Sull’errore

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“Nella mia carriera ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte mi è stato affidato il compito di tirare il canestro decisivo e ho fallito. Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ed è per questo che ho vinto”. Inizia con queste parole di Michael Jordan l’ultima mail delle newsletter del giornalista Mario Calabresi. Mi passano davanti agli occhi tutte le studentesse e gli studenti che fanno fatica a gestire un insuccesso, mi passa davanti agli occhi la difficoltà di Mariasole ad ammettere un errore, mi viene in mente Pietro mortificato dopo il canto del gallo. Analizzo quanta fatica faccia io stesso nella mia relazione con gli sbagli che commetto. Mi consolo con il resto del testo e ci rifletto su.

“Ogni mattina Renzo Piano, mentre va a piedi nel suo studio a Parigi, si ferma a salutare il Beaubourg, il grande centro culturale che ha progettato quando aveva solo 34 anni. Ne vede uno scorcio da lontano, al fondo di una via, ma il successo di quell’immenso edificio colorato, che rivoluzionò i cardini dell’architettura, gli ricorda che nella vita bisogna avere il coraggio di osare. Non se lo è mai dimenticato e lo preoccupa vedere che oggi «i ragazzi hanno paura di gettarsi e di sbagliare». Per questo, nel corso che tiene ogni anno a un gruppo di studenti di architettura al Politecnico di Milano, li invita a studiare i suoi grandi progetti, a trovare errori e a fare proposte per correggerli o migliorarli. «Per riuscire a volare – ripete con convinzione – non bisogna avere troppa paura dell’errore».
Quando entro in quella nave che è la Fondazione Renzo Piano al Polimi, con i muri coperti dai suoi disegni di aeroporti, musei, grattacieli, ponti e università, capisco la potenza del messaggio che trasmette nel suo corso “L’arte del costruire”. Nel momento in cui chiede agli studenti di intervenire sui suoi progetti, evidenziando difetti, mancanze, lacune o problemi, sta dicendo loro che tutti possiamo sbagliare e che questo non è un dramma.
Per questo quando ho pensato a una serie podcast sull’errore non potevo non partire da lui.
E poi l’idea è nata proprio al Politecnico in un dialogo con Donatella Sciuto, la Rettrice, che mi raccontava della preoccupazione per la crescita delle ansie in una società iper-performante e competitiva come quella in cui viviamo.
I numeri dicono che circa un terzo degli studenti e delle studentesse universitarie in Italia ha disturbi di ansia, e che più di uno su quattro soffre di depressione. La paura di sbagliare, di non essere abbastanza, di deludere, è un peso che attraversa le generazioni, ma che oggi sembra avere un’intensità nuova.
Così abbiamo immaginato di fare un viaggio per provare a sdrammatizzare il fallimento, aiutare i giovani ad accettare l’errore, a elaborarlo e a superarlo. Questo viaggio è una serie podcast che si intitola “Sull’errore”, in cui intervisto psicologi, scienziati, manager, scrittori per dare la giusta dimensione ai nostri sbagli.
La prima a mettersi in gioco è stata proprio la Rettrice che mi ha raccontato di essere stata bocciata al suo primo esame di Ingegneria, ma che suo padre si mise a ridere e questo impedì a quella caduta di diventare una crisi e di fermare il suo percorso. «Quando io ero studente – racconta Donatella Sciuto – ho avuto tanti compagni che sono stati bocciati cinque o sei volte in esami come Analisi 1, ma questo non li ha frenati dal continuare a studiare e alla fine sono diventati ingegneri».
La Rettrice, che sente l’urgenza di offrire strumenti ai più giovani perché non si scoraggino e non si perdano di fronte alle difficoltà, nella prima puntata riflette sul contesto culturale che spinge a immaginare percorsi perfetti e senza sbavature.
Ma per andare alla radice del problema ho incontrato Sandra Sassaroli, psichiatra e psicoterapeuta, che nel suo lavoro si è occupata molto dell’errore, dello sbaglio e del rimuginio, quella forma di pensiero negativo e ripetitivo che ci porta a soffermarci sugli errori commessi, piuttosto che superarli cogliendone anche i lati positivi.
La sua analisi è sorprendente e sposta l’attenzione sul rapporto che i figli oggi hanno con i genitori, sulle aspettative e sulla paura di deludere.
«Se io sono così protettiva con mio figlio che non può prendersi a pugni, non può sbucciarsi un ginocchio e io vado a difenderlo se sta litigando con qualcuno, allora – sottolinea – non gli insegno a rialzarsi. Se ci pensa bene, in questa iperprotezione si trasmette ai figli un’idea di fragilità. Dovremmo cominciare a insegnare ai genitori ad essere meno protettivi e ad avere più coraggio di lasciarli liberi di sbagliare».
Il lungo dialogo che ho fatto con Sandra Sassaroli è stato uno degli incontri più utili e fertili che abbia avuto su questo tempo di ansie e paure. Su cosa fare o non fare con i nostri figli e su come affrontare i nostri fallimenti.
«C’è una grande differenza tra elaborare e rimuginare. Rimuginare vuol dire continuare a pensare, dopo una caduta, che tutto andrà male, ed è un pensiero ripetitivo, ansioso e negativo. Elaborare vuol dire, invece, accettare il dolore e trovare una soluzione creativa. O se quella soluzione non esiste, spostarsi su un altro problema».
Anche lei ricorda una dolorosa bocciatura, all’esame di Anatomia, con il pianto sui gradini della Sapienza a Roma, la sensazione di fallimento ma anche il percorso di riprendere in mano migliaia di pagine e ricominciare a studiare. Oggi pensa che quella bocciatura sia stata molto salutare: «Non sbagliare mai un esame, prendere tutti trenta e lode, non è sempre un segno di benessere psicologico. È molto meglio ogni tanto farsi un brutto esame e rialzarsi anche piangendo un po’».