La tentazione del dominio

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Il precetto di non invocare il nome di Dio senza un motivo serio viene sistematicamente infranto, specialmente quando la divinità è strumentalizzata negli scontri politici. Questa pratica, benché antica, si rivela di una pertinenza drammatica nel presente. Il saggio più recente del filosofo Silvano Petrosino, professore presso l’Università Cattolica di Milano, intitolato Potere e religione. Sulla libertà di Dio, analizza in profondità le complesse interconnessioni tra queste due sfere cruciali.
L’analisi di Petrosino spazia su concetti fondamentali quali il simbolo, la dimensione dell’abitare, l’importanza della cura e l’atto dell’amministrare. Il suo lavoro culmina nell’identificazione delle cause che generano le deviazioni e le patologie del potere, ponendo in luce la totale autonomia del Dio delle Scritture, una figura che non cerca di dominare alcuno e, parallelamente, si sottrae alla manipolazione e all’intrappolamento in riti o schemi umani privi di sostanza. Gianni Santamaria l’ha intervistato per Avvenire.

“Petrosino si muove attraverso autori da lui frequentati da una vita: filosofi, come Levinas, Girard, Blanchot, Cassirer, Rosenszweig e Kierkegaard, indagatori della psiche, da Freud a Lacan e Kristeva, fino a storici e sociologi della religione, da Eliade a Durkheim, biblisti come Beauchamp e Maggioni, grandi poeti come Goethe e Rimbaud. Fino a una citazione fondamentale per l’ossatura del saggio, presa da un autore, Roland Barthes, spesso considerato solo per i Frammenti di un discorso amoroso o per la semiotica della moda, ma che «invece su questi argomenti ha un pensiero molto preciso».

Lei utilizza concetto dell’abitare come cura dell’altro, che però subisce la “fatale attrazione” del diventare possesso: dell’altro, della terra, di Dio. Quali gli antidoti a questa tentazione?
«Bisogna prima capire la ragione profonda della questione. Sono stato molto colpito da un’affermazione di Roland Barthes sulla libertà. Questa va intesa – dice – non solo come la forza di sottrarsi al potere, come libertà “da”, ma anche, e soprattutto, come volontà di non sottomettere nessuno. È sorprendente, perché dice che la libertà è non esercitare un potere. Da questo punto di vista – è la tesi centrale del libro – solo Dio è libero, perché, stando alle Scritture, è il solo che non vuole sottomettere nessuno. Il potere in sé non è male. Il problema è perché noi lo esercitiamo per sottomettere qualcuno. Secondo me perché cerchiamo continuamente una conferma alla nostra identità. A lezione faccio sempre l’esempio del bambino che dice ai genitori “guardate che mi tuffo”. Attende un riconoscimento. È un “ditemi che esisto”».

E quello che fanno tanti uomini di potere?
«Il potere non va criminalizzato. Anche per fare il bene è necessario il potere. Il problema è che esso si trasforma facilmente in qualcosa di malvagio quando non viene usato per realizzare qualcosa, ma per confermare qualcuno».

È una dinamica che si può applicare anche agli scenari nel mondo di oggi?
«È esattamente questo. Il sociologo Enzo Pace dice che la religione viene sfruttata nei momenti di crisi di identità. È interessante in questo senso quello che avviene negli Stati Uniti. Non lo si dice spesso, ma sono in una crisi profondissima, non per l’economia, bensì per il disastro della scuola. In una situazione così, per dare un’identità, Donald Trump usa la religione e il suo universo simbolico. Lo si è visto ai funerali di Kirk: la croce della vedova macchiata di sangue, il tema del martirio, la croce fatta transitare nello stadio. È il sintomo di una debolezza profonda a livello sociale».

Non è l’unico al mondo a usare la religione.
«Certo, ma non mi stupisce quando ciò avviene nel mondo islamico, che non ha conosciuto l’umanesimo e la Rivoluzione francese. Mi sorprende che avvenga nell’Occidente cristianizzato. Ogni volta che c’è una crisi politica si gioca il potente jolly della religione. In questo si capisce il grande valore del comandamento “non nominare il nome di Dio invano”. È come se Dio dicesse lasciami fuori dalle tue cose. Non uccidere in mio nome. Non tirarmi in ballo. Ma è esattamente quello che si continua a fare in modo terribile».

In Occidente c’è il duplice movimento del volersi autonomizzare dal potere e dalla religione e allo stesso tempo del sentire il fascino del “Palazzo”, come lei lo chiama. Perché?
«L’uomo è questo. Perciò distinguo la religiosità dalla religione. Se la prima non trova forme istituzionalizzate, organiche, non viene certo annullata, ma si manifesta in quello che Roger Bastide chiamava il “sacro selvaggio”. Eliminare dall’umano la dimensione religiosa e quella artistica, che per me vanno sempre insieme, è illusorio. Il problema è che il modo di abitare la religiosità, può sempre deviare, come abbiamo detto, verso il dominio. La religione è un pharmakon, che può aiutare gli uomini a vivere, ma anche avvelenarli. È uno sbandamento strutturale, è il grano e la zizzania.»

Spesso si evocano i “falsi profeti”.
«Per questo mi colpisce ciò che avviene negli Stati Uniti, perché l’Occidente in qualche modo aveva superato certi infantilismi: i predicatori, chi fa i miracoli in diretta… Anche chiamare Kirk “martire” è problematico. Gesù in molte parabole evoca una figura legata al tema dell’abitare: l’amministratore infedele. Non si può abitare senza amministrare e non si può amministrare senza legiferare. Ma spesso l’amministratore si concepisce come padrone. E questa è la fine. Il Levitico dice: ricordati che sei in affitto».

A queste derive lei oppone il realismo biblico. Cosa ci insegna?
«Bisogna riconoscere con serietà che l’uomo continua a sbandare, che il dominio non è un accidente e non dipende dal fatto che gli uomini sono cattivi, anche se poi alcuni certamente lo sono. E dunque la religione deve continuamente sorvegliarsi per non trasformarsi in una struttura di dominio. Pericolo che è sempre dietro l’angolo. Realismo è riconoscere che, pensando di fare il bene dell’altro, in realtà te lo stai mangiando, lo stai distruggendo. Questo realismo riguarda i singoli, ma a maggior ragione chi ha posizioni apicali: i maestri, gli intellettuali, la gerarchia. Spesso si sentono cose incredibili, visioni finte, opinioni false, non dalla vecchietta o dal passante, ma dal politico, dal filosofo… l’uomo non è così».”

Gemma n° 2800

“Come gemma ho deciso di portare una mia esperienza in Ecuador ma anche in Colombia e in Norvegia. L’ultima volta a lezione ho citato questa associazione con cui ho fatto un po’ di viaggi. L’associazione si chiama CISV nato dall’acronimo Children’s International Summer Villages, ma in realtà ora è diventata una parola intera. CISV è un’associazione internazionale indipendente affiliata all’UNESCO, che offre l’opportunità a bambini, ragazzi e adulti di sperimentare il fascino e la ricchezza delle differenze culturali. L’educazione alla pace è la base su cui si formano tutti i principi CISV ed è dal 1951 che organizza programmi di scambi internazionali e progetti sul territorio in più di 70 paesi nel mondo.
Parlando della mia esperienza, questi programmi a cui ho partecipato mi hanno aiutata veramente tanto a crescere come persona, in particolare quello di questa estate, e soprattutto mi hanno aiutata a capire molte cose che prima non capivo. Ho imparato davvero molto su vari fronti; a parte le altre culture che ho incontrato, ho iniziato a capire il significato di amicizia e ho davvero trovato una seconda famiglia. In Norvegia ci sono stata nel 2022 quindi nell’estate tra la quinta elementare e la prima media. Il programma per questa fascia d’età prevede di stare via per quattro settimane, come sempre insieme ad un adulto e altri tre ragazzi della stessa età. Diciamo che questo è il programma più giocoso e a cui partecipano più persone. Oltre ad aver superato molti ostacoli e ad aver migliorato decisamente il mio inglese e la mia capacità di comunicare con persone che non conoscono la mia lingua, ho imparato l’importanza e la profondità che alcuni legami possono avere. Essendo più piccolini ho perso quasi del tutto i contatti che avevo con queste persone (che venivano da più o meno qualunque parte del mondo) ma non dimenticherò mai la spensieratezza di quei giorni. Ho visto un enorme cambiamento invece con il viaggio che ho fatto in Colombia un anno fa. Qui erano previste due settimane ed ero molto più lontana da casa. Essendo due settimane non ho avuto la possibilità di legare veramente con molte persone. Questa è una cosa soggettiva perché effettivamente per avere un vero legame con qualcuno io ho bisogno di molto più tempo rispetto ad altre persone, però ho mantenuto molto di più i contatti ed è stata veramente un’esperienza da cui sono tornata come una persona diversa. Ma il viaggio che mi ha cambiata di più è stato senza ombra di dubbio quello in Ecuador di quest’estate. Oltre ad aver imparato moltissime cose ho capito molto più a fondo quello che è questa associazione e cosa significa farne parte, ho avuto la fortuna di incontrare di nuovo due persone che avevo incontrato l’anno prima in Colombia ed è stato veramente emozionante. Ci sono stata tre settimane e non scherzo quando dico che sono state tra le più belle della mia vita. Con le persone di quest’anno sono rimasta molto più in contatto (anche perché è passato poco tempo) e vorrei veramente tanto rivederle un giorno. Oltre a questo, data la fascia d’età, è un programma che ti fa maturare perché sei molto più indipendente e prendi più decisioni da solo. Ho incontrato persone fantastiche e creato ricordi indimenticabili e spero di avere la possibilità di fare molte più esperienze simili”.
(B. classe prima).

Gemma n° 2799

“Come gemma di oggi vorrei parlare di mia nipote, M. Lei è nata il 12 aprile 2021 e da quando la conosco, la mia visione del mondo è cambiata. Io le sono stata sempre vicina e per me, lei è il mio mondo. Mi ha portato gioia anche nei momenti difficili. Le voglio molto bene, e per me, lei è la ragione per cui sorrido sempre e guardo avanti senza arrendermi. Io per lei sono la sua eroina, e lo stesso è lei per me” (B. classe prima).