Il peso della nostra materialità

dali_corpushypercubus1954.jpg

“Non siamo così lontani, noi, dalla visione della croce che ebbe Dalì negli anni in cui, tormentato dalla scissione dell’atomo che aveva provocato la bomba atomica, dipinse il Corpus Hypercubus. Nell’opera domina il quattro, numero della violenza dell’uomo: quattro come squartare, come fare in quattro, come dirne quattro; quattro come le latitudini che segnano l’orientamento umano: nord sud est ovest. La croce, su cui Cristo sta, è infatti costituita da otto cubi: il quadrato elevato a potenza. Il Cristo di Dalì si staglia dunque, immacolato e perfetto, contro un cielo scuro e un’improbabile croce cubiforme. Quel corpo perfetto e senza tracce di sangue colpisce e affascina, tanto da non poter distogliere da esso lo sguardo. Da ciò che del volto di Cristo s’intravede si nota chiaramente anche l’assenza della barba. Quello di Dalì è un Cristo imberbe, bellissimo e glorioso, eppure sacrificato come testimonia – senza equivoci – lo spasmo delle mani e la posizione del capo. Cristo è l’ultimo Adamo e ci riporta in quel giardino in cui si giocò la prima partita con la morte. Un appuntamento che ancora ci offre la storia.

Siamo anche noi tutti in quel giardino, con le nostre domande sull’origine e la fine dell’uomo, sul cosiddetto orientamento sessuale. Siamo lì come la donna vestita di seta di Dalì. Cristo è, dunque su una croce cubiforme: immagine che inquieta perché esaspera la sospensione del corpo di Cristo tra cielo e terra. Su quella Croce, Gesù non ha requie, non può neppure riposare nel sonno della morte: egli è vivo e agonizzante. Come non rammentare qui la famosa espressione di Pascal: Cristo è in agonia fino alla fine del mondo! La Croce dipinta da Dalì racchiude la somma del dolore del mondo, la somma della malvagità umana, il peso della materia che si ribella alla volontà del suo Creatore… E noi siamo lì, sotto, vestiti a festa davanti a un irreale pavimento a scacchi che indica il perpetuarsi appunto, nei secoli, l’ombra di quel dolore. La scena è drammaticamente vuota e la donna appare ancora più elegante contro la nudità del Crocifisso. I colori degli abiti della donna richiamano i colori della scena: l’ocra della croce, l’argento della pavimentazione a scacchi, il blu del mare. La veste più nascosta, quindi più vicina alla sua carne è il blu – che richiamando il mare simbolo del male – rimanda alla fragilità umana, al peccato. Il drappo ocra dice l’identificazione della donna con il Crocifisso che contempla. Il manto argenteo, che più delle altre vesti riflette la luce, dice la divinità…”

(Maria Gloria Riva, su Avvenire)

La visione aspetta l’immagine

Cappella Sistina.jpg

O uomo che vedi anche tu, vieni –

Sto invocandovi “vedenti” di tutti i tempi.

Sto invocandoti, Michelangelo!

Nel Vaticano è posta una cappella, che aspetta il frutto della tua visione!

La visione aspetta l’immagine.

Da quando il Verbo si fece carne, la visione, da allora, aspetta.

La stirpe, a cui è stata affidata la tutela del lascito delle chiavi,

si riunisce qui, lasciandosi circondare dalla policromia sistina,

da questa visione che Michelangelo ci ha lasciato –

Era così nell’agosto e poi nell’ottobre, del memorabile

anno dei due conclavi,

e così sarà ancora, quando se ne presenterà l’esigenza

dopo la mia morte.

All’uopo, bisogna che a loro parli la visione di Michelangelo.

“Con-clave”: una compartecipata premura del lascito delle chiavi,

delle chiavi del Regno.

Ecco, si vedono tra il Principio e la Fine,

tra il Giorno della Creazione e il Giorno del Giudizio.

E’ dato all’uomo di morire una volta sola e poi il Giudizio!

Una finale trasparenza e luce.

La trasparenza degli eventi –

La trasparenza delle coscienze –

Bisogna che, in occasione del conclave, Michelangelo insegni

al popolo –

Non dimenticate: Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius.

(Giovanni Paolo II, Trittico romano)

 

Voglia di cielo

Neve dic 2012_0145fb.jpg

Per quanto cerchiamo di saltare o di volare in alto, noi non riusciremo mai a raggiungere il cielo. Se, invece, ci mettiamo a contemplarlo e a fissarvi il nostro sguardo, il cielo scenderà, ci avvolgerà e ci abbraccerà… (Simone Weil).

L’eternità attraverso il momento

Neve dic 2012_0140fb.jpg

Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento. (Henri Cartier-Bresson)

Forse ti aprirai

Cattura2.JPG

Magritte_1050_cr.jpg

Accanto alla bellezza

7210711620_4f3686c1d2_b.jpg

La bellezza non è una cosa nella quale si possa penetrare immediatamente.

O meglio, e più precisamente, ci si può penetrare anche subito, ma dopo esserci

rimasti accanto per un po’, e dopo che nell’animo i vari elementi assimilati

progressivamente si sono composti insieme in maniera organica.

(Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi)

Morire senza Cielo

313a3.jpg


Salvador Dalì, Cristo di san Giovanni della Croce, 1951, Glasgow.

“Il Cielo non si trova né in alto né in basso, né a destra né a sinistra, il Cielo si trova esattamente al centro dell’uomo che ha Fede…Ora io non ho ancora la Fede e temo di morire senza Cielo” (Salvador Dalì)

Braccia tese sul buio

bolano.jpg

Italo Bolano, Crocifissione, 1994, Marina di Campo (Isola d’Elba)

Il corpo è allungato, sospeso nell’oscurità, le braccia alte, tese. Il volto non ha espressione, non si colgono occhi, bocca, graffi, solitudine, sofferenza, eppure si intuiscono dai tono generali, molto cupi e indefiniti nelle forme. Si vede solo un’inclinazione netta della testa con i capelli che scendono a lato. Il costato invece mostra i graffi di sangue della fustigazione. Su tutto grava uno sfondo scuro e poco omogeneo, fatto di luci (poche) e ombre (molte), da cui la croce si stacca con un effetto simile al 3D. E’ netta la pennellata rossa sulla sommità della croce.

Il Cristo dei vinti

Guttuso.Crocifissione.jpg

Crocifissione, Guttuso, 1941, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma

Un cielo cupo, sullo sfondo un paese dalle tipiche forme cubiste le tre croci a tau con Cristo e i ladroni poste di sbieco. Il volto di Cristo, al centro, non è delineato, ma è nascosto da un braccio della croce di un ladrone dalla pelle molto rossa. Le mani dei tre uomini sono chiuse a pugno. Tutto intorno è un affollarsi di figure, come quella femminile nuda, interpretata ora come la Madonna ora come la Maddalena, o il soldato con l’asta e la spugna d’aceto in una mano e dei sassi nell’altra. L’opera fece scandalo per la crudezza con cui il tema sacro era stato interpretato.”La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arrivava fino a noi. Mi pareva banale vestirli come ogni tentativo di recitare Shakespeare in frac, frutto di una visione decadente. Ma, d’altra parte, non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un quadro non un melodramma. Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da dire, è una tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c’è il paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta dalle bombe”. Le figure, i colori aspri, la tensione dei gesti delle figure, che esprimono la denuncia dei soprusi e della violenza esercitati sull’uomo, provocano nello spettatore un forte coinvolgimento emotivo. Lo stesso artista scrisse: “Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas, forche, decapitazioni… voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena d’oggi. (…) Cristo… come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”.

– Il colore: i colori, molto intensi e aspri, appaiono violenti e innaturali.

– Il chiaroscuro: i passaggi chiaroscurali sono netti e taglienti.

– Il volume: forme e volumi sembrano ricondotti a solidi geometrici, appuntiti e spigolosi.

Incombenze

546.jpg

Sto leggendo “La formula di Origene” di Johannes Mario Simmel: “Non percepiva la morte come una presenza incombente su di lei, pronta a colpire, nella sua fantasia non riusciva a darle una fisionomia; era soltanto un concetto. Fino a quando lei era in vita, la morte non esisteva. Ma nel momento in cui lei moriva… allora toccava al buon Dio, in cui lei confidava, prenderla per mano…”. Mi è venuto in mente Spinoza che diceva: “L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte: e la sua saggezza è una meditazione della vita, non della morte”.

L’ingresso delle beffe

In molte classi abbia buttato uno sguardo sull’arte e abbiamo ammirato molte opere. Qui ne propongo una che non abbiamo visto e di cui ho raccolto informazioni in rete:

lentrata-di-cristo-a-bruxelles-ensor.jpg

“”L’entrata di Cristo a Bruxelles”, del 1888-89, un olio su tela, 258 x 431 cm, oggi al Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa, è tra i più famosi dipinti di Ensor e forse il suo capolavoro, una grande scena di massa dall’imponenza barocca, enfaticamente celebrativa se non fosse per l’ironica decontestualizzazione dell’evento-tema, il Cristo che entra in città acclamato dalla folla.

La trasposizione temporale colloca il fatto all’epoca moderna, in una città brulicante di folla, alla presenza di una banda di militari in divisa, in mezzo ad una eterogenea moltitudine di figure-fantoccio mascherate (la maschera, elemento surreale per eccellenza, ricorre spesso nei dipinti di Ensor), pupazzi inespressivi gelidamente ed ambiguamente sorridenti, mentre gli striscioni con le scritte ed i cartelli colorati conferiscono all’insieme l’atmosfera di una moderna manifestazione di piazza.

Al centro della grande tela, la figura del Cristo avanza cavalcando un asino, il capo circondato da una anacronistica aureola, poco divinamente sommerso da una folla chiassosa, cosicché, privato di ogni carisma, frustrato da una folla beffarda e irridente, seppellito dal grottesco corteo, il simbolo della fede cristiana perde ogni valore ideologico per divenire pretesto di una critica della società moderna ridotta ad una congrega di fantocci urlanti e indifferenti, personaggi caricaturali volutamente volgari.

Una grande metafora dell’esistenza, in chiave parodistica, una beffarda satira della società borghese, della vita, della morte, della fede e dell’ipocrisia, una parafrasi dell’assurdità e dell’ambiguità della condizione umana espresse con un’enfasi tragica in cui l’ironia, feroce ed impietosa, ed il filtro del simbolismo non riescono a governare una componente di angoscia ansiosa che intride tutta l’opera e la mette in risonanza con le nostre più oscure e rimosse paure interiori.”

La leggerezza di un peso

In queste settimane abbiamo ammirato alcune opere d’arte sulla settimana santa e ho espresso una delle mie preferenze per El Greco. Metto qui un’opera che non abbiamo affrontato. Il Cristo della Passione di El Greco è un Cristo che ricorda le parole dell’evangelista Matteo: «Il mio giogo è dolce, il mio carico leggero». Le sue dita sembrano suonare un’arpa più che reggere una croce, lo sguardo non pare particolarmente sofferente, ma quasi assente, mistico: «Ciò che vedo sono un bianco e un rosso che non si trovano in natura… e sono tuttavia la natura e la vita stessa, la più affascinante bellezza che si possa immaginare» (Teresa d’Avila).

297B2789.jpg

Il voltafaccia della resurrezione

Lorenzo Fazzini chiede per Avvenire “Gesù muore davanti a sua madre. L’immaginario contemporaneo, anche nella fotografia, registra l’eco di questo tema tragico. Perché colpisce così tanto? ”. Risponde Luisa Muraro: “Si tratta di un archetipo che si è impresso in maniera indelebile grazie all’arte sacra ispirata dal racconto evangelico. Sullo sfondo, quello che traspare è l’associazione tra il corpo femminile fecondo e la vita, ma in una lotta estrema e perdente. La madre che abbraccia il figlio morto lo contende alla morte. Nel film E ora dove andiamo? di Nadine Labaki, libanese, la madre abbraccia il figlio ucciso, gli parla e lo scuote ripetutamente perché le risponda. Il film, ambientato in un paesaggio che ricorda la Palestina di Gesù, è opera di una donna che non si rassegna che quell’immane dolore sia per niente e debba sempre ripetersi. Questo mi fa pensare al meraviglioso voltafaccia della resurrezione ”

Van Gogh. Pietà.jpg

Van Gogh, Pietà


Me ne lavo le mani

Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?»

Ho preso questo brevissimo frammento del Vangelo di Giovanni e l’ho portato nella mia realtà di insegnante, per riflettere sul senso del mio lavoro al di là delle conoscenze trasmesse e delle “competenze” raggiunte dagli studenti, seppur fondamentali. Ieri sera su fb ho scritto il mio stato quasi con rabbia, come fosse un grido: “Ascoltarli e accoglierli, non chiedono altro, non possiamo sottrarci. Lo dobbiamo fare se crediamo in loro, altrimenti son tutte balle”. Questo penso sia necessario se non voglio tradire la verità, se non voglio essere un mero esecutore didattico, se non voglio comportarmi come farà poi Pilato: “Pilato, vedendo che non otteneva nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell’acqua e si lavò le mani in presenza della folla, dicendo: «Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi».” (Mt 27,24)

Pilato.jpg


Dentro il bozzolo della viltà

“Vivevano caldi e tranquilli dentro il bozzolo della loro viltà. Sapevano la verità ma nessuno poteva obbligarli a sapere, perché nessuno aveva detto pubblicamente questa verità. Tu hai agito e parlato in modo tale che essi ora debbono saperla, la verità. E perciò ti odiano e hanno paura di te. Tu vedi i fratelli che, quali pecore, obbediscono agli ordini del tiranno e gridi: ‘Svegliatevi dal vostro letargo, guardate le genti libere: confrontate la vostra vita con quella delle genti libere!’. Ed essi non ti saranno riconoscenti, ma ti odieranno e, se potranno, ti uccideranno perché tu li costringi ad accorgersi di quello che essi già sapevano ma, per amor di quieto vivere, fingevano di non sapere. Essi hanno occhi ma non vogliono vedere. Essi hanno orecchie ma non vogliono sentire. Sono vili ma non vogliono che nessuno dica loro che sono vili. Tu hai resa pubblica una ingiustizia e hai messo la gente in questo grave dilemma: se taci, tu accetti il sopruso, se non lo accetti devi parlare. Era tanto più comodo poterlo ignorare, il sopruso. Ti stupisce tutto questo?”. (Guareschi)

Bosch. Cristo porta la Croce4.jpg

Hieronymus Bosch


Dal dentro al fuori

In due immagini il passaggio repentino dall’apprezzamento all’odio, il tutto in meno di una settimana… Dall’entrata, all’uscita. Dall’inclusione all’esclusione. Dal dentro al fuori.

in.jpg

 

out.jpg