“Come gemma ho deciso di portare questa canzone di the weeknd.
The weeknd oltre ad essere il mio cantante preferito da ormai un sacco di tempo, è come se in ogni sua canzone, in ogni suo testo io mi ci riveda almeno in una frase.
La canzone si chiama After Hours e affronta il tema di una relazione conclusa con il cuore spezzato ma io la porto non per il significato del testo stesso ma più che altro per il significato che ha la canzone in generale per me.
È una canzone che mi ha aiutato molto in momenti difficili e mi aiuta tutt’ora, la ascolto sempre prima di una partita per cercare di avere meno ansia e riesce sempre a calmarmi e farmi sentire meglio” (G. classe prima)
Gemma n° 2360

“Come gemma quest’anno ho deciso di portare questa foto, che nella sua semplicità racchiude gran parte della mia estate.
Guardarla infatti mi porta un senso di nostalgia ricordando la calma, la tranquillità e il divertimento che queste giornate ormai passate hanno portato.
Dall’altro lato però mi ricorda di come sia e di come farà sempre parte dei miei ricordi piacevoli quando la mia mente tornerà a pensarci. E mi farà sempre tener presente come alla fine di tutte le “fatiche” c’è sempre la calma, in questo caso rappresenta dall’estate” (P. classe quarta).
Gemma n° 2349

“Ad aprile di quest’anno ho visitato una mostra immersiva dedicata a Gustav Klimt intitolata Sinfonia di arte immersiva.
Il filo conduttore della mostra era la “sinfonia”, il suono che nasce da ogni immagine, da ogni quadro, da ogni decorazione e dai pensieri dell’artista.
Verso la fine del percorso si entrava in una enorme sala con alcuni divanetti e su tutte le pareti, perfino sul pavimento, erano proiettati motivi geometrici, dipinti dell’artista e immagini relative al suo stile ma anche alla sua biografia. Da questo luogo era possibile accedere ad altre due salette minori: la prima conteneva un’installazione intitolata “La danza dei sensi” che consisteva in un recinto dentro al quale erano installati dei teli che si alzavano e si abbassavano, grazie a delle ventole, a creare delle onde.
La seconda si chiamava “Stanza degli specchi” ed era una saletta interamente ricoperta di specchi, anche il pavimenti e il soffitto, a eccezione della parete di fondo dove si trovava uno schermo sul quale erano proiettati diversi motivi scintillanti e glitterati che si riflettevano in tutta la stanza in modo tale che sembrasse di essere all’interno di un caleidoscopio. Ricordo di essermi seduta in un angolo di questa stanza in modo tale da essere completamente circondata dalle immagini e di essermi sentita estremamente piccola in confronto a quello che sembrava essere l’infinito.
La musica classica e maestosa che si sentiva rendeva il tutto ancora più avvolgente e pareva proprio di stare dentro ad un vortice.
Nella prima sala sono invece rimasta seduta per minuti interi a osservare quei teli che si muovevano e che mi donavano una sensazione di leggerezza e spensieratezza, tanto che il mio respiro vi si era quasi sincronizzato.
Ho apprezzato molto questa esperienza perché mi ha permesso di staccare la testa, almeno per qualche ora, dalla vita quotidiana e di dimenticarmi completamente della realtà, proiettandomi in un’altra dimensione più calma e meno frenetica”.
(A. classe quarta).
Gemma n° 2232
“The Story è una canzone che mi ha aiutato molto in momenti difficili e mi aiuta tutt’ora. Quando mi sento triste o preoccupata per qualcosa ascolto questa canzone, che riesce sempre a calmarmi e farmi sentire meglio. The Story racconta alcune storie del passato che il cantante e i suoi amici hanno vissuto, storie che li hanno segnati durante la loro infanzia che non è stata semplice.
La frase “it’s not the end of the story” mi è d’ispirazione, insegna che ognuno di noi può superare, anche se con difficoltà, i periodi più bui. Questa è una delle prime canzoni di questo cantante che ho ascoltato, Conan Gray è il mio cantante preferito e questa canzone è secondo me una delle più belle che lui abbia mai scritto con un significato molto profondo. Grazie a The Story ho capito che, nonostante il passato di qualcuno, si può arrivare dove si vuole, perchè noi non siamo definiti dal nostro passato” (M. classe seconda).
Gemma n° 1940

“La mia gemma sono due cose strettamente legate tra loro. La prima è un foglietto con due cuoricini che sono stati fatti dai miei nonni e che tengo sempre con me: credo che quando sarò maggiorenne farò un tatuaggio così. La seconda è un brano di musica classica di Chopin, il preferito dei miei nonni. La prima volta che l’ho sentito è piaciuto subito anche a me, pur essendoci tanti bei brani di classica. Ogni volta mi trasmette molta leggerezza e mio padre, che sa suonare bene, me lo suona sempre e mi piacerebbe diventare brava e impararlo.”
Il legame con le radici (i nonni), la relazione col presente (il papà che suona al piano lo studio Op. 10 No. 3 di Chopin), la proiezione sul futuro (il tatuaggio, la voglia di imparare il brano). C’è tutta una vita in questa gemma di G. (classe prima). E pensare che proprio Chopin ha detto “Bach è un astronomo che ha scoperto le stelle più belle. Beethoven si misura con l’universo. Io cerco solo di esprimere il cuore e l’anima dell’uomo.”
In me
«Nel bel mezzo dell’odio,
ho trovato che c’era, dentro di me, un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime,
ho trovato che c’era, dentro di me, un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos,
ho trovato che c’era, dentro di me, un’invincibile calma.
Nel bel mezzo dell’inverno,
ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro».
Albert Camus
Gemme n° 47
“La mia gemma si compone di due parti. Prima faccio ascoltare un branno di Ennio Morricone che all’inizio mi rilassa e mi proietta in un altro mondo, mentre poi mi dà la carica. La ascolto almeno 4-5 volte alla settimana”. Ecco la canzone proposta da A. (classe quarta):
“La seconda parte della gemma, invece, è un breve pezzo preso dal film Rocky 6, in cui Sylvester Stallone si rivolge al figlio Robert ormai grande parlandogli delle difficoltà della vita. Mi ci rivedo in molti aspetti”. Ascoltando il pezzo di film mi è venuta in mente questa frase al cui autore non sono mai riuscito a risalire: “Ogni volta che punti un dito contro qualcun altro, ricordati che ce ne sono tre rivolti verso di te”.
Il posto della meraviglia
E’ difficile trovare un oggetto particolare in una strada centrale, lungo un corso, in bella vista in vetrina: “Per ogni cosa c’è un posto ma quello della meraviglia è solo un po’ più nascosto”. L’uomo contemporaneo è abituato al prodotto pronto e servito sul piatto: ciò che costa fatica spesso spaventa e non ci si rende conto che invece la cosa desiderata e bramata, per cui magari si è sofferto e lottato porta la bellezza proprio in quella attesa e in quelle battaglie (“Il tesoro è alla fine dell’arcobaleno che trovarlo vicino nel proprio letto piace molto di meno”). Le imprese, anche quelle che paiono impossibili, non sono precluse, ma è bene sapere quello di cui si va alla ricerca: “Come cercare l’ombra in un deserto o stupirsi che è difficile incontrarsi in mare aperto. Prima di partire si dovrebbe essere sicuri di che cosa si vorrà cercare dei bisogni veri”. La meta deve essere valutata con calma, non è detto che la corsa e la premura siano ideali per questo tipo di viaggio, corriamo il rischio di trascurare l’essenziale: “Ma le più lunghe passeggiate, le più bianche nevicate e le parole che ti scrivo non so dove l’ho comprate. Di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta perché l’argento, sai, si beve, ma l’oro si aspetta”. Buon inizio di anno scolastico e… buona meraviglia, sperando non sia troppo nascosta, con “Il negozio di antiquariato” di Niccolò Fabi (La cura del tempo, 2003).
(Essere) a picco
A volte sento l’esigenza di essere a picco. Non di andare a picco, di essere a picco. Mi viene in mente il viaggio di nozze in Irlanda e il fascino delle Cliffs of Moher: la sensazione provata lassù è stata unica. Ci sono momenti in cui ci ritorno con la mente: è quando sento il bisogno di avere uno sguardo d’insieme sulle cose, di mettere distanza tra me e loro. E quello sguardo deve partire dalla mia base, ma senza che io abbia i piedi in acqua: il mare deve arrivare fin sotto a me, ma i piedi devono restare all’asciutto, altrimenti so che mi farei coinvolgere dalle onde e l’attrazione sarebbe troppo forte, l’oggettività se ne andrebbe. Lassù sono lontano dai moti del mare, sia la tempesta che la bonaccia, ad una distanza che fa perdere i particolari e sfuma i confini; i dettagli non si colgono, i bordi delle cose non sono netti. A volte lo sento necessario, per respirare meglio, per essere nella calma e vivere la contemplazione. Scrive Paola Mastrocola in “Palline di pane”: “Le case a picco hanno un panorama stupendo, niente da dire, ma sono lontane, hanno un’infinita lontananza… E il mare, dalle finestre di queste case, diventa una specie di cartoncino azzurro opaco uniforme, steso lì davanti agli occhi, inerte. Cosa me ne faccio di un pezzo di carta? Quello è un mare che non canta, non muove, non ride tra gli scogli, non sommerge, subbuglia, frastorna. Non dice niente.”
A volte, quel mare, a me, dice tanto.
Da soli col cielo
“Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle e l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.” (Pavel Florenskij)




