Il senso

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Un articolo di Gian Mario Ricciardi pubblicato su Avvenire: un monastero, il silenzio, la pace, la semplicità per ritrovare l’essenziale e il senso del tempo fuori e dentro.
Li ho visti arrivare, nel ’95, a piedi scalzi come i profughi d’oggi, tra gli arbusti della valle dell’Infernotto a Bagnolo Piemonte, vicino Saluzzo. Due monaci, padre Cesare Falletti e fratel Paolo. Soli, sorridenti, con nella bisaccia la tradizione millenaria dei Cistercensi che tornavano sotto il Monviso. Ora sono sedici e, tra i dirupi di questa strana montagna, in un monastero di pietra e legno, cercano la voce di Dio, ma, contemporaneamente, raccolgono quelle delle vittime della interminabile crisi. Ascoltano e aprono la porta a chi bussa. Tutt’intorno c’è una pace che ti entra dentro. Sveglia alle 3,55. Già nella notte da ogni cella filtra tra gli alberi il canto delle Vigilie e delle lodi. Poi il lavoro. C’è chi s’incammina lungo i sentieri per curare le more che serviranno per le marmellate. Chi costruisce icone, chi studia, chi prepara il pranzo, chi taglia la legna o l’erba.
Nelle stanze degli ospiti, famiglie salite dalla Francia, uomini e donne venuti a cercare uno spazio senza parole. E ognuno vive il proprio con discrezione, in solitudine, passeggiando, fermandosi ad osservare gli alberi, le foglie, le nuvole. Il monastero Dominus Tecum sembra una grande tenda in mezzo alle auto che, poco sotto, sfrecciano con i troppi telefonini incollati all’orecchio, le mail da leggere, le connessioni sempre accese. Eppure la crisi è passata anche di qui. Non ha portato il deserto, anzi. Sono sempre di più quelli che salgono a Pra ’d Mill. Vengono in tanti a bussare perché si sentono soli, abbandonati, traditi dalla vita e dalle persone: vittime del deserto provocato dalla recessione. «C’è un gran numero di persone che vengono qui perché hanno bisogno». Padre Cesare, ora priore emerito perché ha passato la mano a padre Emanuele, ha visto camminare tra queste pietre migliaia di persone. A loro, lui e i monaci non hanno altro da dare che saggezza e preghiera. Hanno abbracciato manager che dovevano fare scelte difficili, persone messe fuori dai cancelli delle fabbriche a cinquant’anni, giovani senza speranza.
La crisi li ha fatti aumentare? «Ha fatto certamente crescere il nostro dover portare il peso della gente, perché la gente soffre in questo momento, e noi la ascoltiamo». E perché vengono a cercarvi? «Credo cerchino Dio, non tanto noi. Questo è un luogo che almeno nella nostra idea c’è sempre stato, in cui tutto è organizzato per stare davanti a Dio, non potevamo tenercelo tutto per noi, solo per noi, ecco… lo offriamo anche ad altri». Ma in questo grande silenzio, soprattutto nelle giornate d’inverno, che cosa c’è? «C’è Dio, ci sono i fratelli». Insomma un pezzo di cielo strappato ai compromessi, agli insulti, alla fretta. Il terreno l’aveva regalato la famiglia dei baroni d’Isola all’abbazia di Lerins, casa madre dalla quale è nato questo incredibile esempio di monastero nato e cresciuto ai tempi del disagio dilagante. Una donazione voluta da Leletta d’Isola. A suggerire l’avventura l’allora cardinale di Torino, Anastasio Ballestrero. A mettere insieme il complesso puzzle, la mano della Provvidenza, l’entusiasmo di un piccolo drappello di uomini di preghiera che alle 10, chiamati dalla campana, raggiungono la chiesa per poi riprendere il lavoro fino alla Messa di mezzogiorno. E la cappella si riempie. Rituale antico, gioie e sofferenze moderne che vengono posate sull’altare, proprio sotto la croce e il campanile, come da tradizione monastica.
Filtrano fasci di luce intensi e calmi allo stesso tempo. La semplicità, la sobrietà: «Non portate vino a tavola – c’è scritto – per rispetto al nostro stile di vita e di accoglienza». Ci sono due suore, ma passano in molti con la disperazione dentro: industriali in grosse difficoltà, giovani in cerca di lavoro e di valori, disoccupati, preti in sofferenza, famiglie raggelate dalla vita. La sfida è un presente che guarda lontano. Saper mettere insieme la fame di soprannaturale e il disagio, spesso molto forte, di chi bussa alla porta. «…se volete lasciare un’offerta… usate la busta che trovate nella mensola». Se volete. Ci sono i libri, insieme ai poveri prodotti della valle – miele, marmellate, estratti di erbe – come in tutti i monasteri. C’è e si sente una grande ricchezza che viene dalla serenità e dalla pace. «Lasciate quello che potete e volete, l’importante è che la mancanza di soldi non vi impedisca di venire a pregare. In caso pensate a chi non può lasciare nulla. Grazie». È vero, come diceva Alfonse de Lamartine, che un grazie non è nulla nel mare dei ricordi ma se resta a galla è qualcosa per sempre. Un uomo, le scarpe consumate, la camicia lisa, posa la sua offerta e poi fissa quel grazie che suggella un patto.
Scende lentamente la sera. Si parla con i monaci. «Inutili in un mondo che vive di corsa? Forse, ma noi cerchiamo di dire altro e di guidare il mondo attraverso la preghiera e la carità fraterna ad avere un altro volto, non violento, non arrogante, non prepotente, non asservito al denaro, un volto umano». Una scritta sul muro: «Tutti gli ospiti che giungono qui siano accolti come Cristo poiché un giorno Nostro Signore ci dirà: Ero forestiero e mi avete ospitato». Gli smarriti della modernità e della crisi, quella che ha distrutto famiglie, svuotato anime, sconvolto vite hanno trovato rifugio qui tra un cantico e una preghiera. ‘I poveri di spirito’, come nel docufilm che Fredo Valla ha girato a Pra ’d Mill possono vedere un uomo che cammina in un immenso campo di neve in montagna, seguire il lavoro quotidiano dei monaci, respirare il ‘Laudato si’’ di papa Francesco nel quieto scorrere sotto la pioggia, i monaci che lavorano nei boschi, in cucina, nelle celle o curano le api e pregano in una chiesa scarna ed essenziale.
Come nel ‘Grande silenzio’ di Phillip Groening, o in ‘Uomini di Dio’ di Xavier Beauvois, il tempo è senza tempo. Eppure, mentre il sole tramonta, ogni cosa qui sembra tutt’altro che slegata dal mondo. Quei ragazzi appena partiti con il pulmino avevano gli occhi raggianti. Ed erano venuti con tutti i loro dubbi sul futuro, il lavoro, l’amore, la famiglia. Forse anche con il rumore del silenzio si possono curare le macerie della crisi. I monaci come fratel Abramo sorridono con gli occhi. Hanno l’espressione di chi ha il cuore dolce e sente di essere tornato alla sorgente della vita. Vita dura, silenzio, tanto silenzio per ritrovare i gesti dell’anima e poi la vita. Le ore per pregare, le ore per coltivare i frutti per le marmellate, tagliare l’erba, mettere a posto la legna. Terra e cielo, anzi tra terra e cielo per ritrovare il sorriso, quello che viene da dentro, per sempre”.

Gemme n° 468

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La mia gemma è la lettera con cui la mia migliore amica mi ha fatto gli auguri per i miei 18 anni. Ne leggo una piccola parte.” Con queste parole C. (classe quarta) ha presentato la sua gemma.
Il mio contributo, questa volta, è tratto dal commovente film “Amici per sempre”:

https://www.youtube.com/watch?v=KwacH1Wvkmw

Gemme n° 437

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Ho portato una fotografia: sono con mia sorella e un’amica alla prima comunione di mio fratello. Passo molto tempo con mia sorella, condividiamo tante cose e ci confidiamo; lei è un po’ distaccata e anche se litighiamo sempre, le voglio molto bene. Con la mia amica condivido tutto da quando siamo piccole”. Questa la gemma di A. (classe seconda).
Mi piacciono le vecchie foto. Di per sé ogni foto è vecchia nel senso che l’attimo abbiamo immortalato appartiene immediatamente al passato. Ma le foto un po’ datate in cui sono presenti delle persone mi affascinano perché inverano una frase di Gibran: “Il ricordo è un modo di incontrarsi”.

Rewind: domenica

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Michelangelo Merisi da Caravaggio, Cena in Emmaus, 1601-1602, olio su tela, 139×195 cm, National Gallery, Londra

Infine, ecco la domenica.
Semplice è l’origine.
«Dio onnipotente, cerca / (sforzati), a furia d’insistere / – almeno – d’esistere». Così il poeta Giorgio Caproni scriveva in una delle sue poesie, e commentava in un’intervista: «Dio è il mistero di tutti i misteri, non si sa nulla di lui. È inafferrabile, ci vivifica e ci uccide. Eppure ricerco la sua presenza da anni».
Dove è questo Dio? Su quali strade? Su quella di Emmaus. Un santo contemporaneo ha detto infatti che tutte le strade del mondo sono diventate Emmaus (san Josemaría Escrivá, “Cristo presente nei cristiani”). Si riferisce, con intuizione folgorante, ad una delle pagine del Vangelo più belle, con la quale non a caso Luca (cap. 24) conclude il suo Vangelo e dà il “la” alla storia del cristianesimo così come sarà sempre.
Vi si narra la scena in cui due discepoli dopo la morte di Gesù se ne tornano, disperati, da Gerusalemme al loro paesino, Emmaus, con il cuore pesante dopo essersi illusi che Cristo fosse veramente il Salvatore.
La morte ha spazzato via tutto: l’ennesimo fuoco fatuo. Ora rimane solo il tempo della tristezza e il ritorno al grigiore di prima. Ma proprio su quella strada, Cristo risorto, senza essere riconosciuto dai loro occhi tristi, come uno qualsiasi si mette a camminare con loro e chiede perché sono così appesantiti. Li tira fuori da dove si trovano, dalla loro tristezza, non con l’evidenza schiacciante della resurrezione (si sente dare persino dell’ignorante perché non sa nulla di ciò che è successo a Gesù Cristo: mi è sempre piaciuto il gioco che fa con noi, la sua paziente ironia per farci arrivare da soli alla realtà, senza schiacciarci), ma con una chiacchierata pacata e forte di amico, sul far della sera, come quando nella Genesi si narra che Dio passeggiava con gli uomini al fresco della sera: è ricominciato tutto. Poi fa per andar via quando loro si fermano alla locanda per mangiare, non si impone, si fa desiderare, la sua delicatezza verso la nostra libertà mi appassiona e mi appassiona che l’unica vera preghiera che lo costringe a rimanere sia il nostro semplice desiderio che resti con noi.
E a tavola, mentre mangiano come amici, li sorprende e si fa riconoscere nello spezzare il pane, come per due volte Caravaggio ha raccontato nelle sue tele in età diverse della sua vita con un realismo che non è altro che il realismo del cristianesimo: il quotidiano trasfigurato dall’incarnazione di Cristo. In quel momento lo riconoscono e proprio in quel momento lui si sottrae alla loro vista.
Paradossalmente se ne va, rimanendo: proprio in quel pane.
Tutte le strade del mondo sono percorse da uomini e donne impegnati nelle loro battaglie quotidiane, con il volto tirato, presi dai loro pensieri, dalle loro lotte, dalle loro tristezze, dalle loro incertezze, dalla caduta quotidiana delle loro umanissime speranze. Magari hanno inseguito l’ennesima che li ha delusi e sono a caccia di un’altra o di qualcosa che lenisca la delusione, che possa dare senso al ripetersi dei giorni, rinnovandoli sempre, qualcosa per cui valga veramente la pena alzarsi la mattina. Su quelle strade qualcuno con uno sguardo diverso li raggiunge, è esattamente come loro, condivide le loro lotte e pensieri, ma ha una luce negli occhi. Si affianca con la normalità di chi sa essere amico, fa la stessa strada, lo stesso lavoro, condivide le stesse passioni, sogni e sconfitte. Non giudica, ma guarda gli occhi e chiede: perché sei triste? Sa ascoltare la tristezza del volto degli altri, che si sentono tranquilli a confidarsi lungo il cammino, perché finalmente hanno trovato qualcuno a cui possono affidare il peso del loro cuore: un amore tradito, una relazione familiare piena di dolore, un lavoro insopportabile, una condizione fisica critica, un pianto mai affiorato…
Hanno sperato per anni che tutto potesse cambiare, avevano creduto con tutto il loro slancio alla vita come promessa, ma niente: è stata un’illusione. Adesso si limitano a sopravvivere perché vivere fa troppo male, perché per vivere bisogna sperare e non ci sono più le forze, né la voglia di essere ancora delusi e si accontentano di piccolissimi noiosissimi rituali. Eppure l’amico che ascolta ha una luce che illumina proprio quella situazione, una luce che non gli appartiene e che non viene meno, proprio per questo non è triste, anche se porta sul viso gli stessi segni di stanchezza degli altri, perché la vita è dura anche per lui, proprio allo stesso modo. Parla di un modo di guardare il mondo pieno di passione e fuoco, come se avesse il potere di trovare la bellezza in ogni angolo, anche il più oscuro. Non pretende di cambiare il mondo, ma il modo di guardare il mondo: dice le cose con forza, senza lesinare sulla verità, ma lo fa con un tale affetto che non ci sente amari, ma amati. Ci libera dalla tristezza, perché è oltre la tristezza, che ben conosce perché l’ha attraversata, ma che ha disinnescato con una formula che ora ci intriga, ci seduce, ci attira, come una promessa. Il dialogo continua lungo il cammino, ed è fatto di giorni, di settimane, di mesi, stagioni e anni e di cose ordinarie. E quella luce non viene meno e illumina ogni età e stagione, ogni fatica e ogni gioia, ogni sconfitta e ogni desiderio.
Il mondo è lo stesso per tutti, ma per quell’amico il modo di guardarlo è sempre da innamorato. Come fa? Da dove trae origine questa forza ardente e appassionata? Come fa ad essere così pieno di eros? La curiosità e il calore sperimentati portano a chiedere di rimanere di più, di approfondire l’amicizia, di arrivare al segreto che guida quella vita, perché un segreto deve esserci se è così capace di far ardere il cuore e le speranze, in mezzo a tutte queste rovine. Si sta insieme, si cena insieme, si condividono non solo le lotte ma anche il riposo, un bicchiere di vino e il pane. E proprio in quella intimità d’amicizia, il vero dono che un cristiano deve fare al mondo, si fa strada la verità sconvolgente, quasi incredibile proprio per il suo essersi nascosta nella vita di tutti i giorni ed essere lì accessibile, a tavola, e non nei recessi e nelle altezze in cui gli uomini hanno cercato inutilmente Dio per secoli. No, ci dice Caravaggio, è qui, a tavola, con te e me.
Il segreto è che l’Emmanuele è Dio con noi, per questo l’amico non ha paura, perché lui ha scoperto che Dio è con lui, tutti i giorni, sino alla fine, è il Dio vicino, di strada e di tavola: parola e pane. Sentiamo le forze rinvigorirsi e le parole di prima non rimanere fuori di noi, ma entrare dentro di noi, anzi di più: farsi noi, trasformandoci in Parola e Pane per gli altri, per questo lui è sparito, ci sei tu, tocca a te. Così di corsa torniamo per strada a dirlo a tutti, la strada dell’andata, piena di tristezza, la ripercorriamo a ritroso con lena nuova, anche se è notte fonda, anche se siamo stanchi, perché adesso è cambiato tutto, c’è una ragione per camminare, anzi c’è una ragione per correre, c’è una ragione per alzarci ogni mattina. E la ragione è che Dio è mio e io sono suo, nelle 24 ore che ho disposizione, con tutto quello che ci sta dentro, perché l’unità di misura del Vangelo, fateci caso, è “ogni giorno”. Adesso siamo pieni di vita, come uno che ogni giorno s’innamora, perché questo innamoramento non dipende principalmente da noi, ma è dato, se lo vogliamo. Qualcosa ci fa rinascere dall’alto ogni giorno, ed è capace di far rinascere altri.
Non ci sono più strade anonime, c’è solo Emmaus: ogni strada umana, ogni lavoro umano, ogni amore umano, ogni tristezza umana è proprio il luogo dove Cristo cammina con noi, magari con il volto ordinario di un amico, di un’amica. E quell’amico o amica sei tu per gli altri, che cammini con loro (dopo aver camminato e mangiato con Lui), tu che ascolti le loro tristezze e riporti il cuore ad ardere (come Lui ha fatto con te), fino a metterli faccia a faccia con Cristo, in una catena senza fine. Quello è il momento in cui devi farti da parte, adesso tocca a lui. La Resurrezione non è una lezione, non è uno sfolgorare schiacciante, ma è una passeggiata accorata tra amici con parole vere, fino a trovare l’origine di ogni speranza nella Parola e nel Pane. E subito ripartire, perché è tutto troppo bello, tutto troppo grande, per restarsene paralizzati e tristi. Adesso è tutto nuovo. E tu e io sappiamo il segreto.
Niente è più erotico del cristianesimo, perché nessuno ama come Cristo e il cristianesimo è diventare un altro Cristo, lo stesso Cristo, tanto da poter dire con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me».”

Gemme n° 424

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Ecco la mia scatola dei ricordi con tutto quello che mi fa sorridere quando lo guardo: cartoline, lettere, oggetti, e soprattutto la lettera della mia migliore amica per i miei 18 anni.” Così V. (classe quinta) ha presentato la propria gemma.
Dalla lettera emergono vicinanza, protezione, condivisone, coinvolgimento, felicità, sorrisi. In una puntata di Desperate Housewives una delle protagoniste afferma: “Ogni volta che sento l’emozione sopraffarmi mi limito a immaginare una scatola vuota, e a infilare dentro quella scatola tutte l’emozioni che provo e poi immagino di mettere via la scatola in un armadio grande e vuoto e chiudo la porta!”. Quante emozioni c’erano in quella scatola stamattina!

Gemme n° 399

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Ho portato come gemma due foto che sono molto importanti perché segnano l’inizio e l’attuale punto d’arrivo del mio percorso scout. Nella prima sono nelle coccinelle al primo volo estivo (3-4 giorni in montagna). La ragazza in alto era la capo che ci ha regalato la foto perché lei sarebbe andata via. La seconda foto è con la squadriglia la scorsa estate durante il campo. La squadriglia è per me fondamentale perché siamo come delle vere sorelle: non ci sono segreti, ci raccontiamo tutto, si passa tutto il tempo insieme, si cresce molto (ci sono molti litigi durante questi giorni; nei primi 4 anni, ad esempio ho litigato molto con la caposquadriglia, ma mi ricordo anche i momenti indimenticabili soprattutto nell’ultimo anno in cui invece abbiamo legato tanto). Le amicizie che si sono formate sono tra le più profonde e importanti che ho; abbiamo affrontato insieme i problemi aiutandoci nelle difficoltà, anche nel semplice fatto di rispettare gli impegni del sabato e della domenica. Quest’anno l’ho iniziato con tanta gioia ed entusiasmo e un po’ mi dispiace passare nel gruppo più grande il prossimo anno. Ho anche portato una canzone dei The Sun. Sabato sera ero alla loro testimonianza-concerto. Sono in 4 e 2 di loro hanno fatto un percorso difficoltoso senza vedere il senso del limite. Il leader ha avuto grande cambiamento frequentando la chiesa e ha testimoniato la sua esperienza; gli altri hanno deciso di aiutarlo. La canzone è “Strada in salita”, e soprattutto il ritornello mi ha colpito: “Voglio un sogno e voglio un senso, voglio una partita che mi faccia dare il meglio, che questa vita sia la mia strada in salita, che mi possa guidare in ciò che amo e così sia”. Uno che dice così è molto forte e va contro corrente rispetto ad un mondo che propone un modello di strada semplice e comoda.” Questa è stata la gemma di E. (classe seconda).
Stamattina stavo prendendo il caffè nel bar della scuola e stavo parlando con Valentina, che ci lavora. Ci siamo messi a parlare di una nostra passione condivisa, la pallavolo e di quanto siano in crisi, rispetto al passato, gli sport… “E’ che” abbiamo concordato ad un certo punto, “lo sport è sacrificio”. La dimensione del sacrificio mi fa assaporare in maniera diversa il risultato finale, sconfitta o vittoria che sia. Ne ho vinte e ne ho perse di partite, ma ci sono sconfitte che hanno più sapore di alcune vittorie perché la lotta è stata dura e ho lottato dando il meglio di me. “Ogni giorno della vita è unico, ma abbiamo bisogno che accada qualcosa che ci tocchi per ricordarcelo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore.” (Aruki Murakami)

Buon Natale

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Sono giorni grigi questi. Nebbie e brume avvolgono frequentemente i campi della bassa friulana di un tiepido inverno. Le ore di buio superano quelle di luce nei giorni del solstizio d’inverno. Le luminarie del Natale non sono luccicanti e splendenti, ma creano aloni diffusi. Sono atmosfere che mi inducono alla riflessione, al ricordo, alla memoria, alla dolce malinconia di quando penso a chi non c’è più. Nei giorni dello stare insieme, del festeggiare in compagnia, la mancanza di chi se n’è andato si fa più forte e scotta, ma scotta allo stesso modo del ghiaccio. Il buio sembra vincere, come fa la notte nei confronti del giorno a fine dicembre. Alberi di Natale, decorazioni luminose, candele, lucette sono tutti lì a dirci che l’oscurità non vince. Il credente trova in un bambino che, appunto, viene alla luce, in un Dio che condivide le sorti umane, il vagito di speranza, della vita; il non credente lo trova nel riposo che la natura si è presa per esplodere nel fragore primaverile. Entrambi possono incontrarsi nell’amore, nel sorriso reciproco del rispetto e della condivisione. Insieme, sommando luce a luce, con chi c’è, c’è stato e ci sarà. Buon Natale!

Gemme n° 372

La prima volta che ho visto questo video mi sono quasi commossa; si pensa che coloro che per strada ci fermano per elemosinare qualcosa non siano sempre persone giuste e leali e che noi siamo comunque meglio di loro. Il filmato secondo me vuol anche dire di non avere pregiudizi e di non dare giudizi affrettati. E’ importante riuscire a distinguere le persone buone da quelle cattive.” Questa è stata la gemma di S. (classe terza).
Ricordo questa vecchia storiella: “Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.
Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”. “No”, disse il rabbino. “Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”. “No”, ripeté il rabbino.
Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi. Il rabbino rispose: “E’ quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore.”

Gemme n° 279

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La mia gemma è una frase; l’ho trovata venerdì, giorno del compleanno di mio fratello. Dice: “Due fratelli non sono amici. Sono come rami dello stesso albero, possono divergere con gli anni ma il loro legame sarà eterno”. Penso che sia profonda per chi ha fratelli e sorelle: capita di litigare spesso, poi si torna vicini, si fa pace…”. Così ha parlato A. (classe seconda).
C’è una frase di Dylan Thomas che rende bene l’idea secondo me: “Ha nevicato anche l’anno scorso: ho fatto un pupazzo di neve e mio fratello l’ha buttato giù e io ho buttato giù mio fratello e poi abbiamo preso il tea insieme.”

Gemme n° 240

Cristina

Anna è la mia migliore amica; ci siamo conosciute 12 anni fa e da allora siamo cresciute insieme. La scuola di musica ci ha fatte conoscere e incontrare. La considero come una sorella, mi sarebbe sempre piaciuto averne una e in lei l’ho trovata: il nostro è un legame molto forte. C’è una frase che ci mandiamo nei momenti tristi: “Ho sempre desiderato una sorella. Poi è arrivata lei e ho capito che non è stato poi così male nascere e crescere figlia unica, perché spesso, il sangue, non riesce a legare due persone come ne è capace il cuore quando invece ha la possibilità di scegliere. Ecco. Io, lei, l’ho scelta”. E’ per questo che tra noi ci chiamiamo sorelle per scelta, e abbiamo anche una canzone che ci unisce”. Questa è stata la gemma di C. (classe quinta).
La canzone di James Blunt citata afferma: “… Io so che tu splendi anche in un giorno di pioggia. Posso trovare la tua traccia che mi guida verso qualsiasi luogo in cui tu sia caduta. Se hai bisogno di una mano da stringere verrò correndo perché io e te cammineremo affiancati fino alla morte. Tu dovresti sapere, noi ci guardiamo negli occhi, nel cuore.” Andare a cercare l’amico quando è in difficoltà ed esserci, magari senza essere in grado di far qualcosa, ma essere lì, a condividere, a respirare la stessa aria.

Gemme n° 194

La gemma di A. (classe quinta): “Non è stato facile trovare una cosa adatta da portare, avevo pensato a una foto o a delle frasi, ma mi sembravano forzate o non adatte al momento. Ho trovato qualcosa che sento giusto portare in questo momento, perché questa canzone riesce a rilassarmi e a farmi stare bene. La interpreto non in riferimento a una storia d’amore: quando ci sentiamo sovrastati dai problemi a volte la cosa più semplice ed efficace è stendersi e dimenticare il mondo. Quando le parole non servono, stendersi e avere una persona accanto può essere la migliore terapia, e quelle persona può essere un amico, un moroso o un parente… Può essere anche semplicemente la natura: starci in mezzo anche da sola mi dà molto, anche se oggi ce ne stiamo allontanando sempre più. Ho scelto questa versione del video anche per questo”.
Mentre A. parlava, avevo in testa un’idea non ben precisa di una frase di Cioran che avevo letto da qualche parte tempo fa. Ci è voluto un po’, ma alla fine l’ho recuperata: “Il vero contatto fra gli esseri si stabilisce solo con la presenza muta, con l’apparente non-comunicazione, con lo scambio misterioso e senza parole che assomiglia alla preghiera interiore” (L’inconveniente di essere nati).

Gemme che si fanno

Kisenyi

Siamo a quota 100 gemme. Le abbiamo viste, ascoltate, osservate, lette, toccate.
Oggi ce n’è stata un’altra che non comparirà nell’elenco insieme alle altre. Questa gemma è stata fatta. Qualche settimana fa avevo accennato in un post all’esperienza e all’opera di Eugenio Borgo a favore della scuola di Kisenyi; l’ho chiamato in una classe a raccontare quello che stava facendo e come era nato tutto. Ho poi chiesto a studentesse e studenti che lo volessero di scrivermi le loro impressioni su questo incontro. Da parte loro (e senza alcuna sollecitudine da parte mia) è venuta poi l’idea di raccogliere una somma da regalare a Eugenio e ai bambini di Kisenyi. Questa gemma è tutta per loro.

Ciò che più mi ha colpito dell’esperienza di Eugenio Borgo è stata la forza d’animo che ha impiegato per poter portare avanti il suo progetto. Penso che la sua sia stata una delle esperienze più belle che si possano compiere nell’arco della propria vita. Un’esperienza che mi ha fatto capire che a volte basta davvero poco per rendere felici delle persone che effettivamente non possiedono nulla se non un grande cuore. Mi hanno emozionato i sorrisi dei bambini e la loro felicità nel rivedere Eugenio quando è tornato la seconda volta nella scuola. Un grande esempio di gratitudine che mi ha fatto capire che bisognerebbe dire più spesso GRAZIE per quello che possediamo e lamentarci di meno per ciò che non abbiamo. Nonostante quei bambini vivano in una situazione di miseria sono riusciti a trasmettermi una grande felicità e gran voglia di vivere e di scoprire il mondo. Eugenio secondo me è riuscito a portare avanti un progetto stupendo, ha dato SPERANZA a quei bambini, ha fatto capire a quei ragazzi che con un po’ di forza e di costanza e di aiuto si possono cambiare le cose. La sua esperienza è un grande esempio, penso che lo abbia arricchito moltissimo sotto tutti i punti di vista e spero anche io un giorno di poter conoscere quella realtà e magari fare qualcosa per poterla migliorare e donare un sorriso alle persone di quella terra. Se dovessi descrivere Eugenio con una frase direi sicuramente che è una persona con un grande cuore!” (S.)

L’intervento di Eugenio Borgo mi ha decisamente colpita e alla fine dell’ora mi sentivo molto vicina a quei bambini anche solo con il pensiero. Il progetto presentato mi è piaciuto molto perché secondo me, pensare ai bambini è la prima cosa da fare, tutto il resto viene dopo. Vedere i loro visi allegri e speranzosi attraverso le foto mi ha riempito il cuore e il solo pensiero di averli aiutati (da parte di quest’associazione) a perseguire il loro desiderio (imparare) personalmente mi ha fatto sorridere. Nel momento in cui, poi, ci sono stati mostrati i “giocattoli” in classe (la “macchinina” e la palla fatta con bucce di banana) mi sono sentita ancora più vicina a loro, in particolare quando ho toccato la palla, perché ho pensato al fatto che prima di me essa è stata utilizzata da questi bambini a cui un semplice ammasso di bucce di banana ha fatto e continua a far sorridere e divertire, e proprio per questo motivo ho sentito un’emozione.
Ci sono moltissimi altri villaggi africani che sono in serie difficoltà e spero che nei prossimi anni questi tipi di associazioni si moltiplicheranno, perché secondo me non c’è cosa più bella nel vedere un bambino sorridere.” (M.)

L’intervento di Eugenio della scorsa lezione è stato molto importante per me. E’ da qualche anno che cerco di informarmi riguardo problematiche del genere, in quanto pur interessando paesi lontani, le sento vicine a me. E’ stato proprio così che quest’estate ho scoperto il video ‘Water in Zambia’, che mi ha subito colpito ed emozionato. Quando Eugenio ha esordito dicendo che questo video, e le parole che ho detto presentandolo, sarebbero diventati parte della sua presentazione, sono rimasta davvero felice, perché in qualche modo mi sono sentita utile, anche se in minima parte. Ciò che mi ha colpito di più di Eugenio è stato il suo coraggio, la sua determinazione e la sua voglia di portare avanti un progetto. Il modo in cui è stato ripagato da quei bambini penso sia immenso. Per noi è anche solo difficile immaginare delle realtà dove mancano i beni che stanno alla base di quel cammino definito vita, ma molte persone nel mondo e molti bambini questi beni non li hanno. Non rimane che aiutare, per fare del bene al prossimo, ma anche a sé stessi. Infatti si tratta di un aiuto reciproco. Come ci ha detto Eugenio, lui è tornato dall’Uganda arricchito, non di beni materiali, bensì di valori, esperienze ed emozioni. Stringere un bambino al quale si ha regalato un sorriso o anche vedere una famiglia felice o ancora delle mamme più serene perché consapevoli che i loro figli si recano in una scuola più sicura, penso sia qualcosa di davvero grande. Tutti hanno qualcosa da regalare al prossimo, non è detto che siano soldi, ma possono essere anche solo sguardi, sorrisi, pianti, emozioni, gesti e parole che valgono molto di più dei beni materiali.” (V.)

Io penso che l’esperienza di Eugenio Borgo sia stata bellissima e tanto costruttiva, sembra quasi impossibile che da una semplice “visita” al paese sia poi lui riuscito a fondare una onlus di così grande importanza. Ho sempre pensato che per realizzare ciò che Eugenio ha fatto, ci volessero “miracoli” e invece no..basta “solo” tanta determinazione. Ormai si conoscono molto bene le condizioni dell’Africa, l’ho potuto osservare nei mille documentari visti in tv, nelle foto che amici mi hanno fatto vedere, nei video su Internet..però ciò che è sempre presente in queste persone è il sorriso. E anche quando Eugenio faceva vedere i video di questi bambini che pur non avendo niente in mano sorridono, sorridono alla vita, mi sono venuti i brividi. Quanti di noi sono in grado di sorridere quando si trovano davanti a un ostacolo? Ciò che è bello notare è come dal nulla, fanno tutto. Mi ricordo la macchinina che ci ha portato Eugenio e che avevano fatto i bambini. Oggi sono tutti davanti a smartphone a tablet, ma se si chiede a uno di loro di costruire qualcosa partendo da delle bottiglie e basta dubito che riescono a fare qualcosa. (tra questi mi includo anch’io, magari questa può sembrare una critica verso i giovani d’oggi, ma parte da un’autocritica)
Ho avuto la possibilità di lavorare quest’estate presso un centro di suore che accoglieva i bambini orfani o comunque con una storia difficile alle spalle e mi creda, non mi sono mai sentita così soddisfatta e così felice in tutta la mia vita. Apprezzo moltissimo ciò che sta facendo Eugenio, penso sia molto soddisfacente, ma non tanto per noi stessi, ma per i bambini, per il loro futuro e per i loro sorrisi.” (C.)

Gemme n° 60

“Preferisco mostrare prima il video e poi commentarlo” ha detto V. (classe quinta).

La questione expò non è importante per quello che voglio dire. Semplicemente mi sono immedesimata nel video: rispecchia la mia visione attuale del cibo, dopo un problema che mi ha fatto detestare il cibo. All’inizio, per me, il cibo era solo un mezzo di sostentamento, poi però è diventato problema che mi impediva di fare feste e stare con gli amici. Nel video si dice esattamente il contrario: il cibo è festa, condivisione, vita! E’ così che lo percepisco oggi!”
Mi sono venute in mente le parole di Tiziano Ferro nella canzone “Mai nata”:
In quel frigo…si freddano le lacrime, in dispensa…rinchiudi le tue ansie e poi, sotto il letto…nascondi la tua polvere, poi non dormi…ti chiudi e rifletti. E’ la vita che unita al dolore si ciba di te e della tua strada sbagliata; e continui a pensare, placando il tormento, che bello se non fossi mai nata.
Salpa salpa salpa, il raziocinio toglie l’ancora. Da una cerebrale come te nessuno se lo aspetta, parli parli parli, sei un vulcano inarrestabile, treno più che rapido, efficiente poco timida.
Ma ti hanno detto mai che devi amarti un po’, puoi rallentare e poi pensare un po’ più a te. Che sicurezza mostri se i casini sai risolvere ma i problemi tuoi non li affronti proprio mai.”
Nelle ultime parole la luce alla fine del tunnel: “E la smetti? Rilassati! Forza reagisci sei te che condizioni la tua strada. E, su, prova a pensare che bello sarebbe se invece amassi di più la tua vita”.

Gemme n° 53

“Ho portato la canzone che accompagna la mia storia d’amore; è anche il brano che ha ispirato quella che per me è la canzone migliore che io abbia scritto.” Così A. (classe quinta) ha introdotto la sua gemma. “Mi piacciono il testo e la melodia, e il pezzo esprime il rapporto all’interno degli Slipknot, che è quello che dovrebbe esserci all’interno di ogni gruppo: amore, amicizia, esserci per gli altri.”

https://www.youtube.com/watch?v=dXpkSKGoaIw

Per restare su genere e tematica mi affido a “Alone in heaven” dei Sonata Arctica: il concetto è semplice. Che senso ha una gioia, una felicità se sono da solo a viverla, se non posso condividerla con nessuno? “Mi chiedo soltanto, tutto questo può essere il paradiso se i miei migliori amici bruciano all’inferno? Paradiso. Che diavolo farei in quel luogo senza te? In paradiso, solo in paradiso… Non ti lascerò mai indietro. È tutti per uno, e tutti per la vita.”

Gemme n° 43

“Devo mostrare un video, ma lo commento dopo” ha esordito V. (classe quinta). Eccolo:

“Il video parla da sé: ci lamentiamo spesso ma c’è chi non ha l’essenziale e sorride comunque. A volte si conoscono alcuni paesi solo per la guerra e la povertà, ma vi sono anche sorrisi e balli. Questo video lo sento molto vicino e penso che si potrebbe fare molto di più. Mi fa sorridere pensare che spesso non vogliamo andare a scuola e ci lamentiamo, mentre qui è il desiderio più grande di questi ragazzini. E penso anche al fatto che io non so che fare il prossimo anno mentre loro hanno le idee chiare e, soprattutto, hanno un sogno.”
Mi è venuto in mente Eugenio, che è andato a fare un viaggio in Uganda, ha conosciuto i maestri della scuola del villaggio di Kisenyi, ed è tornato in Italia con l’idea fissa fississima di aiutarli. L’ha fatto e lo sta facendo.
L’avevo già scritta sul blog, ma ci sta bene: “Quello che mi spaventa di più, credo, è la morte dell’immaginazione. Quando il cielo lassù è solo rosa e i tetti solo neri: quella mente fotografica che paradossalmente dice la verità, ma una verità senza valore, sul mondo. Io desidero quello spirito di sintesi, quella forza ” plasmante” che germoglia, prolifica e crea mondi suoi con più inventiva di Dio. Se sto seduta ferma e non faccio niente, il mondo continua a battere come un tamburo lento, senza senso. Dobbiamo muoverci, lavorare, fare sogni da realizzare; la povertà della vita senza sogni è troppo orribile da immaginare: è il peggior tipo di pazzia.” (Sylvia Plath, 25 Febbraio 1956)

Gemme n°39

Sabato c’era una canzone entrata in testa a me e a Sara: c’è rimasta per tutto il giorno, un’ossessione! Non mi aspettavo di ritrovarmela oggi nella gemma proposta da E. (classe quinta)! E. ha proposto un video (in realtà un minuto, tra il 18° e il 19°) del mondo di cui fa parte, quello degli scout, e dell’esperienza che ha vissuto in Svezia tre anni fa al Jamboree mondiale.

Lo scoutismo è un modo di vedere la vita, una scuola di pensiero, si resta sempre scout. Sono tante le cose importanti, ma se dovessi indicarne una direi la condivisione.” Le parole di E. vanno nella medesima direzione della canzone che mi ha “perseguitato” sabato: “Cammina con lo zaino sulle spalle, la fatica aiuta a crescere nella condivisione”.

Consolazione

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Ben ritrovati! Riprendo l’aggiornamento del blog dopo un periodo di pausa, tranquillità e pace coincidente con le ferie di mia moglie. Il primo post lo dedico a una foto che ho scattato domenica. Michele, il figlio di una coppia di cari amici, è appena scivolato e sta piangendo per lo spavento. Piano piano si avvicina Mou che inizia a leccargli dolcemente le manine. Quando un bimbo piange non per puro capriccio, fa un singhiozzo molto lungo e finisce in una specie di apnea e sembra non respirare, prima di immettere nei propri polmoni una grande boccata di aria e lanciarsi in un grido di disperazione. In ebraico i termini consolare-consolazione giungono dalla radice nhm, respirare profondamente, gemere, “far respirare”, far tirare il fiato. La vicinanza, la condivisione, anche muta, ma presente, l’essere accanto, il prendersi cura, il dire “sono qui”. Ne abbiamo bisogno tutti. E conoscendone il bisogno, sono chiamato a farlo per l’altro.

Un umanesimo da rivitalizzare

magritte.jpgNei giorni della rinuncia di Benedetto XVI mi ero perso un’interessante intervista di Laura Badaracchi al filosofo e sociologo Zygmunt Bauman per Avvenire del 12 febbraio. Ecco un estratto delle sue parole.

“L’attuale crisi è l’estrema conseguenza dell’aver sostituito l’umanesimo con la rivalità e la concorrenza. Ma contro gli interessi economici si può riscoprire una convivenza basata su cooperazione, condivisione, fiducia reciproca, rispetto, amicizia e solidarietà.

Assistiamo ora al crescente divorzio tra potere (la possibilità di realizzare cose) e politica (la capacità di decidere di quali cose abbiamo bisogno e quali devono essere realizzate), il cui esito è un’acuta crisi. Da una parte, ci confrontiamo con le potenze mondiali in un’extraterritoriale ‘terra di nessuno’ emancipata dal controllo politico, dall’altra con strumenti politici ‘locali’ (confinati al territorio di singoli Stati), come succedeva prima che cominciasse la globalizzazione dell’interdipendenza, e per questo motivo siamo afflitti da un deficit invalidante del potere… Quindi ci stiamo confrontando con un impegno analogo a quello dei vostri antenati del Risorgimento: ci troviamo di fronte alla sfida di integrare una moltitudine di autonomie locali – o realtà etniche e politiche quasi autonome – all’interno di nazioni e Stati moderni, ma con la necessità di farlo su scala molto più ampia.

Abbiamo il compito di costruire ‘umanità’ fuori dalla pletora di Stati-nazione, in modo accorato e con urgenza: è letteralmente una questione di vita o di morte dell’umanità, che a molti di noi sembra travolgente e che trascende la capacità umana.

… La situazione attuale è l’estrema conseguenza per aver messo al posto dell’umanità concorrenza e rivalità, barattando il grande desiderio e la nostalgia per una convivenza basata su cooperazione, condivisione, fiducia reciproca, riconoscimento e rispetto. Ma non c’è alcun vantaggio o benefit nell’avidità: una convinzione che sarà capita e accolta dalla maggioranza di noi. Interroga le persone sui valori a loro cari: le probabilità sono che molti nomineranno in primo luogo l’uguaglianza, il rispetto reciproco, la solidarietà e l’amicizia. Ma poi osservi attentamente il loro comportamento quotidiano, la loro vita concreta: si può scommettere che emergerà una classifica completamente diversa di valori… Si stupirà di scoprire quanto sia ampio il divario tra ideali e realtà, parole e azioni. Può essere colmato? Beh, non per niente si usa la parola ‘realtà’ per indicare argomenti troppo importanti per discuterne a distanza, temi su cui i nostri leader politici continuano a dirci che ‘non c’è alternativa’. Molti di noi credono che ci sia un’alternativa, anche se ci vorranno molta volontà, determinazione e un lavoro impegnativo per renderla realtà.

Tuttavia, come ricostruire la solidarietà dopo un’erosione durata decenni attraverso un individualismo invadente e insidioso e tramite la privatizzazione d’interessi e preoccupazioni? La società che è emersa da questi processi non dà asilo alla solidarietà umana. Sono state svilite le situazioni esistenziali in cui esprimevamo collaborazione e promosse, invece, la rivalità, la competizione e il sospetto reciproco. Tutto ciò accade in un tempo in cui abbiamo bisogno di solidarietà come mai era successo prima, per ottenere il bene comune della nostra sopravvivenza… Ma non sono ancora pronte ‘tabelle di marcia’ infallibili che ci indichino come procedere; nessuna garanzia di successo.”