Tema

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Capo chino sul foglio, non più di dieci centimetri tra gli occhi e il banco. La schiena fa un arco che a quell’età non offre la rigidità dei miei anta. Le narici di tanto in tanto si muovono ad annusare la leggera fragranza di violetta che esce dalla penna colorata: “Prof, posso scrivere in viola? o devo ricopiare con una penna normale in bella copia?”. Odiavo copiare i temi. Al triennio del liceo cercavo sempre il buonalaprima: un’unica versione dei miei pensieri senza dover passare attraverso la forzatura della trascrizione. Che poi capitava sempre di modificare qualcosa che pareva migliorare le cose, e invece…

I lunghi capelli non sono raccolti in una coda, parte scende sulle spalle, parte si adagia sul banco. Le labbra si muovono ad accompagnare le parole: sussurri che spingono il movimento della mano sul foglio. Piccole rughe, che a quell’età possono solo essere grafia di concentrazione, si formano sulla fronte. Come ti sei addormentata ieri sera? Come ti sei svegliata stamattina? Non so se la mente e il cuore siano leggeri o pesanti, se hanno ali capaci di sollevarti l’anima al cielo o se hanno ancore che te la inchiodano alla terra.

Gli occhi si muovono veloci e spaziano: il foglio, la parola appena scritta, il banco, lo smalto sulle unghie, il muro, una compagna, me, il mondo fuori, la parola ancora da scrivere, il proprio riflesso sullo schermo dello smartphone. Cercano, afferrano, studiano, scoprono, leggono, indagano, mangiano, amano, scelgono, escludono, capiscono, illuminano. Dove li poserai domani?

La mano si stacca dalla carta e stende un appunto veloce sul banco, servirà più tardi, quando le veloci parole dell’immediato lasceranno spazio alla lentezza del pensiero. Poco dopo gli passi sopra la gomma e soffi sui rimasugli, resti di un pensiero fugace.

“Prof, posso scrivere in matita?”. Sì. Il sibilo della mina che si accorcia lasciando la grafite sul foglio: ti dona quello che ha di più caro, la sua anima, consumandola. Quali saranno i tuoi fogli bianchi?

Gemme n° 16

Ho portato questa canzone perché è uno dei miei gruppi preferiti. La musica italiana spesso è sottovalutata e denigrata, e devo ammettere che non è poi tanto sbagliato… Ma ci sono anche cose interessanti, come questa.”

E’ stata questa la gemma di A. (classe quarta). “Il testo è molto ricco, mi aiuta a guardare a domani, oltre le cose negative, a vedere le cose in modo diverso.”
Mi soffermo su un piccolo verso della canzone: “E c’è gente che ha un ascensore nella testa e una scala a pioli nel cuore.” Mentre la ascoltavo in classe, questa frase mi ha fatto pensare al fatto che la ragione, la testa, spesso obbedisce alla legge della logica, e quindi cerca la via più breve e magari comoda per arrivare a destinazione; mentre il cuore preferisce la lentezza e il rischio di una scala a pioli, in cui deve essere sicuro di aver poggiato bene il piede prima di avanzare. Tuttavia, in caso di mancanza di corrente, l’ascensore della mente si blocca, la scala del cuore resta in servizio…
Per chi volesse il testo di “Salva gente”: Salva gente

Gemme n° 2

La gemma di oggi l’ha regalata B. (classe quarta). Per la verità ne ha regalate due, entrambe facenti riferimento a vecchi film. La prima, tuttavia, ha come punto di interesse una canzone: siamo nel film “Colazione da Tiffany” e Audrey Hepburn canta con in braccio la chitarra “Moon River”. “E’ una canzone che riesce a mettermi calma e serenità ogni volta che la ascolto”.

La seconda gemma è un’istantanea: le parole conclusive di Rossella O’Hara in “Via col vento”, il film preferito di B. La motivazione della scelta? “Ammiro la forza di questa donna, disposta a fare mille sacrifici, e che non perde mai la speranza come confermano le sue parole finali «Dopotutto, domani è un altro giorno»”.

Accompagno questa gemma con una canzone di Roberto Vecchioni, un suo inno alle donne: “Le mie donne”. Fa parte dell’album “Io non appartengo più”, uscito un anno fa e ha delle cadenze folk irlandesi. Consiglio di ascoltare bene tutto il testo, ma segnalo alcune delle parole che più mi piacciono: “La mia donna ha combattuto con le nuvole dietro l’orizzonte della verità, senza un tonfo di speranza e con i brividi di portare in seno quello che sarà; dalle donne stanche di arare in una terra fradicia di sole, dalle donne in un ospedale con le mani piene di dolore, dalle ragazze dentro un urlo lungo le strade a pugni chiusi, da una storia senza fine da un universo di soprusi. Dove lanciano aquiloni dietro i fulmini, per vedere quanti sogni vengon giù, e ci insegnano il mestiere d’esser uomini, cosa che non ricordiamo quasi più”.

La stazione

Torino_323 fb“La vera gioia della vita è il viaggio. La stazione è soltanto un sogno. Ci distanzia sempre. “Assapora l’attimo fuggente.” Non sono i fardelli di oggi a fare impazzire gli uomini. Sono i rimpianti di ieri e le paure di domani. Rimpianti e paure sono ladri che ci derubano dell’oggi.

Allora smettete di percorrere i corridoi e di contare i chilometri. Invece scalate più montagne, mangiate più gelato, camminate più spesso a piedi nudi, nuotate in più fiumi, ammirate più tramonti, ridete di più, piangete di meno. La vita deve essere vissuta a mano a mano che si procede. La stazione arriverà fin troppo presto.” (Robert J. Hastings)

Pensare a Domani

Stasera ho un bisogno personale, mi serve questa canzone, mi serve questo testo. E’ “Tomorrow” degli U2.Ha una duplice chiave di lettura:
• una madre preoccupata che invita il figlio a non uscire di notte (soprattutto se il contesto intorno è quello di una città nordirlandese)
• Bono che non vuole che la madre partecipi ai funerali del nonno perché sa che là lei avrà l’ictus che la porterà alla morte (il pezzo si apre con le uilleann pipes, delle specie di cornamuse suonate a braccio, molto utilizzate durante i funerali).
La paura è che la notte possa prolungarsi ben oltre la sua durata e che quindi regnino il buio, la morte, la solitudine, il senso di mancanza. E che sia una notte senza riposo, senza lasciare la possibilità di prendere sonno… Al centro della canzone si stagliano delle domande: “Chi ha rotto la finestra? Chi ha sfondato la porta? Chi ha squarciato il velo? E a causa di chi lo ha fatto? Chi sana le ferite? Chi guarisce le cicatrici?”. Il velo squarciato richiama il velo del tempio di Gerusalemme che si strappa al momento della morte in croce di Gesù. Qualcosa di importante si è squarciato anche nel cuore di Bono alla morte del nonno e della madre: ma c’è qualcuno che quelle ferite può sanare e cicatrizzare… Se nella prima parte della canzone non bisognava andare ad aprire la porta, ora bisogna fare proprio il contrario: “Apri la porta, apri la porta.” E l’apertura è alla risurrezione, a colui che porta la luce per far superare la notte e permettere al domani di arrivare: “Apriti, apriti, all’Agnello di Dio, All’amore di Colui che ridonò la vista ai ciechi. Sta ritornando. Sta ritornando. Oh credete in Lui.”

Non ritornerai domani? Non ritornerai domani?
Non ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Fuori, c’è qualcuno là fuori Qualcuno che sta bussando alla porta.
C’è un’auto nera parcheggiata Sul lato della strada
Non andare ad aprire Non andare ad aprire.
Sto uscendo. Sto andando fuori madre. Sto andando là fuori.
Non ritornerai domani, Non ritornerai domani,
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Chi ha rotto la finestra? Chi ha sfondato la porta?
Chi ha squarciato il velo? E a causa di chi lo ha fatto?
Chi sana le ferite? Chi guarisce le cicatrici?
Apri la porta, apri la porta.
Non ritornerai domani? Non ritornerai domani?
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Perché io ti voglio Io, io ti voglio
Io davvero ti voglio. Io, io voglio, io, io
Voglio che torni domani Io voglio che torni domani.
Ritornerai domani? Posso dormire stanotte?
Io voglio che torni domani Io voglio che torni domani
Ritornerai domani?
Apriti, apriti, all’Agnello di Dio
All’amore di Colui Che ridonò la vista ai ciechi.
Sta ritornando Sta ritornando Oh credete in Lui.

Oggi e domani

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Una bella giornata in compagnia di cari amici. In questo scatto il loro bimbo, nella mente queste parole di Guccini: “che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito”. Non come una condizione esistenziale, ma come desiderio momentaneo sì…

L’oggi

Facendo un po’ di zapping sulla rete (qualcuno lo definisce surfare, ma non mi piace) mi sono imbattuto in questa breve poesia di Percy Bysshe Shelley. Per non far passare l’oggi in attesa del domani, lasciando che così la nostra vita sia costruita da una serie di ieri…

Dove sei tu, amato Domani?

Da giovani e da vecchi, forti e deboli,

ricchi e poveri, attraverso gioia e pena,

sempre cerchiamo i tuoi dolci sorrisi.

Ma al tuo posto

noi troviamo quello che abbiamo fuggito. L’oggi.

oggi, domani, attesa, vita, shelley

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