Come?

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Vi segnalo l’ultimo post del prof. D’Avenia, di cui riporto questo estratto: “Come si fa, ragazzo, ragazza, a raggiungerti dove te ne stai rintanato? Come si fa a metterti sotto gli occhi quella bellezza unica e in costruzione che cerchi a tutti i costi di nascondere tanto fa male non esserle all’altezza? Come si fa a spiegarti che tra gli 80 miliardi di esseri umani che hanno calpestato il suolo non ce n’è uno o una come te? Come si fa a farti credere che sei la tua biografia, ma che sei sopratutto la tua autobiografia? Come posso io insegnante mostrarti sulla mappa geografica del desiderio che le terre di tua conquista sono ancora da scoprire? Come posso aiutarti a costruire il mezzo migliore per raggiungerle? Come faccio a sapere se sei fatto o fatta per una nave, per una bicicletta o per andare a piedi?”

Un nuovi inizio

Per ben cominciare

Le mie letture estive

Una delle prime domande che pongo ai miei studenti di rientro dalle vacanze estive è: “che libri avete letto in questi tre mesi?”. Dopo avermi risposto, loro ribaltano la domanda a me. Quest’anno li anticipo qui… mettendoci titolo, autore, data di conclusione lettura e giudizio personalissimo, copiati dal mio account su anobii. Tutto nel pdf

LIBRI LETTI IN ESTATE.pdf

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Mare alto

4140697763_5eaa3b2f11_o.jpgStamattina, sfogliando il numero settembrino di XL, mi sono imbattuto nella rubrica che Marco Lodoli tiene sul mensile, uno dei passi per me imprescindibili. Anche stavolta, ne è valsa la pena. Scrive dei primi passi che un ragazzo può compiere nel mondo della musica, dalla sua camera o dal suo garage, al piccolo club o palco, al palcoscenico, alla radio, ai concerti… “L’underground trova una consacrazione ufficiale, diventa cultura popolare, collettiva, condivisa. Così funziona la cultura in un paese sano. Così non funziona più in Italia. Ciò che viaggia in un circuito alternativo, resta lì, ha il suo pubblico, ma è comunque un pubblico selezionatissimo, una sorta di aristocrazia del gusto, e a poco a poco la spinta si ammoscia, la cantina soffoca l’immaginazione nata per correre in piazze e strade. In Italia si è drasticamente interrotta la comunicazione tra la novità e l’ufficialità. […] Il noto scansa l’ignoto, e così facendo entrambi si spengono tristemente.”

Mentre leggevo queste parole la mia mente, in questo mese che segna la riprese delle attività didattiche, è andata alla scuola, agli studenti che tra una settimana ricomincerò a vedere ogni giorno, a quelli “nuovi”, con le loro storie tutte da scoprire, a quelli “vecchi”, in piena corsa nel cammino del liceo che hanno scelto, a quelli “stravecchi”, che parlano delle superiori al passato. E ho trovato, nell’ultimo paragrafo dell’articolo di Lodoli, l’augurio per questo nuovo anno scolastico: “Il nuovo resta ai margini, ignorato, schifato. I ragazzi bussano e la porta non si apre. I musicisti suonano e le note gli ricadono addosso, pioggia gelata, acqua malinconica. […] il pop nazionale e internazionale non lascia più quasi nessuno spazio, si va sul sicuro, e ciò che è sicuro ristagna e marcisce in una top ten, in una playlist, in un gerontocomio di lusso”. Bene. Ho voglia di lasciare acque stagnanti, ho bisogno di mare alto, ignoto, sconosciuto, largo. Sono pronto a navigare sopra le profondità per poi potermi immergere: là c’è spazio per tutti.

Partire prima del via

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“Per certi viaggi non si parte mai quando si parte. Si parte prima. A volte molto prima” (F. Ervas). Tra poco inizia il viaggio di un nuovo anno scolastico e quest’anno mi sento veramente già partito per un viaggio del tutto nuovo, una sorta di ritorno alle origini del mio essere insegnante…

Due specie di terra

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Scrive Erri De Luca in Tre cavalli: “Ci sono due specie di terra… Una ha l’acqua di sotto, si fa un buco e affiora. È terra facile. L’altra dipende dal cielo, ha solo quella fonte. È magra, ladra, capace di rubare acqua al vento e alla notte, e appena ne ha un poco la spende tutta subito in colori trattenuti nel midollo dei sassi e mette forza di zuccheri nei frutti e butta profumo da sfacciata. È terra di cielo asciutto” . Vi ho letto molto del mio lavoro, delle mie relazioni. A pensarci bene, vi ho letto molto del mio carattere…

Occhio!

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Ne avevo scritto il 24 aprile. Ora, ho appena sentito la notizia: una ragazzina inglese di 14 anni si è impiccata dopo i mesi di insulti subiti su ask.fm. E non è la prima: in autunno una quindicenne e una tredicenne irlandesi, in primavera un quindicenne. Non riporto quanto avevo già scritto in aprile. Mi sento solo di dire, ancora una volta, ai miei studenti, soprattutto quelli più giovani: OCCHIO!

Vivi ora le domande

Ho scritto altre volte dell’importanza, per l’uomo, di interrogarsi. Ed ecco che, quasi all’inizio del libro “Cose che nessuno sa” di Alessandro D’Avenia, a pagina 30, trovo questa citazione:

“Tu sei così giovane, così al di qua di ogni inizio, e io ti vorrei pregare quanto posso di aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel tuo cuore, e tentare di avere care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercare ora risposte che non possono venirti date perché non le potresti vivere. E di questo si tratta: di vivere tutto. Vivi ora le domande. Forse ti avvicinerai così, a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano, la risposta.” (Rainer Maria Rilke, Lettere ad un giovane poeta)

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Musica dell’anima

Stamattina su fb una collega ha messo il link al video dell’ultima apparizione del Coro e Orchestra sinfonica nazionale greci dell’Ert, la televisione nazionale che ha chiuso le trasmissioni qualche giorno fa. Le immagini sono molto commoventi e mi hanno toccato nel profondo, anche perché proprio ieri, durante una delle mie passeggiate campestri in compagnia di Mou, ascoltavo un vecchio podcast di “Uomini e profeti”. Era ospite Moni Ovadia che commentava così l’esecuzione del Kol Nidre, il canto che apre la liturgia del Kippur ebraico:

“Io penso che il canto redima la parola dalla monotonia, dalla banalità, anche dall’arroganza. La parola è canto prima di essere significato; la sua prima istanza è il canto. Questo accomuna tutte le fedi. La capacità del canto, della musica, di toccare l’anima trascende anche le coordinate della religione; è un elemento che tocca l’essere umano nelle sua profondità e gli permette di trascendere il dato puramente materico al quale è legato con quasi una sorta di immediatezza. Ci sono dei canti e delle musiche che toccano tutti gli uomini, le coordinate spazio-temporali cadono, cade tutto questo. Portano all’intimità più intima, dove non ci sono le pietrificazioni, i pregiudizi, le idee precostituite. Dice Abraham JoshuaHeschel che il cantore deve perforare l’armatura dell’indifferenza. Non è la dimensione del bel canto, della bella voce: qualcuno, non ricordo chi, ha detto che si può cantare senza voce, senza anima no.”

Nei volti di musicisti e cantori greci ho visto tanta anima, un’anima che non si può lasciare senza il cibo che la alimenti e che alimenti l’anima di ciascuno. La mia collega, musicista, ha così commentato il video: “Mettere a tacere la Musica penso sia una delle azioni più avvilenti e svilenti per una nazione… e purtroppo anche la nostra sta vivendo la stessa tristissima realtà”. Vivo la musica da ascoltatore e mi emoziona tantissimo. Questo post vuole essere una carezza per chi la musica la crea e la vive sulla propria pelle.

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Tramonti differenti su orizzonti uguali

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Scrive sul suo blog Roberto Cotroneo:

“Non lo so se ritornare vuol dire quello che tutti pensano: vuole dire rivisitare gli stessi luoghi, la stessa memoria, essere di nuovo dove si era prima. Nessuno può ritornare, eppure nessuno riesce a rinunciare all’idea che si possa ritornare: come una via di uscita, una breve immortalità. Se io posso tornare allora io sono ancora quello che ero, e tutto è ancora possibile. Se io posso rivivere quanto ho vissuto, vuol dire che ho fermato il tempo. Ma il tempo è un dio minore, e una delle manifestazioni del tempo è dare illusione del ritorno.

Così il ritornare è un modo per affrontarlo questo tempo strano: e quando ti rendi conto che tutto è cambiato capisci che il tempo del ritorno non è altro che il tempo del cambiamento. E che c’è un orizzonte del ritorno come c’è un orizzonte del futuro. Ma la sorpresa è che si tratta dello stesso orizzonte.”

Sono molto simili le sensazioni che provo alla fine di ogni anno scolastico, quando finisce anche il tempo degli scrutini, degli esami di stato, dell’organizzazione dei corsi di recupero e degli esami dei “sospesi”. Metto via tutte le carte, gli appunti, le scartoffie burocratiche. E mi preparo al ritorno: verso le radici del mio essere insegnante, verso le motivazioni che mi hanno fatto scegliere, nel 1995, di lasciare Scienze Geologiche per essere un prof. Lo faccio ogni anno per rimettere carburante nel motore, per alimentarmi a una fonte per me necessaria. E mi trovo concorde con Cotroneo: ogni anno mi scopro cambiato e sento la necessità del ritorno per aprirmi al futuro di un orizzonte che è sì uguale a se stesso se visto con un grandangolo, ma che se venisse esplorato con un teleobiettivo mostrerebbe caratteristiche peculiari sempre diverse. Queste ultime fanno sì che i colori del tramonto su quell’orizzonte uguale siano sempre differenti.

scuola, motivazioni, cotroneo, ritornare

Burocrazia

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A volte, e purtroppo sempre più spesso, penso che la scuola rischi di trasformarsi in quel mostro che in questa citazione fulminante è descritto da Ennio Flaiano: “Presentano al burocrate un progetto sullo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente che sta creando”.

 

Arrivederci

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Ci sono alcuni momenti nel mio mestiere che non mi piacciono proprio, anzi, che mi fanno male. Il momento più doloroso è quell’Arrivederci mormorato l’ultima volta che esco da una quinta e che invece so bene essere un Addio. E’ senz’altro un momento ricco anche di soddisfazioni, di immagini legate ai cinque anni passati insieme, ai cambiamenti, loro e miei. Mi capita spesso di ripensare alle prime lezioni, nel ’98: tutto preparato nei minimi dettagli, al minuto, persino quando fare una battuta… nulla lasciato al caso… tutto sotto controllo e ben poco naturale. Mi rivedo con un sentimento di tenerezza per quel che sono stato. Ma tornando ad esempio a stamattina, e a tutte le altre volte di questi anni, in quell’attimo in cui do le spalle alla classe ed esco, sento la mancanza di un rapporto che si è costruito; e più avanti vanno gli anni, più è forte quel sentimento che diventa immediatamente nostalgia. E’ vero, dico “arrivederci”: ci si vedrà ancora, durante gli esami, dopo gli esami, in giro, su fb… Ma non posso negare di sentire che è anche un addio a quella classe e a quel gruppo; e ciò indipendentemente dal fatto che siano stati uniti o meno tra loro. E’ semplicemente qualcosa che non ci sarà più e che avverto come qualcosa di mio. Vero, bellissimo, stimolante e affascinante vederli crescere e diventare adulti, però la nostalgia resta. Faccio un respiro profondo e li accarezzo tutti col pensiero: “Arrivederci”.

Cosa si fa laggiù?

Sto leggendo “Margherita Dolcevita” di Stefano Benni e mi sono imbattuto in una pagina che mi ha fatto sorridere dolcemente, pensando al mio passato da studente e al mio presente da insegnante. Durante una lezione di matematica la prof. si accorge che in fondo alla classe ci sono chiacchiere e risate. Parte da qui la citazione di quella pagina:

“- Cosa si fa laggiù all’ultimo banco, si ride?

ridere scuola.jpgHa pronunciato “si ride” con un tono come se dicesse “si spaccia droga”, “si fabbricano bombe”.

Allora mi sono alzata e ho detto:

– Effettivamente, signora professoressa, stavamo ridendo in quanto ritenevamo buffo ciò di cui parlavamo, ma non c’era niente di oggettivamente malsano o criminoso nel nostro atteggiamento, io capisco bene che se ridessimo ininterrottamente per tutto l’orario scolastico ciò farebbe sospettare una nostra disattenzione, o spregio, o beata cretinaggine, ma ritengo che un po’ di umorismo anche in questa austera sede faccia bene allo spirito e, di riflesso, alla gioia dell’apprendimento. In quanto al rapporto fra riso e matematica….

Non mi ha fatto finire. Ha ringhiato: ”smetti-o-ti-do-due”, e per fortuna è suonata la campanella.

Ma insomma, ho pensato, quasi tutti i film e la tivù e i giochi per ragazzi ci invitano a ridere e stare allegri, così poi vediamo le puntate successive e compriamo i gadget. Però a scuola non possiamo ridere un minuto.

La morale è: non dobbiamo ridere quando siamo contenti noi, ma quando sono contenti loro.”

Hey Ho! Let’s go!

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Un invito ai giovani a non farsi mettere i piedi in testa, soprattutto a non lasciare che qualcuno calpesti i sogni. L’essere disponibili ai sacrifici e a passare i tempi difficili pur di perseguire un obiettivo (montare grate alle finestre, consegnare messaggi… o vivere insieme ad altre persone per riuscire a pagare l’affitto e avere come unica preoccupazione guadagnare qualcosa per poter mangiare). Mantenere aperta la mente a molte esperienze (“abbiamo creato il punkrock, ma ascolto Sinatra, Miles Davis, il jazz…”). L’importanza della cultura e dell’istruzione.

Ecco qui: ho appoggiato semplicemente così alcuni dei punti toccati stamattina da Marky Ramone nell’aula magna del nostro liceo. Un refolo di storia del rock ha soffiato oggi a Udine.

Un’anima che si sta ancora cercando

artista-del-giorno-il-talento-italiano-alessa-L-pDpq5b.jpegC’è un insegnante italiano diventato famoso per i libri che ha scritto. Molti studenti lo conoscono: è Alessandro D’Avenia. Sul suo blog sta trattando del talento presente all’interno di ciascuna persona, in particolare degli studenti che incontra. Spesso il talento è visto come qualcosa di nascosto che va fatto emergere e portato alla luce. In riferimento ai ragazzi che stanno terminando il percorso liceale e che quindi sono pronti a spiccare il volo verso nuovi lidi, afferma:

“Molti di loro sono più preoccupati di fallire che pieni di entusiasmo per l’inizio di qualcosa di nuovo. Tali sono le pressioni dell’ideologia stritolante del successo come riconoscimento della folla, che la paura finisce con l’offuscare la chiarezza della loro vocazione professionale che si è mostrata almeno parzialmente nel corso di 13 anni di scuola, dei quali ho assistito agli ultimi, i più importanti in questo senso. Devo sempre ricordare loro che il successo non è negli occhi degli altri, ma nell’essere se stessi. La scuola spesso allena a superare prove e non alla vita, a cui ci si allena solo con una progressiva conoscenza di se stessi (limiti e talenti) e scelte conseguenti. Shakespeare scriveva che “quando l’anima è pronta, allora le cose sono pronte”. La paura di ragazzi che non riescono a scegliere è frutto di un’anima che si sta ancora cercando, molti invece sono più sicuri della scelta e ne hanno sì paura, ma proprio perché è la sfida nuova della loro vita: riuscirò a realizzare il mio talento? L’anima è pronta, le cose a poco a poco, con sacrificio e passione, lo diventeranno.”

A questo punto, D’Avenia si rivolge ai colleghi insegnanti: “Potremmo provare a impostare il lavoro educativo in chiave di talenti invece che di pratiche di addestramento, necessarie sì, ma non sufficienti. Che me ne faccio di un ragazzo che sa affrontare un test e non sa neanche se quel test è quello che gli serve per realizzare la sua vocazione professionale e portare a compimento i germi di destino che ha intravisto negli anni di scuola?”

Gioventù europea

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Ho avuto la possibilità, in questi tre giorni, di visitare i palazzi delle Istituzioni Europee a Bruxelles insieme ad alcuni colleghi. Abbiamo incontrato politici, funzionari, liberi professionisti, formatori. Una delle cose che mi hanno colpito di più, soprattutto all’interno del Parlamento Europeo, è stata la notevole presenza di giovani; l’età media era decisamente bassa. Va bene, non saranno certo tutti parlamentari, molti saranno stagisti, collaboratori, contrattisti… però la sensazione di vedere tutti questi ragazzi e ragazze lavorare, incontrarsi, parlare in tante lingue è stata molto bella. Ne ho colto un segno di speranza, uno dei regali più belli di questa esperienza.

Perché no?

“Mi sapete dire il motivo per cui non fareste un’esperienza del genere?” Stefano ha concluso con questa domanda l’intervento in tre classi ieri mattina.

2012_Lettera_volontari1.jpgCristina, Elisa, Marta e, appunto, Stefano sono entrati in 3 classi, due quarte e un quinta non per tenere una lezione, ma per cercare di trasmettere l’entusiasmo con cui vivono in estate delle giornate insieme a delle persone diversamente abili nel mare di Bibione. E’ l’esperienza del DUM, Dinsi une man (Diamoci una mano per i non furlanofoni :-). Hanno raccontato tanto in un’ora che è sembrata troppo stretta per contenere le loro parole, la loro forza, la loro voglia di condividere e il loro desiderio che altri ragazzi possano percorrere un cammino simile al loro. Da qui è venuta la domanda di Stefano: perché no? Perché no a permettere delle vere vacanze a persone per le quali altrimenti sarebbero difficili se non impossibili, perché no a fare un’esperienza in cui ricevi molto di più di quello che dai, perché no a un qualcosa che ti cambia in meglio, perché no a un periodo in cui entri in contatto con delle parti di te che non conosci, perché no a vivere lo spirito di una comunità in cui non sei mai solo, perché no alle prime notti in cui ti chiedi “ma chi me lo ha fatto fare?” e alle altre in cui ringrazi chi te lo ha fatto fare, perché no a comprendere meglio, vivendolo, il concetto di persona e di talento…

Grazie Cristina, Elisa, Marta e Stefano per la vita che avete trasmesso, come hanno commentato alcuni studenti di quinta. Qui sotto c’è spazio per i commenti di chi vi ha ascoltato…

Per info Dum Tube e pagina su Fb.

Hegel in una paginetta

Visto il titolo, la maggior parte dei lettori si aspetterà di trovare una paginetta con la sintesi del pensiero hegeliano. Niente di tutto ciò. Semplicemente una pagina scritta da Stefano Cazzato su Rocca n° 9 di quest’anno. Ha fatto molto sorridere anche Oscar, un collega che insegna filosofia (“peccato che non ci sia però quella paginetta” mi ha rivelato alla fine della lettura). La dedico a tutti i miei studenti ed ex-studenti che sono alla ricerca di quel telos di cui si parla verso la fine.

“Senti collega, tu che sei filosofo, non è che avresti una sintesi di Hegel?

Potrei scriverti qualcosa sullo spirito della sua filosofia!

hegel, telos, filosofia, senso, vita, passioneMagari! Ti ringrazio, a nome di mia figlia. Stanno studiando Hegel all’Università e non stanno capendo niente. Io le ho detto che non deve capire tutto Hegel ma solo la tesi fondamentale. Il fatto è che è una ragazza onesta, responsabile e vuole andare a fondo.

Dovresti essere contenta di tua figlia. E’ un simbolo dell’eticità, così rara oggi, incarna il dovere.

Sarà! Certo che Hegel è proprio na iena, un osso duro. Come si fa a farlo capire a sti ragazzini. Altri saperi sono più abbordabili.

La filosofia è tutta un’altra storia.

Un mio professore di storia della filosofia al Liceo ci diceva che Hegel era indeciso tra la filosofia e la storia e allora, nell’incapacità di decidersi, si inventò la filosofia della storia. Io non ho mai capito che cos’era la filosofia della storia, ma la battuta mi piaceva.

Oggi qualcuno contesta Hegel sostenendo che è più importante la filosofia della storia. Ma anche questa è un’altra storia. Comunque un sistema per far capire Hegel c’è. C’è una logica, una volta che si è capita quella, più o meno si è capito Hegel. Cercherò di essere il più concreto possibile.

Bravo, gli ho dato una letta a Hegel e mi sembra troppo astratto.

Assolutamente no!

Fai tu, è veramente provvidenziale il tuo aiuto.

Sì, però i concetti fondamentali la ragazza deve conoscerli. Quanto tempo ho?

Falle una paginetta. Sennò diventa una storia infinita.

Una soltanto? Provo a farne tre, per arrivare a un minimo di conoscenza ce ne vogliono almeno tre. Poi, se non è sufficiente ne facciamo altre tre! E se è necessario altre tre. Con un autore così non si può andare a caso.

Vabbé, ti ringrazio, quando hai finito me lo dici.

Hegel è come un viaggio avventuroso, lo inizi e non sai mai quando lo finisci. In realtà poi si trova un modo per arrivare alla conclusione. Dai, vedrai che tutto è bene quel che finisce bene.

Io vorrei che mia figlia fosse più disinvolta, vorrei che non si facesse tanti problemi di coscienza. Vorrei che fosse più spiritosa e meno spirituale. Bùttate! A questo mondo te devi buttà.

Più che buttarsi deve usare l’astuzia della ragione. Andare per tappe, piano piano, gradatamente, acquisendo una graduale consapevolezza delle difficoltà, superarle con lo studio e con l’impegno e tutto si risolve prima o poi.

E lei fa così. Invece si deve fare furba, come si fanno furbe le amiche sue, che si presentano agli esami quando sono ancora a metà della preparazione. Lei… deve studiare tutto! Ma perché tutto? E’ una coscienza infelice mia figlia. Ma che te manca, le dico io? Se non arriva la sera, i libri non li lascia.

Meglio un eccesso di telos che la superficialità e lo smarrimento dei nostri tempi. Che ne dici?

Cioè?

Il telos è tutto in Hegel. Senza telos non si va da nessuna parte e tanto meno dalla parte giusta.

Non ti capisco, collega!

Telos, freccia, direzione, meta, obiettivo, tendere verso qualcosa, appassionarsi a qualcosa, impegnare le forze in vista di un risultato.

Cioè successo, competizione, sbrigarsi per arrivare prima degli altri perché la vita è una gara.

Non esattamente.

Non mi confondere le idee e falle stà paginetta, okay?

La intitoliamo: ciò che è leale è anche razionale! Ti piace?

Certo che siete proprio strani voi filosofi! Na paginetta eh, non t’allargare! Che deve far presto! Bisogna stare al passo coi tempi.”

Una battaglia infinita

Avevo già scritto qualcosa sul copiare-non copiare: ci torno sopra con questo articolo breve di Massimo Gaggi comparso oggi su Sette.

braccio-finto_1.jpeg“Copiare – copiare un compito, una tesina, copiare a un esame – è una piaga che scuole e università sono chiamate a combattere da quando gli alunni scrivevano col pennino e il calamaio. Con le tecnologie digitali tutto è diventato più difficile tra “copia e incolla”, compravendita di testi online, o l’illuminazione improvvisa che arriva a uno studente, durante un esame, da uno “smartphone” casualmente poggiato sulle ginocchia. I casi di plagio in questi anni si sono moltiplicati ovunque, coinvolgendo anche maestri della cultura “alta” e portando perfino alla decimazione di intere classi di Harvard, l’università più celebre d’America, accusate di aver copiato massicciamente e in modo sfacciato. La tecnologia facilita e accelera questi processi, ma offre anche gli strumenti per intercettare chi si appropria di lavori altrui. E anche per radiografare il fenomeno. Un professore della Rutgers University, che ha analizzato i lavori di oltre cinquemila studenti è, per esempio, arrivato alla conclusione che i ragazzi iscritti alla Business School copiano molto più dei loro colleghi degli altri istituti e facoltà. E se molti siti come Wordprom offrono agli studenti saggi d’ammissioni alle grandi università americane già usati ma facili da “ricondizionare” e riutilizzare, le accademie si attrezzano adottando software come Turnitin che hanno la capacità di scandagliare questi lavori alla ricerca di citazioni o paragrafi che ricalcano quelli di altri “paper” sullo stesso argomento. Ma anche questi meccanismi possono essere aggirati usando la tecnologia giusta e camuffando meglio un testo acquistato in Rete. Una battaglia senza fine alimentata anche dal fatto che nella cultura digitale dei giovani il “copia e incolla” non ha più lo stigma dell’atto illecito: è vissuto come una pratica che confina col crowdsourcing. Anche perché molti sono ormai convinti che la scuola, più che far assorbire nozioni ai giovani, deve insegnare loro come trovare le conoscenze di cui hanno bisogno nel momento nel quale gli servono davvero. Una percezione che, oltretutto, cambia da Paese a Paese. L’economia è globalizzata, la cultura no: gli studenti asiatici, per esempio, usano lavori altrui in misura molto superiore a quelli occidentali perché non percepiscono questa pratica come immorale. Il 70 per cento degli studenti cinesi che chiedono di iscriversi alle università americane presentano documenti in parte copiati che loro ritengono di aver arricchito con la pratica del cosiddetto “remix”. Una battaglia tra guardie e ladri sempre più sofisticata che, secondo molti, vedrà comunque alla fine perdenti le accademie perché le tecnologie digitali e la cultura della Rete spingono verso il superamento del concetto stesso di plagio.”

Tra strumenti e contenuti (e competenze?)

Su Avvenire Roberto I. Zanini intervista Giovanni Reale (sì, lo stesso del manuale di filosofia insieme ad Antiseri). Ne riporto i tratti che mi sembrano salienti.

Riferendosi alla decisione del ministero dell’Istruzione di sostituire obbligatoriamente dal 2014 nelle scuole i testi cartacei con quelli digitali, Reale afferma: «Ho letto alcuni articoli che hanno 277-0-33923_scuola libri digitali.jpgparagonato questa iniziativa alla diffusione della stampa nel Rinascimento, in cui si sosteneva che proprio la stampa ha fatto nascere la cultura della scrittura. Un errore storico gravissimo. La cultura della scrittura è precedente a Platone. E non è vero che l’uso diffuso della scrittura ha fatto nascere la filosofia, semmai è il contrario. È stata la necessità di conservare i dialoghi di Socrate a costringere i suoi discepoli a trascriverli, perché la semplice memoria non poteva essere sufficiente. Erano famosi i dialoghi trascritti da Simone il ciabattino, nella cui bottega spesso Socrate si intratteneva. Quando il filosofo usciva, Simone ne trascriveva le parole. Insomma, la diffusione della stampa ha rafforzato una cultura che esisteva da migliaia di anni, non l’ha creata né promossa. E le nuove tecnologie nei fatti capovolgono quello che per 2500 anni è stato diffuso con la scrittura, che ne esce sconfitta».

Poi continua: «Bisogna tornare a comprendere che tutto ciò che si apprende è frutto di fatica e il grado di istruzione è direttamente proporzionale all’impegno. Oggi invece c’è chi si presenta per la laurea con tesi scopiazzate da internet. Recentemente a un premio per i giovani sull’Europa sono stati trovati tre temi uguali. Gli autori, esclusi, si sono ribellati sostenendo di essersi impegnati nel fare ricerca. Ma hanno fatto solo copia e incolla dallo stesso sito web».

«Il problema non sono le nuove tecnologie, ma l’uso sbagliato che se ne fa. Internet lo uso e mi è utile. Ma lo uso come mezzo, non come fine della mia conoscenza. Quando venni chiamato dal ministro Berlinguer nel gruppo di studio per la riforma scolastica, mi trovai in conflitto con alcuni dei colleghi (gli stessi che hanno ispirato il ministro Profumo) che sostenevano che i classici a scuola sono superatissimi. “Basta con i classici” dicevano, bisogna dare strumenti multimediali. Io obiettavo che gli strumenti non sono i contenuti. Loro a insistere che i contenuti vengono fuori dall’uso degli strumenti. Ma questi strumenti non possono essere considerati dei creatori di contenuti. Gli strumenti servono per diffonderli, non per crearli. Chi mette i contenuti negli strumenti?».

«Un Paese che vuole costruire futuro deve fare in modo che la scuola non perda il suo ruolo di costruttrice di rapporti umani e di quella forza produttiva che è l’intelligenza dell’uomo, che costruisce le macchine e le usa, ne idea e ne costruisce altre. Come diceva Marco Aurelio, “al mattino, quando ti svegli e ti senti stanco, devi dire: mi alzo per compiere il mio mestiere di uomo”. E allora dobbiamo chiederci con sincerità: ma l’uomo ipertecnologico come se la cava nel mestiere ultimativo che è quello di essere vero uomo? Oggi a chi è affidato il compito di costruire gli uomini di domani? Alle macchine?».