Gemma n° 2812

“Cara E. del passato,
carissima versione passata di me.
Sei la mia gemma, l’unica persona che per me c’è sempre stata. Come stai?
Non c’è nemmeno bisogno che tu risponda: so già che sei felice.
E non parlo di te di cinque anni fa, ma di te di dieci anni fa o più, con quell’aria spensierata e quel sorriso genuino e infantile che regalavi a tutti.
Tu, che il mondo lo vedi come il più semplice dei giochi.
Tu, che parli senza pensare alle conseguenze.
Tu, che riesci a vedere oltre le etichette.
Tu, che trovi il bello in qualsiasi cosa fai.
Mi manchi. Dove sei finita?
Spero che tu possa sentire queste parole, perché provo esattamente tutto quello che sto scrivendo.
Sono successe così tante cose in questi anni che non puoi nemmeno immaginare…
Non ho ancora trovato la risposta a tutte le tue domande, ma ad alcune sì:
Sì, mamma e papà ci portano ancora in viaggio, sia me che Lucy.
No, le medie non sono assolutamente come nei film americani.
Sì, sei ancora in contatto con alcuni di loro.
No, non sei sola.
Si, hai ancora una vena creativa.
No, non sei un’incapace
E sì, la vita non va sempre come dovrebbe andare — e va bene così. Con il tempo riuscirai più o meno a capirlo.
Se devo essere sincera però adesso probabilmente non mi riconosceresti… anche se la frangia ce l’ho ancora: dopotutto siamo nate con la frangia.
Gioco ancora con la nostra cara Wii, e ogni tanto mi stupisco che funzioni ancora.
Amo ancora vedere le persone sorridere e farle sorridere.
Amo ancora ridere per le cavolate più assurde e insensate.
Amo riguardare un programma o un video svariate volte senza mai stancarmi.
Ho ancora paura dell’andare al piano di sopra o in cantina da sola.
Suono ancora il pianoforte, e sì, sei finalmente riuscita a farti regalare la chitarra dello zio.
Guardo ancora il cielo quando assume colorazioni particolari.
Racconto ancora storie e ne invento altrettante.
E purtroppo però, proprio come te, forse non mi sono ancora del tutto accettata.
La vita è dura, E., non posso negarlo.
E se penso a tutto quello che dovrai affrontare, mi si stringe il cuore.
Ma allo stesso tempo mi rassicura sapere che riuscirai a superarlo e ad arrivare dove Io oggi sono.
Non ho ancora raggiunto tutto ciò che vorrei, ma se guardo la te di cinque anni fa, mi sento già meglio… infatti ultimamente mi sono fatta l’idea che Sì… potremmo avere di più ma potremmo anche avere di meno.
Dunque il mio suggerimento è: Non smettere mai di sorridere.
Non avere paura: se deve succedere, fregatene…che succeda. Non cercare di combatterlo a tutti i costi.
Nonostante ciò lo ammetto: Se potessi tornare indietro, cancellerei tante cose… ma non voglio spaventarti: è solo un periodo.
Non preoccuparti dei voti a scuola.
Non preoccuparti di quei buffoni.
Non sei sbagliata.
Non sei ciò che vogliono farti credere.
Non devi chiedere scusa a nessuno per essere come sei.
Siamo così diverse, e allo stesso tempo incredibilmente simili.
Perché dico che siamo diverse?
Io dico le parolacce; tu invece ti copri le orecchie e ti offendi appena ne senti una.
A volte resto in silenzio; tu non fai altro che chiacchierare con tutti, senza barriere e senza paura del giudizio.
Ogni tanto sento la tua presenza, il tuo ritorno.
Lo percepisco chiaramente quando accade.
E, in effetti, se ci penso, è sbagliato dire che siamo diverse.
Entrambe ridiamo quando qualcuno ci guarda in modo insolito o comico.
Entrambe cantiamo parole di canzoni straniere in una lingua che sembra aliena.
Entrambe ci imbarazziamo quando qualcuno ci fa un complimento o ci dimostra affetto.
Entrambe cerchiamo di essere gentili, indipendentemente dalla persona che abbiamo davanti.
No, noi non siamo diverse.
Noi siamo la stessa persona.
E chissà se tu sei fiera di me… tanto quanto io lo sono di te”.
(E. classe quarta).

Gemma n° 2602

“Per la mia gemma di quest’anno ho deciso di portare me stessa ma non tanto per un motivo egocentrico o narcisista, ma solo per concludere un cerchio che ho iniziato 2 anni fa. In questa foto con mio fratello, avevo quattro anni ed ero al centro commerciale. Ho deciso di portare me stessa, perché penso che questo sia l’anno in cui più si scopre chi siamo: si è a un passo dal concludere un percorso che ci ha accompagnati da quando abbiamo sei anni per cominciare a vivere da adulti in un ambito completamente diverso (chi addirittura in città diverse, in ambienti diversi, anche lontani dalle proprie famiglie). Io penso di essere maturata parecchio nel corso di questo percorso liceale e soprattutto penso modestamente che la piccola di quella foto potrebbe essere fiera di quello che sta facendo, delle scelte che ha preso fino ad adesso. Penso di aver acquisito molta sicurezza in ciò che sono e in ciò che faccio e in questo anche il COVID ha influito parecchio, perché è avvenuto in un momento di transizione che mi ha permesso ancora di più di comprendere effettivamente che la vita è una e che quindi basta fregarsene. Io spero che quella bambina con così tanti sogni e con così tanta voglia di fare, di scoprire, così tanta curiosità resti in me per sempre, perché penso che ciò che ci mantiene vivi sia proprio avere ancora e per sempre dentro di noi quei bambini che eravamo. Io non mi ritengo tanto diversa da com’ero da piccola: sono rimasta curiosa, volenterosa, chiacchierona e tendenzialmente sorridente, come nella foto. Ho deciso di portare una foto anche con mio fratello, non perché io non ne abbia da sola, ma perché questa  è l’unica foto che abbiamo insieme io e lui in cui entrambi sorridiamo. Ho deciso di portarla, perché rientra nell’ambito della crescita personale, perché io ho avuto lui che è stata la mia figura di riferimento ed è sempre stato un bravo fratello. Ho deciso di portare me stessa come chiusura di un percorso personale, perché due anni fa ho portato le mie amiche, l’anno scorso il primo amore e quest’anno ho deciso di portare me stessa proprio come un urlo di libertà, di “ce la puoi fare” che so che quella bambina dentro di me mi sta dicendo: voglio renderla fiera e penso di starci riuscendo”.
(E. classe quinta)

Natale 2023

Ieri mattina ho inviato gli auguri a studentesse e studenti. Stamattina ho letto su Fb quelli del vescovo di Trieste Enrico Trevisi. Ho trovato una profonda consonanza e quindi li unisco qui in unico post per farli a chi legge queste pagine.

“Anche quest’anno mi appresto a mettermi davanti al pc e scrivervi un piccolo augurio di Natale, che possa avere un senso per chi crede nel Dio di Gesù, per chi crede in un altro Dio, per chi crede in qualcuno o qualcosa diverso da una divinità e per chi non crede affatto. Ciascuna e ciascuno di noi arriva a questo periodo in modo differente e personale. Mi è facile festeggiare con chi è in un buon periodo, perché avverto un’assonanza di umore visto l’imminente arrivo del piccolo. Ma in questi mesi mi è successo di vedere numerosi cocci di allieve e allieve in pezzi; alcuni di questi cocci li conosco bene perché mi sono stati descritti e raccontati, altri li ho solo intravisti o intuiti. Alcuni sono cocci di piccole porzioni di quelle persone, altri sono cocci di parti più grosse e importanti, altri ancora sono cocci dell’intera figura. E so che talvolta sembra che non possano più essere incollati insieme per offrire una figura di senso, anche se magari un po’ differente dall’originale.

Mariasole da quest’anno, il lunedì e il giovedì mattina va a scuola con il “Piedifruts”, che vuol dire a piedi insieme ad altre bimbe e altri bimbi della scuola dell’infanzia e della primaria. Le piace moltissimo e si sveglia volentieri la mattina presto per potervi partecipare, anche se è l’unica della sua sezione e una delle più piccole (a parte un ultimo tratto). Domenica scorsa si è svolta una piccola cerimonia di auguri per Natale e Mariasole è stata invitata, come tutti i partecipanti, a “scrivere” qualcosa sulla sua esperienza. Eccone un pezzetto che ci ha detto di scrivere per lei “Un giorno vorrei invitare tutti i miei amici, anche quelli del pulmino, per vedere come è bello il Piedifruts. E così lo vengono a fare il prossimo anno”. Mi ha fatto pensare e mi ha commosso. Ha vissuto una cosa bella e il suo pensiero è stato quello di farne fare esperienza ai suoi amici per poter condividere quella gioia. In una parola sola: amore. Per me Natale è un’occasione per consentire all’amore di agire e per metterlo in condizione di fare una delle cose che meglio gli riesce: ricucire lo strappo che talvolta si crea tra la vita e la felicità. Amore è ciò che consente alla vita di rinascere ogni volta, anche quando non pare esserci speranza o proprio speranza non c’è. Questo è quello che mi trasmette quel bimbo venuto alla luce nella precarietà due millenni fa, questo è quello che mi trasmette quel bimbo che sta per venire alla luce nella mia vita: una possibilità d’amore, di bellezza, di condivisione, di bene. Ah sì, ieri mattina, ultimo giorno di Piedifruts per quest’anno solare, c’era Victoria a fare compagnia a Mariasole, una sua compagna di sezione: non vi dico l’euforia!
A tutte voi, a tutti voi, alle persone che amate e che sono una benedizione nelle vostre vite, auguro buon Natale e, viste le parole che ho scritto… buon amore, buona rinascita!
Il prof di reli”

E ora spazio a un uomo che ama firmarsi per nome.
“Ecco i miei auguri… a tutti gli amici
Anzitutto accogliere Dio
Viene, ma potresti esserti addormentato.
Viene, ma potresti esserti risentito e arrabbiato per come vanno le cose.
Viene, ma in una modalità così umile che sconcerta e scandalizza.
Viene, ma non si impone. Però insiste a venire.
Viene nelle sembianze umane. Anzi viene nella carne umana. Si fa carne.
Viene ed è piccolo e umile. Un bambino. Un bambino sfollato.
Viene e commuove. Viene e irrita.
Viene e c’è chi va in panico e medita morte, come Erode.
Viene e trova braccia che lo stringono:
una madre che lo coccola
e il suo sposo che ha il coraggio del Leone di Giuda.
Viene e trova i poveri che lo festeggiano.
Viene e potresti accoglierlo e unirti alla festa.
Viene e potresti incoraggiare altri ad unirsi alla festa.
Viene e ci sono altri piccoli scartati di fronte ai quali inginocchiarsi.
E pregare di avere la forza e il coraggio di quel che siamo:
E che cosa siamo?
Siamo gli Amati da Dio, per amare con il suo amore i piccoli e i poveri sulla nostra strada.
Sulle nostre piazze. Nelle nostre case. Nelle nostre classi. Nelle nostre comunità.
Auguro un Natale così. Un Natale in cui le persone prevalgano sui consumi, in cui ciascuno si dia il coraggio per una parola di conforto con chi è nella sofferenza, un tempo di compagnia con chi sta nella solitudine, un gesto di tenerezza con chi vive il sentirsi abbandonato e rifiutato, un dare occasione di ascolto a chi soffre nel risentimento.
Un Natale così lo auguro a tutti. Dove trovare la forza? Nel bambino Gesù. Fermati e accoglilo.
Fermati e pregalo e troverai il coraggio, il tempo, le parole, i gesti, le occasioni.
E su ciascuno invoco la Benedizione del Signore.
Enrico vescovo”.

Gemma n° 1961

“Ho deciso di portare un oggetto che mi è davvero caro, il mio peluche Flaffy. Me l’ha regalato mio papà quando avevo tre anni circa e ci dormo ancora insieme ogni notte. Mi confido su tutto con lui, come se fosse il migliore amico: ammetto che è imbarazzante a 14 anni, ma non mi interessa molto di quello che pensano gli altri, anche perché Flaffy mi ha aiutato tanto nei momenti bui, ci ho versato un sacco di lacrime”.

Mi ha fatto tenerezza la gemma di M. (classe prima) forse perché conservo ancora vari “Flaffy” che mi hanno accompagnato nei momenti grigi della mia vita.

Un orecchio bambino

Mariasole ha poco più di 19 mesi: è una spugna in grado di assorbire qualsiasi cosa, dai gesti alle parole, dalla musica ai silenzi. Sara ed io a volte dobbiamo usare giri di parole o sinimi perché appena capta qualche nostra intenzione la tramuta subito in azione: “andiamo a fare un giro in bici?” diventa “ti va di fare una pedalata?”, “andiamo al mare?” diventa “capatina al piccolo oceano?” (Lignano, Grado, spiaggia, sabbia, ruote, raggi, sellino, seggiolino… sono tutti termini che fan già parte del suo vocabolario, per cui inutilizzabili in questi casi). Sfogliando uno dei suoi libri mi sono imbattuto in una filastrocca di Gianni Rodari che avevo letto tanti anni fa e che purtroppo avevo dimenticato. Eccola, si intitola “Un signore maturo con un orecchio acerbo”:

Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.

Non era tanto giovane, anzi, era maturato
tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.

Cambiai subito posto per essergli vicino
e potermi studiare il fenomeno per benino.

Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?

Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio,
di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.

È un orecchio bambino, mi serve per capire
le voci che i grandi non stanno mai a sentire:

ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,

capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose…

Così disse il signore con un orecchio acerbo
quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.

Ho trovato così il proposito per questo nuovo anno scolastico che si avvicina a passo sostenuto: avere un orecchio bambino, “per capire le voci che i grandi non stanno mai a sentire” e “ i bambini quando dicono cose che a un orecchio maturo sembrano misteriose”. Per farlo penso sia necessaria una cosa che avevo scritto tempo fa come commento alla foto che c’è in apertura di questo post. L’avevo scritta in friulano, la lingua che parla il mio cuore quando scende a fondo a dialogare con la mente. La riporto qui con la traduzione. “La cjalade smaraveade di un frutin cuant che un grant lu cjape tal braç: un gnûf mont gi si mostre, une gnove prospetive, un gnûf pont di viste, lis stessis robis somein diviersis… Par provâ chestis sensazions il grant al à di fâsi piçul, frutin; il cjâf al à di tornâ plui dongje de tiere”. “Lo sguardo stupito di un bimbo quando un adulto lo prende in braccio: un nuovo mondo gli appare, nuove prospettive, nuovi punti di vista, le stesse cose paiono diverse. Per vivere queste sensazioni il grande deve farsi piccolo, bimbo; la testa deve tornare più vicina alla terra”.

Voglia di semplicità, di essenzialità…

Gemme n° 470

Questa è la gemma di S. (classe terza): “Ho scelto questa canzone non per un suo significato particolare (parla del fatto di lasciar andare il passato perché inevitabile), ma perché le sono da poco legata. Qualche tempo fa ero in cantina, dove io e mio papà facciamo un po’ di ginnastica. Di solito ascoltiamo Ligabue, il preferito di mio padre, ma alla fine del cd abbiamo messo su le canzoni che ho sul pc. Mio padre ha detto che questa gli piaceva un sacco e mi ha proposto di fare una gara di addominali sulle sue note. Era tanto che non “giocavamo” insieme come quando ero piccola: ecco perché questa canzone significa tanto”.
Neruda scrive che “Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé”. Auguro a S. e al suo papà tante gare di addominali 😀

Gemme n° 427

sahrawi

Ho portato una foto della scorsa estate, quando ho fatto l’animatrice in parrocchia durante il campeggio estivo con i ragazzi delle medie. Un giorno abbiamo avuto in visita dei bambini del Sahrawi. Non parlavano l’italiano, ma abbiamo giocato molto. Mi ha colpito la loro meraviglia nel fare giochi con l’acqua. Siamo stati felici con poco”. Questa la gemma di V. (classe quinta).
Lasciati guidare dal bambino che sei stato”, scrive Josè Saramago. Ricordarsi di esserlo stati, recuperare quella purezza di sguardo, rivivere quello stupore, quello delle prime volte.