Pubblico dal sito del Corriere un breve articolo di Paolo Virtuani su un esperimento svolto stamattina al Cern.
“«È un passo storico per la fisica e la tecnologia». Fabiola Gianotti non usa mezzi termini per descrivere quanto avvenuto mercoledì mattina all’acceleratore di particelle Lhc di Ginevra. Dopo il test perfettamente riuscito eseguito nella notte tra il 20 e il 21 maggio con soli due fasci di protoni, il 3 giugno sono avvenute le prime collisioni utilizzando migliaia di fasci di particelle subatomiche all’energia record di 13 teraelettronvolt (13 Tev), ossia 13 mila miliardi di elettronvolt (unità di misura dell’energia utilizzata a livello atomico).
«È stato possibile anche grazie all’importante contributo dell’Italia», ha aggiunto Gianotti, che dal prossimo 1° gennaio assumerà la direzione del Cern. «Si tratta di un passo in avanti senza precedenti, a cui hanno contribuito l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e l’Ansaldo, che ha costruito oltre un terzo dei magneti superconduttori dell’acceleratore». «È un risultato fantastico!», ha detto l’attuale direttore generale del Cern, Rolf Heuer. «Adesso non dobbiamo avere fretta: i risultati non arriveranno domani, né fra una settimana, ma sicuramente arriveranno e saranno straordinari».
Il significato di queste ricerche lo spiega la stessa scienziata italiana: «Le collisioni a questa energia ci permettono di affrontare questioni di fisica fondamentale e diventa possibile trovare risposte a domande aperte, come quella relativa alla natura della materia oscura. Diventa anche possibile scoprire perché l’universo è fatto prevalentemente di materia». Sono le principali due domande alle quali il Modello standard (l’attuale teoria fisica che cerca di spiegare la natura dell’universo) non ha ancora dato una risposta: cioè di cosa è composta la materia oscura (che da sola vale il 25% di tutto ciò che è presente nel cosmo) e l’asimmetria tra materia e antimateria (quest’ultima è di fatto quasi assente) nonostante si ritenga che entrambe siano state prodotte in uguale misura dal Big Bang.”